Il generale libico Almasri, arrestato e scarcerato, espulso e rimpatriato: dal “pasticcio” al capolavoro

di Romano Maria Levante

Non è “ultroneo”, come dicono i giuristi, tornare in un sito culturale come questo – oggi 26 marzo, nel giorno del voto sulla mozione di sfiducia al ministro della Giustziz Carlo Nordio – sull’evento che ha scosso la politica italiana: l’”affaire” del generale  Osama Elmasry, noto come Almasri,  Capo della polizia giudiziaria e al comando di due “milizie di sicurezza” in un paese come la Libia, verso il quale l’Italia è esposta per i nostri concittadini che vi lavorano, per gli impianti di idrocarburi dell’ENI  che ci riforniscono di energia e per essere una delle basi più utilizzate dai migranti che con barconi fatiscenti cercano di raggiungere le nostre coste.

Su questi “fronti”,  per l’Italia molto delicati,  operano le milizie comandate dal generale Almasri, adibite appunto alla sicurezza, in particolare quella delle carceri. Nelle  carceri libiche, considerati veri e propri lager, sarebbero stati compiuti per molti anni  in modo continuato  gravi reati,  per i quali  è stato richiesto dalla Corte penale internazionale con sede all’Aja, l’arresto provvisorio del generale Almasri che le controlla, per processarlo delle  torture, stupri, violenze efferate,  fino agli assassinii a lui imputati. Sono reati orribili per i quali finora, va precisato, viene accusato sulla base di precise testimonianze delle vittime, ma non ha avuto condanne.

ll generale libico Osama Almasri, Capo della Polizia giudiziaria,
comanda due “milizie di sicurezza”, arrestato e scarcerato, espulso e rimpatriato

A tal fine, la Corte penale int.le ha emesso un mandato di arresto appena Almasri è giunto in Italia, arresto subito eseguito a Torino, ma poi vi è stata la scarcerazione per una serie di complicazioni del normale iter, definito un “pasticcio”, e infine la sua espulsione e rimpatrio con un aereo di Stato dei nostri Servizi segreti.

Su tutto questo si è scatenata l’opposizione – con la  stampa e le televisioni ostili al Governo –  che, insoddisfatta delle spiegazioni  fornite nell’apposita informativa parlamentare dai ministri competenti, Carlo Nordio della Giustizia e Matteo Piantedosi degli Interni, ha presentato al Parlamento una mozione di sfiducia verso il ministro Nordio considerato  responsabile di aver sottratto alla Corte penale int.le, riportandolo per di più al suo paese con un aereo di Stato speciale recante il tricolore in bell’evidenza, un soggetto chiamato sempre “torturatore, stupratore, assassino, ecc.”, anche dai garantisti sebbene – va ripetuto – i reati di cui è accusato siano gravissimi, con testimonianze molto serie, ma non ancora processato né condannato.

I cartelli dei senatori del PD con foto del carcere libico, al centro il capogruppo sen. Francesco Boccia

Introdotta molto sommariamente l’intricata questione, diciamo intanto il motivo per cui consideriamo appropriato che il nostro sito culturale se ne occupi. Perché al di là degli aspetti strettamente giuridici nei quali rientrano anche le garanzie che il sistema assicura sul piano della libertà personale, sono in gioco valori morali e interessi nazionali, in un intreccio che suscita profonde riflessioni se si vuol fare una valutazione serena.

La serenità finora è mancata, dinanzi alla più faziosa prevenzione, tanto è vero che è stata trasmessa al Tribunale dei Ministri una denuncia a seguito della quale i due ministri competenti, della Giustizia e degli Interni, il sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi segreti e la Presidente del Consiglio, sono stati accusati di favoreggiamento, peculato e omissione di atti di ufficio; seguita da un’altra denuncia di un migrante ugualmente inoltrata subito al Tribunale dei Ministri. Oltre alla denuncia dinanzi al Parlamento europeo, in una  polemica politica quanto mai aspra e violenta, nella quale sono volati insulti indegni da parte dei leader dell’opposizione. Che un atto di governo con ripercussioni internazionali possa subire un simile “trattamento” in Parlamento appare perlomeno singolare, come la strumentalizzazione che ne è stata fatta a fini meramente partitici.

I ministri della Giustizia Nordio e dell’Interno Piantedosi nell’informativa in Parlamento

La precisa sequenza dei fatti  di quello che è stato definito un “pasticcio”

Iniziamo  con i  dati forniti nella informativa parlamentare, dal Ministro della giustizia Nordio, con assoluta precisione, citando date ed ore, in una sequenza incalzante. Mandato di arresto emesso dalla Corte penale int.le sabato 18 gennaio, eseguito a Torino domenica 19 gennaio alle ore 9,30;  notizia informale dell’arresto trasmessa al Ministero della giustizia  via e mail nella stessa domenica 19 alle ore 12,37 da un funzionario dell’Interpol, comunicazione considerata “assolutamente informale, priva dei dati identificativi e priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non era nemmeno allegata la richiesta di estradizione”.

Lunedì 20 gennaio, alle ore 11,40, il Procuratore della Corte d’Appello di Roma, come organo competente, ha trasmesso  al Ministero della giustizia l’atto definito “complesso carteggio”, sembra di circa 40 pagine in inglese con allegati in lingua araba, ed è restato in attesa.  Non avendo ricevuto risposta, la mattina di martedì 21 gennaio, il Procuratore ha chiesto la scarcerazione del soggetto avendo ritenuto “irrituale” il suo arresto mancando l’impulso in tal senso del Ministro della Giustizia, scarcerazione decisa dalla Corte d’appello di Roma;  ne è seguita l’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno, per interesse nazionale e motivi di ordine pubblico, eseguita in giornata con il rimpatrio per mezzo di aereo di Stato, in particolare dei nostri Servizi segreti.  

Il ministro Carlo Nordio, nella sua dettagliata esposizione

Un “ pasticcio”,   in primis  creato dalla Corte penale int.le che non ha fatto le notifiche giuste nei tempi giusti di un provvedimento anch’esso  “pasticciato”, con gli  effetti che ne sono derivati.-Cercheremo di spiegarlo evitando  giudizi spesso frutto di prevenzione mista e superficialità.  A parte il pur fondamentale vizio iniziale della trasmissione tardiva del mandato di arresto integrale al Ministero della Giustizia –  non sabato 18 ma lunedì 20 nella tarda mattinata –  dalla sequenza descritta è indubbio che il momento culminante è stata la scarcerazione alla quale è seguita l’espulsione  e il doveroso rimpatrio  con aereo di Stato, come avviene sempre nei casi di questo tipo, tanto più che viene definito “torturatore, stupratore, assassino, ecc.” di migranti nelle carceri libiche controllate da lui con la  “milizia di sicurezza” di cui è comandante.

La sua permanenza in Italia, una volta scarcerato,  avrebbe potuto comportare gravi problemi  di ordine pubblico  perché si rischiava che quei  migranti presenti nel nostro paese, i quali  dichiarano di aver subito torture nella permanenza nella famigerata  prigione  libica da lui controllata, potevano vendicarsi sul “torturatore” con azioni pericolose;  e ne abbiamo avuto conferma nella denuncia di uno di loro,  presentata contro gli  stessi Ministri e la Presidente del Consiglio, trasmessa al Tribunale dei Ministri, e nella  denuncia di un altro migrante alla Corte penale int.le contro l’Italia per non aver consegnato alla giustizia il suo “torturatore”.  

Il ministro Matteo Piantedosi, nella sua sintetica esposizione

La scarcerazione, secondo la  Corte d’appello di Roma che l’ha disposta, è stato un “atto dovuto” – per la “irritualità” dell’arresto in assenza dell’impulso iniziale a cui  avrebbe dovuto provvedere  il Ministro della Giustizia – che andava effettuato allorché è stata constatata  l’assenza dell’intervento richiesto al Ministro, il quale  avrebbe dovuto legittimare la detenzione sanando il vizio di origine;  intervento, però, mancato.  

Considerando la tempistica prima riportata, il Ministro nel solo pomeriggio di lunedì 20 che aveva a disposizione – dopo la   trasmissione alle 11,40 di tale giorno  al Ministero da parte della Corte d’Appello del “complesso carteggio”  che abbiamo citato – avrebbe dovuto  fare le valutazioni a lui spettanti in un tempo così ristretto, e al riguardo ha aperto l’intervento dicendo: “Non sono un passacarte”. E  martedì 21 alle 16 del pomeriggio ha risposto alla Procura che “considerato il complesso carteggio, il Ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’articolo 4 della legge 237 del 2012”.

Il deputato di 5 Stelle on. Federico Cafiero De Raho, nell’intervento da ex magistrato, criticato nel testo

Ma già la Corte d’Appello di Roma competente, su richiesta della Procura con assenso della Procura generale, in mattinata  aveva deciso con ordinanza l’immediata scarcerazione di Almasri, con una rapidità che non può non sorprendere,  dato che era stata la Procura  stessa a trasmettere al Ministero il “complesso carteggio”di 40 pagine in inglese,  con allegati in arabo, nella tarda mattinata del giorno precedente.

E avendolo trasmesso integralmente, e non solo nel dispositivo, sembra evidente che lo abbia fatto perché fosse valutato, altrimenti sarebbe bastato fornirne soltanto gli estremi. E non poteva non rendersi conto del tempo necessario data la sua complessità che conosceva, e comunque avrebbe dovuto informare il Ministro che si stava per scarcerare Almasri perché  detenuto “irritualmente” se non provvedeva, cosa che sembra non sia stata fatta.

Cartelli in aula con i crimini nel carcere libico, del partito AVS, con i leader Fratoianni e Bonelli

La nullità del mandato di arresto, esaminato senza il tempo per contattare  la Corte penale int.le

Andiamo oltre queste pur evidenti e importanti anomalie nei tempi  e nei modi,  per il momento,  ed entriamo nella sostanza seguendo ancora l’informativa del Ministro Nordio al Parlamento con le spiegazioni da lui fornite.  Non avrebbe potuto dare l’impulso a lui  richiesto per regolarizzare l’arresto, e quindi evitare la possibile scarcerazione – peraltro a lui non segnalata –  perché nella valutazione che stava svolgendo in tempi pur così ristretti, aveva riscontrato gravi anomalie nell’atto trasmessogli dalla Corte d’Appello –  dal difetto di giurisdizione agli errori  negli anni dei reati, di per sé invalidanti –  che a suo avviso lo rendevano nullo.

E non ha potuto attivare l’interlocuzione con la Corte penale int.le perché, quando è giunto alle conclusioni cui si è ora accennato nelle sue valutazioni, la Corte d’Appello di Roma, su richiesta della Procura, con assenso della Procura generale, aveva già scarcerato il soggetto, che tornava in volo in Libia sull’aereo di Stato, dopo l’espulsione immediata disposta dal Ministro dell’interno, per cui non si poteva più sanare il vizio di origine per mantenerlo in stato di arresto.  

La leader del PD, on. Elly Schlein, nel suo intervento

Nei casi di libertà personale anche i vizi formali  sono decisivi, si pensi alle sentenze che la Corte di Cassazione ha annullato in passato vanificando maxi processi con molte diecine di  imputati e anni di udienze, rimettendo in libertà pericolosi capi mafiosi, magari per irregolarità della notifica agli imputati e difensori, o per mancanza del titolo di studio richiesto da componenti la giuria popolare. Quindi,  come poteva il Ministro, con la sua esperienza di magistrato procuratore per 40 anni, saggista su questioni processuali, quindi con un’alta competenza, tradire le sue onvinzioni giuridiche sul piano generale con forti perplessità sul piano specifico?

Su questo piano, tra l’altro, le perplessità sono state considerate fondate dalla stessa Corte penale int.le che circa cinque giorni dopo aver emesso l’atto di arresto la ha sostituito con un altro atto nel quale ha corretto gli errori  invalidanti riscontrati dal Ministro, ed è stato  approvato a maggioranza di 2 a 1 dai tre componenti la Corte, perché una componente ha continuato ad eccepire la carenza di giurisdizione. Questo non incide  sulla validità del provvedimento  preso a maggioranza, com’è assolutamente ovvio, ma  rende comprensibili e non infondate le perplessità del ministro  Nordio su tale aspetto, perché espresse e messe a verbale dalla stessa Corte.

La conferenza stampa con i migranti dalla Libia che hanno denunciato i crimini del generale Almasri

Andiamo ora al momento culminante e alla decisione chiave, cioè la scarcerazione, per poi approfondire le questioni sollevate con un provvidenziale ausilio; in conclusione, considerazioni che vanno oltre il campo giuridico e processuale e si pongono  nella visione complessiva anche culturale che maggiormente interessa.

La frettolosa scarcerazione, decisione chiave. Era  obbligata? I primi dubbi.

Si pone subito un interrogativo. Era necessario scarcerarlo così presto, come ha dichiarato la Corte d’Appello di Roma nell’Ordinanza emessa  su richiesta della Procura, d’intesa con la Procura generale? Non ci permettiamo con le nostre modeste  e molto lontane conoscenze giuridiche di giudicare tale pronuncia, occorrono specialisti. Pur rinunciando ad esprimerci in via personale, ci sentiamo di dire che siamo stati colpiti dalla motivazione non riferita a una regola specifica, ma all’assenza di normativa, dove afferma che “la  procedura di applicazione della misura cautelare… deve  inequivocabilmente accedersi al principio ubi lex voluit dixit, in virtù del quale l’arresto d’iniziativa della polizia giudiziaria nella procedura di consegna su mandato della Corte p.i. deve ritenersi escluso in quanto non espressamente previsto dalla normativa speciale “.

Una prima immagine delle carceri-lager libiche, in primo piano un sorvegliante

Ben sapendo che vige l’analogia e altri modi, anche sotterfugi, adottabili per evitare la frettolosa immissione in libertà di soggetti arrestati perché pericolosi, ci chiediamo come mai si è operato così rapidamente con un soggetto accusato di reati gravi e numerosi motivando la decisione con il “broccardo” latino citato? Proprio questa nostra percezione, pur se superficiale, ci ha fatto venire dei dubbi e indotto a cercare qualche conferma.

E questo dopo aver considerato anche altre  parole della motivazione della Corte d’Appello conforme al giudizio della Procura generale secondo cui “la restrizione della libertà personale operata dalla Digos in via precautelare non sarebbe prevista dalla legge 237/2012, essendo preclusivo il silenzio del Ministro della Giustizia, debitamente e prontamente informato del fermo”;  di qui la scarcerazione,  considerata atto dovuto.

Il leader di “5 Stelle”, on. Giuseppe Conte, nel suo intervento

Si deve “inequivocabilmente” accedere al “broccardo”, pardon, al principio, in base al quale la scarcerazione era inevitabile per il silenzio “preclusivo” del Ministro pur informato “debitamente e prontamente”? Se le cose stessero così sarebbe comprensibile che a Nordio vemisse attribuita la colpa del ritorno in libertà del “torturatore, stupratore, assassino, ecc.” , per di più riportato con aereo di Stato in Libia dove potrebbe continuare  a commettere i suoi efferati  crimini contro vittime inermi, come viene lamentato all’infinito. Noi abbiamo già convenuto che il Ministro non poteva avallare un atto la cui valutazione rientrava nelle sue facoltà, avendolo  ritenuto nullo senza interloquire con la Corte penale int.le mancandone il tempo non per sua inerzia.  

Ma questa nostra convinzione  conterebbe poco se non avessimo trovato un’ analisi giuridica approfondita, dal titolo”La scarcerazione del generale libico Elmasry. nota critica alla interpretazione resa dalla Corte di appello di Roma sull’art. 11 della legge di cooperazione tra l’Italia e la Corte penale internazionale”, pubblicata il  27 gennaio 2025 sul sito molto qualificato “Sistema penale”.

Uno dei due migranti dalla Libia che ha testimoniato i crimini del generale Almasri nel carcere

E’ chiamata “scheda”,  ma sono ben 10  pagine molto fitte, di 45 righi l’una con 100 battute a rigo, la metà circa con l’analisi giuridica, l’altra metà con le norme specifiche, in particolare su “Applicazione della misura cautelare ai fini della consegna” e  “Attribuzioni del Ministro della Giustizia”,  “Procedure per la consegna” e “Norme applicabili”, infine “Arresto da parte della polizia giudiziaria”: un ausilio notevole per chi volesse farsi una propria idea indipendentemente dal testo con le valutazioni dell’esperto.

Si tratta di un saggio molto ampio, uno studio approfondito il cui autore, Giulio Vanacore, si chiede se l’orientamento espresso in modo netto dalla Corte d’Appello di Roma e dalla Procura con la Procura generale – che ha portato a scarcerare l’accusato – fosse “l’unico ammissibile alla stregua degli ordinari canoni ermeneutici”. E lo nega con argomentazioni precise, dimostrando la propria contrarietà con riferimenti appropriati alla normativa. Si tratta di un magistrato particolarmente esperto, con dottorato in materia internazionale e diversi saggi pubblicati proprio su Statuto e regole della Corte penale int.le e della Corte di giustizia sull’ex Jugoslavia   Abbiamo attinto alla sua analisi riportando diversi passaggi testualmente per non rischiare equivoci, ma è molto più penetrante  e circostanziata di quanto possa risultare dalla nostra sintesi estrema  che può sembrare lunga e pedante, ma trae l’essenziale da un testo notevolmente più ampio e accuratamente argomentato.

Una seconda immagine delle carceri-lager libiche

Le conclusioni sorprendenti di un magistrato, grande esperto della Corte penale int.le

Già dal titolo sopra riportato del saggio la grande sorpresa, ma la critica riguarda oltre alla Corte d’appello di Roma, anche la semplicistica “vulgata”  dell’opposizione che dà al Ministro della Giustizia colpe inesistenti, con annesso insulti vergognosi. Per cominciare, si afferma che la norma tanto citata, legge 237/2012, “non prevede, nel tenore letterale della disposizione, alcun potere di impulso o di iniziativa in capo al Ministro della Giustizia in tema di esecuzione di un ordine di carcerazione (preventiva a seguito di mandato o definitiva a seguito di condanna). Il legislatore del 2012 pare invece aver voluto concepire una procedura completamente ‘giurisdizionalizzata’, senza un’autentica facoltà di veto paralizzante o di impulso inevitabile in capo all’autorità governativa”.

Il ruolo attribuito al Ministero della Giustizia riguarderebbe soltanto la ‘ricezione degli atti’ da parte della Procura Generale di Roma, “unico organo competente a richiedere la custodia cautelare di un soggetto ricercato dall’autorità giudiziaria internazionale. E tuttavia non è prescritto che tale ricezione, in favore della Procura Generale, debba necessariamente provenire dal Ministero”, ma può venire, “come è stato nel caso di specie”, da altre fonti, dall’Interpol all’Ambasciata.”In  definitiva – ribadisce Vanacore – la norma non impone letteralmente né un potere di impulso, né una possibilità di veto, e nemmeno una formale ed indispensabile previa interlocuzione tra la Procura italiana ed il Ministero della Giustizia, al fine di provvedere alla custodia dell’indagato internazionale”.

Il leader della “Sinistra italiana” on. Nicola Fratoianni, alla sua sin. il leader dei Verdi on. Bonelli, di AVS

Sempre secondo l’autore citato – cui continuiamo a fare riferimento essendo specializzato  nella materia –   non deve sviare il fatto che la legge sopra ricordata nelle disposizioni generali all’art. 2 indica “un generale diritto-dovere di costante dialogo e di cura esclusiva dei rapporti con la Corte da parte del Ministro della Giustizia. Egli è colui che tiene le fila delle relazioni con la Corte Penale Internazionale”. Questo riguarda rogatorie e citazioni, assunzione di prove ed altri atti, “e  tuttavia tale norma non appare incidere sul diverso meccanismo, d’altronde disciplinato da una norma ad hoc in un capo distinto della legge (il Capo II denominato proprio ‘Consegna’) che, in via appunto di previsione speciale, regola l’arresto di un ricercato o la carcerazione di un condannato. L’art. 11 non ripete la designazione, propria dell’art. 2 (disposizione nemmeno richiamata dall’art. 11), in capo al Ministro quale soggetto unico legittimato al dialogo con la Corte”.

E ribadisce  così quanto possa essere poco chiaro nel riferimento ai due diversi articoli della normativa: “Quando è in gioco il fermo dell’indiziato, destinatario di un mandato di arresto internazionale, ovvero del condannato in via definitiva dai giudici dell’Aja, la Procura Generale… può chiedere, una volta acquisiti (da qualsiasi fonte) gli atti, la custodia del ricercato, in attesa di procedere alla materiale consegna in favore della Corte Penale Internazionale”.E gli atti, nel caso in specie, la Procura li aveva al punto di trasmetterli essa stessa al Ministero della Giustizia nella tarda mattinata di lunedì 20 gennaio.

L’altro migrante dalla Libia che ha testimoniato i crimini del generale Almasri, con successiva denuncia

Ma non finisce qui: “Solo nella fase successiva al perfezionamento della custodia, a seguito anche di eventuale impugnazione innanzi alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 11 comma 2, e in questo ultimo caso dopo il negativo esperimento del ricorso, riemerge un ruolo del Ministro, che deve adottare, ai sensi dell’art. 13 comma 7, il decreto di definitiva consegna dell’arrestato in favore dei giudici dell’Aja”.Siamo ben al di là dei due giorni di detenzione del generale libico cui è seguita la fulminea scarcerazione: “Trattasi però di un segmento procedurale successivo al consolidamento della custodia e non paiono comunque residuare margini di discrezionalità politica nella scelta di adozione di detto decreto da parte dell’autorità governativa, che si atteggia dunque, secondo la complessiva impostazione legislativa del 2012, quale mero esecutore, in guisa ‘notarile’, di deliberazioni giurisdizionali”. Ma solo in questa fase finale, la Cassazione, di un procedimento estremamente lungo.

Per concludere: “Prima di questo stadio, evidentemente conclusivo ed inerente al trasferimento personale del fermato, l’art. 11, si ribadisce, scolpisce una procedura che coinvolge unicamente la Procura Generale quale polo istante e la Corte di Appello quale terminale decisionale della custodia”. E ancora: “Non pare corretto coinvolgere, nella disciplina ‘chiusa’ dell’art. 11, una norma, quella di cui all’art. 2, che, seppur si intenda definire ‘generale’, non può costituire l’oggetto di un anomalo rinvio recettizio nella disposizione speciale che regola la procedura in materia di custodia personale e consegna”.

il leader di “Azione”, on. Carlo Calenda

Più chiaro di così, anche nel riferimento normativo!   Lo “stadio” che viene citato, non riguarda lo stadio di Torino dove Almasri ha assistito alla partita Juventus-Milan, da tifoso juventino prima di essere arrestato in albergo il mattino  successivo, ci sia consentita questa banale battuta di alleggerimento da una pesantezza però inevitabile…. A parte la battuta, le conclusioni dell’autore contrastano con  l’interpretazione della Corte d’Appello di Roma anche sulla presunta “irritualità” dell’arresto da parte della polizia attivata dalla Digos, su mandato proveniente dalla Corte penale int.le, che ha portato alla rapida scarcerazione. 

Infatti viene sottolineato l’assurdo che gli organi di polizia, pur informati come nel nostro caso della presenza del ricercato su mandato della Corte penale int.le, “non avrebbero alcuna facoltà (o dovere) di arresto precautelare, dovendo sul punto attendere l’istanza di custodia della Procura Generale di Roma”; la quale, a sua volta, dovrebbe sempre essere “preceduta da un qualche atto di iniziativa del Ministro della Giustizia, del quale però dovrebbero esser tracciati i termini di forma e contenuto minimi”-

Una terza immagine delle carceri-lager libiche

Ne deriva che non sarebbe possibile trattenere in via coattiva l’indagato o il condannato senza un provvedimento, proveniente dalla Corte di Appello di Roma, che dovrebbe essere attivato dal Ministro della Giustizia con pericolo di fuga dei soggetti ricercati pur ben individuati. La Corte d’Appello non ritiene che “il vuoto di disciplina possa esser colmato dal generale rinvio che la l. 237/2012 compie in favore della normativa codicistica in punto di estradizione. In particolare non reputa possa applicarsi, in virtù del richiamo alle disposizioni del codice di procedura penale dettato dall’art. 3[ per quanto non specificamente previsto dalla legge sulla cooperazione, l’art. 716 c.p.p., in punto proprio di applicazione della misura precautelare anche ai ricercati della Corte dell’Aja”.

Questo convincimento della Corte d’Appello di Roma – che lo motiva in modo perlomeno astruso – viene contestato su tutta la linea: “Invece la disciplina sull’arresto precauzionale è una regola di sistema tanto più suffragata dalle norme per  l’estradizione e non vi è nessun silenzio della legge che nel nostro caso legittimi la scarcerazione quale polo istante e la Corte di Appello quale terminale decisionale della custodia”.  Il riferimento corretto viene ribadito essere alla “disciplina ‘chiusa’ dell’art. 11”, come norma “speciale” che si applica nel caso di “custodia”, al posto dell’art. 2 che è norma “generale” non applicabile esistendo la suddetta norma “speciale”.

Il leader di “Italia Viva”, sen. Matteo Renzi, nel suo intervento

E comunque taglia la testa al toro la conclusione secondo cui “pur a fronte di un arresto di polizia ritenuto illegittimo, la custodia possa comunque esser richiesta e ammessa, così in sostanza assicurando il trattenimento in attesa della consegna alla Corte Penale Internazionale, così scongiurando il concreto pericolo di fuga dell’indiziato, e persino del condannato in via definitiva, di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra”. Si resta senza parole, chiarissimo! La reiterazione di “così” due volte da parte dell’autore, sembra volerne sottolineare la conclusione.

Dopo l’autorevole conclusione del magistrato specialista,  le nostre modeste considerazioni

Siamo tornati così allo stupore che ci aveva suscitato il broccardo “ubi lex voluit dixit” – con il correlativo sottinteso, “ubi non dixit, non voluit” – dal quale è nato l’approfondimento per il quale ci siamo riferiti al saggio di Vanacore su “Sistema penale”. Ma non intendiamo sostenere  che questa è l’unica interpretazione valida, non siamo in condizione di dirlo, possiamo soltanto fare qualche considerazione di buon senso che ci fa apparire sensato quanto osservato dal giurista. Infatti,  se fosse “atto dovuto”  la trasmissione automatica dell’ordine di arresto della Corte penale int.le, perché farlo attraverso il Ministro della Giustizia che è organo politico, e non attraverso l’Interpol, la magistratura o la polizia?

ll leader di “+ Europa”, on. Riccardo Magi, nel suo intervento

E se il Ministro, pur essendo organo politico, non può entrare nel merito del provvedimento, ma solo far eseguire l’arresto, perché trasmettergli invece del semplice dispositivo, il “complesso carteggio” , allegati compresi, se non per farglielo esaminare? Domanda che abbiamo già avanzato, ma ci sentiamo di doverla ripetere. E allora dovevano dare al Ministro il tempo occorrente, anche per poter interloquire con la Corte penale int.le, se necessario, cosa impossibile dati i tempi così ristretti per una scarcerazione che poteva non avvenire, anzi non doveva avvenire seconda le conclusioni dell’autore del saggio giuridico cui abbiamo fatto riferimento.  

Non abbiamo la presunzione  di dire ciò che andava e non andava fatto, ma possiamo rilevare che  il Ministro della Giustizia, con il Ministro dell’Interno, ha ricostruito i fatti e spiegato le motivazioni dei comportamenti, e così ha fatto la Corte d’Appello di Roma competente dei rapporti con la Corte penale int.le. Tutte le istituzioni  hanno operato in buona fede in base alle proprie valutazioni, di cui hanno assunto la responsabilità, in un campo controverso, aperto a diverse, legittime  interpretazioni, come avviene nel diritto; e noi abbiamo riportato una interpretazione affidabile perché ben motivata  da un giurista specializzato nella materia.  Non si possono sputare sentenze superficiali, neppure dai politici che si sono arrogati giudizi apodittici in un campo opinabile.

L”esibizione all’esterno, dopo la seduta in Parlamento, di cartelli dei leader AVS, Fratoianni e Bonell

La “requisitoria” apodittica del parlamentare di 5 stelle, l’ex magistrato De Raho

Non vale la pena di considerare le accuse al Governo su questo caso da parte dei leader politici dell’opposizione, precostituite e infarcite di insulti, ripetiamo vergognosi, gravemente offensivi per Istituzioni e Parlamento; inseriamo nel testo solo le immagini dei loro interventi e dei cartelli esibiti quasi fossero allo stadio, che si qualificano da soli. Ci ha sorpreso, però – data la sua caratura personale e il non essere “politico di professione” – la “requisitoria” in Parlamento del deputato di 5 Stelle, on. Federico Cafiero De Raho, già Procuratore nazionale antimafia, che ha accusato il ministro Nordio di aver mancato al suo dovere istituzionale di intervenire in via automatica sull’ordine di arresto, non rispondendo alla richiesta della Procura di Roma che in assenza del suo impulso ha dovuto forzatamente procedere subito alla scarcerazione.

Abbiamo visto che, oltre all’impostazione del Ministro, considerata di parte, ne abbiamo trovato una del magistrato Vanacore specialista nella materia, che esclude qualsiasi sua responsabilità nella liberazione del generale libico accusato di gravi reati; e indirettamente la fa ricadere semmai sulla  Corte d’Appello di Roma che ha proceduto subito alla scarcerazione in base a una interpretazione perlomeno  opinabile,  dalle quale è venuto un effetto ritenuto così grave da portare addirittura alla denuncia al Tribunale dei Ministri a alla mozione di sfiducia per il Ministro ritenuto responsabile di un fatto inammissibile.

Una quarta mmagine delle carceri-lager libiche, alcuni detenuti incappucciati

Sorprende come un ex magistrato di alto livello – già Procuratore generale antimafia dal 2017 al 2022 – si sia fatto trascinare nella faziosità politica per un intervento  apparso a noi molto superficiale nel contenuto,  con riferimenti vaghi e immotivati a normative ben più complesse, come ha dimostrato l’analisi cui ci siamo riferiti; e questo accusando in modo apodittico di non aver compiuto un “atto dovuto” il Ministro della Giustizia, mentre semmai l’appunto  potrebbe essere rivolto alla Corte d’Appello di Roma per una scarcerazione forse evitabile, come abbiamo visto.

L’opinabilità la fa da padrona, e se il ministro Nordio, nella sua responsabilità istituzionale e nella sua indiscussa competenza personale, ha adottato un certo comportamento nella sua legittima interpretazione, anche se opinabile e difforme da altre, va valutato politicamente, e censurato anche in modo aspro soltanto se dal suo comportamento sono derivati  danni al Paese. Ma  non vi è alcun danno di immagine, perché il “pasticcio” lo ha compiuto la Corte penale int.le e semmai i danni al Paese possono arrecarli le opposizioni con le loro smodate accuse al Ministro della Giustizia, di liberare un “torturatore, stupratore, assassino, ecc.”.

Cartelli di protesta esibiti dopo l’intervento della leader on. Elly Schlein, da parte dei deputati del PD

Non ci sono stati danni, anzi insperati vantaggi per il nostro Paese

Vediamo se ci sono stati danni per il nostro Paese nella sostanza, e sarebbe molto grave se fosse avvenuto, ma è l’opposto. Perchè anche se – per assurdo data la valutazione competente che abbiamo visto – il Ministro della Giustizia avesse sbagliato  nell’interpretazione che lo ha portato a non dare attuazione automatica al mandato di arresto venendo meno  a un inesistente “atto dovuto”, sarebbe stato un “felix error “ a vantaggio del Paese.

Lo attesta il fatto che molti critici facenti parte delle opposizioni, rimproverano al ministro Nordio e al Governo, compresa la  presidente Meloni, non di aver riportato in Libia il “torturatore, stupratore, assassino, ecc..”; ma di non aver invocato la Ragion  di Stato per giustificarne la scarcerazione e l’immediato rimpatrio, invece di fare quello che hanno chiamato “pasticcio” impresentabile: E questo per  tutelare i nostri interessi con la Libia che sarebbero stati sottoposti a gravi rischi perdurando il suo arresto, essendo oltre che “torturatore, stupratore, assassino. ecc. “,  il potente Capo della polizia giudiziaria alla testa di due famigerate “milizie di sicurezza” che avrebbero potuto compiere ritorsioni inenarrabili.

L’arrivo all’Aeroporto di Tripoli, di Almasri, arrestato, scarcerato, espulso, rimpatriato con aereo di Stato

Ma non ci si rende conto del rischio insito nell’invocare l’interesse nazionale perché avremmo rivelato di essere pronti a cedere ad ogni ricatto su quel fronte,.esponendoci a chissà quali e quanti successivi eventi dello stesso genere con altri ricercati dalla Corte speciale int.le e non solo, sembra che ce ne siano una ottantina in Libia. . Mentre l’Italia, negli “anni di piombo” non dimenticati, ha saputo resistere, non cedendo al ricatto delle Brigate Rosse nel sequestro Moro, un comportamento sofferto che tutti ricordano, comunque si valuti quella “politica della fermezza”.

Nn solo, ma il nostro Paese sarebbe stato esposto al discredito in Italia e all’estero, perché lo avrebbero accusato di anteporre i propri interessi ed egoismi nazionali ai valori morali della nostra civiltà che impongono di non dare tregua ai responsabili di crimini così gravi contro la vita dei singoli che per le loro dimensioni diventano crimini contro l’umanità. E non è un timore ma una certezza, considerando che – come abbiamo accennato – la stessa opposizione si è spaccata tra quelli che ammettono, anzi affermano con forza, che fosse necessaria la scarcerazione del generale libico per Ragion di Stato ma dichiarandola, condannando i presunti “cavilli” del Governo come indegni e degradanti per il Paese; e quelli che invocano indignati la doverosa consegna alla Corte penale int.le per la giusta punizione senza anteporre impresentabili interessi ai valori supremi della nostra civiltà.

Il rimpatriato Almasri portato in trionfo dai suoi, appena sceso dall’aereo italiano in Libia

.Le condizioni nelle carceri-lager libiche e chi deve intervenire, non l’Italia

Non vogliamo minimamente sottovalutare la gravità delle condizioni disumane nelle carceri libiche, veri e propri  lager in cui sono detenuti, sottoposti a ricatti e violenze, i migranti che giungono in Libia dopo estenuanti traversate da paesi più lontani, per essere poi taglieggiati dai trafficanti di uomini che lucrano sulla loro speranza di arrivare in Italia, porta dell’Europa, con rischiose traversate su barconi stracarichi che spesso affondano seminando il Mediterraneo di cadaveri. Con le “milizie di sicurezza”, spesso autrici o complici dei taglieggiamenti e degli imbarchi di clandestini con grave rischio della vita su barconi fatiscnti.

Le immagini delle carceri-lager, inserite nel testo, con quelle dei testimoni dei reati, sono eloquenti. Questo dipende dal sistema criminale che dicono essere in atto in quel paese, non solo da parte di chi imperversa sulle carceri affidate al suo controllo; per cui,  anche se il generale Almasri non fosse tornato in Libia, le sevizie e i crimini sarebbero continuati, anzi le sue milizie si sarebbero accanite maggiormente sugli sventurati rinchiusi,  oltre che sugli italiani, per vendicare il loro comandante.  

Un’immagine di massa degli internati nel carcere-lager, nella speranza di potersi imbarcare per l’Italia

Ne è un prova ciò che avvenne nel giugno 2020 quando fu arrestato dalla Procura libica il Capo della “milizia di sicurezza” della zona di Zuwara, accusato di traffici illeciti dai magistrati del suo paese. I miliziani suoi seguaci, “infuriati” come fu scritto, bloccarono, stringendolo in un assedio, il complesso petrolifero di Mellitah, il più grande del paese, gestito dall’ENI e dalla società libica NOC, dal quale parte il gasdotto Greenstream che collega l’Africa alla Sicilia; questo perchè videro l’arresto del capo come un “rapimento”. Nel 2015 le milizie entrarono in tale complesso con le arni in pugno e sequestrarono due lavoratori italiani, altre azioni analoghe si sono avute negli anni successivi, anche per reclamare il “prezzo della protezione”.

Ed erano questioni interne al paese, arresti temporanei e per figure minori, oppure taglieggiamenti; non si può neppure immaginare cosa avrebbero fatto le “milizie di sicurezza” per far liberare il loro Comandante, destinato per “colpa” dell’Italia alla massima pena in carceri straniere dalla condanna quasi certa della Corte penale int.le, o per vendicarlo se la liberazione non fosse stata più possibile!

Un barcone stracarico, in navigazione dalla Libia verso le coste italiane, forse Lampedusa

Sulle condizioni disumane delle carceri o centri di detenzione libici trasformati in lager, ci si deve chiedere cosa fanno le agenzie dell’ONU, in particolare la ben nota agenzia UNHCR destinata proprio ai rifugiati; e gli internati in quelle carceri o centri di detenzione lo sono. Perché non interviene sottoponendoli a controlli e facendo cessare gli abusi? Non può di certo farsene carico il nostro Paese. Il generale Almasri, anche se fosse certa la sua colpevolezza, non sarebbe comunque un “torturatore, stupratore, assassino, ecc.”  solitario  che se viene eliminato cessa ogni violenza;  é l’alto esponente di un  sistema che lo sostituirebbe con uno simile  a lui, se non peggiore, come molto spesso è avvenuto.  

Il capolavoro del ministro Nordio dinanzi alla “patata bollente”, poi “polpetta avvelenata”

Aver fatto leva su aspetti formali, dove la forma è sostanza, è stato il capolavoro che pensiamo abbia compiuto il ministro Nordio –  anche se non artatamente ma per convinzione –  seguito dal ministro  Piantedosi per la parte di sua competenza. E dobbiamo riconoscere che ha risparmiato ai nostri connazionali in Libia e al nostro Paese, rischi potenzialmente inenarrabili; la trionfale accoglienza che  il generale Almasri ha avuto dai suoi sostenitori e miliziani in delirio appena l’aereo che lo ha riportato in Libia è atterrato,  fa capire cosa avrebbero potuto fare per vendicarsi ai nostri connazionali e ai nostri interessi petroliferi e migratori se ci fosse stato l‘esito opposto.

Un primo piano dell’affollamento sui barconi fatiscenti, dalla Libia verso le coste italiane

Del resto, si è trattato  di una “patata bollente” divenuta per noi vera “polpetta avvelenata”, anche se involontaria, frutto di una inspiegabile procedura della Corte penale int.le la quale aveva trasmesso un “bollino blu” ai paesi che Almasri stava percorrendo in due settimane di “tour” europeo, perché fosse informata dei suoi movimenti con la singolare raccomandazione di “non arrestarlo”:  in Germania fu fermato dalla polizia sulla sua auto prima che entrasse in Italia e fu lasciato proseguire dopo essere stato identificato e avesse comunicato la sua intenzione. 

A questo punto la sua posizione e  l’intenzione di andare a Torino fu comunicata  alla Corte penale int.le che immediatamente emise il mandato di arresto fino ad allora rinviato omettendo di avvertire le autorità italiane della sua presenza in viaggio per l’Europa come aveva fatto per gli altri paesi. Prendiamola come combinazione accidentale, senza citare il celebre detto di Andreotti, ma la “patata bollente” che sarebbe diventata “polpetta avvelenata” l’abbiamo avuta noi con i nostri  interessi in Libia messi a rischio, maggiori di quelli della Germania che pure ne ha, e sono ben noti.

Nel barcone dalla Libia verso le coste italiane, in piedi spicca lo scafista trafficante di uomini

Conclusioni, con i ringraziamenti  e lo stupore per l’assurdo accanimento dell’opposizione

Per quanto abbiano scritto finora, ci sentiamo di ringraziare in primo luogo il ministro Nordio, per aver fatto, lo ripetiamo ancora,  un capolavoro, perché anche se avesse commesso un errore nella sua interpretazione delle norme – cosa estremamente improbabile come abbiamo visto – sarebbe stato un “felix error” di enorme valore per il nostro Paese. E ringraziamo anche  la Corte d’Appello di Roma e la Procura generale per la scarcerazione, pur se non dovuta: possono aver compiuto un altro “felix error”  provvidenziale di cui essere grati  

Il ministro Nordio con il vertice del governo  deve affrontare il Tribunale dei Ministri per l’atto considerato “dovuto”, mentre è solo “voluto” anzi inappropriato, della Procura di Roma che ha trasmesso una denuncia visibilmente inammissibile – ritagli di giornale di fatti noti perseguibili d’ufficio  con poche righe generiche di accompagnamento  – dopo soli due-tre  giorni, addirittura il giorno prima dell’informativa dei “denunciati” sul tema al Parlamento, mentre aveva 15 giorni di tempo. Ma questa è un’altra storia, che accresce ancora i meriti del Governo verso il nostro Paese.    

Una panoramica del grande complesso in Libia di Mellitah per petrolio e gas dell’ENI con la società llbica NAOC

L’atteggiamento dell’opposizione e di tutti coloro che si accaniscono contro il modo in cui è stata risolta la questione – senza considerare il quadro giuridico e la realtà concreta  – con le denunce  in Italia e all’estero e la mozione di sfiducia al ministro Nordio,  va visto  in una  luce “sinistra”, sono  iniziative che vanno contro l’interesse nazionale in modo scomposto per mera faziosità politica.

Non è stato così per la scarcerazione, espulsione e rimpatrio in Iran con aereo di Stato dell’ingegnere-imprenditore iraniano Abedine, arrestato su mandato degli Stati Uniti per terrorismo,  dopo la liberazione della giornalista Cecilia Sala presa come ostaggio e rinchiusa in carcere in Iran senza accuse in condizioni disumane.

Lo stesso ministro Nordio ha fatto revocare la carcerazione  dell’iraniano dopo aver valutato il contenuto del mandato di arresto  e avervi trovato vizi a suo avviso inammissibili; come ha fatto dopo aver esaminato il mandato di arresto del generale libico Almasri. In quel caso, pur vicinissimo nel tempo, l’opposizione ha dichiarato di non creare ostacoli, ed è rimasta silente, non ha fatto alcuna richiesta neppure di informative parlamentari nè sollevato polemiche; qui invece ha scatenato l’apocalisse, pur essendo la minaccia incombente ancora più vasta e incalcolabile. Comportamento incomprensibile, per usare un eufemismo.

Il particolare di un impianto petrolifero del complesso di Mellitah per petrolio e gas dell’ENI e della NAOC

E se i nostri connazionali in Libia – pur in numero limitato essendo in gran parte rientrati in Italia dopo le gravi turbolenze degli ultimi anni – possono sentirsi  più tranquilli, le nostre attrezzature petrolifere in quel paese più sicure e le nostre coste meno minacciate da massicce invasioni di barconi partiti dalla Libia, abbiamo indicato chi dobbiamo ringraziare, e chi dobbiamo deplorare perché antepone meschini interessi di partito agli interessi del Paese. Ma il nostro Paese non è stato indebolito dal loro insensato accanimento, né all’interno né all’estero e tanto meno in Libia, anzi ne è risultato rafforzato e non serve spiegarne il perché, tanto è evidente.

Per questo motivo,  il ringraziamento viene spontaneo e appare doveroso verso chi ha operato in modo così corretto ed efficace nella sua responsabilità assolvendo positivamente ai propri compiti.  E’ spinto a ringraziare  chi non è preso dalla prevenzione alimentata dalla faziosità politica, e cerca di approfondire tematiche opinabili senza unirsi a un accanimento irragionevole e senza fondamento, smodato e dannoso per il Paese; e soprattutto chi sente gli interessi nazionali superiori che dovrebbero far considerare con favore anche un eventuale “felix error” compiuto in buona fede perché  risultato provvidenziale.

Una delle famigerate “milizie di sicurezza” libiche, due milizie sono comandate dal generale Almasri

Photo

In apertura, l’immagine del generale libico Osama Almasri, Capo della polizia giudiziaria che controlla le carceri e comanda “milizie di sicurezza”, la cui vicenda è oggetto del dibattito; segue, l’esibizione in Parlamento di cartelli di protesta dei senatori del PD con immagini raccapriccianti delle carceri-lager libiche. Poi, 3 immagini con il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la 1^ insieme, la 2^ e 3^ mentre intervengono nella loro informativa al Parlamento sulla vicenda Almasri. Quindi, la sequenza degli interventi in Parlamento dei rappresentanti dell’opposizione, a cominciare da Federico Alfiero De Raho di “5 Stelle”, perchè nel testo si criticano le sue affermazioni da autorevole ex magistrato; seguono i leader del “Partito Democratico” Elly Schlein e di “5 Stelle” Giuseppe Conte, di “AVS – Alleanza verdi-sinistra” Nicola Fratoianni e di “Azione” Carlo Calenda, di “Italia viva” Matteo Renzi e di “+ Europa” Riccardo Magi , conclusi dall’immagine dei due leader dell’Alleanza Verdi-Sinistra, Fratoianni e Bonelli, all’esterno del Parlamento con cartelli di protesta. Tutte queste immagini sono alternate a 4 immagini degli internati nelle carceri-lager libiche, a 3 immagini su migranti dalla Libia che hanno testimoniato torture di cui sono stati vittime in una conferenza stampa in Parlamento, e ad altre 2 immagini di cartelli esposti per protesta dai parlamentari duramte l’informativa, oltre quella inserita subito dopo l’apertura, e una successiva. Terminata la sequenza parlamentare con in più immagini delle carceri-lager libiche e dei migranti denuncianti le torture, 2 immagini, la 1^ ancora delle carceri-lager, la 2^ dei cartelli di protesta dei deputati PD, per poi passare ad immagini che fanno entare nel cuore della vicenda trattata nella seduta parlamentare. Si inizia con immagini del personaggio al centro dell’informativa, dopo quella di apertura, il generale libico Almasri, arrestato e scarcerato, espulso e rimpatriato, la 1^ con il suo arrivo in Libia sull’aereo di Stato italiano, la 2^ con l’accoglienza dei suoi seguaci mentre lo portano in trionfo. Seguono 6 immagini esplicative riferite ai nostri interessi nazionali messi a rischio. Per l’emigrazione clandestina dalla Libia verso le nostre coste, 4 immagini, la 1^ con la massa degli internati nel carcere-lager che vorrebbero imbarcarsi per l’Italia e la 2^ con un barcone stracarico in navigazione verso le nostre coste, forse Lampedusa; la 3^ con un primo piano dell’affollamento del barcone fatiscente, la 4^ con un barcone in navigazione, lo scafisca trafficante bene in vista mentre domina i migranti che vi sono stipati. Per le nostre attività economiche in Libia, 2 immagini, la 1^ con una visione d’insieme del grande complesso per il petrolio e il gas di Mellitah dell’ENI con la società libica NAOC, la 2^ con il particolare di un impianto petrolifero. In chiusura, 2 immagini sul potere libico, che sovrasta le nostre attività economiche nel paese e i nostri problemi migratori, la 1^ sulle famigerate “milizie di sicurezza” che spesso taglieggiano ed entrano in armi anche nel complesso petrolifero dell’ENI, e lo bloccano., a volte autrici e complici di taglieggiamenti e imbarco di clandestini sui barconi; la 2^, in chiusura, con l’attuale vertice in Libia, il presidente Al Manfi a sin, e il premier Dbeibeh a dx, al centro il presidente precedente Serray, dietro un quadro con l’arco di Marc’Aurelio in Libia. Le immagini sono inserite a mero titolo illustrativo senza alcun intento di natura economica, sono state tratte dai siti web riportati di seguito nell’ordine di inserimento nel testo; qualora la pubblicazione di alcune di esse non fosse gradita, saranno prontamente eliminate su semplice richiesta inserita “on line” come commento all’articolo; si ringraziano i titolari dei siti web di normale accesso per l’opportunità offerta. Ecco i siti nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: Progetto melting pot Europa, Città nuova, TgLa7, Prima press, Ministero dell’Interno, Agenzia Italia news, Virgilio notizie, Rai news, La Stampa, Fondazione migrantes, Rai news, Euronews, Avvenire, Virgilio notizie, La Stampa, La Repubblica, Avvenire, Rai news, Agenzia vista, Avvenire, La Stampa, Fanpage, La Repubblica, Rai news, Progetto melting pot Europa, Il Giornale, Globalist, Euronics, La Repubblica, Il Sole 24 ore, Ispi, La Repubblica. Ancora grazie ai titolari dei siti!

L’attuale vertice in Libia, il presidente Al Manfi a sin., e il premier Dbeibeh a dx,
al centro il presidente precedente Serray

Il Manifesto di Ventotene, dalla storia alla cronaca

di Romano Maria Levante

In merito al “Manifesto di Ventotene” – nome che è stato dato al documento-appello “Per un’Europa libera e unita” del 1941, tornato di grande attualità in questi giorni – sembra giusto evocare innanzitutto con rispetto, anzi ammirazione, l’ispirazione e l’impostazione di un fervente comunista come Altiero Spinelli, poi espulso dal PCI per le sue critiche degli eccessi sovietici. insieme a un liberale, come Ernesto Rossi, di ” Giustizia e libertà” – cui si unì Eugenio Colorni, che ne scrisse la Prefazione, poi vittima del regime. da onorare. Nel documento è evidente lo sforzo di moderare gli estremismi della rivoluzione bolscevica, ma si muove su quella linea ideale.

Il “Manifesto di Ventotene”, con il suo “padre”, con altri due, Altiero Spinelli

 Non viene ripetuta la totale abolizione della proprietà privata, lo si dice espressamente prima della frase secondo coi viene valutato ” caso per caso” se e quando ammetterla da parte degli “ottimati” rivoluzionari. Riecheggia il manifesto comunista nell’affermare la necessità imprescindibile dell’azione salvifica di una rivoluzione vittoriosa delle élite illuminate nella necessaria “dittatura rivoluzionaria” sul popolo definito ” immaturo” che deve essere educato, almeno in una prima fase di formazione necessaria, per cui la democrazia rappresenta solo ” un peso”.

In un testo che abbiamo consultato, sono 17 pagine di 40 righe e 70 battute a riga con le complesse argomentazioni, non sempre agevolmente decifrabili, tipiche degli intellettuali di sinistra alla base di tali conclusioni e con indicazioni operative sull’attuazione concreta del disegno ideale. .

Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, con altri confinati a Ventotene

Alla radice di tutta la costruzione teorica e pratica – con la visione rivoluzionaria ed elitaria lontana dalla democrazia – c’è l’insopprimibile esigenza di superare gli Stati nazionali che animerebbero quel nazionalismo deleterio dal quale dipendono le sopraffazioni con la guerra davanti ai loro occhi ad opera delle dittature nazista e fascista: il primo dei quattro lunghi capitoli è tutto dedicato a questo assioma basilare.

Per superare gli Stati nazionali – unico modo di evitare il ripetersi della tragedia delle guerre tra i paesi europei, anche dopo che fosse cessata la guerra allora presente – occorreva una entità rivoluzionaria, l’unica in grado di rendere innocui tali Stati cosi pericolosi per creare un Superstato europeo che avrebbe lasciato spazi molto ridotti alle singole entità’ nazionali; con le integrazioni che poi sono state realizzate nel mercato, nella libertà di circolazione di merci e persone e nella moneta, non realizzate nella difesa europea e nella politica estera comune.

Una visione dall’alto dell’isola, seguiranno alternate ad altre, alcune immagini dei luoghi

Va sottolineato il grande merito di aver lanciato una idea allora utopistica, corredata di indicazioni concrete,- impensabile quando i paesi europei erano in conflitto tra di loro con dittature aggressive quanto inamovibili , mentre gli autori del “Manifesto” erano al confino a Ventotene, Spinelli è stato confinato nell’isola dal 1939 al 1943, quindi per altri due anni dopo il “Manifesto”, veniva da altri due anni di confino a Ponza, dal 1937 al 1939.

Il “sogno di prigioniero”

Come nel film “Sogno di prigioniero” la loro costruzione utopistica dell’ Europa unita li faceva sentire liberi di fantasticare un impossibile sogno di riscatto dei popoli nel liberarsi insieme dal morbo nazionalista che li avrebbe fatti ricadere nel baratro della guerra sanguinosa anche dopo una pace che sarebbe stata temporanea. Un sogno da intellettuali dalla forte passione politica, in cui domina su tutto, insieme al rigetto degli Stati nazionali, l’intervento salvifico della forza rivoluzionaria con a capo coloro che, come loro, sentivano questa esigenza impellente, non certo il popolo “immaturo” e quindi incapace, per cui la democrazia poteva essere vista come “un peso” . Tutto spiegabile e comprensibile nella loro situazione, magari  anche encomiabile.

Un folto numero di confinati a Ventotene

Il “Manifesto” fu diffuso in modo clandestino, affidato a una donna che ne assunse l’evidente rischio, poi ne fu in parte ridimensionato il contenuto pur senza modificarlo una volta usciti gli autori dalla condizione che aveva ispirato il loro utopistico sogno. Ma non lo considerarono utopistico, altro grande merito, tanto che  finita la guerra e ripristinata la normalità politica, nel 1943 Spinelli costitui’ il “Movimento Federalista Europeo” – poi fu cofondatore dell’ “Unione dei Federalisti Europei –  non un partito, ma un movimento interpartitico, nel quale si stemperava quella entità rivoluzionaria che aveva alimentato il ” sogno di prigioniero”.

Abbiamo citato il vecchissimo film in bianco e nero interpretato da Gary Cooper, un bel principe gettato in una buia fetida cella, tra topi e fango, che sognava di andare dalla sua bella con gli abiti principeschi di un tempo incontrandola in radiose giornate sotto l’albero dei loro convegni d’amore. Il “sogno” del bel principe di Ventotene…. fu raggiunto 16 anni dopo il “Manifesto” nel 1957 con il Trattato di Roma della Comunità economica europea , divenuta poi Unione europea con il Trattato di Maastricht del 1993 , ma con notevoli, radicali attenuazioni.

Non un Superstato che supera gli Stati nazionali, ma una comunità economica e commerciale, poi unione, con libertà di mercato, di movimento e di stabilimento, solidarietà per le aree arretrate,  ma senza la difesa e l’esercito,  la politica europea ed estera comune  indicati nel “Manifesto” insieme alla noneta comune, attuata soolo in parte, l’euro è solo in 20 paesi dei 27 dell’Unione; e soprattutto con la direzione di una Commissione e un Parlamento senza poteri decisionali , lasciati, si badi bene, agli Stati nazionali, con il Consiglio europeo dei Capi di stato e di governo per di più avente l’obbligo dell’unanimità per le decisioni importanti. Siamo molto lontani dal ” sogno di prigioniero” di Altiero Spinelli, anche a parte gli eccessi rivoluzionari e collettiviti, l’utopistica costruzione sua e di ErnestoRossi è realizzata nella pur fondamentale integrazione europea economico-commerciale e in parte monetaria e non molto altro, nessun vero federalismo, quindi con i limiti indicati.

Ciò non toglie che a Spinelli e Rossi, con Colorni, vada dato il grande merito della ispirazione a unire i paesi europei, espressa nel momento della massima divisione nel conflitto lacerante; per cui e’ giusto aver dedicato ad Altiero Spinelli una delle due ali dell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles, chiamato ASP – la prima lettera del nome e le prime due del cognome – l’altra ala è intitolata ad Henry Spaak, altro grande europeista – nel riconoscerne il notevole valore simbolico con la riconoscenza dovuta per l’impegno profuso all’insegna dell’unione europea. Ma i veri padri dell’attuale costruzione europea si possono identificare in Adenauer, De Gasperi e Schuman, centristi e non estremisti, che l”hanno realizzata in modo radicalmente difforme rispetto alla  “dittatura rivoluzionaria” e collettivista che doveva sostituirsi agli aborriti Stati nazionali, che restano in primo piano. Con il rispetto della democrazia e del ruolo fondamentale dei popoli – che eleggono con il voto i capi di Governo decisivi nell’Unione invece delle élite preconizzate – e con la valorizzazione della proprietà privata. Da essa nasce il necessario incentivo per la crescita, fonte ineludibile dell’auspicato benessere di tutti, pur con le distorsioni che il sistema capitalistico cerca di eliminare senza riuscirci appieno, limite da superare con interventi adeguati spesso finora mancati, ma è un sistema che cerca sempre di adattarsi con una certa flessibilità alle mutevoli esigenze.

Altiero Spinelli

L’evocazione del “Manifesto” in termini propositivi nella piazza e in Parlamento 

Ricordato tutto ciò, veniamo alla attualità,  dalla storia  passiamo alla cronaca. . Perché si e’ rievocato in termini cosi intensi divenuti conflittuali il “Manifesto di Ventotene”, descritto finora, pur essendo un fatto storico di 84 anni fa su cui possono esserci, come avviene sempre – e meno male! –  diverse interpretazioni, ma riservate  alla Storia? Il motivo sta nel fatto che siamo in un momento cruciale per l’Europa, dovuto alla guerra in Ucraina, con la Russia che l’ha aggredita vista come minaccia incombente per l’intera Unione europea, tale da imporre il “Rearm Europe” urgente e massiccio con 800 miliardi di euro per riarmare i 27 Stati membri in assenza dell’esercito europeo, ma in presenza della Nato – cui aderiscono 32 paesi – già uno scudo reso molto forte dalla partecipazione massiccia degli Usa che potrà diminuire, ma intanto c’e. Riarmo quanto mai massiccio anche della Germania – cancellati i limiti impostile nel dopoguerra e quelli del tetto al debito eliminati con una repentina riforma costituzionale – per cui si richiede una maggiore impegno europeo per la difesa, contro il sostanziale disimpegno dimostrato finora, che crea debolezza a scapito della necessaria sicurezza.

Un momento cruciale dunque, che ha portato all’affollata manifestazione a Roma a Piazza del Popolo con 50 mila persone accorse sabato 15 marzo su iniziativa del giornalista Michele Serra di “La Repubblica” all”insegna del motto “Tante città. Una piazza per l’Europa” che spiccava sul palco con tanti sindaci in fascia tricolore schierati. Tra loro il sindaco di Roma, che si è accollato il costo di 350 mila euro facendo gravare il totale delle spese organizzative, di varia natura, sui cittadini romani considerando di interesse pubblico una manifestazione per l’Europa, sebbene il marchio di Roma capitale non figurasse affatto e non ne fosse stata annunciata la sponsorizzazione; la circostanza è stata scoperta da un giornalista intraprendente creando un certo imbarazzo. L’altro motto “L’Europa siamo noi” – lo ha ricordato argutamente la trasmissione televisiva “Propaganda Live ” su “La 7”- è stata una sigla cantata da Cristina D’Avena, nel 1999, oltre un quarto di secolo fa: chissà se riproporla è stata una scelta per sottolinarne la persistenza, oppure una casualità. E’ stato distribuito,  e sbandierato, il “Manifesto di Ventotene”, allegato al quotidiano del giornalista promotore, “La Repubblica” nello stesso giorno, per farne il fattore unificante di posizioni tanto diverse e divaricate, quasi una guida da seguire.

Nella discussione parlamentare sulla linea dell’Italia da portare nel Consiglio europeo dei giorni successivi da parte della premier Giorgia Meloni, il “Manifesto di Ventotene” e’ stato parimente evocato dall’opposizione. La presidente del Consiglio, che aveva sottoposto al voto del Parlamento la linea del governo nella Comunicazione iniziale, doveva ignorare nlla replica dopo il dibattito il Manifesto dopo che era stato dato tanto rilievo al documento? Non lo ha fatto, ed è stata la scelta giusta, data l’importanza attribuitagli dalle opposizioni; se lo avesse ignorato magari sarebbe stata rimproverata di sfuggire al confronto anche su questo. aspetto.

La cirazione testuale di passaggi non condivisi, nella replica della presidente del Consiglio

Il “Manifesto”, quindi, non è stato ignorato, anzi la Meloni ha introdotto i suoi riferimenti sottolineando che gli è stata data ampia diffusione nella grande manifestazione europeista  di Roma ed è stato molto citato anche in aula dall’opposizione. Ma il testo del “Manifesto” non comprendeva soltanto l’esercito comune e la politica estera comune sostenuti tuttora dagli europeisti e mancanti, tra le funzioni dello Superstato europeo vagheggiato sono indicati soltanto, perciò sarebbe bastata la semplice citazione senza il lunghissimo testo.  Evocare l’intero Manifesto con tanta enfasi, quasi fosse il “libretto rosso” di Mao, come qualcuno lo ha definito in modo irriverente, e farlo anche in Parlamento poteva sembrare non per rendere omaggio al suo valore simbolico, ma come guida per una diversa costruzione europea; anche se in parte alquanto ridimensionato dagli stessi autori, e quindi non poteva mancare una risposta, a scanso di equivoci, proprio in sede di replica nella discussione dibattito sulle linee da portare al Consiglio europeo.

Ernesto Rossi

La presidente Meloni ha espresso il rispetto per le manifestazioni e le iniziative, e poi ha citato in modo testuale con forza i passaggi maggiormente espressivi del tipo di Europa vagheggiata dal “Manifesto” stesso Poche frasi, ma fondamentali, sulla necessità’ di una “dittatura rivoluzionaria.”, sulla richiesta della necessaria “abolizione caso per caso della proprietà privata” , sulla scarsa considerazione per il popolo “immaturo” e la democrazia, vista come “un peso” . La Meloni  ha concluso con le semplici parole rivolte all’opposizione, che se questa è l’Europa nella quale si riconosce, non è di certo la sua Europa. E si e seduta, aveva terminato la sua replica. .

Riportiamo il testo stenografico di questa parte del suo intervento, appena sommariamente riassunto, corsivi, ripetizioni e e interruzioni compresi, come fa il cronista scrupoloso impegnato a documentare con precisione: è la parte conclusiva della replica, viene dopo circa 40 minuti di risposte agli intervenuti sulle sue Comunicazioni.

GIORGIA MELONI, Presidente del Consiglio dei Ministri:: … Dopodichè non mi è chiarissima neanche l’idea di Europa alla quale si fa riferimento perchè, ovviamente, io sono sempre contenta e ho grande rispetto per la partecipazione, per le manifestazioni, per le iniziative. Nella manifestazione che è stata fatta, sabato, a piazza del Popolo, anche in quest’Aula, è stato richiamato da moltissimi partecipanti Il Manifesto di Ventotene. Ora, io spero che tutte queste persone , in realtà, non abbiano mai letto Il Manifesto di Ventotene., perchè l’alternativa sarebbe francamente spaventosa.

Però, a beneficio di chi ci guarda da casa e di chi non dovesse averlo mai letto, io sono contenta di citare testualmente alcuni passi salienti de Il Manifesto di Ventotene.

Cito. Primo: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”. E fino a qui, va bene. “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, , anzi dogmaticamente (…)”, caso per caso. “Nelle epoche rivoluzionarie in cui le istituzioni non devono già essere, la prassi democratica fallisce clamorosamente (…)”.

Eugenio Colorni

“Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni. La metodologia politica sarà… (Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico Italia Democratica e Progressista) .

PRESIDENTE: Potete commentare dopo, onorevole Fornaro e onorevole Provenzano, fate finire la Presidente del Consiglio.

FEDERICO FORNARO (PD-DP): Deve avere rispetto della storia!

PRESIDENTE: Avete la possibilità di parlare più tardi, e lo sapete, quindi eventualmente lo fate con modo più tardi! Per cortesia, facciamo finire la Presidente del Consiglio!

GIORGIA MELONI, Presidente del Consiglio dei Ministri: “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”. E conclude che “esso” – il partito rivoluzionario – “attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla – sua – coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà, in tal modo, le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e, attorno ad esso, la nuova democrazia”.

Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia.

(Applausi prolungati dei gruppi di FDI, Lega, FI, Noi Moderati, proteste dei deputati del gruppo PD. Il deputato Fornero: “Vergognati, studia!”).

PRESIDENTE: Colleghi, colleghi, andiamo avanti. Colleghi, per cortesia……….

Le possibili risposte in una corretta dialettica politica, per di più parlamentare

A questo punto si aspetavamo interventi in replica dei parlamentari dell’opposizione, nella normale dialettica politica, in cui si sarebbe potuto criticare l’aggettivo “spaventoso” pronunciato dalla Meloni nell’introdurre le sue citazioni del “Manifesto”; ma il termine particolarmente forte era stato usato dieci anni prima nello stesso senso da Luca Ricolfi non certo di destra, anzi piuttosto orientato a sinistra.

Si poteva stigmatizzare il rilievo critico della Meloni alle frasi citate testualmente come espressive di un sistema non democratico e contro la libertà economica per la compressione dalla proprietà privata a discrezione dei dittatori rivoluzionari, ma la stessa interpretazione, oltre ad essere di Ricolfi, era stata espressa da Gianni della Loggia e confermata, appena nate le polemiche, dal giornalista neutrale Antonio Polito e soprattutto da Massino Cacciari, che con la sua veemenza ha lasciato di stucco Lilli Gruber, schierata al punto di chiedergli cosa ne pensava della Meloni che aveva voluto “demolire” il “Manifesto”, tutti da posizioni lontanissime dalla destra.

La lapide commemorativa a Ventotene

Oppure si poteva rivendicare la validità dell’intera impostazione del “Manifesto” – come ha fatto Ilaria Salis – affermando la piena adesione ideologica, o, al contrario, considerando le espressioni estreme comprensibili – anche se non accettabili oggi – in quanto frutto della situazione d’emergenza nel 1941, con l’Europa squassata dalle dittature nazista, fascista, franchista e, possiamo aggiungere, comunista anzi bolscevica; per cui l’unica salvezza di poteva trovare, tanto più dalla condizione di confinati, nella palingenesi rivoluzionaria forzatamente ispirata dall’esperienza bolscevica, necessaria quanto transitoria, come del resto hanno ammesso implicitamente gli autori a normalità ripristinata rinunciando a riproporre tali eccessi.

E si poteva rivendicare il valore del “Manifesto” che – al di là del disegno rivoluzionario e collettivista legato al momento contingente – ha lanciato 84 anni fa la grande idea della Federazione dei paesi europei, per gli Stati Uniti d’Europa a somiglianza degli Stati Uniti d’America, faro di democrazia e presidio di libertà. Questa intuizione allora visionaria, legata al suo titolo originario, “Per un’Europa unita e libera”, è stata realizzata nei suoi contenuti non estremisti solo in parte, nell’assenza della difesa comune, fu bocciata la CED, Comunità europea di difesa, e nell’assenza di una unione politica con una politica estera comune, fu bocciata la Costituzione europea alla quale pure si era lavorato.

Perchè negli inteventi in risposta alla presidente del Consiglio da parte dell’opposiizone non la si è incalzata sull’esigenza di rilamciare il disegno federalista, espunto dagli eccessi rivoluzionari e collettivisti, sul quale si erano impegnati gli autori del “Manifesto”, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi , nel dopoguerra con il Movimento federalista europeo che Spinelli fondò nel 1943 non come partito tanto meno rivoluzionario, ma come soggetto interpartitico, e fu eletto due volte al Parlamento europeo dove rimase per dieci anni? E questo ben sapendo che – a quanto si può rilevare – la Meloni è per il rafforzamento degli Stati nazionali con le loro identità, quindi non sarebbe favorevole a un federalismo che nella visione nazionale porterebbe a sacrificarle per un Superstato europeo non accettato dai sovranisti.

Le opposizioni avrebbero potuto e dovuto esplicitare le proprie scelte politiche sul tema dell’europeismo, cruciale in vista del Consiglio europeo per il quale la presidente del Consiglio chiedeva il mandato da portare a nome dell’Italia. Rispondendo alla sua lunga replica, seguita alla sua lunga comunicazione iniziale, chiedendo una scelta chiara. Nulla di quanto sopra ipotizzato è stato detto e tanto meno fatto, si è buttato tutto “in casciara”, per usare un termine che riferito al Parlamento sembrerebbe irrispettoso, mentre è soltanto un eufemismo.

Altiero Spinelli. al centro, con Ernesto Rossi e Luigi Einaudi mei primi anni del dopoguerra

La cronaca di una gazzarra in Parlamento invereconda quanto del tutto immotivata

E’ avvenuto il contrario. Si e’ scatenata una bagarre invereconda  con insulti forsennati alla presidente Meloni che aveva espresso una legittima quanto prevedibile opinione, manifestando rispetto per le iniziative con protagonista il “Manifesto”, senza neppure criticarne il contenuto, con le sole parole di non riconoscersi in quella Europa delineata dai brevi passi che aveva citato, impostazione del documento attenuata nei suoi aspetti estremi dagli stessi autori, la cui posizione, cessata l’emergenza del confino e la guerra, le ha dato ragione……. Il parlamentare del P D citato nel verbale per una interruzione, nell’intervento successivo dopo forti accuse, ha esclamato con voce vibrante ” lei si deve inginocchiare dinanzi a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarle, vergogna, vergogna, vergogna”, con voce strozzata sciolta poi in un pianto accorato, mentre si accasciava stremato sul seggio, subito circondato dai parlamentari del suo gruppo intenti a confortarlo.  

Nè possiamo omettere di ricordare il parlamentare il quale non ha sopportato che l’oggetto delle sue violenti accuse – la presidente Meloni appena rientrata e sedutasi al banco del governo – lo ascoltasse con attenzione senza indignarsi ma con un leggero sorriso appena affiorato sul viso tranquillo; si è scatenato proprio contro quell’atteggiamento sereno che esprimeva una attenzione evidentemente mal riposta, neppure scuoteva il capo nel dissenso, con una vera aggressioone verbale, forse sperava che lei cadesse nella provocazione per farne un “caso”, oppure è stato un attacco di maschilismo becero, con Draghi e gli altri presidenti non avrebbe dileggiato un sorriso appena accennato. A questi ed altri eccessi negli interventi vanno aggiunte le urla scomposte di tanti altri parlamentari di sinistra, non intervenuti nel dibattito, con le braccia protese nelle invettive verbali, quasi per evocare lo scontro fisico, neppure fossero fondamentalisti islamici dinanzi al vilipendio del Corano. Qui neppure una critica al testo evidentemente considerato “sacro” più della Bibbia e dei Vangeli, soltanto la non condivisione del tipo di Europa risultante; avendolo fatto dopo alcuni anni gli autori, secondo gli scalmanati di oggi sarebbero da condannare!. .

Le reazioni fuori dal Parlamento, dai talk show televisivi a Prodi e Benigni, con Bertinotti

Inutile citare le tante reazioni ostili anche fuori dal Parlamento, nella stampa e nei talk show in Tv, vogliamo solo dare una precisazione rispetto all’insinuazione avanzata con energia anche dalla leader del PD Schneil, di aver voluto creare scientemente un diversivo per non affrontare i problemi concreti della posizione in Europa che la troverebbe in grande difficoltà. Legittimo fantasticare, ma noi vogliamo documentare la realtà, citando soltanto alcuni dati. Sempre nel testo stenografico la comunicazione iniziale alla Camera della presidente Meloni è costituita da 20 colonne di 50 righe ciascuna, la replica da 15 colonne di cui soltanto 1 colonna per la citazione conclusiva del “Manifesto di Ventotene” nel quale il commento ha preso solo pochissime righe all’iniizo e alla fine. Quindi 35 colonne rispetto ad una colonna, meno del 3%, se è un diversivo questo…… A meno che non lo si intenda come provocazione, allora la colpa è dei parlamentari che ci sono caduti, facendo la parte del toro al quale va il sangue agli occhi quando gli viene sventolato un “panno rosso”, come tanti deputati di sinistra alla Camera. Scambiando le citazioni della Meloni per una “muleta”, e l’aula di Momtecitorio per “Plaza de toros”.

Ma la … corrida non è finita, questa volta protagonista è Romano Prodi, già presidente del Consiglio e della Commissione europea, impegnato come professore a livello internazionale, fuori dall’impegno politico diiretto ma riferimento costante di una parte del centro-sinistra. Ebbene, una esperta giornalista di Mediaset, Lavinia Orefici, al margine di un convegno, per “Quarta Repubblica” di Rete 4, gli ha chiesto in modo garbato cosa pensasse del passaggio del “Manifesto di Ventotene” sulla proprietà privata che dovrebbe essere abolita, regolata, ammessa caso per caso, tema attuale perchè, come so è visto, la Meloni ha citato testualmente la frase del documento. A questo punto l’inattesa reazione stizzita del sempre cortese e disponibile professore, che non solo le ha risposto in modo molto sgarbato – per lui inusuale data la sua proverbiale pacatezza – ma ha proteso le mani in modo ostile, come molti parlamentari del PD nella loro protesta alla replica della Meloni.

La lapide della firma a Roma del Trattato europeo a 60 anni dalla pubblicazione del “Manifesto”

Ecco cosa ha lamentato la giornalista sabato 22 marzo: “Ho sentito la sua mano fra i miei capelli, per me è stato scioccante. Lavoro per Mediaset da 10 anni, inviata all’estero su vari fronti e non ho mai vissuto una situazione del genere. Mi sono sentita offesa come giornalista e come donna”. Poi, nel dichiararsi “dispiaciuta perchè il presidente Prodi non si sia semplicemente scusato per il gesto”, ha aggiunto: “Le cose più gravi sono le inaccettabili parole, inappropriate e paternalistiche contro un giornalista che pacatamente ha chiesto un commento su ciò che ha detto la premier Giorgia Meloni in aula”. Prodi ha smentito di averle tirato i capelli, dicendo di averle messo soltanto per un attimo la mano sulla spalla mentre le rispondeva, quasi per attirarne l’attenzione,. Vedremo la scena nel filmato trasmesso nella puntata di stasera 24 marzo nella trasmissione “Quarta Repubblica” su Rete 4 in prima serata, condotta da Nicola Porro che ha denunciato con molta enfasi l’episodio. Ma è stato già annunciato un fotogramma inequivocabile che conferma la denuncia della giornalista.

Non è questo che ci interessa, può esserci stato un fraintendimento, comunque nulla di rilevante, Prodi continuiamo a considerato pacato e disponibile verso i giornalisti di qualsiasi testata. Per noi conta la risposta che ha dato, sia pure con malagrazia, alla giornalista: “Era nel 1941, gente messa in prigione dai fascisti. A cosa pensavano secondo lei, al trattato dell’articolo secondo della Costituzione? Dico, ma il senso della storia ce l’ha lei, o no?”. Per concludere con un paragone illuminante replicando alla precisazione della giornalsta che la sua domanda nasceva dal fatto che quel passaggio era stato citato nella replica in Parlamento della presidente del Consiglio: “Vabé, ma io allora le cito un verso di Maometto, e lei mi dice ‘Cosa ne pensa di Maometto?’. Su, questo è far politica in un modo volgare, scusi”. Lo “scusi” finale potrebbe riferirsi al tono sgarbato e potrebbe esimerlo dal chiedere scusa….. sarà sfuggito alla giornalista che si è lamentata dell’assenza di scuse, quindi il caso si può considerare chiuso. Semmai può scandalizzre la levata di scudi a favore di Prodi, indifendibile, con l’autorevole Massimo Giannini di Repubblica, che è arrivato ad elogiare “la lezione di Prodi ai poveri sicari del giornalismo di regime”, quasi che essere di Mediaset voglia dire non essere giornalisti a pieno titolo…..

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni mentre nella replica legge alcuni passaggi del “Manifesto”

A parte questi deplorevoli eccessi, tornando a Prodi, ci sembra inesatto riferire il parallelo fa lui accennato alla Meloni, che con quella citazione e le altre non intendeva riferirsi alle persone, gli estensori del “Manifesto”, ma al tipo di Europa che ne derivava, nella quale lei legittimamente non si riconosceva. Soprattutto, però, il “verso di Maometto” si riferisce al Corano, quindi il “Manifesto di Ventotene” , per il quale Prodi lo ha evocato, sembra venga equiparato a un testo sacro. Di qui la reazione incontrollata che richiama quella dei fondamentalisti islamici se si tocca il Corano; come la citazione rispettosa della Meloni in Parlamento, così la domanda garbata della giornalista a Prodi in margine a un convegno, sono state viste, anzi “sentite”, al pari del “drappo rosso” davanti agli occhi del toro.

Ci sembra sia avvenuto questo in tanti parlamentari della sinistra, la reazione di Prodi la vediamo come la cartina di tornasole che lo conferma. Del resto, Fausto Bertinotti, l’ex presidente della Camera, ha considerato “imusuale” la sua reazione. aggiungendo: “Nemmeno io sono riuscito farlo arrabbiare così. Capisco la reazione, ma non sono d’accordo sulla sostanza”. E si tratta del leader dei “Rifondazione comunista” che fece cadere il governo Prodi nel 1998 ritirando la fiducia. Questa volta, c’era qualcosa di più urticante, forse fideistico…

Un momento delle veementi ptoteste dei deputati dell’opposizione nell’aula della Camera

Un qualcosa che ha irritato, anzi esasperato, lo stesso Bertinotti, fino a farlo esplodere, il 22 marzo, con queste parole che superano le stesse espressioni molto violente ascoltate in Parlamento: “Se tu stai parlando di un atto che fino all’altro ieri è stato considerato fondativo della Repubblica italiana, tu irrompi contro. Di fronte a questa aggessione io, che sono un non violento, avrei lanciato un oggetto contundente contro la presidente del Consiglio, facendomi espellere”.

E se poi ha cercato di ridimensionare dicendo che l'”oggetto contundente” sarebbe stato un libro – come Prodi che avrebbe appoggiato una mano sulla spalla della giornalista e non le avrebbe tirato i capelli – ha fatto bene il noto giornalista Giuseppe Cruciani a irriderlo replicando che non solo il “Manifesto” non è stato “fondativo” di nulla, ma che anche un grosso libro dalla rigida rilegatura può spaccare la testa, e altrettanto bene Nicola Porro a chiedergli dove voleva colpirla, se alla testa e se voleva vedere il sangue.

Il deputato del PD Federico Fornaro nel suo violemto intervento, culminato nel pianto finale

Anche questa smodata esasperazione di uno cone Bertinotti, “non violento” come Prodi, fa pensare a quel qualcosa di più sul piano ideologico che diventa fideistico con ececssi fondamentalisti. Qualcosa di fideistico c’era già stato nel “sogno” di Roberto Benigni, la trasmissione in onda su Rai 1, la rete ammiraglia della Rai, la stessa sera della replica della presidente Meloni alla Camera dei deputati con la sua famigerata citazione del “Manifesto” . Non un “sogno di prigioniero” – anche se era nella TV… meloniana – ma una evocazione ammirata del “Manifesto” lanciandosi nell’equiparazione a un altro testo sacro – ben prima di Prodi che ha citato il Corano, come abbiamo visto – freudianamente equiparandolo alla Bibbia, lui che aveva dedicato diversi anni fa ai “Dieci comandamenti”, oltre che alla Costituziione, memorabili trasmissioni.

Ha detto con il suo tono travolgente che negare il valore del “Manifesto” sarebbe come dire che “la Bibbia non vale niente perchè bisogna lapidare chi lavora il sabato e che il sole gira intorno alla terra, bisogna buttarla per questo?”. Dimenticando di aver affermato poco prima che l’idea fondamentale dell’unificazione dell’Europa era stata già evocata in precedenza da Einaudi ed altri, ma solo loro avevano trasformato un’inruizione in un programma politico, un vero progetto concreto. E proprio nel progetto concreto la Meloni ha affermato di non riconoscersi precisando anche il perchè con le famigerate citazioni delle parti da lei non condivise del “Manifesto” . Ma non è tanto questo che vogliamo sottolineare quanto l’equiparazione a un testo sacro, la Bibbia per Benigni, oltre al Corano per Prodi; mancano solo il Talmud e la Torah dgli ebrei e il Tripitaka dei buddisti!

Il prof. Romano Prodi nella sua reazione stizzita alla domanda della giornalista di Mediaset, per Rete 4

“Il Manifesto di Ventotene dalla storia alla cronaca” è il tema di questo nostro scritto, e della cronaca fa parte anche l’episodio che ha coinvolto il sempre pacato e riflessivo prof. Prodi, come le enfatiche evocazioni di Benigni. Come della cronaca fa parte l’iniziativa di una delegazione dei parlamentari del PD e AVS, “Italia viva”, e “+ Europa”, di recarsi a Ventotene sabato 22 marzo a deporre una corona sulla tomba del padre del “Manifesto”, Altiero Spinelli; iniziativa di per sè encomiabile se non fosse stata intrapresa per rimediare a quella che sembra sia stata considerata una profanazione nella conclusione della replica della Meloni, considerazione del tutto infondata, e non ripetiamo per l’ennesima volta il perchè, siamo anche qui nella sacralità….

Chiude la nostra cronaca la riproposizione di ieri, domenica 23 marzo, da parte di  “La Repubblica” , del “Manifesto di Ventotene” in allegato al quotidiano, facendo seguito a quanto fatto sabato 15 mrzo per la manifestazione romana a Piazza del Popolo lanciata dal suo Michele Serra cui Giorgia  Meloni si e’ riferita. Ecomiabile anche questa iniziativa, se non finalizzata a riproporre “quella Europa” nella quale la Meloni ha detto di non riconoscersi, e nella quale, negli aspetti estremi da lei richiamati, non si è poi riconosciuto neppure Spinelli, che non va strumentalizzato da epigoni prevenuti. Ed è stato pretestuoso rispolverare le poche righe di un suo tweet del 2016, nel quale attribuiva agli autori del “Manifesto” una maggiore conoscenza dell’Europa, per denunciarne l’incoerenza, 9 anni fa si riferiva al titolo e alla fama, ora ha dovuto verificarne il contenuto perchè esibito sulla piazza e in Parlamento quasi come programma da attuare nel rilancio dell’Europa. Nessuna incoerenza, ma consapevolezza.

Fausto Bertinotti, nel suo commento da “non violento”, immotivatamente esasperato

Considerazioni sul comportamento delle opposizioni senza logica oltre che fuori misura

La presidente, dunque, si è limitata ad esprimere la propria ferma opinione di non riconoscersi nell’Europa vagheggiata dal “Manifesto d Ventotene”, citandone i passi non condivosi con una posizione personale e politica senza alcuna condanna esplicita, mentre le parti estreme da lei lette furono sconfessate al ritorno alla normalità dagli stessi autori. E la Premier lo ha fatto dovendo dare una risposta dopo che il “Manifesto” e’ stato evocato quasi come guida attuale proponendolo nella sua interezza e non solo per il “sogno” europeista vagheggiato con ammirevole preveggenza 84 anni fa in una situazione drammatica.

Non sarebbe servito diffondere e sbandierare il lungo testo, ma solo il titolo e citarlo per sostenere l’esigenza di una politica comune con una difesa europea e una politica estera comune, indicate senza precisazioni nel documento, e non realizzate in una Unione europea oggi limitata alla integrazione economico-commerciale, solo parzialmente monetaria, e alla libera circolazione con interventi di solidarietà e riequilibrio resi minimi da un bilancio estremamente ridotto. Si sarebbe evitata la comtestazione degli elementi “rivoluzionari” e collettivisti dai quali è così lontana, felicemnte, l’attuale Unione europea.

Roberto Benigni nella trasmissione “Il sogno” su Rai 1, in cui ha ervocato con forza il “Manifesto”

Semmai andava considerata allarmante la demonizzazione della Russia come minaccia incombente da portare l’Unione europea al riarmo, da cui è nata  l’iniziativa della Commissione dell’Unione, ” Rearm Europe”,  oggetto della seduta parlamentare prima dell’incontro del Consiglio europeo. Sulla linea del “Manifesto di Ventotene” si dovrebbe allora pensare a farla entrare, nel tempo anche lungo necessario, nella Unione europea –  per impedire l’inevitabile guerra di una Stato sovrano non imbrigliato dal Superstato comunitario –  riproponendo, a crisi Ucraina conclusa e per favorirne la conclusione nella pace, l’inserimento nel G7 divenuto G8 quasi venti anni fa.

E questo per la lungimiranza dell’allora nostro premier Berlusconi; e soprattutto non ostacolando – come avviene colpevolmente oggi – i tentativi di giungere alla pace messi in atto dal presidente americano Trump per il pregiudizio politico ed ideologico che porta ad enfatizzare strumentalmente le sue “sparate” verbali, scambiandole per minacce omcomtenibili, invece di pensare a facilitarne l’azione meritoria quanto mai difficile, anche se svolta con i suoi metodi che possono sembrare discutibili, per usare un eufemismo.  Si risponderebbe così allo spirito più elevato del “Manifesto”, in una analoga utopia non irrealizzabile –  come è stata quella realizzata pur se con radicali correzioni – nel quale veniva  vagheggiata con forza l’Inione europea,  pur senza citarle, anche della Germania allora nazista, dell’Italia  allora fascista, della Spagna allora franchista..

La manifestazione per l’Europa a piazza del Popolo a Roma,, con al centro il “Manifesto”

Un interrogativo ai lettori, a chi attribuire la qualifica di “fascista” rivolta alla Meloni

Detto questo, in via del tutto ipotetica, torniamo con i piedi per terra e ci  avviamo a una semplice conclusione, Si è defiinita, in alcuni interventi dell’opposizione, ” fascista” la presidente Meloni accusandola di aver calpestato la ” Costituzione antifascista” con la sua citazione di alcuni brani del “Manifesto”, peraltro testuale con il solo commento che quella ivi delineata , non e’ la sua Europa.

E la gazzarra indecorosa in Parlamento,  sempre dell’opposizione,  ha impedito quasi fisicamente di proseguire la seduta. Ricordiamo che la sempre citata, on sempre a proposito, ” Costituzione antifascista” tutela come massimo valore, proprio in reazione al fascismo e ad ogni altro autoristarismo, l’ assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero assicurata a tutti senza discriminazioni, tanto meno, non servirebbe precisarlo, per il Capo del governo nella sede istituzionale più sacra.

A piazza del Popolo il palco con il promotore Michele Serra, dietro lo slogan “L’Europa siamo noi”

La  leader del PD . Elly Schneil, nella sua invettiva, ha accusato la presidente del Consiglio di fare una cosa molto grave sviando l’attenzione, quando la Meloni ha parlato del “Manifesto di Ventotene” Ventotene nei pochissimi minuti finali dopo quaranta minuti dedicati ai temi europei; mentre chi ha realmente… sviato l’attenzione addirittura impedendo di proseguire la discussione in Aula, sono stati i parlamentari del suo gruppo e il resto dell’opposizione con l’indegna gazzarra che hanno inscenato. Non solo, ma ha anche detto che la presidente del Consiglio non poteva permettersi di parlare così dei personaggi sacrificati al confino che hanno scritto la nostra Costituzione – forse, commentiamo, in senso figurato, non essendo stati tra i Costituenti –   aggiungendo che colpevolmente non vuole dichiararsi “antifascista”.

Mentre il capogruppo del suo partito al Senato, Francesco Boccia, sulla sua stessa linea,  ha così sentenziato: “La destra parlando in questo modo di Ventotene non si riconosce nella nostra Costituzione”  Parlando in questo modo vuol dire dichiarando di non riconoscersi nell’Europa prefigurata in quel documento di oltre 80 anni fa, su cui non hanno insistito neppure i suoi autori, per gli aspetti illiberali e antidemocratici, quando la proprietà privata è garantita eccome dalla nostra Costituzione, non certo da abolire o ammettere “caso per caso” come è scritto nel “Manifesto”, per fermarci qui senza citare gli altri passaggi visibilmente antidemocratici.

I sindaci accorsi a piazza del Popolo, sul palco con lo slogan “Tante città, una piazza per l’Europa”

Allora   è fuori dalla Costituzione chi esprime liberamente il proprio pensiero, tanto più nelle aule parlamentari? Oppure chi contesta questo diritto anche impedendo fisicamente la discussione? A questo punto,  per quanto avvenuto, si pone l’interrogativo su chi ha calpestato la “Costituzione antifascista” .  Perché  coloro  che lo hanno fatto sono, loro si, ” fascisti”. Poniamo l’interrogativo al termine  della nostra  ricostruzione – che abbiamo cercato di fare senza pregiudizi, stando ai fatti e alle motivazioni – di un evento molto particolare, e intrigante perché molto significativo, che ha agitato il mondo politico e l’informazione in questa settimana così  tesa e inquieta su tanti fronti,  dalle guerre in Ucraina e nel Medio Oriente, al timore per i dazi che verrebbero imposti dagli Sttai Uniti di Trump dal 2 aprile se non verranno scongiurati, a emergenze climatiche e difficoltà economiche.

 Non rispondiamo, noi che siamo i cronisti, all’interrogativo che abbiamo posto, lasciamo la risposta  ai lettori interessati che hanno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo a questo lungo scritto. Chiudiamo con le quattro parole che abbiamo posto alla fine di recenti nostri commenti  su posizioni e fatti politici contigui a questo che abbiamo commentato oggi, parole che ci sembra calzino veramente a pennello: “Il mondo alla  rovescia”.

La demonizzazione della presidente Giorgia Meloni per la sua libera opinione

Info

Gli scenari di fondo della rievocazione storica e del resoconto della cronaca sono l’isola di Ventotene, l’Aula della Camera dei deputati, piazza del Popolo a Roma, con cenni ad interventi esterni, le immagini faranno ambientare nel viaggio appassionato del testo. Fuori da questo contesto, citiamo i nostri precedenti articoli sull’isola di Ventotene e su quella vicinissima di Santo Stefano, pubblicati alcuni anni fa in occasione di viaggi sulla barca di un caro amico, con la descrizione dei luoghi nelle circostanze speciali dei visggi stessi e, per Santo Stefano, con la ricostruzione della storia del penitenziario ora in via di trasformazione in una sede di studi europeo ititolata a David Sassoli, presidente del Parlamento europeo prematuramente scomparso; li abbiamo ripubblicati nel 2022 e 2023, in memoria dell’amico Ciro Soria che mi aveva ospitato nella sua barca, anch’egli scomparso. Cfr., dunque, gli articoli in questo sito: per Ventotene, Villa Giulia a Ventotene, la capacità umana di far soffrire anche in Paradiso 4 giugno 2022, “Sul mare”, il film di D’Alatri su Ventotene, un’emozione senza fine 4 maggio 2023, e Ischia, festa di Sant’Anna, il Palio dei carri di Tespi 2009, 22 aprile 2023; sulla vicina isola di Santo Stefano: Santo Stefano, 1. Archeologia carceraria del penitenziario-teatro, 2 giugno 2022, e Santo Stefano, 2. Le storie dei reclusi nel penitenziario-teatro 3 giugno 2022. Aggiungo – tale è stato il legame con l’amico Ciro,al quale collego le mie visite a Ventotene, di cui agli articoli sopra ricordati – la citazione dei due articoli rivolti alla sua memoria: “Ciro Soria, buona navigazione Lassù, nellalto dei cieli!” 21 aprile 2023, e “Ciro Soria, 40 anni di matrimonio con il sostegno a Ibby” 23 aprile 2023.

Photo

Le immagini seguono la successione dei temi del testo, prima la rievocazione del “Manifesto di Ventotene”, che viene resa visivamente con le immagini dei protagonisti al confino – Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorno, e altri confinati, alcuni con loro, altri in folto numero – alternate a immagini dei luoghi, sia pure nello stato attuale e non quello di allora, per dare una idea dell’ambiente, con i due autori principali del “Manifesto” anche nel dopoguerra insieme con Einaudi, e due Lapidi che ne celebrano la lungfimirante visione europea. Poi la scena si sposta in Parlamento, alla Camera con la presidente Meloni ripresa mentre cita in modo critico alcuni passi del “Manifesto” suscitando forti proteste dell’opposizione evidenziate da una immagine con alcuni parlamentari che inveiscono protendendo le braccia, l’altra con il deputato Fornaro nella sua invettiva conclusa nel pianto; a queste sono collegate le immagini di due personaggi che hanno citato entrambi polemicamente dei testi sacri, Prodi e Benigni, tra loro Bertinotti per il suo commento, inatteso nella sua violenza Quindi si cambia di nuovo scena, tre immagini sulla manifestazione a Piazza del Popolo a Roma, la prima dall’alto sulla piazza stracolma, le altre due recano bene in vista le grandi scritte con gli slogan, una con il promotore Michele Serra, l’altra con i molti sindaci in fascia tricolore. Infine una immagine evocativa della demonizzazione della presidente Meloni e, in chiusura, l’omaggio di tre partiti di opposizione PD, AVS e “+ Europa” alla tomba di Altiero Spinelli a Ventotene, quasi per una riparazione. Le immagini sono state tratte dai siti di seguito citati , i cui titolari si ringraziano dell’opportunità offerta. Si precisa che sono inserite a mero scopo illustrativo, senza alcun intento di natura pubblicitaria e nessun riflesso di natura economica, aggiungendo che qualora la pubblicazione della foto non fosse gradita a qualche titolare del sito, basterà farlo presente mediante un post “on line” nello spazio dei commenti e verrà immediatamente eliminata. I siti sono i seguenti, nell’ordine di inserimento delle immagini nel testo: patria indipendente, il manifesto, turismo pontino, il manifesto, latina 24 or, lanterna, l’isola di dante, CMLC, vedi lazio, rivoluzione, etruria news, il giornale, think, patria indipendente, avvenire, il sole 24 ore, corriere romano, bubino blog altervista, la repubblica, rai play, la repubblica, la repubblica, il quotidiano news, la voce del serchio, rai news. Di nuovo, grazie a tutti.

L’omaggio ad Altiero Spinell con la deposizione di una corona sulla sua tomba a Ventotene, da parte del PD, con AVS e “+ Europa”, in fondo gli on. del PD, , a sin. Zingaretti, a dx Provenzano,

L’addio commosso a Rosemary, nella chiesa madre di Pietracamela

Alle “Geometrie celesti” – evocate domenica scorsa 6 ottobre 2024 nel ricordo dell’omaggio dell’artista Lina Passalacqua alla mia amata consorte Rosemary, che ci ha lasciati il 29 settembre scorso – sento di dover far seguire il ringraziamento a tutti coloro che ci sono stati vicini con sincera commozione. E sento di dover  aggiungere  l’evocazione della Sua profonda interiorità e della Sua splendida figura nell’intervento che abbiamo fatto io Romano e nostro figlio Alberto al termine delle esequie il 1° ottobre nella chiesa madre di San Leucio a Pietracamela,  il mio paese dove abbiamo trascorso infinite estati felici; chiesa riaperta domenica 29 luglio terminato il restauro dopo i danni provocati dal terremoto del 2009. Ho pensato di farlo oggi, 8 ottobre, a una settimana dalle esequie, quando alle ore 19 si celebra a Roma una Santa Messa di suffragio con il sacerdote don Luigi D’Errico nella chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda, nella nostra parrocchia, alla vigilia del 55° anniversario del nostro matrimonio avvenuto il 9 ottobre 1969. con l’estremo saluto all’indimenticabile Rosemary. Grazie ancora a chi ha espresso autentico cordoglio e intima partecipazione.

La chiesa madre di San Leucio a Pietracamela

I messaggi di cordoglio per la dolorosa scomparsa della nostra Rosemary, così amata da noi e da tutti coloro che l’hanno conosciuta e ammirata, meriterebbero una risposta ben più profonda del semplice ma intimamente sentito “grazie” che io e Alberto ci sentiamo di rivolgere, nella nostra angoscia indicibile, a coloro che ci sono stati vicini e ai convenuti nella chiesa madre di San Leucio a Pietracamela alle esequie del 1° ottobre, officiate da padre Jacobs con una intensa partecipazione personale dinanzi ai paesani veramente commossi. Al termine della funzione religiosa, prima della benedizione, il Parroco ci ha permesso di esprimere i nostri sentimenti rivolgendoci a tutti. Abbiamo letto le espressioni molto intense di amiche che l’hanno conosciuta volendole bene e nella loro sensibilità hanno sapito renderne il profilo interiore e l’aspetto esteriore, ugualmente mirabili.

E allora Alberto ne ha delineato la profonda interiorità con le parole scritte da Simona, io ho rievocato il suo legame con il paese e gli abitanti, poi per la Sua splendida figura ho letto l’ispirata descrizione che ne ha fatto, nel messaggio di condoglianze inviatomi, Aureliana – la figlia di Lidia che incarna lo spirito “pretarolo” –  molto vicina a Lei sin da tempi lontani, facendola rivivere sotto i nostri occhi.

Segue il saluto di Alberto sulla sua interiorità colta da Simona che la conosceva bene e le era molto affezionata, e poi le alate e nobili parole di Aureliana che ho letto dal suo messaggio nel mio ultimo saluto.

L’abside della chiesa di San Leucio

Il saluto di Alberto, con le parole di Simona

 “Credevi nella vita, 

nella libertà come responsabilità di scelta, 

nella solidarietà 

come vicinanza alla sofferenza degli ultimi. 

Una fede incrollabile 

nella forza d’animo e di volontà, 

nell’impegno sociale e in quello umano. 

Praticante un credo 

intransigente

di fronte alla prepotenza e alla meschinità delle ingiustizie

e compassionevole 

dinanzi al dolore dei reietti. 

Hai attraversato la vita 

con la leggerezza e l’ironia

che contraddistinguono 

la profondità e il coraggio

di una grande Anima. 

Ora non soffri più, 

ora sei di nuovo libera. 

Sei tornata a casa. 

Rimarrai sempre nei nostri cuori”.

Pietracamela, il borgo montano dove ha trascorso infinite estati felici e dove riposa in pace

Il saluto di Romano, la parte con le parole di Aureliana

…“È stata una donna meravigliosa. 

Nessuna dolorosa, sovrapposta immagine del presente

potrà mai cancellare in me il ricordo di Rosy, splendente,

con il suo luminoso diadema di capelli d’oro

che le avvolgeva la schiena come un regale mantello,

gli occhi simili agli atolli turchesi dei mari d’oriente

e il sorriso, a volte ammiccante, a volte ironico,

che si inarcava divertito e contagioso sulle labbra sottili.

Vestita di azzurro, con un’ampia gonna di veli,

le ballerine chiare, aiutava Zaira nel tinello

con l’ineffabile, elegante semplicità di una regina.

La ricordo allontanarsi leggera, sorridente, eterea,

di quella natura indefinibile, confusa fra sogno e realtà,

che solo alcune, poche, creature hanno.

Per me resta per sempre così.

Per sempre.

E basta.

 Tengo come religiosa reliquia

il libro che mi regalò, nel 1983:

due volumetti delle poesie di Garcia Lorca,

che aveva amato e intensamente letto.

E mi donò di slancio perché ne facessi tesoro.

 Voleva andare. 

Non voleva essere più trattenuta”.

E non possiamo non aggiungere l’elevato pensiero della poetessa Anna Manna, ricevuto nel nostro ritorno a Roma.

 “Era veramente speciale.

la sua dolcezza,

la sua raffinata soavità,

sembrava uscita da un quadro,

da un romanzo,

da una favola bella.

La ricorderemo così”.

Ricordiamo così l’amatissima Rosemary, nella Sua profonda interiorità e nella Sua splendida figura. La Sua immagine resta viva nella nostra mente e nel nostro cuore e vi rimarrà per sempre.

Adesso il triste commiato, “Sit tibi terra levis”, sono le parole che volevi Ti accompagnassero nel riposo eterno, Rosemary carissima. Le ripetiamo con le lacrime agli occhi, nostra indimenticabile Rosemary. Addio!

Romano e Alberto 

Il Gran Sasso con i Prati di Tivo, la natura da Lei tanto amata

Le Geometrie celesti nel ricordo di Rosemary

Sabato  28 settembre 2024 è stata inaugurata a Marino, nei Castelli romani, la mostra  di Lina Passalacqua, “Io… le vele e il mare”; in questo sito ho pubblicato 3 articoli sull’artista, la “futurista dei nostri tempi” lo scorso mese di marzo in occasione della sua mostra a Roma, “Io… e il mare”. Il giorno dopo, domenica 29 settembre, ci ha lasciati la mia amata consorte Rosemary, nell’Istituto San Raffaele di Rocca di Papa, vicino a Marino, dov’era ricoverata.   

Lina Passalacqua, “Geometrie celesti

Nel 2018 Lina Passalacqua Le aveva regalato la sua opera “Geometrie celesti” con questa dedica: “ “Roma, 7 maggio 2018. A Rosemary, che le ‘Geometrie celesti’ le siano sempre vicino. Lina Passalacqua”.. E così è stato fino al doloroso 29 settembre allorché Rosemary è volata in Cielo, raggiungendo le vere Geometrie celesti, dopo quelle dell’artista a Lei dedicate. Questo ricordo con gratitudine e commozione oggi, a una settimana dalla Sua dolorosa scomparsa.

La dedica dell’artista a Rosemary

Pietracamela, 3. Ricordi di un “pretarolo” turista estivo nel suo “natìo borgo selvaggio”

di Romano Maria Levante

Abbiamo dato conto del tris di eventi nella domenica del 28 luglio a Pietracamela. che “non si puo’ dimenticar” con le due ” cronache da remoto” pubblicate l’8 e 10 agosto. Nel commentare il terzo evento, ” Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione di Pietracamela ” abbiamo preannunciato la successiva pubblicazione del nostro ricordo dei tempi passati – con preziose integrazioni fraterne ad opera di Levante Salvatore – che e’ stato letto nella parte della manifestazione dedicata alle testimonianze dei paesani. Pubblichiamo oggi, nella giornata di ferragosto carica di memorie, il nostro ricordo, illustrato da alcune foto della manifestazione e soprattutto da immagini evocative dei tempi passati e del paese concluse da alcune fotografie molto personali.  

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Pietracamela, parte di Piazza degli Eroi, verso il centro storico, “la Terra”

Mi vengono chiesti da Pasquale Iannetti – così attivo e ammirevole nella valorizzazione del nostro territorio in tante forme –  dei ricordi del tempo che fu, evocato nella celebrazione di Marta Iannetti, che non ho conosciuto ma mi unisco nel sentire viva la memoria di una persona straordinaria. Sono iniziative encomiabili queste per le nostre glorie che vanno onorate e non dimenticate, ne abbiamo molte: eroi e artisti, grandi professionisti e scrittori, anche al femminile come Marta Iannetti e la poetessa “Gina” celebrata di recente al Campidoglio e a Bruxelles, che attende il giusto riconoscimento nel suo paese il cui idioma “pretarolo” ha nobilitato con i suoi versi ispirati.

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“Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione a Pietracamela”, parla Pasquale Iannetti

Ricordi da “pretarolo” si attendono da me, lo sono come nascita da una famiglia le cui tracce risalgono fino al Catasto onciario, e preonciario, siamo al 700, il mio avo Giuseppe Levante aveva dei terreni confinanti con quelli di certo D’Annunzio; ma non come residenza, i miei genitori, maestri elementari,  sono andati via da Pietracamela alla mia nascita, la mia infanzia si è svolta a Colonnella, un paese in collina ai confini con le Marche, l’adolescenza a Teramo, la prima giovinezza a Bologna, con il trasferimento per l’Università, mentre la maturità della vita e oltre…. a Roma, l’approdo definitivo.

Un momento della manifestazione

Ma i legami con le mie radici, che sento profondamente, non si sono mai allentati, ogni estate fin dall’inizio l’ho trascorsa nel “natio borgo selvaggio” come “turista”, anche se anomalo, e mi suona male questo termine, qui siamo chiamati “naturali”, più benevolo del termine “fuorusciti” di Giammario Sgattoni. Per questo i miei ricordi sono limitati alle tante estati vissute in simbiosi con il “mio” paese; ma non con la “total immersion” di Gero, Gelasio Giardetti, che nel suo “La farfalla di Andrea” ripercorre l’esperienza personale di infanzia e adolescenza, i crudi inverni, in una forma romanzata ma  evocativa e avvincente.

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L’ora delle testimonianze: la lettura del ricordo

Le mie vacanze estive a Pietracamela, comunque, non sono state quelle di un comune turista. Gli incontri e le “chiacchiere” in piazza con i paesani non si possono dimenticare. Con Guido Montauti, la nostra gloria internazionale, anche lui “turista” estivo, le tante conversazioni nel suo fare disincantato, leggero e insieme profondo; anche qualche passeggiata fuori della Villa quando si fermava e con le dita incrociate inquadrava angoli di paesaggio per un possibile dipinto ripreso dalla realtà nobilitata con la sua arte. Ho ancora – e li ho pubblicati nel mio romanzo ispirato a una storia vera di emigrazione “pretarola” vissuta da vicino – i suoi schizzi che fissavano il paese, buttati giù al termine di una cenetta insieme nell’osteria di Ortolano,e poi la visita al suo studio, i suoi quadri; è intitolato a lui l’Istituto di istruzione superiore Delfico-Montauti, di Teramo, del quale fa parte il Liceo artistico di cui è stato eminente professore. E’ stato onorato anche con il Premio internazionale pitture rupestri Guido Montauti, l’opera del vincitore, l’artista Jorg Grunert, è su una roccia nella strada pianeggiante verso il vecchio mulino dopo Porta Fontana. Per associazione di dee mi tornano alla mente altri artisti venuti a Pietracamela molti anni prima, ma a villeggiare: Carla Gravina, Marina Berti e Claudio Gora con i figli ragazzini che diventeranno i celebri Andrea e Tullio Giordana, giocavano con i pretaroli della loro età, Gero tra questi lo ricorda ancora.

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Un’immagine d’epoca, gregge di pecore davanti alla chiesa

Al ricordo di Guido associo quello di Bruno Bartolomei, per noi Brunitt, non dimentico il suo sorriso e la sua tenacia, sul lavoro e non solo, fu inserito nel “Pastore bianco” dal maestro Guido con i guardamacchia che indossava nella mostra a Roma al Palazzo delle Esposizioni dove li incontrai e poi a fine serata andammo al Colosseo; ma presto dal folklore passò all’arte, visitai la mostra a Montorio dei suoi dipinti, non di finto naïf ma autentici; è un ricordo velato di tristezza, ho reso omaggio alla sua figura allora e di recente.  Al “Pastore bianco” di Guido Montauti si devono anche le “Pitture rupestri” verso la grotta di Segaturo, distrutte putroppo dalla rovinosa frana del 2019, salvo due recuperate, restaurate e rese visibili con un tragitto attrezzato nel 2’018.

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Altra immagine d’epoca, sempre vicino alla chiesa con la neve

E il medico Bruno Marsilii, con le sue spedizioni e i suoi ricordi himalayani, molto riflessivo e legato alla sua passione alpinistica, mi è rimasta impressa la copertina del Bollettino del CAI con una sua scalata, ai piedi i “paponi” inquadrati in primo piano, la calzatura “pretarola” di stoffa trapuntata nella siuola, fatta in casa. E con lui il ricordo va a Lino D’Angelo, altra grande gloria con cui le “chiacchierate” erano continue ma non vantava mai le sue conquiste alpinistiche, solo qualche accenno; mi è rimasta impressa una sua esibizione sulla “palestra” fuori del paese, con Gigi Mario, altra figura che torna alla mente. Poi ha magistralmente evocato “Le alte vie della mia vita” in un libro esemplare, gli regalai “Insciallah” di Oriana Fallaci e ne fu felice; ricordo quando ci fece da guida strisciando davanti a noi nello stretto budello per entrare nella “grotta di Eros”, il giorno della sua scoperta, sopra al Canale, un’emozionante spettacolo di stalattiti e stalagmiti, da allora non più accessibile.

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La “corriera” nei tempi antichi

Ma poi Berardino Giardetti, il maestro elementare emigrato in Canada “per provare” la vita dell’emigrante, poi al ritorno divenuto direttore didattico e scrittore con la sua “storia” vista dal basso, dalle “Grandezze e miserie dell’Unità d’Italia”  alla “Memoria su Matteo Manodoro, generale dei briganti” nobilitato a patriota, passando per l’”Incontro col diavolo e altri racconti” , questa sì una evocazione suggestiva di un passato lontano.. Si dilettava anche di suonare il mandolino con Francesco Bonaduce, “Tarantella”, paesano suo amico del cuore, gli suggerì il nome dannunziano di “Aligi” per il figlio.

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Due bambini sul mulo… trasportatore; Celestina De Luca con il fratellino e i genitori

Ho anche un ricordo lontanissimo di Ernesto Sivitilli, medico condotto a Colonnella dove i miei genitori erano maestri, la domenica veniva da noi ed era una rimpatriata “pretarola” sempre emozionante anche per me e mio fratello Salvatore, eravamo piccoli. Anzi Salvatore mi ha ricordato la consuetudine del dopopranzo, con lui che a mo’ di consiglio da medico andava avanti e indietro per la stanza e girava diverse volte intorno al tavolo dove avevamo pranzato facendo una breve ma “salutare” passeggiata.

Un quartetto di nonnine nel tipico costume”pretarolo” utilizzato abirualmente anche in tempi recenti

Sono questi ricordi di persone straordinarie, portabandiera di una Comunità altrettanto straordinaria, che di anno in anno ho visto spostarsi i suoi componenti nel riposo eterno per la legge di natura restando unita con le proprie storie personali divenute collettive in una toccante “Antologia di Spoon River” pretarola. Ed ecco i “pionieri”, Gogliardino, lo vedevi costantemente dritto e impassibile dietro l’alto bancone della sua rivendita di alimentari dove i paesani si rifornivano di ogni ben di Dio, e Ferrino, compagno di mio padre sin da bambini, esperto realizzatore e imprenditore dell’amaro tratto dalla genziana.

Piazza degli Eroi all’arrivo della “corriera”, tanti anni fa

Era sua l’osteria sotto casa, una delle due del paese, affidata alle cure del Rosso e del fratello di questi, entrambi giovani simpaticissimi, perché aveva impegni di maggiore livello enologico; accanto a lui e a Gogliardino gli altri due fratelli Guido e Natalino, professionalità diverse ed eccellenti le loro: Guido, ne parlavo anche prima, ha fatto il pittore per tutta la vita – cooptato ad honorem nell’insegnamento al Liceo artistico di Teramo cui ha dato il nome – raggiungendo grande notorietà anche all’estero, parlava spesso dei suoi lunghi soggiorni parigini ed è stato uno dei più validi pittori abruzzesi delle ultime generazioni, e Natalino, ho un ricordo personale di lui, insegnava lettere al liceo di Teramo e fu giovane professore di ginnasio di mio fratello… e per poco temp anche mio, quanti anni da allora!; anche la moglie di Guido è stata mia insegnante di Storia dell’Arte nello stesso liceo.

il Monte Calvario com’era, prima della demolizione della vetta

A questo punto mi tornano in mente Aladino e il fratello Peppino, e la Stella, nel suo negozietto dove sembrava a noi bambini si vendesse di tutto, oltre alla rivendita delle sigarette, delle quali si diceva bene allora, e Ngin Git, che tornato dalla prigionia dopo la fine dell’ultima guerra l’aveva sposata come penso desiderassero anche prima che partisse soldato. Ripenso poi a Dina e al marito Artidoro, non ebbero figli e lei si è dedicata alle adorate nipoti Lidia e Zaira, lui lo ricordo per una foto nell’album di famiglia che lo ritrae con un gruppo di persone nel recinto davanti alla sua casa, l’ultima della parte nuova del paese costruita con i risparmi di una vita di lavoro, e nel gruppo si nota mia madre giovane che tiene tra le braccia un infante nato da poco, mio fratello Salvatore ancora in fasce.

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Le Croci “abbassate” del Monte Calvario, sullo sfondo Vena Grande e il centro storico “la Terra”

E ancora mi ricordo di Pottonio reduce della Grande Guerra, con la mutilazione di un piede che non gli impediva di svolgere i suoi lavori nei campi e in paese, come se avesse il fisico perfettamente integro, l’ho visto tante volte salito sopra il tetto del suo pagliaio per sistemarlo da solo, la sua cara moglie negli anni sessanta sarebbe scomparsa prematuramente e la sorella di lei Mariannella, che spesso capitava a casa nostra legata alle mie zie praticamente coetaneee, nella famiglia c’erano anche le due figlie, bimbe carine e poi giovani donne, di età poco meno della nostra, Freda la maggiore, il nome una chiara reminiscenza del passato militare del papà che in quelle zone di guerra lo aveva sentito e gli era piaciuto…o ne aveva ammirata una in carne ed ossa, e Nivia dolce sorriso e maniera di porsi, scomparsa di recente, l’altra prematuramente molti anni fa.

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Una delle “pitture rupestri” del “Pastore bianco” di Guido Montauti distrutte dalla frana del 2010

Si affollano i miei ricordi, c’è Luna con l’amato Osvaldo, una famiglia ammodo con le figlie, lei una bella donna, occhi chiari luminosi, forse li ritrovavi anche in quelli della figlia minore Stellina e lui, maestro elementare, nelle lunghe estati “pretarole” si scatenava valente giocatore di bocce, la sua perizia si palesava soprattutto quando bocciava senza…  pietà la boccia avversaria ben posizionata, uno spettacolo i tre passi della rincorsa di prammatica tenendola di mira con lo schiocco dell’impatto conclusivo che sostituiva di netto con la propria l’altra boccia espellendola, e accanito giocatore di carte sia napoletane che francesi, tressette o ramino, nelle due osterie del paese allora pienamente funzionanti. Era bravo nel giocare  a bocce anche il padre di Corrado Adriani – con Corrado siamo stati compagni nelle comitive estive e rimasti amici, ha avuto importanti incarichi amministrativi in Abruzzo, ha una bella famiglia – ricordo anche la madre così dolce e riservata.

Una delle due “pitture rupestri” del “Pastore bianco” di Guido Montauti sopravvissute all frana e restaurate, la più grande con davanti il restauratore Corrado Anelli

E come non ricordare Mariuccia “di Sofia”, con l’immancabile appellativo che così la identificava, bella e ammirata in paese, andata sposa al medico Sivitilli, prematuramente scomparso e risposata poi da Venturino, che l’aveva amata da sempre, non l’aveva potuta avere con sé prima e poi per i casi della vita era riuscito  a coronare il suo sogno; e ancora il medico Panza detto Pallino che però non esercitava a Pietracamela per essere la condotta medica tenuta prima dal mitico medico Montauti, che c’era già quando i miei genitori erano giovani, l’abbiamo conosciuto negli anni quaranta, ero piccolo; mio fratello Salvatore di due anni più grande di me ricorda qualche pomeriggio quando con i miei siamo andati a trovarlo nella sua casa, autorevole quanto lui stesso, con il portone sulla sommità di una scalinata all’esterno, erta e dritta, sormontata da una volta ad arco e chiusa da un cancello dabbasso che incuteva timore reverenziale. Ricordo anche i nipoti figli figli di una sorella del medico Pasquale e Alberto, da picolo, insieme a mio fratello Salvatorem giocavo con loto sul terrazzo interno semicircolare, divennero affermati professionisti, quante discussioni nei ritorni estivi soprattutto con Pasquale, molto motivato! Al medico Montauti  successe nella condotta Bruno Marsilii, scalatore, fece parte come medico a diverse spedizioni sull’Himalaya, ne ricordo le lunghe sistematiche passeggiate fino al bivio di Collepiano anche nell’età molto avanzata.

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La secondo “pittura rupestre” del “Pastore bianco” di Guido Montauti sopravvissuta e restaurata

Ancora rivedo l’imponente Lucia, alta con i capelli raccolti a corona intorno al capo e suo marito Curino, bonario e silenzioso, brav’uomo tutto dedito al lavoro quotidiano nelle “terre”, che tornava a sera dopo una giornata di fatiche e soprattutto, nella stessa famiglia – abitavano tutti nella casa sulla piazzetta proprio davanti a noi – suo fratello Ferrante, distinto e autorevole, segaligno e molto alto anche lui, che doveva essere stato importante in paese, soprannominato Cavallo, perché aveva l’onorificenza di Cavaliere…del Regno; credo l’avesse avuta per intercessione di mio nonno Salvatore, anche lui Cavaliere, la sorella Elvira, che stava soprattutto in casa e si vedeva poco nella piazzetta; e poi Giovanna, la sorella di Mario di Ferrante. Nella casa attigua con il caratteristico portico d’ingresso  Calata con  la figlia Dilvira che tornava d’estate, a fine stagione prima di ripartire faceva una grande raccolta di funghi ch essiccava; la invidiavo, io sono andato a funghi pochissime volte al seguito di conoscitori. .

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Il Belvedere Guido Montauti, a sinistra una sua caratteristica sagoma

I ricordi si susseguono, penso adesso a Dario e Romolo,  il primo gran conduttore della Corriera che univa il paese al… resto del mondo, abile nel sistemare con le valige dei passeggeri i più svariati involucri sul tetto dell’automezzo che si chiamava con nome altisonante l’“imperiale” e vi si accedeva da una scaletta che faceva bella mostra di sé sul retro e per noi era perfettamente naturale che ci fosse. Era succeduto in quell’incombenza ad Aladino, altra persona notevole per le sue molteplici iniziative, era stato lui il primo con la Corriera e dai trasporti era passato all’allevamento e macellazione delle pecore: non ho dimenticato il disgusto che si provava nelle nostre passeggiate quotidiane verso il mulino al sentire il puzzo nauseante che emanava dalle loro pelli ad essiccare al sole poco sotto la strada, poi abbandonò anche questa attività per impegni di ben maggiore livello, divenne affermato albergatore, realizzando  un albergo ai Prati di Tivo ben dimensionato per l’entità della richiesta turistica e in posizione di primo piano all’arrivo sul Piazzale, senza essere da meno delle realizzazioni degli altri due pretaroli albergatori da sempre in paese e poi anch’essi ai Prati, Mimì Amorocchi con il fratello – cui è intitolato il piazzale di ingresso dei Prati – e i fratelli Montauti, Gino, Lino e Tonino, scomparso di recente.

Guido Montauti al Grottone, che trent’anni dopo crollerà sulle sue “pitture rupestri”

Ritornando ai fratelli Dario e Romolo, del primo ho già parlato, l’altro è stato un bravo professionista, geometra tra Pietracamela e Teramo, era molto libero d’estate come noi e anche con lui chiacchierate in piazza e qualche gita insieme, particolarmente apprezzata la moglie Berta, donna affabile e molto in gamba con una professione preziosa, la levatrice, come si chiamava allora, i loro due figli conosciuti da bambini sono bravi professionisti. Aggiungo alla lista i bravi e rispettati agenti forestali – venivano chiamati “guardiaboschi ” – Gianni Filippi da Longarone e il maresciallo Ernesto Villani, i maestri Iepa e Giggit, i cinque fratelli De Laurentiis Gabriele e Peppino, Giuliana, Vittorio e Mario cari cugini con cui ho condiviso tanti momenti nell’infanzia e adolescenza, con i loro genitori; e  ripenso a “La Volpe” e a “La Visciuccia”, che riposano in Canada, capostipiti di una grande famiglia che ha fatto fortuna in America, insieme ai figli Mimì e Ardino, Orlando e Pierino, il quale si gode meritatamente la vita a Toronto con la sua bella famiglia, e le sorelle Giuseppina e Teresina, tutti protagonisti di una epopea migratoria che fa onore al nostro paese inteso anche come Nazione.  

La parte pianeggiante della “Terra” verso Porta Fontana,
in fondo la residenza citata dell’antico medico Montauti

Poi molti altri, penso a Mimì “il Signore”, con Luigina e Stellina, a Silvana e Luciana, a Peppino Trinetti, chiamato Jeppson per la sua maestria calcistica esibita nelle sfide estive ai Prati di Tivo che hanno anticipato le”partite del cuore” – la “Terra” contro la “Villa” – seguite con un tifo da Palio di Siena, poi sarà acuto commentatore sul bollettino  della Pro Loco; infine, Enrico e Diego, Tutuccio e Nivia, Giuseppina e Tonino, Marina, Lea e Carla accomunate in tempi diversi dalla fine prematura, che riporta a tempi lontani: a Nando, faceva il muratore come suo padre che gli aveva insegnato il mestiere, di lui mi è rimasta impressa  la struggente epigrafe della compagna, “Nando, aspettami”.  

L’ingresso al centro storico da Via Roma

Sono assenze e insieme presenze virtuali dei paesani i cui occhi mi guardano quando visito, ora idealmente, lo “Spoon River” pretarolo, e ripenso anche alle tragedie montanare, evocate nella mia infanzia, di Cambi e Cichetti, Annina e Rubina cui Pasquale ha dedicato scritti e iniziative encomiabili: in particolare, il libro “L’ultima ascensione” per i due bravi e sfortunati alpinisti –  il monumento al Piano delle Mandorle e il cippo sul vicino Rio d’Arno dove li avevano ritrovati erano una meta carica di emozione delle mie gite – e il sentiero da Forca di Valle a Cima alta dove la tormenta fu fatale per le due coraggiose e sfortunate paesane a loro intitolato. E’ di pochi giorni la dolorosa notizia della scomparsa del figlio di Giovanni e Fiorina, Alberto, mi fa pensare con vicinanza e partecipazione alla famiglia riunita Lassù anche con Marina, un pensiero triste e dolce insieme.

Un edificio con il caratteristico antico balcone

Il ricordo dei tornei al campo da tennis dinanzi all’Hotel Miramonti, sempre ai Prati di Tivo, prima tra paesani, a cui ho partecipato, poi anche con i turisti, attenua la malinconia di queste storie con tanti cari assenti che restano pur sempre presenti: la Comunità rimane intatta nella sua consistenza, con le sue storie, che ne evocano la vita, si è solo spostata….; come si spostava per la festa della Madonnina la prima domenica di agosto in un pellegrinaggio devoto con la santa Messa ai 2000 metri.  Vedo con commozione la Comunità pretarola stretta intorno ai miei genitori Argene e Gino e ai miei avi che mi sorridono da Lassù.

Un altro angolo del centro storico

Dalle persone indimenticabili alla vita di allora che torna a sprazzi nella mia memoria. Le teorie di muli carichi di legna portata a valle dalle teleferiche provvisorie guidati dai “cavallari”, il gregge di pecore che la sera sciamavano dal largo sentiero che scendeva dal Canale, quasi un tratturo, e attraversavano la piazza verso le stalle alle “Pagliare” fino a quando non fu vietato perché “si faceva brutta figura con i forestieri”. Ricordo anche il rullo dei tamburi nell’intera giornata da una parte all’altra del paese con libagioni di vino, alla festa di San Rocco dopo Ferragosto, anche questo mi pare che cessò perché sembrava poco elegante per i forestieri. 

Uno dei caratteristici “archetti”

Non facevano brutta figura le donne vestite di nero che tornavano dai Prati di Tivo con in testa le fascine, e neppure quelle che  prendevano l’acqua nella fontana in piazza con le conche portate sulla testa protetta dal  “torcinello”, dato che alla Villa – il quartiere sorto successivamente in posizione rilevata e separata dall’agglomerato dei vecchi quartieri dal Rio della Porta – non arrivava l’acqua finché non finì questa grave limitazione; allora noi, che per tale motivo andavamo nei ritorni estivi nella casa paterna alla “Terra”, ci spostammo nella casa materna alla “Villa”.

Una delle tante scalinate tra muri di pietra

E poi le processioni, solo una volta ho assistito a quella del Cristo morto, con il canto struggente, “sono stato, io l’ingrato…”, mentre la santa Messa domenicale era “obbligata” fin da quando con don Andrea c’era la divisione dei banchi tra Donne e Uomini, con gli uomini che però restavano fuori lasciando vuoti i “loro” banchi – mentre molte donne si affollavano in piedi –  per sottrarsi alla filippica alla Savonarola del parroco, ma è preistoria. Poi ci sarà padre Archimede, cugino alla lontana e compagno d’infanzia di mio padre, rientrato dall’America con il suo clergyman – allora motivo di cutiosità mista a stupore – scorrazzava in auto tra il paese e i Prati di Tivo. Don Andrea era stato un prete dimesso e ieratico nello stesso tempo, ineguagliabile il suo carisma paesano, e fino alla sua scomparsa “padre Archimé” fu devoto coadiutore pieno di attenzioni che venivano dal rispettoso affetto che nutriva per lui, poi si applicò con impegno per sostituirlo degnamente.  

Un’altra scalinata

Archimede ben diverso dal beneamato predecessore, era uomo di mondo con tanta esperienza sacerdotale americana, di lui ho ancora in mente un quadro solennemente esposto in casa, nel quale vi era l’Attestato di Benedizione che Papa Pio XI impartiva agli sposi miei genitori “come implora da S.S. padre Archimede De Luca umilmente prostrato”. Uno strascico dell’altra sua vita in America fu il servizio sensazionale che Maurizio Costanzo gli dedicò con una appariscente foto a figura intera che occupava tutta la prima pagina del suo giornale “L’Occhio”, quotidiano dalla vita breve lanciato a quel tempo sulla ribalta nazionale, servizio nel quale si rivelavano particolari che il nostro doveva conoscere sui tanti misteri degli italiani emigrati colà ed entrati in “cosa nostra”, non escluso addirittura lo stesso Al Capone, ma lui sempre e soltato uomo di fede.

Ancora scalinata con “archetto”

Mi vengono in mente altri due parroci:  don Marco, che celebrò le esequie di Mamma riportata al paese nella settimana di Pasqua ai primi di aprile del  1984, nell’ideale unione del lutto familiare con la Passione di Cristo, usando parole toccanti rimaste nel cuore; l’anno successivo se ne andò Papà, nell’estate senza di lei andava ogni mattina a trovarla al cimitero, riposano vicini nella pace eterna.  Fino  al giovane  don Filippo,  mi ricordo quando, nella messa di insediamento come parroco officiata dal Vescovo, a lui da poco sacerdote il sindaco Giorgio Forti, con tanto di fascia tricolore, disse che quel primo compito era particolarmente formativo, c’era da”spaccarsi le ossa” nei rigori invernali, e lui, come prima don Marco, “si fece le ossa”, entrambi hanno ottenuto in seguito importanti destinazioni, don Filippo ad Atri con la cura anche del celebre Museo.

Un altro “archetto” caratteristico

Ora il mio pensiero va al sindaco Forti che non c‘è più, a lui si deve l’ingresso del paese tra i “borghi più belli d’Italia” un riconoscimento meritato ma non facile da ottenere, è stato sindaco per dieci anni.  Di don Marco ricordo anche una messa suggestiva alla Madonnina, a 2000 metri, la prima domenica di agosto come sempre, da piccolo ci andavo con i miei attraverso il bosco dell’Aschiero su un mulo che camminava rasente il bordo del sentiero anche in punti molto esposti; poi l’annuale visita alla Madonnina lungo l’era erbosa dei Prati di Tivo, attraverso Fonte Monaca e Fonte Cristiana fino alla roccia della Luna. In una di queste visite con altri paesani riscendemmo lungo i prati insieme a don Marco e gli chiedemmo scherzosamente rispetto alla fede: “E se non fosse vero niente, che … fregatura sarebbe per noi!” Stette allo scherzo e rispose: “Figuratevi per me!”.

Un angolo caratteristico

Da questi ultimi, indimenticabili,  personaggi torno ai lontani ricordi di vita. La mia fantasia di adolescente si scatenava sul Monte Calvario, con le grandi rocce al culmine che erano una calamita, finché una frana non indusse a “spianare” la vetta e spostare le croci più in basso. Ma prima del Calvario c’era una modesta paretina rocciosa che provocava… la mia ansia di arrampicarmi. Sì, perché anche in questo sono stato “turista” particolare, un’unica ascensione sulla “Ciai Pasquale” con la guida di Angelino, l’indimenticabile Clorindo Narducci con cui trascorrevo molte delle mie serate di conversazioni, anche lui gloria del paese con gli altri “Aquilotti del Gran Sasso” di cui il 30 dicembre 2023 si è celebrato il centenario inaugurando il monumento nella “Piazza degli Eroi”; da “vigile urbano” in una breve stagione, a “turista” estivo anche lui dopo il trasferimento per lavoro a Fossa nel versante aquilano del “suo” Gran Sasso che ha celebrato in “Un vecchio zaino pieno di ricordi”  come ha celebrato la “sua “Pietracamela, tra storia e leggenda” nell’altro aureo libretto, ho reso omaggio alla sua scomparsa commentando queste sue opere scritte con il cuore..

I ruderi del vecchio mulinoi sul Rio d’Arno

Un’unica “ascensione” alpinistica la mia, dunque, quella che ho citato sulla “Ciai Pasquale con la guida di Angelino, ma da “turista” escursionista estivo un punto di orgoglio. la prima salita a Corno Grande da solo, a vent’anni, a piedi dai Prati, ovviamente nella via “normale”, impiegai due ore in tutto, come scrissi narcisisticamente nel registro in vetta. Torna alla memoria la settimana trascorsa al Rifugio Franchetti, con mio fratello Salvatore, al mattino si doveva attendere che l’acqua si scongelasse, più in alto  la Sella dei due Corni, il ghiacciaio allora ben innevato, vi andavano a sciare; io no di certo, le uniche mie sciate ai Prati di Tivo dove tornai eccezionalmente in una invernata nell’anno della maturità classica, con l’amichevole insegnamento di un campione come il caro paesano Mario di Ferrante,  e molto dopo ci tornai nelle settimane bianche con moglie, figlio e nipoti schierati disciplinatamente alle lezioni nella scuola di sci rimaste a livello elementare.

La piccola “cavea” per spettacoli all’aperto vicinissima ai ruderi del vrcchio mulino

Invece sono state infinite le mie “arrampicate”, sempre estive, salivo spesso sugli alberi usando il reticolo di rami come una scalinata, ma soprattutto le rocce avevano su di me una forza attrattiva irresistibile, quelle sotto il ponte al vecchio mulino diventarono una palestra continua. Ed era piena di fascino la santa Messa domenicale nella chiesetta di Collemulino purtroppo caduta in rovina ma con immagini sacre miracolosamente intatte. Come mi attiravano i boschi, dove mi inoltravo non temendo di perdermi, e il Rio d’Arno dove facevo il bagno nelle “caldaie”  allora piene di acque risalendolo di roccia in roccia sentendomi come un esploratore, indimenticabile l’emozione della prima volta alle sorgenti, con l’imponente cascata del Calderone; mi torna in mente l’emozione provata nell’infanzia quando Papà mi portò a vedere il mulino in funzione, con l’acqua del Rio d’Arno che piombava tumultuosa nella “gora” per far muovere le macine in basso, ne rimasi molto impressionato.

Don Andrea, fuori della “Villa”, 1954

Mi piaceva, da ragazzo e poi adolescente, “esplorare” nel cuore del paese, con l’intrico di scalinate e di discese con tanti archi e archetti, in un sorta di labirinto che eccitava la mia immaginazione, come quando mi avventuravo nei boschi.  “Vena grande”, la roccia identitaria che sovrasta Piazza degli Eroi, mi affascinava, ci sono salito con molta circospezione, e la prima volta mi sentivo come giunto in vetta; mi è rimasto impresso quando, dopo il 25 luglio 1943, eravamo in vacanza e dalla piazza in basso assistetti con i paesani alla demolizione della scritta DUX che campeggiava sul grande pilone di sostegno della roccia, ad opera di alcuni saliti su una lunga scala con gli scalpelli; analoga scritta continuai a vederla da giovane nei ritorni in auto da Roma e viceversa, impressa dall’apposito taglio degli alberi in un bosco che si vedeva in alto lungo il percorso, a Pietracamela era bastato scalpellare, ma lì restava.

Primi passi di arrampicata…, rimasti tali

Nei ricordi personali si inserisce a questo punto una memoria coinvolgente, non la fienagione di luglio, ma la raccolta del grano che la terra povera poteva dare, ricordo di aver visto quando si “scamava” per separare grano dalla pula sollevando all’aria le spighe nel “Pagliai”, poi venne la trebbiatrice. Ho anche una esperienza “contadina”, ero ancora piccolo e andammo a “cavare” le patate in un pezzo di terra nostro che si coltivava ancora, ricordo l’emozione nel trovare le patate ad una ad una come fosse ogni volta una conquista.

Controluce al Grottone, a vent’anni…..

E’ troppo poco, a parte l’”Antologia di Spoon River” pretarola….. rispetto a quanto possono evocare i “residenti” effettivi e non solo i “naturali” come il sottoscritto, del resto la mia è stata una “Spoon River” forzatamente “da remoto” pur se quanto mai evocativa. Ma è comunque una testimonianza che può rievocare tante cose al cuore di ognuno come è successo a me: : ho scritto di getto queste sentite parole appena mi è stato ripetuto l’invito che in un primo momento avevo declinato proprio per i limiti appena ricordati, con le parole “Grazie Romano. Però se pensi di mettere giù qualche ricordo dei mesi estivi trascorsi a Pietracamela non mi dispiacerebbe, Un abbraccio”.  E allora l’ho fatto subito, è stata una immersione nel tempo e nei ricordi, un tuffo nel “natio borgo selvaggio” tanto amato nel quale gli immancabili ritorni estivi si sono arrestati, da cinque anni, per il Covid e per problemi familiari persistenti. Poi ho integrato con le storie del nostro “Spoon River” suggerite da mio fratello Salvatore, sempre presente con me nei ritorni estivi e dalla memoria quanto mai lucida per questa rievocazione appassionata.  

Prati di Tivo, Berardino Giardetti al mandolino con Francesco Bonaduce, “Tarantella”, alla chitarra,
a dx Osvaldo Trinetti che canta, a sin. in primo piano la fronte dell’allora piccolo Aligi Bonaduce

Mi viene di citare il poeta.. “per ch’i no spero di tornar giammai, ballatetta, in Toscana, va tu leggera e piana dritt’a la donna mia che ti farà tanto onore.”….  Spero di essere pessimista, comunque  la destinazione non è la Toscana né una donna, ma il grande Pasquale che  con il suo inatteso invito mi ha fatto  tornare spiritualmente e idealmente al mio “natio borgo selvaggio” alle falde del Gran Sasso e non posso che ringraziare immedesimandomi con tanta emozione. Non è una “ballatetta” la mia… ma uno sfogo genuino profondamente sentito con il cuore e con l’animo.

28 luglio 2024

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Pietracamela, un insolito panorama ravvicinato

Info

Si tratta della parte della manifestazione di domenica 28 luglio “Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione a Pietracamela” dedicata alla testimonianza dei paesani sui tempi passati, con il nostro ricordo che è stato letto ai partecipanti. Cfr. i nostri articoli in questo sito, per la cronaca della manifestazione citata, insieme con la “Festa dell’arrampicata”, e per la contemporanea “Riapertura della chiesa di San Leucio”, sempre a Pietracamela, il 10 e 8 agosto 2024. Ai numerosi nostri articoli su Pietracamela si accede, in questo sito, cliccando “Pietracamela” in “cerca”, posto sulla sinistra; qui citiamo solo quelli cui abbiamo fatto riferimento: su Guido Montauti, nel centenario 2018, 1. Il ricordo dell’uomo 13 luglio, 2. L’uomo e l’artista 22 luglio, 3. Dagli esordi alla svolta plastica 29 luglio, 4. Dal periodo parigino alle ‘Pitture rupestri‘ 3 agosto, 5. Dal Pastore bianco all’empireo 11 agosto, 6. Il recupero delle ‘Pitture rupestri’ 19 agosto; 2012, Mostra fotografica su di lui al Grottone 29 agosto (le immagini degli articoli sul centenario sono saltate nel trasferimento a questo sito, saranno reinserite prossimamente). Clorindo Narducci-Angelino 2016, 1. Il ‘suo’ Gran Sasso che domina il ‘nido delle aquile’ 3 luglio, 2. La storia del ‘natìo borgo selvaggio rivissuta con amore 6 luglio (; Bruno Bartolomei- Brunitt In memoria di Brunitt, caduto sul lavoro 2021, 21 maggio ( e 1990 luglio-settembre su “Mondo Edile”) Ginevra Bartolomei-“la Gina” 2024, 1. Il ‘pretarolo’, l’analisi linguistica sui versi della poetessa popolare ‘la Gina’ 3 giugno, 2. I versi della ‘Gina’, la poetessa del ‘pretarolo’: amore per il paese, devozione, umanità. 17 giugno (in questi ultimi due articoli molte altre immagini del centro storico di Pietracamela).

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Pietracamela immersa nel verde, alle falde del Gran Sasso d’Italia

Photo

Le immagini inserite nel testo sono a fini evocativi legate ai ricordi, a parte le 3 foto (di Marta Iannetti) che seguono l’immagine di apertura (di Aligi Bonaduce) su alcuni momenti della manifestazione “Ricordando Marta Iannetti e la festa della fienagione di Pietracamela”; dalla n. 5 alla 9 foto d’epoca (Fondo Aligi Bonaduce), la 10 e la 11 meno antiche (di Salvatore Levante), la 12 sulle Croci abbassate del Monte Calvario (di Romano Maria Levante), dalla 13 alla 17 su Guido Montauti (le 13 e 17 di Aligi Bonaduce, da 14 a 16 di Romano Maria Levante), dalla 18 alla 27, centro storico con la residenza del medico Montauti nell’itinerario pianeggiante verso Porta Fontana la 18, e soprattutto angoli, scalinate e archetti caratteristici, fino alle 28 e 29 con i ruderi del vecchio mulino sul Rio d’Arno e la vicinissima piccola “cavea” per gli spettacoli (tutte di Romano Maria Levante); in conclusione la foto 30 dell’antico parroco don Andrea e le 31 e 32 personali che seguono, più la foto 33 della scampagnata canora ai Prati di Rivo (tutte e 4 di Salvatore Levante); infine 3 panorami, la 34 veduta insolita di Pietracamela (di Aligi Bonaduce), le 35 e 36 immagine panoramica del paese nel verde con il Gran Sasso la prima, il Gigante che dorme o la Bella addormentata al risveglio… la seconda (di Romano Maria Levante). A tuti gli autori delle immagini inserite nel testo, che abbiamo citato espressamente, il nostro più vivo ringraziamento.

Il “Gigante che dorme” o “la Bella addormentata” al risveglio….

Pietracamela, 2. Festa dell’arrampicata e Omaggio a Marta Iannetti

di Romano Maria Levante

Abbiamo dato conto con una “cronaca da remoto” della Riapertura della chiesa madre di San Leucio, l’evento centrale avvenuto a Pietracamela – il borgo appenninico tra i più belli d’Italia alle falde del Gran Sasso – domenica 28 luglio 2024 nel tris di eventi che ci hanno fatto ripensare alla sigla televisiva di tanti anni fa   “una domenica così non la potrò dimenticar ”. Ora diamo conto, sempre “da remoto”, degli altri due eventi della stessa giornata , il precedente e il successivo, che hanno creato un ingorgo festoso. Come nella prima cronaca abbiamo avuto l’apporto decisivo di una paesana impegnata nella valorizzazione del territorio, anche per questi altri due eventi siamo stati aiutati dalle notizie e dalle immagini fornite da due paesani altrettanto impegnati in modi diversi per le fortune della nostra terra, il “natìo borgo selvaggio”.

La “Festa dell’arrampicata”

Il primo evento è stata la 7^ edizione della “Festa dell’arrampicata”, iniziata il 26 luglio e protrattasi per tre giorni, organizzata da “ASD Mondi verticali”, con questo intento di valore non solo sportivo: “Ai piedi del Gran Sasso educazione sanitaria ad alta quota” mediante “Esercitazioni di BLS-D, disostruzione vie aeree, gestione emergenze in montagna”.

Ed ecco il programma: Venerdì 26 luglio, ore 14 Apertura iscrizioni e inizio Maratona, ore 20 Talks – Proiezione con Klaas Willems. A seguire Dj set. Sabato 27,  ore 9,20 Apertura desk, ore 10 MRB tour, ore 12 Highline meeting, ore17,20-18,30  Hata Yoga, ore 20 Talks e proiezione con Roger Schaeli, ore 22  Live music Cuba casual e Dj set. Domenica 28, ore 9,30 Apertura desk, ore 10 MTB Tour, ore 12, Inizio Street Boulder, ore 17,30-18,30 Hata Yoga, ore 17 Termine Maratona, ore 18 Termine Street boulder, ore 19 Finali, ore 20 Premiazioni.

Non ci azzardiamo minimamente nel decrittare le voci del programma, molte delle quali per noi profani sono indecifrabili. Ci piace invece riportare le parole che ci hanno fatto rivivere il clima della manifestazione e vedere partecipanti venuti anche da lontano. Sono di Diana Di Giuseppe – sempre mobilitata nella valorizzazione del territorio diffondendo notizie e immagini suggestive – le abbiamo trovate in un suo Post  del 31 luglio su Facebook, in cui è molto presente. Riportiamo testualmente la sua appassionata descrizione di alcuni momenti della “Festa dell’arrampicata” che l’hanno colpita e ha trasmesso condividendo la propria emozione con queste parole.

“Il paese si riempie di centinaia di ragazzi appassionati di questo sport e quest’ anno le presenze sono aumentate tantissimo.

Per chi non si arrampica, come me, girare nel paese da spettatore è un vero spettacolo.

Oltre a vedere i ragazzi che scalano ogni muro, casa o roccia in posizione verticale è impressionante ed è spettacolare vedere chi attraversa in alto il cavo o filo a tutte le ore del giorno.

Il simbolo della Festa sono i materassini di ogni colore e dimensione portati a spalla dai giovani e meno giovane sportivi da una postazione, attività oppure da una gara a l’altra per tutto il giorno.

In questi tre giorni tutto il territorio di Intermesoli Pietracamela e Prati di Tivo e tutte le attività ricettive, Bar e Ristoranti si riempiono di persone.

In Piazza degli Eroi a Pietracamela le serate vengono animate da musica dal vivo con birra e arrosticini ed è un momento di socializzazione anche per i residenti delle tre località che approfittano dell’occasione di svago.

Era presente anche Elsa, l’Ambulante Fast Food, amica nostra che sosta a Intermesoli durante le nostre Feste.

I partecipanti, che vengono da ogni parte dell’Italia e del mondo…durante la mattina non esitano di farsi una escursione per sentieri e una scalata sulle pareti del Gran Sasso d’Italia..

Grazie e a l’anno prossimo”.

Diana Di Giuseppe

Il tutto documentato da una serie di immagini in cui si vedono le situazioni descritte.

Nella nostra “cronaca da remoto” non aggiungiamo altro ringraziando Diana Di Giuseppe per l’opportunità offertaci con le sue belle parole e le immagini del suo Post su FB che inseriamo nel testo.

 La “Festa della fienagione” nel ricordo di Marta Iannetti

L’evento che ha chiuso la giornata è stato particolarmente intrigante perché l’omaggio a una persona di grande sensibilità è stato collegato a una tradizione campestre della montagna, la “Festa della fienagione” che cadeva nei giorni di luglio sulla quale la persona celebrata aveva fornito una testimonianza appassionata. “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela”  si intitola la manifestazione svoltasi secondo un programma anch’esso intrigante.

Raduno alle ore 18 in Piazza degli Eroi, la maggiore del paese sovrastata da Vena grande, la roccia identitaria che reca ora la scritta “La Prota”, di  lì in 10 minuti di cammino attraverso il paese, da Porta Fontana o dal sentiero delle vecchie mura da poco riaperto i partecipanti hanno raggiunto la meta, la “Piana degli orti”, un angolo delizioso. Alle 18,30 è stato presentato il progetto “a li Pit de Castiégl”(ai Piedi del Castello) e sono stati illustrati i lavori effettuati  per ripristinare i vecchi sentieri comunali e vicinali, dal paese al vecchio mulino, alla chiesa della Madonna della Spina, alla sottostante frazione di Intermesoli, all’altipiano isolato dei Pacini, alle terre e agli orti coltivati.

Protagonista della presentazione Pasquale Iannetti, dell’Associazione Tecnoalp, che oltre ad essere uno scalatore appassionato di queste montagne con molti primati, da sempre è stato impegnato in iniziative di gestione e  valorizzazione con interventi personali diretti di notevole portata, fino alla costituzione della associazione citata nella quale la sua opera assume una dimensione ancora più rilevante. Ed è proprio Pasquale Iannetti che ci ha fornito il testo e le fotografie che ci consentono di documentare la manifestazione essendo la nostra cronaca, lo ripetiamo con rammarico, “da remoto”.

A Marta Iannetti è stata dedicata la parte della manifestazione definita “Donne che crescono”, con l’intervento di Emanuele Di Paolo dell’Associazione Bambun Aps sul contributo di questa donna straordinaria al Gran Sasso e sul progetto “Tramontana”. Si è conclusa con la degustazione di prodotti tipici e vino allietata da musica e balli della tradizione locale, ma prima la testimonianza di alcuni abitanti di Pietracamela che hanno vissuto i tempi andati. C’è stata anche la testimonianza del sottoscritto, sempre “da remoto”, con la lettura di un nostro ricordo, da “pretarolo verace” che ha rievocato i suoi innumerevoli ritorni estivi nel paese natale; Il testo che è stato letto nella manifestazione lo riporteremo prossimamente-

Ora ne riportiamo uno ben più rilevante e fortemente identitario, una conversazione di Marta Iannetti con Lucia Panza  dal libro di Marta Iannetti “Bellina che sei nata alla montagna – Donne, agro-pastoralismo e migrazioni a Pietracamela”, con in primo piano la “Festa della fienagione”: Ecco il testo fornitoci da Pasquale Iannetti, con le fotografie della manifestazione di Maria Iannetti che illustrano questo testo e ringraziamo veramente.

Alla riscoperta della Valle degli Orti (L’tièrr d’ la Prota) di Pietracamela

PitCastiègl’ Ai piedi del castello

foto: Collezione Luca Angeletti (L’Aquila)

T’arraccaunt (Ti racconto)

Da “Bellina che sei nata alla montagna” dialogo di Marta Iannetti con Luigina Panza

…. A marzo, una volta sciolta la neve, gli appezzamenti di terra coltivabile, sparsi lungo le scomode dorsali della montagna, si cominciavano a popolare, chi da un parte, chi da un’altra, chi di più, chi di meno, ognuno lavorava un pezzo di terra di cui era padrone. All’avvio della stagione, per prima cosa si trasportava lo stabbio per concimare la terra, poi si iniziava a zappare. La famiglia di Luigina Panza iniziava a lavorare un fazzoletto di terra in basso, posizionato verso il paese di Intermesoli, detto L’Casarèn. Si arava, si seminava, ci si prendeva cura della fase vegetativa, in un crescendo di attività che raggiungevano l’apice tra luglio ed agosto, con i grandi lavori di mietitura e di fienagione.

La stagione fertile volava, erano mesi concentratissimi dove si faticava incessantemente per strappare alle coste ripide, tutto il supporto alimentare indispensabile per le famiglie e gli animali. Era questo il tempo più faticoso e più intenso, quando gli sforzi estremi di una agricoltura di auto sussistenza non meccanizzata si consumavano sotto il sole tanto atteso dopo la lunga neve. I prati, i boschi ed i campi erano pieni di gente e “SantMartèn t’ l’arcrascia” (San Martino ti faccia ricrescere) si diceva, salutandosi durante il lavoro, perché San Martino è un santo che ti fa ricrescere la roba. La distribuzione dei terreni era altamente irregolare: quelli più bassi, nelle vicinanze del paese, solitamente, venivano destinati alla produzione del necessario per nutrire la popolazione, mentre quelli più alti erano destinati alla fienagione e poi al pascolo.

Una conoscenza intima delle caratteristiche dei terreni permetteva di compiere scelte funzionali, calibrate sulle qualità particolari di ogni pezzetto di terra e ciascuna coltura aveva il suo luogo ideale. L’Casarèn (alle Casarine), più esposte al sole e basse, si mettevano le patate che poi si cavavano a settembre, duravano fino alla primavera ed erano destinate all’alimentazione umana e per i maiali. I ijervcrescevano là agl’ RijArnèl, erano simili a piccoli ceci scuri ai quali, dopo averli ammollati, si aggiungeva la farina di granturco, si mettevano in una canaletta e si davano da mangiare agli agnelli. Era questo un nutrimento importante per gli agnelli svezzati che, a loro volta ben ingrassati, venivano venduti per Pasqua. 

Ai Pit Castièglc’era la giusta umidità per i fagioli sia bianchi che neri insieme alla lonta la lenticchia), che veniva tanto dagne(bella). Luigina ricordava: In quel pezzetto di terra un anno ne raccogliemmo un quintale. Poi si metteva la cicerchia, la revaglia, la veccia, che si consumava cruda come i piselli; si seminavano anche i cereali, grano e orzo. S’m’tévaIaijorvalá agl’ RijArnèl (si mieteva l’erba là al Rio Arnale). Ad agosto l’ rén s’m’tèva (si mieteva il grano) là a l’Ploij, lá a Cagliengh  (a Collelungo) là a L’PischPlèn (Pesco Piano). Si assemblavano I maniuppij (i covoni), si trescava nelle aie ben pulite e si trebbiava con gli asini. Il grano bisognava poi lavarlo, pulirlo, facendo volare la pula al vento della notte in zone strategiche, come lo slargo davanti alla chiesetta di San Rocco.

Si provvedeva anche alla seconda semina d’l’ rènmarzarùol (del grano marzaiolo), una qualità dalla crescita rapida, ma la produzione cerealicola non bastava comunque mai per l’annata e bisognava procurarsene a valle ed erano le donne che scendevano a Ponte Arno, per riportare il grano in paese, a piedi o, chi lo possedeva, con il somarello. L’ordinata geografia culturale vedeva allora il bosco addomesticato sfumare nel mosaico di campi coltivati, c’era un ordine con cui veniva gestito l’ambiente prima, quando il legame essenziale con le risorse circostanti rendeva le terre simili a un libro, una carta geografica, un settebello. Il Comune provvedeva ad organizzare le famiglie in modo tale che i maschi dovevano fornire la disponibilità di dieci giornate obbligatorie per andare a pulire strade e sentieri.

Con questa manutenzione collettiva le strade ed i sentieri erano resi funzionali dagli uomini di ciascuna famiglia cheijévan ad ass’tté l’vuij (andavano ad aggiustare le strade dopo l’inverno). L’fav’cié (il falciare) Il momento culmine del calendario locale, il più intenso tra i ricordi, è quello della falciatura dei prati. All’inizio di luglio tutto il paese iniziava lo sfalcio del fieno necessario a nutrire gli animali in stalla durante l’inverno. (segue)

Note: U RijArnèlsi trova dopo Fonte Monica, verso la casetta Mirichigni.
iJL’casarèn è sotto la chiesa grande; dove ora c’è il parcheggio, sotto la chiesa invece si chiama “u T’rratèr. Ci sono due PischPlèn: uno piccolo sempre sotto la chiesa, l’altro dove sta il monumento a Cichetti, nella valle del Rio Arno. La lenticchia si seminava pure sulle Cannavun, sotto il canale, intorno al Calvario vecchio. Elaborazione dei testi in lingua pretarola di Lidia Montauti.

Ritroviamo Lidia Montauti, nel suo impegno instancabile di natura culturale e organizzativa che abbiamo già sottolineato nell’articolo sull’evento centrale, la riapertura della chiesa di San Leucio, come abbiamo ricordato l’impegno divulgativo e non solo di Diana Di Giuseppe.

Il resto del programma dell’estate 2024 di Pietracamela

A questo punto, rinviando alla prossima pubblicazione il nostro ricordo dei tempi passati che è stato letto nella manifestazione, potremmo concludere, ma pensiamo ancora alla festosa sigla televisiva “Una domenica così non la potrò dimenticar” con cui abbiamo aperto la nostra cronaca, che proseguiva così: “Ed io non so cosa darei per farla sempre ritornar”. Ebbene, a Pietracamela l’amministrazione comunale con il sindaco Antonio Villani e la Pro Loco, l’hanno fatta “ritornar”: giorni così – pur senza il festoso ingorgo del 28 luglio – si sono susseguiti e proseguono nell’intera estate, in un ciclo intenso di manifestazioni culturali, di intrattenimento e non solo che ravvivano il soggiorno nella splendida località dalle grandi bellezze naturali. Basta leggere il programma per il mese di agosto dell’Estate 2024 del Comune: Venerdì 2 agosto, “Enrico Ruggeri in concerto”. Sabato 3, “Cittadinanza onoraria a Stefano Ardito”, Presentzione del libro ‘La vita capita’ di Rosanna Narducci, e “La maglia rossa sulla parete Nord  del Monte Camicia”, documentario di Ferdinando di Fabrizio. Domenica 4, “Inaugurazione mostra fotografica di Aligi e Flavio Bonaduce” e “Festa della Madonnina”. Giovedì 8  “Raffaele Bifulco e Clara Gizzi in concerto”. Venerdì 9, “Presentazione libro ‘Bibliografia del Gran Sasso d’Italia”. Sabato 10 e Domenica 11, “Borgo in Arte”. Giovedì 15, “Festa di  Santa Maria Assunta”. Venerdì 16, “Festa di San Rocco” con concerto. Per il week end 10-11 agosto un affollarsi di eventi che ricorda la domenica del 28 luglio anche quella dell’11 agosto “non la si può dimenticar” E nel mese di luglio, prima dei tre eventi di domenica 28 di cui abbiamo dato conto, c’è stato il 12, 13, 14 l’“Ultra trail del Gran Sasso” e sabato 13 “Letture in piazza”.  Un impegno rimarchevole dell’amministrazione, per la soddisfazione dei locali e del tanti turisti.

Il “cronista da remoto” ne dà atto con piacere da “pretarolo” verace, e nello stesso tempo con il rammarico di non poter partecipare in parte attenuato dall’aver potuto dar conto dei tre eventi di una “domenica che non potrò dimenticar”.

Info

Si tratta del 2° dei 3 articoli dedicati agli eventi di domenica 28 luglio 2024 a Pietracamela – del club Anci “i borghi più belli d’Italia”, alle falde del Gran Sasso – riguardante la “Festa dell’arrampicata” e “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela”. La descrizione del primo evento e’ riportata testualmente dalla pagina di Facebook del 31 luglio 2024 di Diana Di Giuseppe, che ringraziamo; il testo Bellina che sei nata alla montagna” dialogo di Marta Iannetti con Luigina Panza”, alla riscoperta della valle degli orti, ci è stato fornito da Pasquale Iannetti, che ringraziamo. Il primo articolo, sulla Riapertura della Chiesa di San Leucio“, patrono del paese, è uscito in questo sito l’8 agosto, il 3° e ultimo articolo, sui “Ricordi di un ‘pretarolo’ verace, turista estivo” uscirà prossimamente.

Photo

Le prime 9 immagini, sulla “Festa dell’arrampicata”, sono tratte dal Post sulla pagina di Facebook del 31 luglio 2024 di Diana Di Giuseppe, che ringraziamo con gli eventuali altri titolari dei diritti, siamo pronti ad eliminare le immagini delle quali non fosse gradita la pubblicazione, alla semplice richiesta dei titolari, precisando che l’inserimento nell’articolo ha solo scopo informativo senza alcun intento pubblicitario od economico. Le successive 9 immagini, quasi una sequenza cinematografica, relative a “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela”,  sono state fornite da Pasquale Iannetti che ringraziamo, come ringraziamo l’autrice di tali scatti fotografici, Maria Iannetti.

Pietracamela, 1. La riapertura della chiesa di San Leucio al centro di un tris di eventi

di Romano Maria Levante

“Un domenica così non la potrò dimenticar… ”, era la sigla di una trasmissione televisiva di  successo di quasi sessant’anni fa,  potrebbe essere la sigla di  domenica  28 luglio a Pietracamela, il borgo montano alle falde del Gran Sasso. per l’ingorgo festoso di tre manifestazioni  celebrative e identitarie contemporanee:  La “Festa dell’arrampicata”, da venerdì  26 a domenica 28 ha aperto il tris di eventi, “Ricordando Marta Iannetti e l’antica festa della fienagione di Pietracamela” domenica alle 18,30 lo ha chiuso, al centro l’evento religioso  lungamente  atteso, domenica alle 17,30 la Riapertura al culto della Chiesa madre intitolata a San Leucio il giorno della festa del patrono – dopo la chiusura dovuta al terremoto del  6 aprile 2009, un’inagibilità durata ben 15 anni! – con il “ritorno” della statua di San Leucio nella “sua” chiesa portata in processione  dalla chiesa di San Giovanni nel centro storico.

La processione addirittura  ha dovuto fare lo slalom tra i partecipanti  alla “Festa dell’arrampicata”  passando tra “blocchi” ben definiti nel programma. Un ingorgo comunque segno di vitalità e forte spirito identitario di “uno dei borghi più belli d’Italia”, il cui idioma è stato celebrato recentemente a livello nazionale ed europeo, sulla base dei versi in “pretarolo” della poetessa popolare “la Gina”, Ginevra Bartolomei, come abbiamo già documentato, che associamo alla  festeggiata di domenica, Marta Iannetti , altra figura paesana  meritevole di essere onorata.

Nell’assenza forzata  da un evento  evocativo di tanti   momenti  vissuti nel paese natale, per la nostra cronaca “da remoto” ci avvaliamo dell’apporto fondamentale, anzi totale – senza il quale non avremmo potuto scriverla – di chi ha partecipato direttamente e fattivamente all’evento.   Lidia Montauti, sempre impegnata nella valorizzazione del territorio, dalle mostre sui costumi di una volta curate dieci anni fa con Celestina De Luca, all’attuale mobilitazione per l’idioma della “Prota”, anche con iscrizioni bilingue, ci ha fornito  le notizie e le immagini riprese nella processione di San Leucio e nella chiesa madre riaperta al culto. Raffaele   Renzi ci ha dato a sua volta una colta sintesi della storia della chiesa di San Leucio, dalle più antiche vestigia agli sviluppi successivi, risultato della ricerca svolta con il nipote Marco Intini . Un grazie di cuore ad entrambi che ci hanno consentito di dar conto dell’’evento,  e di sentirci virtualmente partecipi di un qualcosa profondamente sentito anche da noi.

Ecco le notizie essenziali fornite da Lidia Montauti.  Molti hanno contribuito all’evento, oltre alle autorità civili e religiose tanti paesani, come Paolo Trentini che si è mobilitato, Diana di Giuseppe e Massimo di Taranto. La messa celebrativa è stata officiata dal vescovo S. E. R. Lorenzo Leuzzi, la Comunità pretarola , con il sindaco Antonio Villani in fascia tricolore, insieme ai turisti, si è riunita nella Chiesa madre dopo la processione con cui è stata riportata nel suo altare  la statua di San Leucio dalla chiesa di San Giovanni dove era stata spostata dopo il terremoto del 6 aprile 2009.  E qui risaltano alcune particolarità: l’altare è stato ornato con fiori di colore arancione per conservare una tradizione  intrigante, legata alla fioritura, nella parte alta dei Prati di Tivo, proprio nei giorni della festa di San Leucio, di bellissimi gigli selvatici arancioni chiamati appunto “i giglie de  Sante Leuzzije”, che venivano messi a ornamento dell’altare come  non si è mancato di fare alla riapertura, sono fiori oggi regolarmente in vendita dal fioraio. Lidia precisa: “I portafiori erano conche di rame, tipiche di quando si andava a prendere l’acqua a Porta fontana”. E aggiunge: “Le poche voci femminili pretarole , accmpagnate dlla chitarra di Massimo Di Taranto, hanno animato la Messa. A fine Messa un ricco rinfresco preparato dalle donne di buona volontà, in primis Diana Di Giuseppe, ha concluso la bella festa nel sagrato della chiesa”. Hanno scosso i cuori il rintocchi a festa delle 4  campane, rimaste silenziose per 15 anni, mosse da appassionati campanari, Franco De Santis,  Reno, Claudio, Gianluigi, e Paolo Di Furia; come sempre in passato, la Comunità è accorsa e si è unita al richiamo fesstoso e coinvolgente.

Ed ora, dopo le notizie sulla cerimonia di riapertura, illustrate dalle immagini, la storia della Chiesa di San Leucio con i risultati della  ricerca svolta in poche ore da Raffaele Renzi insieme al nipote Marco Intini – su richiesta del parroco Don Giacobbe, tramite l’onnipresente Lidia Montauti – consultando i testi disponibili e riesumando racconti ascoltati negli anni dagli abitanti di Pietracamela che si tramandavano a voce ricordi di tempi lontani. Ecco il testo integrale fornitoci da Raffaele Renzi.

Breve storia della chiesa di San Leucio a Pietracamela

di Raffaele Renzi e Marco Intini

1. Una pergamena del secolo XIII, per la nomina dei Parroci, conservata nell’Archivio   dell’Archidiocesi di Pescara-Penne, fa riferimento a una Chiesa di San Leucio (rif. a, pag. 64). Tale chiesa non si sarebbe trovata nel luogo attuale ma in una località più lontana, chiamata “S. Leutii de Petra”, che dovrebbe essere identificata con le terre che si distendono tra la Centrale di Collepiano e la curva della S.P. per Rio Arno chiamata “La Roccia”.

Alcuni abitanti di Pietracamela raccontano ancora oggi che, in passato, esistevano tre centri abitati separati, posti in luoghi diversi da dove oggi sorge il paese. Oltre al complesso di San Leucio, collocato come sopra descritto, esisteva quello di Plicanti e quello di Rio Ruso, collocati dove oggi esistono ancora i terreni con questi nomi. Poi nel tempo gli abitanti di  queste località si erano trasferiti, forse per scopi difensivi, dove è sorta l’attuale            Pietracamela, e la chiesa di San Leucio ha dovuto seguire lo stesso spostamento.

2.   Dell’antica Chiesa su “La Roccia” si riparla nel 1324 in un documento (rif. b) in cui si menziona che “S. Leutii de Petra” pagava le decime papali. Il successivo riferimento a una Chiesa con questo nome riguarda una visita pastorale del 1757 (rif. a, pag. 64) e poi se ne riparla quando fu costruita la Chiesa presente, tra il 1776 e il 1780, quando ormai tutta o quasi tutta la popolazione si era trasferita dove è ora.

3.   Dunque non si hanno riferimenti sugli eventi che hanno accompagnato la storia di questa Chiesa tra il 1324 e il 1757. Ma tali eventi si possono ricostruire, con buona approssimazione, da una relazione del 14 agosto 1860. Allora la Chiesa attuale era stata costruita da ottant’anni e necessitava di ristrutturazioni. Di conseguenza era sorta la necessità di definire quale ente (Comune, chiamato “Universitas” negli atti ufficiali, o la Curia) dovesse sobbarcarsi i costi dell’impresa.

 

Con quella data esiste una relazione a firma del Vescovo di Penne Vincenzo d’Alfonso (rif. a, pag. 69) al Ministro e Real Segreteria di Stato degli Affari Ecclesiastici in cui si ricordano le vicissitudini della Chiesa scrivendo “….Quanto poi alla Chiesa è da sapere che, esistendo essa in origine alla distanza di quasi due miglia dall’abitato (che era ormai l’attuale  Pietracamela, formatasi tra il 1300 e il 1700 con il trasferimento degli abitanti dei tre agglomerati sopra citati, che a poco a poco scomparvero, n.d.s.), per infrequenza del popolo fedele e per mancata custodia, andò in totale deperimento sì che di presente non ruderi ma  solo memorie esistono del luogo dove la medesima una volta era piantata. Fu quindi che sorse il bisogno a quella popolazione di costruirsi un’altra Chiesa ed è appunto quella per cui si reclamano oggi sollecite riparazioni. L’università …….la costruì. Di tal fatto rende chiara testimonianza una lapide posta sopra la porta della Chiesa medesima dov’è scritto   – Tempore Preposite Rev. D. Francisci de Lauretiis anno domini 1780  Universitas-“.

4. La Chiesa fu quindi costruita in questo luogo in sostituzione di quella de  “La Roccia”. E’   probabile, secondo alcuni, che prese il posto di una preesistente costruzione (rif. a., pag. 65).

5. Dal rif.a, pag. 65, si sa che il 3 luglio 1776 il cancelliere dell’Università Saverio Narducci sottoscrisse un verbale su pubblico bando ….per assegnare …. i lavori per la fabbrica della Chiesa e, il 9 luglio 1776, venne stipulato l’atto notarile con l’assegnazione dei lavori ai “fabricatori” di Montorio, Diego Roberti e Egidio Massari. Il prezzo fissato fu di 659 ducati   e 50 grana.

6.  I lavori si conclusero nel 1780 come indicato sulla lapide già citata, murata sulla facciata. La Chiesa costruita era a tre navate, come l’attuale, ma la volta della navata centrale era a botte. Di conseguenza anche la facciata era sormontata, al centro, da una struttura circolare e non triangolare.

7. A cavallo degli anni 1950-1960, la volta della navata centrale fu cambiata e divenne a spioventi, come è adesso, e, di conseguenza il frontone centrale della facciata divenne triangolare.

Riferimenti:

a. Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche: “PIETRACAMELA: storia, arte, vita, economia” Ed.    APRUTIUM 2000;

b. “Rationes decimarum Italiae: Aprutium Molisium – secoli XIII-XIV” (da ricerca su Internet).

Pietracamela, 28 luglio 2024″

Da parte nostra ci sentiamo di aggiungere soltanto che il campanile da tempi lontani in parte è in pietra e in parte in mattoni, ci ha sempre sorpreso questo abbinamento inconsueto dovuto a una antica ricostruzione parziale, chissà perchè non fu utilizzata la pietra con cui è realizzata l’intera chiesa, e crediamo fosse reperibile in loco, ma usarono i mattoni! Concludiamo con questo piccolo mistero la rievocazione della bella festa religiosa, identitaria e popolare.

Info

La Chiesa di San Leucio, patrono di Pietracamela, si trova all’ingresso del paese sulla provinciale da Ponte Arno, ha una torre campanaria con 4 campane. Le altre chiese: nel centro storico, la Chiesa di San Giovanni con la campana che scandisce le ore della giornata, e la Chiesa di San Rocco nella parte superiore del paese, nella strada verso l’antico mulino, la Chiesa di Collemulino,, completamente in rovina. Il testo sulla storia della chiesa di San Leucio, riportato integralmente, ci è stato fornito dall’autore Raffaele Renzi (con il nipote Marco Intini) che ringraziamo. Cfr. i nostri articoli in questo sito: sulla storia di Pietracamela e i ricordi di Clorindo Narducci, “La storia del ‘natìo borgo selvaggio’ rivissuta con amore” e “Il suo Gran Sasso, che domina il ‘nido delle aquile” 5 e 3 luglio 2016; sulla poetessa di Pietracamela, citata all’inizio, “I versi della ‘Gina’, la poetessa del ‘pretarolo’, amore per il paese, devozione, umanità” e “Il ‘pretarolo’, l’analisi linguistica sui versi della poetessa popolare, ‘la Gina’” 17 e 3 giugno 2024; sulle mostre a Pietracamela sui costumi di una volta, anch’esse citate, curate da Lidia Montauti con Celestina De Luca, “Una mostra sui bambini di una volta” e “Le mostre sulla vita di ieri: lo sposalizio” 14 agosto e 17 luglio 2014.

Foto

Le prime 3 foto sono della chiesa di San Leucio pronta per la riapertura, nelle foto da 4 e 6 la statua di San Leucio viene presa dalla Chiesa di San Giovanni per essere riportata nella Chiesa madre con la processione – in testa il parroco Don Giacobbe, segue la Comunirà con il sindaco Antonio Villani in fascia tricolore – alla quale sono dedicate le foto dalle 7 alla 10; la ricollocazione della statua del Santo fino alla sua nicchia è nelle foto 11 e 12, mentre la foto 13 mostra in primo piano i “giglie de Sante Leuzzije” che come da tradizione adornano la chiesa in onore del Santo, infine, nella foto 14 un’immagine d’epoca della chiesa di San Leucio con il campanile nel lontano passato, e, in chiusura, la locandina delle manifestazione religiosa. Le immagini citate inserite nel testo sono state fornite da Lidia Montauti, che le ha scattate, a parte la foto 7 scattata da Tiziana Giganre, che la ritrae (a dx) con a fianco Maria e Lola mentre dalla chiesa di San Giovanni vanno verso la piazza per seguire la processione e la 14 tratta dal libro di Clorindo Narducci su Pietracamela di cui abbiamo citato in “info” la nostra recensione illustrata con le immagini contenute nel libro tra cui quella della chiesa di San Leucio. Ringraziamo Lidia Montauti per averci consentito la cronaca dell’evento, con le notizie essenziali che abbiamo riportato nel testo, e la sua illustrazione fotografica con le immagini che ci ha trasmesso.

Crognaleto, la Fiera della Pastorizia: tradizione, cultura e forza vitale nella montagna abruzzese

di Romano Maria Levante

Ieri 6 e oggi 7 luglio 2024 si svolge in Abruzzo, a Piano Roseto nel comune di Crognaleto, provincia di Teramo, la 169^ Fiera della Pastorizia, una manifestazione antichissima con la partecipazione di istituzioni, associazioni e soprattutto di operatori dl settore, imprese allevatrici, e singoli pastori con la presenza anche dei veri protagonisti., greggi di pecore, ecc. Oggi ripubblichiamo il nostro articolo sulla Fiera del luglio 2009, uscito allora sul sito “cultura.inabruzzo.it”, nel quale abbiamo inserito immagini più recenti. Erano trascorsi solo tre mesi dal disatroso terremoto, fu una prova molto positiva di grande vitalità deglla terra d’Abruzzo.. Un “come eravamo” dopo quindici anni che potrebbe far confrontare la realtà di allora – diversi protagonisti non ci sono più, come il compianto commissario al Parco Nazionale Arturo Diaconale – e la realtà di oggi vissuta dai partecipanti attuali.

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– 6 luglio 2009 – Postato in: cultura.inabruzzo.it , Cultura tradizionale, Culturalia, Eventi

Sentir parlare di cultura nel cuore dei Monti della Laga è stata una bella sorpresa nella giornata conclusiva della “151^ Fiera della Pastorizia” svoltasi tra Teramo, San Giorgio e Piano Roseto, nei comuni di Crognaleto e Cortino, tra il 2 e il 5 luglio 2009. Come è stata una bella sorpresa sentir parlare in un certo modo del Parco nazionale Gran Sasso Monti della Laga.

Prima di arrivare alla giornata conclusiva che abbiamo seguito direttamente per dare la sintesi finale e il messaggio politico, vogliamo rendere conto brevemente delle due precedenti.

La prima giornata si è svolta a Teramo con un Convegno nella mattina del 2 luglio presso la Camera di Commercio aperto dal presidente Di Carlantonio, organizzatore dell’intera manifestazione insieme a Febbo, assessore all’Agricoltura della Regione Abruzzo e ai sindaci di Crognaleto D’Alonzo e di Cortino Minosse. Si è discusso dell’economia dell’allevamento ovino, in particolare dei consorzi di tutela, dei marchi di qualità e della sicurezza alimentare, argomento questo di grande attualità anche per la contraffazione e l’adulterazione della denominazione di origine, all’ordine del giorno anche dell’imminente G8 dell’Aquila. Le conclusioni le ha tratte l’Assessore regionale.

Il 4 luglio a San Giorgio, frazione di Crognaleto – nella sede della Pro loco che con il presidente Campanella ha dato un apporto fondamentale all’organizzazione – si è svolto un intenso pomeriggio aperto dal 3° Concorso sui “Formaggi della Transumanza”, cioè “Formaggi Ovini e Caprini Rocca Roseto”, proseguito poi sullo stesso tema con il “Laboratorio del gusto, pecorini e caprini”. Dal gusto si è passati alla memoria con l’apertura del Museo della pastorizia e di un Mostra fotografica; i tratturi e la transumanza ne sono stati al centro, anche con racconti e rievocazioni dal titolo poetico “Presso gli stazzi con i pastori sotto le stelle”; nella serata il folklore di Rappoppò con altri artisti.

Le due sorprese della giornata conclusiva

La giornata del 2 luglio ha visto entrare in scena i protagonisti dell’arte della pastorizia, i pastori e le pecore. E in modo operativo, quasi fosse il teatro delle operazioni e non una kermesse. All’alba l’alloggiamento degli animali negli stazzi, poi la Santa messa con la Preghiera del pastore seguita dal Raduno Ufficiale del Cane Pastore Maremmano Abruzzese scritto in tutte maiuscole, se lo merita. Quindi, in successione, la visita guidata agli stazzi con la valutazione delle razze ovine e caprine presenti da parte di un’apposita commissione. Una specie di Miss Italia a quattro zampe e un bel manto lanoso anche in piena estate. La premiazione dopo gli interventi delle autorità.

A questo punto, nella parte che doveva essere rituale, quella riservata alle autorità all’interno di un grande tendone ben attrezzato, ci sono state le due sorprese cui si è accennato, a noi molto gradite. Forse c’è del personale in questo portare alla ribalta di una manifestazione così ampia e partecipata questi due elementi, ma ci sembra abbiano rappresentato il vero momento innovativo. Il merito va ai due personaggi di spicco intervenuti insieme a uno stuolo di autorità, non per una partecipazione di circostanza ma per lanciare precisi messaggi cui non mancheranno iniziative concrete. Sono il Sottosegretario all’Interno Michelino Davico e il Commissario del Parco nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, Arturo Diaconale: il primo arrivato da Cuneo, di cui è originario (anzi è della rurale Bra), con un blitz che la dice lunga sul suo dinamismo e la sua passione per la montagna; il secondo, famoso e combattivo direttore-giornalista originario di Montorio al Vomano, di Teramo.

E’ qui la festa! Abbiamo esclamato come se avessimo conquistato una vetta dopo la scalata. Una festa del popolo montanaro, ancora vivo e vitale nonostante la decimazione subita con l’esodo. E comparso miracolosamente, quasi materializzandosi nella piana, dopo che l’attraversamento dei Monti della Laga si era svolto in assoluta solitudine. Abbiamo avuto questa impressione e ci è piaciuto sentire il Senatore Davico descriverla all’inizio del suo intervento come propria sensazione, non sapeva dove potesse portare quella strada deserta tutte curve in continua ascesa imboccata lasciando la “Strada Maestra” del Parco nazionale. Tanto meno a un campus così vivo e stimolante.

Spiegare il motivo personale è semplice per il riferimento alla cultura, ci eravamo recati alla Fiera nella convinzione di assistere a un fatto culturale che la nostra Rivista non poteva ignorare, e così è stato, ma si è superata ogni nostra aspettativa. E non é stato semplice restare a Piano Roseto per la pioggia battente e la nebbia fitta e pungente; come non era stato facile arrivarci, la località non é indicata né sulla carta stradale né sui cartelli, abbiamo capito di essere giunti alla meta solo dalla lunghissima fila di auto in sosta che abbiamo superato fino a quando si è aperto dinanzi a noi lo sterminato pianoro verde punteggiato di stazzi di pecore per la Fiera e di un’infinità di stand.

Il motivo personale per il Parco nazionale è più soggettivo, perché avevamo avuto modo di verificare, in negativo, l’impostazione passata dell’azione e iniziativa del Parco per cui ci è apparsa come una palingenesi e autentica soddisfazione quella che il nuovo Commissario intende dare.
Parliamo allora di queste due sorprese, che hanno chiuso praticamente la manifestazione, perché ci danno una chiave di lettura privilegiata per vederne i vari risvolti in una luce particolare.

Il “comunalismo” del sottosegretario Davico

Dunque, ecco il sottosegretario venuto da lontano dopo avere mostrato, nella concitata fase post terremoto, un interesse inconsueto chiedendo di incontrare gli amministratori dei Comuni limitrofi al “cratere” epicentro del sisma – anch’essi fortemente colpiti pur senza avere lo stesso riconoscimento dato agli altri Comuni – e di toccare con mano i problemi del territorio. Lo ha sottolineato il sindaco di Crognaleto, il Comune ospitante, D’Alonzo, impegnato in un confronto con le istituzioni centrali perché siano considerati in modo più adeguato i gravi danni subiti dalla sua comunità; e perchè si possa rimediare alla devastazione anche culturale che il sisma ha arrecato al concetto stesso della montagna e della sicurezza della “casa in pietra con il tetto in legno”, sede di tradizioni e di memorie personali e collettive da difendere. Il suo impegno nell’opporsi alla chiusura indiscriminata delle scuole montane di cui al decreto Gelmini, che porta all’abbandono del territorio, è tale da riprendere la parola per sollecitare un intervento del sottosegretario al riguardo.

Il senatore Davico ha detto subito che non è venuto per raccogliere istanze e richieste particolari ma per far sentire lo Stato non come entità astratta e lontana ma reale e presente. Poi è partito da lontano, come nel viaggio da Cuneo, dalle origini della crisi finanziaria nei derivati e prodotti tossici con i quali si sono cercate scorciatoie fallaci al lavoro serio e onesto per costruire qualcosa di stabile, duraturo e non effimero come le ricchezze accumulate all’improvviso facilmente e poi svanite con la stessa rapidità e facilità. Il lavoro serio e onesto porta al territorio e alle comunità che lo popolano, alle radici e alle tradizioni. Con tutto questo ci si deve confrontare per far venire alla luce i problemi e cercare di risolverli, mediante la verifica sul luogo, l’ascolto di comunità e amministratori, il confronto fino alla decisione. “Le eccellenze produttive nel territorio sono valori importanti che hanno fatto cultura, questa è cultura. Dovrebbero essere sostenute dal Ministero dei Beni e Attività culturali perché tali vanno considerate, invece di disperdere risorse in iniziative spesso inutili. La vera cultura è quella della gente, del territorio con i suoi valori e le sue produzioni che vengono dalla tradizione”.

Il sottosegretario ha rimarcato che essere al 151° anno vuol dire per la Festa della pastorizia custodire un grande patrimonio, entrare nella storia; concetto ripreso dal presidente Rainaldi della Camera di commercio dell’Aquila – per le cui vittime c’è stato un minuto di silenzio oltre a ripetuti omaggi – che orgogliosamente ha rivendicato i 50 anni dell’omologa manifestazione aquilana gemellata a quella teramana, osservando “forse noi abbiamo cominciato a registrarle più tardi…” con una battuta identitaria quasi a voler rivalutare una memoria atavica oltre le statistiche ufficiali.

Per difendere questi valori occorre battersi e Davico lo ha fatto a favore delle scuole nella montagna, la cui chiusura accelera lo spopolamento, anche in un caso limite che ha ricordato dove da quattro si era passati a un solo alunno che però consentiva di mantenere in vita una cultura millenaria, quella Provenzale alla base dei nostri valori. “Quando sparisce una cultura millenaria – ha detto – dietro cui ci sono valori, memorie, prodotti tipici, modi di essere, sparisce una parte della nostra storia che può essere importante e va mantenuta”.

Abbiamo capito che non si tratta di scivolare nel pittoresco, c’è un convincimento profondo dove tutto si tiene, memoria e tradizioni, identità e consapevolezza, il tutto riassunto nella cultura e radicato nelle persone, nel territorio. Lo ha chiamato “comunalismo”, la forza dei sindaci e dei territori, in definitiva della gente e dei valori, si deve confrontare con gli interessi generali per trovare un punto di equilibrio. Ma occorre una mentalità nuova, la partenza dal basso con la ricomposizione in alto, previo ascolto e partecipazione per il confronto e la decisione. Ha fatto una promessa, di tornare il prossimo anno, spera con il Ministro delle risorse agricole Zaia.

Non potevamo non chiedergli, al termine, un messaggio particolare per i nostri lettori, dopo avergli manifestato la condivisione per aver messo la cultura al centro dei valori espressi dal territorio. Il suo messaggio, ci ha detto, è che “dietro ogni prodotto, ogni attività, c’è molto di più della lavorazione e della tecnica che lo ha generato, c’è la tradizione e la memoria, l’azione degli amministratori e l’iniziativa dei cittadini, l’economia locale e anche la lingua locale, c’è la cultura”. E come sigillo ci ha dettato lo scritto di Cesare Pavese che rende poeticamente tale concetto: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle case, nella terra, c’è qualcosa di tuo che anche se non ci sei resta ad aspettarti”. Ebbene, oltre a Bra, aspetterà Davico anche Crognaleto.

L’impegno del Commissario al Parco, Diaconale

Ed ecco il Commissario del Parco che viene da vicino, Arturo Diaconale è originario di Montorio al Vomano, abbiamo detto, dove ogni anno c’è la manifestazione “La vetrina del Parco”, anche se la vita professionale di grande giornalista costantemente impegnato sulla trincea dei valori liberali lo ha tenuto lontano dai luoghi nei quali sonno rimaste le sue radici da lui, peraltro, sempre coltivate e che ora sono la maggiore garanzia per una azione appassionata oltre che dinamica ed efficace.

Diaconale ha detto subito di voler cogliere l’occasione per formulare dinanzi alle istituzioni locali presenti i suoi primi orientamenti sulla gestione del Parco dopo la recente nomina. E ha ricordato come nel parco Gran Sasso Monti della Laga, come in tutti gli altro parchi nazionali, la linea seguita in passato è stata “la difesa del territorio con effetti positivi che hanno impedito devastazioni ma hanno incontrato anche le resistenze delle popolazioni locali, perché con la sola conservazione della natura si perde la consapevolezza che ci vivono anche le persone”. E’ seguito subito il nuovo orientamento politico e gestionale: “Va chiusa una fase dell’ambientalismo per aprirne una nuova basata sulla collaborazione con chi vive nel territorio”.

Questa esigenza appare rafforzata dopo il terremoto che induce l’intero Abruzzo, “regione verde d’Europa”, a riflettere su come procedere nella nuova situazione che si è creata. Dove ci sono gli aspetti tragici delle vittime e quelli dolorosi delle sofferenze e delle perduranti tensioni; “ma anche aspetti positivi da considerare, senza che questo possa essere considerato cinismo”.

E li ha così precisati: “Sono caduti alcuni stereotipi sugli abruzzesi che venivano accomunati a un deteriore lassismo meridionalista mentre hanno dimostrato di essere forti e tenaci, dignitosi e capaci. Si sono accesi dei riflettori sulla nostra Regione, finora poco conosciuta, che con il G8 all’Aquila entrerà nelle case di tutti in ogni parte del mondo”.

L’effetto congiunto di questi due aspetti dà opportunità che vanno utilizzate adeguatamente per un rilancio alla grande secondo modelli e dimensioni finora non proponibili: “Il Parco – ecco l’impegno programmatico – svolgerà un’azione di stimolo per iniziative che mantengano piena visibilità alla nostra Regione, aspetto prioritario perché dopo il G8 non ci sia un ritorno al passato”. L’impegno è notevole per una minaccia grave: “Il Parco vuole collaborare con le popolazioni, il pericolo da evitare è che dopo il terremoto si formi una nuova ondata di esodo, e si vada verso il totale spopolamento”. E ha concluso con un’espressione efficace e un impegno preciso: “Una montagna spopolata è una montagna degradata, il Parco intende impedire che ciò avvenga”.

Come con il senatore Davico alla fine della manifestazione abbiamo parlato con il commissario Diaconale, ricordandogli che nella ricerca del Censis sui territori di eccellenza, di cui abbiamo dato conto sulla Rivista, quelli abruzzesi si contano sulle dita di una mano, ma il Gran Sasso figura, forse unico tra tutti, tra gli “eccellenti” in due categorie su tre (nell’accoglienza e nell’innovazione tecnologica, la terza è l’eccellenza produttiva). Grandi sono, quindi, le responsabilità del Parco, che in sostanza ha il “governo” di questo territorio di duplice eccellenza. Ha ribadito che “impegno primario del Parco sarà promuoverlo sul piano nazionale e internazionale. Il solo difetto di questo territorio di eccellenza è di essere poco conosciuto. Questo per raggiungere il risultato più importante a cui l’azione del Parco sarà rivolta, quello di evitare lo spopolamento”. A questo si procederà, ha concluso, “con il diretto coinvolgimento delle istituzioni locali. Oggi è solo l’inizio”.

Il Ministero dei beni e attività culturali, convitato di pietra

Vogliamo collegare le due posizioni, che hanno costituito per noi la piacevole sorpresa, quella del sottosegretario Davico incentrata sulla valorizzazione della cultura del territorio in cui si ricomprendono i suoi valori, compresa la lingua, e le sue produzioni; e questa del Commissario al Parco Diaconale che affida alla visibilità a livello nazionale e internazionale, del territorio ora rivalutato per la sua tenuta di fronte alla tragedia, la possibilità di evitarne il deleterio spopolamento. Ci sembra di poter trovare un denominatore comune nella cultura e nei valori, nelle tradizioni e nella memoria, base dell’identità come matrice positiva e della visibilità come strumento di rilancio.

Ci viene in mente che tutto questo sembra in linea con le tesi elaborate dal Censis, a seguito di accurate indagini di campo nelle realtà territoriali, sulla necessità di un’azione calata sui singoli territori per coglierne le peculiarità che sono risultate, insieme al coinvolgimento delle istituzioni e associazioni locali ritenuto necessario anche da Diaconale, il maggiore fattore di resistenza alla crisi, anche nei territori che non rientrano tra le “eccellenze” nella produzione, nell’accoglienza, nell’innovazione tecnologica.

E ci sembra in linea anche con il nuovo orientamento del Ministero dei Beni e Attività culturali, chiamato in causa dal senatore Davico, di spostare l’interesse dalla difesa statica dei “beni” alla promozione dinamica delle “attività” culturali, anche attraverso la loro “circolazione”. Di esse fanno parte le attività alle quali il sottosegretario si riferiva, riassunte in ciò che è espressione delle tradizioni a loro volta prodotto della cultura di un popolo; e anche la visibilità nazionale e internazionale richiesta dal Commissario al Parco Diaconale richiede la promozione di tali attività affinché possano “circolare”, come si è fatto con la mostra itinerante negli Usa del “Trittico del Maestro di Beffi” per la raccolta dei fondi in aiuto ai terremotati d’Abruzzo.

L’impostazione del Ministero non è soltanto un orientamento astratto, si è concretizzata proprio nei mesi successivi al terremoto in tante iniziative di ampio respiro, come la Giornata della musica popolare che ha visto a Roma, nella cornice di Piazza di Spagna, corali, bande musicali e gruppo folklorici da ogni parte d’Italia (quattro dalla zona terremotata dell’aquilano) seguita dalla Giornata delle diversità culturali, e dalla Giornata della musica, sulla base del concetto della “circolazione” e del confronto tra identità come premessa a un accrescimento culturale nell’interesse di tutti.

Se questa costruzione non é instabile e velleitaria si potrebbe fare della montagna abruzzese, che ha nel Gran Sasso la fascia di eccellenza riconosciuta dal Censis, il territorio nel quale calare in termini operativi gli orientamenti appena esposti tenendo conto che si dispone di uno strumento straordinario di governo come il Parco Nazionale in aggiunta alle istituzioni locali che agiscono in sintonia e con un coinvolgimento continuo.

Il tavolo degli oratori all’incontro conclusivo a Piano Roseto ne era la manifestazione visiva, le dichiarazioni d’intenti collaborativi l’intento espresso. C’erano rappresentati, oltre alla Camera di Commercio di Teramo, organizzatrice, con il suo presidente che ha diretto i lavori, e quella dell’Aquila, la Regione, la Provincia, il Comune e l’Università di Teramo – con il prof. Carluccio che ha chiesto espressamente di utililizzarne le competenze di eccellenza in particolare nella Veterinaria – nonché il Prefetto dott. Camerino, che ha simpaticamente ricordato le sue origini foggiane e come la sua terra sia di pianura ma anche di montagna con l’Appennino Dauno, e fosse legata all’Abruzzo dall’atavica transumanza.

C’erano anche Zachetti del B.I.M., Di Pasquale del Consorzio agrario provinciale, Di Pietro del Ruzzo reti, e tanti rappresentanti di Associazioni professionali e di categoria.

I presupposti dunque ci sono, per quel coinvolgimento che fa la forza di un territorio, e la volontà politica anche, lo abbiamo registrato dagli impegni assunti. Ora occorre partire con un programma concreto. E’ troppo chiederlo ai protagonisti dell’incontro e al convitato di pietra evocato da Davico? Da parte nostra ci impegniamo a seguire attentamente, e appassionatamente diremmo, quanto verrà promosso, e anche quanto dovesse venire omesso, e a darne conto ai lettori.

Lo svolgimento della manifestazione a Piano Roseto, una festa popolare.

L’attenzione che abbiamo dedicato alle due “sorprese” non deve far pensare che si sia riassunta in esse la sostanza della festa, tutt’altro. Perché entrambe convergono nel porre in primo piano, anche rispetto alle bellezze naturali, figurarsi ai discorsi politici, la gente con le sue tradizioni e le sue memorie, insomma la sua cultura. Che si esprime a livello popolare sotto tutti gli aspetti che la rendono riconoscibile, anche identitaria ma aperta al confronto fecondo e alla contaminazione reciproca.

E come si esprime lo abbiamo visto all’opera in una giornata in certi momenti di tregenda per il temporale che si scatenava a tratti e la nebbia che avrebbe raffreddato ogni entusiasmo. Non l’entusiasmo dei convenuti alla Fiera della Pastorizia. Un territorio senza la sua gente è “bello senz’anima” come scrivemmo al precedente Presidente del Parco senza ottenere risposta, e oggi l’anima è emersa in una passione e vitalità che ha vinto anche le intemperie. Ma “la montagna è anche questo”, è stato detto, anzi “la montagna è questa”. E bisogna essere forti e fieri che sia così.

Non di solo entusiasmo si è trattato e neppure di una semplice festa ma di una consacrazione. Del lavoro compiuto nell’anno, espresso dagli splendidi esemplari ovini raggruppati in un gran numero di stazzi con le iniziali marchiate sulla lana e intorno i protagonisti dei loro allevamenti. Ci vorrebbe una competenza specifica per valutarli oppure più tempo per cercare testimonianze, ma non sarebbe neppure il momento, sono impegnati vuoi nelle discussioni e contrattazioni, vuoi negli attestati ai più meritevoli, ricevuti dopo le valutazioni dell’apposita commissione in una lunga giornata iniziata alle sei del mattino, vuoi in libagioni e pasti calorici per scacciare il freddo della nebbia.

Ci basta rendere conto della manifestazione nei suoi aspetti popolari, con un’organizzazione che è riuscita a sopperire al repentino mutamento delle condizioni climatiche con presidi e accorgimenti di emergenza che hanno consentito di attuare il programma prefissato. Un vero miracolo tenendo conto che non c’era alcun presidio fisso ma solo le tende e le strutture apposite montate per l’occasione e forzatamente precarie.

Una fila ininterrotta di “stand” ciascuno dei quali presentava una produzione tipica con esposizione e succulenti assaggi rappresentava la lunghissima quinta laterale della grande rappresentazione. Il campo era occupato dagli stazzi degli ovini selezionati e non mancavano i richiami comuni alle feste popolari: il complessino con costume e musica tradizionali, le rivendite presenti in ogni fiera e manifestazione, tutti elementi che concorrono al carattere popolare e per questo non vanno sottovalutati ma al contrario valorizzati.

I posti di ristoro, pur nella situazione di emergenza data dagli scrosci di un acquazzone intermittente ma pervicace hanno funzionato bene, gli arrosticini come le porchette, i formaggi come i vini, venivano sfornati in continuità e gli equilibrismi tra le zolle verdi e il fango dilagante riuscivano miracolosamente, anche per l’uso di provvidenziali passerelle come per l’acqua alta a Venezia.

Nessuno scoramento, nessuno sbandamento né da parte di chi forniva i servizi in condizioni difficili né da parte di chi ne usufruiva esposto all’inclemenza del tempo. La consolazione per tutti era la frase che abbiamo già riportato – detta anche dal sindaco di Crognaleto nel suo pur breve intervento, iniziato nel diluvio e concluso nel sole – “questa è la montagna”, che riportava a normalità quella che aveva tutta l’aria di essere un’emergenza. E nella normalità della montagna che può essere inclemente ci si adattava con pazienza chiamando a raccolta le doti di inventiva e l’arte di arrangiarsi; e anche la solidarietà e la collaborazione nel dividersi panche e tavoli divenuti poco affidabili e poco gestibili ma ciononostante utilizzati al meglio senza incidenti.

Un’altra manifestazione, per fortuna dinanzi a un’inclemenza della natura del tutto innocua, di quel carattere forte e dignitoso che sa affrontare le avversità, balzato in tutta evidenza con il sisma distruttivo e che siamo certi si manifesterà anche nella ricostruzione alla ripresa di una vita normale.

Photo (aggiornamento)

Le immagini non riguardano la 151^ manifestazione del luglio 2009 di cui all’articolo, ma le Fiere successive e sono state inserite in questa ripubblicazione a titolo illustrativo, essendosi perdute le immagini di allora nel passaggio dell’articolo da un sito all’altro. Sono tratte dai siti web sotto indicati di cui si ringraziano i titolari per l’opportunità offerta con la loro documentazone pubblica. L’inserimento non ha alcun intento economico o pubblicitario, e se la pubblicazione di qualche immagine non è gradita ai titolari dei siti da cui è stata tratta basta comunicarlo e sarà immediatamente eliminata. Ecco i siti nell’ordine di successione delle immagini: Il Centro, abruzzo city rumors, abruzzo live, habitual tourist, espression 24, virtù quotidiane, habittual tourist, habitual tourist, life in Abruzzo, abruzzo web, il Faro, abruzzo city rumors, you tube 2013, testimone news, ekuonews, il Centro, l’Aquila blog, Teramo news, virtù quotidiane, Teramo news, tg Abruzzo 24, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Giornale di Montesilvano a Pescara. Grazie di nuovo a tutti.

Tag: Cortino, Crognaleto, Montorio, Piano Roseto, San Giorgio

1 Commento

  1. Francesco

Postato luglio 7, 2010 alle 11:28 PM

bellissima festa

Pietracamela, 2. I versi della “Gina”, la poetessa del “pretarolo”: amore per il paese, devozione,umanità

di Romano Maria Levante

Abbiamo dato conto in precedenza dell’accurata analisi linguistica sul “pretarolo”, l’idioma di Pietracamela – il borgo montano a 1005 metri di altitudine alle falde del Gran Sasso d’Italia, dal 2008 nel Club dei “borghi più belli d’Italia”, contenuta nel libro dal titolo evocativo “La lingua degna” , a cura di Giovanni Agresti (direttore della ricerca), Graziano Mirichigni, Silvia Pallini. La ricerca, condotta con criteri scientifici, è basata soprattutto sulla raccolta dei versi in “pretarolo” di una paesana, Ginevra Bartolomei, “la Gina”, di indubbio talento e forte vitalità, che esprime l’anima popolare in vicende e situazioni ambientali anche estreme, nell’arco del secolo scorso in cui è vissuta tra il duro lavoro per la sopravvivenza e le stagioni inclementi, con una parentesi quinquennale di emigrazione in Canada dove, meno impegnata rispetto a com’era in paese, ha cominciato ad esprimersi in versi poetici all’età di quasi 50 anni e non ha smesso fino alla sua scomparsa nel 2007 all’età di 98 anni. Ricordiamo che le sue poesie, dal valore popolare e identitario, hanno ispirato l’artista Mara Di Giammatteo per i suoi lavori e allestimenti di arte conteporanea attraverso l’antica arte della tessitura e del ricamo presentati nella mostra “Rapsodikòs” inaugurata a Bruxelles, nella sede della Regione Abruzzo, il 4 giugno 2024; insieme alla mostra è stato presentato il libro citato con l’intervento del sindaco di Pietracamela Antonio Villani e degli autori. Lo abbiamo scritto nel primo articolo pubblicato il 3 giugno u. s. , ma ci sembra opportuno ripeterlo per inquadrare compiutamente i riflessi che ha l’opera della poetessa, come premessa a una sommaria antologia delle sue espressioni poetiche: queste non solo rievocano i costumi di una volta nel borgo montano isolato tra mille difficoltà e le situazioni cui si doveva far fronte con tanta determinazione – con la parentesi canadese – ma rappresentano anche una introspezione sulla intemerata e incrollabile devozione religiosa  e i pensieri dell’età avanzata, vissuta con serena, disincantata accettazione.

“Ginevra Bartolomei”, 2004

Il commento letterario di Silvia Pallini si apre evidenziando  otto raggruppamenti tematici delle  poesie della “Gina”,  da quelle sul paese natio, isolando i componimenti sul lavoro in campagna e gli eventi atmosferici inattesi, la mancanza dell’acqua e gli aneddoti, fino al periodo canadese, alle poesie sulla devozione religiosa e sull’età avanzata: quindi i costumi e le difficoltà da un lato, le interiorità religiose e umane dall’altro, come sopra accennato. E compie una carrellata sui contenuti dei versi valorizzando l’importanza di una testimone così sensibile e attenta nel cogliere tanti aspetti significativi della vita di una volta nell’intrecciarsi con la modernità che suscitano riflessioni spontanee da filosofia popolare provenienti dalla sensibilità della poetessa la quale  non le considera riservate a se stessa, le offre a chi si sente di condividerle, e lo fa spesso in apertura o chiusura dei suoi componimenti.

“La Madonnina del Gran Sasso, In dialetto.
Manoscritto di Ginevra Bartolomei”

Nelle conclusioni la Pallini evidenzia la presenza nelle poesie spontanee e apparentemente semplici di figure retoriche come la “metonimia”, il “tropo”, l'”apostrofe”, di alterazioni morfologiche come l'”apocope”, la ricerca delle rime, “baciate” o “alternate” ma spesso “imperfette”, con “assonanze e consonanze” , l’attenzione alla “cadenza ritmica del verso”, fino all’invito finale a leggere i suoi componimenti. Per questo, oltre che di vitalità e sensibilità si deve parlare di talento di una testimone che diventa anche una “icona” popolare da ammirare e non dimenticare.

“Sempre poesie”, LXXIV poesia della “Gina” in “pretarolo”con testo in italiano a fronte di Silvia Pallini

Per parte nostra intendiamo spigolare “fior da fiore” nelle sue poesie, la cui continuità fa rivivere un periodo molto lungo caratterizzato da cambiamenti vistosi in condizioni difficili come quelle in cui si è svolta la sua vita. Rivivere e rievocare il secolo scorso con i versi della poetessa è non solo istruttivo, ma anche quanto mai emozionante. I due terzi  delle poesie sono in italiano, per lo più  in quartine, salvo alcune in distici, un terzo  in “pretarolo”, che riporteremo nella versione italiana operata nel libro, per ovvi motivi di comprensione e trascrizione. Sceglieremo una serie di poesie significative come le tante nel “corpus” delle 105 contenute nel libro, riportandole in qualche caso integralmente senza stralci od omissioni di versi per non interferire nell’espressione poetica della “Gina”, negli altri casi per brevità abbiamo “saltato” alcune parti evidenziandolo con i puntini di sospensione.

, “Pietracamela, Prati di Tivo
e Massiccio del Gran Sasso d’Italia (settembre 2008)

Il paese, Pietracamela, con i Prati di Tivo

Iniziamo riportando integralmente la poesia più lunga, circa 100 versi in 26 quartine:, un affresco della vita nel suo paese tra i ricordi di una vita difficile e i radicali cambiamenti nel tempo con il rovescio della medaglia: “Come in un riassunto ho voluto fare/ Di Pietracamela un po’ voglio parlare/ Del nostro bel paesello natìo/ Vi dirò tutto ciò che ricordo io. // Chi ha più anni certo lo sa meglio/ Io ricordo questo in tutto il tempo/ Com’era prima e com’è diventato/ Case e strade tutte accomodate// Ora incomincio subito a raccontare/ Tutto quello che s’è dovuto penare/ Per andare  a Montorio a fare la spesa/ Diciotto chilometri tutti a piedi.// Diciotto solo con l’andata/ Altrettanti se ne facevano al ritorno/ In testa si portava un gran peso/ Erano strapazzi nessuno lo crede.” Segue il confronto con il progresso. “Quando ci fecero la strada maestra/ Oh che bella comodità è questa/ A tale cosa non ci si pensava/ Con la macchina dappertutto puoi andare// La strada a Intermesoli, a Collepiano/ Da Pietracamela ai Prati di Tivo/ Non dobbiamo mai cessare / Nostro Signore di ringraziare”. 

“Pietracamela, in processione (anni ’40)”

Ma non è soltanto questo, con la modernità è cambiata la vita quotidiana: “Ora le comodità ne sono troppe/ Quant’era brutto a girar di notte/ Prima non c’era proprio niente/ Dovevi portar sempre la lanterna. // Quant’era brutto pure nella casa/ Si teneva un lampioncino acceso/ Nel fuoco si metteva la legna bianca/ Pur ci faceva luce la bella fiamma.// Quando ti occorreva l’acqua/ Si andava alla fontana con la conca/ Adesso acqua  e luce tutto in casa/ E più tutto il paese illuminato.// L’acqua ci rimaneva pur lontana/ Poi ogni tanto entro il paese fecero le fontane/ Anzi più di una se ne hanno or nelle case/ Le povere fontane fuori abbandonate. // A pochi passi dalla vecchia fontana/ C’era il lavatoio dove si lavava/ Tutti là, l’estate e l’inverno/ Adesso non si riconosce più niente.// A fianco a questa ancora c’è la bella chiesina/ Chiamata la Madonna del Col Mulino/ Tutta pericolante lesionata/ Ma della Vergine è intatto il quadro.” Ora è divenuta un rudere distrutto, ma il quadro della Vergine resta intatto. Nel ricordo la chiesetta torna a vivere: “Quando la campanella suonava/ Ciò che si stava facendo si lasciava/ Tutto correvano, uomini e donne/ Si ridice la messa alla Madonna.” E il pensiero si sposta più avanti, al vecchio mulino sul torrente del quale restano solo i ruderi di due arcate: “Quando si andava a macinare/ Il mulino era distante assai/ Ora il mulino non è più presente/ E nemmeno l’acqua correre si sente.”

“Le campane di San Giovanni (2000)”

E’ unodei danni collaterali della modernità, il prelievo dell’acqua dai torrenti per la centrale elettrica: “Tutta quella ch’era il rio Arno/ E pure tutto il Rio della piazza/ Gli era necessaria e fu levata/ Per comodità di luce  a noi data. // Passando in piazza alzavi in su gli occhi/ Vedevi le belle tre croci esposte/ Ora a che punto s’era arrivato/ Pure il Monte Calvario disprezzato.// E delle belle tre croci i pezzi/ Chi buttati a sinistra chi a destra/ Poi la fecero una grande di ferro/ Son parecchi anni giace ancora per terra.// Ed il buon padre Archimede/ Su tutto questo ebbe molta fede/ Chiamò i giovani al lavoro/ E rimisero le tre croci di nuovo.”

Centro storico, l’ingresso di via Roma, verso l’antica sede del Municipio

Quindi non manca di sottolineare le sue delusioni, pur nella soddisfazione per il progresso che ha trasformato le condizioni di vita si rende conto che chi non ha vissuto le difficoltà dei suoi tempi non può capire: “Quando si riparla del passato/ La gioventù si fa delle risate/Perché loro non ci si son trovati/ Credono sempre che così sia stato. //Loro nel nuovo mondo sono nati/ Mentre noi abbiamo tribolato/ La carne solo a Natale e a Pasqua/ Adesso è rifiutata pur da cani e gatti.// A quell’epoca tutti i capo famiglia/ Per sostenere la moglie ed i figli/ Partivano ed andavano lontano/ Per paesi e città cardando la lana.”  Un rapido sguardo alla nuova vita: “Qualche novità prima sul giornale/ Ma alle cose buone non gli si dice male/ Nel mondo che ci troviamo ora/ Si sa tutto per radio e per televisione.” L’osservazione si ferma su un fenomeno epocale che l’ha riguardata personalmente: “Quand’era tutto in buone condizioni/ Subito si sviluppò l’emigrazione/D’allora in poi quanti ne son partiti/ Ognuno ha voluto migliorar vita.” Con queste conseguenze che non sfuggono al suo sguardo attento: “Le vecchie case che hanno lasciate/ Tutti i forestieri l’han comprate/ Come palazzi son già accomodate/ Per venirci l’inverno, ma più l’estate.” Poi la riflessione amara, subito temperata dall’accettazione fatalista.  “Se ritornassero quei poveri vecchi / Ma come è avvenuto tutto questo?/ Pure un proverbio a tutti ce lo impara/ Ci dice campa se vuoi ricordare.” Infine la conclusione: “E ormai si deve far finita/ E’ stato troppo non più altro vi dico/ Già tutto quello che ho pensato l’ho detto/ Adesso basta mi fermo su questo.” 

“Parlando in strada (1996)”

Ha detto veramente tutto sulla vita nel suo paese, ma prima di fermarci anche noi , vogliamo citare altre riflessioni e ricordi altrettanto significativi sui Prati di Tivo, il vasto declivio erboso a 6 Km dal paese, 1450 metri di altitudine, congiunto in alto alla catena montuosa dl Gran Sasso: “Come già tutti sappiamo/ Si sono sviluppati in tal maniera/ Che tutto quello che c’è adesso/ Sicuro prima non c’era.// Io che ho l’età molto avanzata/ Perciò ricordo bene gli anni passati/ Solamente quando si falciava/ Delle persone ce n’erano assai.// E voglio ripeterlo di nuovo/ Mentre si falciavano i Prati di Tivo/ Allora la bella gioventù/ Faceva un po’ d’allegria.// Però si davano tutti da fare/ Chi aveva la bestia, chi in testa/ Si doveva trasportare il fieno/ E far viaggi da mattina a sera.// Finiti questi lavori, finito tutto/Non c’era più niente/ Soltanto noi donne/ Qualche volta per un fascio di legna.//  Poi se ci si andavano a pascolare/ Delle mucche e pecorelle/ Adesso per fortuna/ Son finite pure quelle.// A pascolar ci vanno/ Ora qualche pecoraio/ Ma dai Prati di Tivo/ Devono stare lontani assai” // … “Or le comodità ci sono tutte/ Divertimenti, ciò che vuoi fare/ D’inverno la sciovia per sciare/ Eppur la segiovia puoi volare.// C’è un gran traffico di macchine/ nei giorni feriali e più nei festivi/ Fanno come le formiche/ Chi riparte e chi arriva. // Da parecchie città lontane / Venivano dei gran signori/ Non siam stati più niente noi/ Son diventati padroni loro.”//….Perciò ci vanno i ricchi signori/ Vedendo quello gli si rallegra il cuore/ Ma ora sentite questo che vi dico/ E’ in terra, non più in cielo il Paradiso”.  Si riferisce al nuovo lussuoso grande albergo, anche se non manca di lamentarsi dei danni dell’affollamento: “Solo una cosa mi dispiace/ Tutti i prati l’hanno massacrati/ Non v’è posto dove non son passati/ Questo è un problema senza risultati.”

“Pietracamela dal Monte Calvario (2021)”

La vita in Canada, negli anni da emigrata

Dalla vita in paese con i suoi radicali cambiamenti alla vita del tutto diversa nella parentesi canadese, ecco le sue espressioni in una poesia molto gustosa e per molti versi sorprendente: “Mi dicono povera Gina senza lavoro/ Sta sempre dentro casa e fa le canzoni/ Sì, fo le canzoni e pure le storie/ E adopero tutta la mia memoria.// Quando sono a casa / E non devo far niente/ Scrivo un po’/ e mi passa il tempo.// Per trovare lavoro/  ho girato parecchio/ ma non prendono le giovani/ figuratevi una vecchia.// Così lo posso dire/ Con piena ragione/ Che son venuta in America/ E fo la signora.// In Italia/ Non avevo tempo/ Farmi la croce/ Mentre qua, dormo e mi riposo.// E ringrazio Iddio/ Di questa cuccagna/ Che benché non lavoro/ Si beve e si mangia// Lo dice pure il proverbio/ Ed è cosa vera/ Che chi lavora mangia/ E chi no, mangia  e beve.”

Il Monte Calvario, a dx, di cui parla in una poesia, a sin. il quartiere meno antico, “la Villa”,

Ma non è così per tutti la mancanza di lavoro, descrive l’altra faccia dell’emigrazione in un’altra poesia: “Da tutte le parti/ Non soltanto dall’Italia/ Per venir qua/ Fanno la voglia grande.// E nemmeno partire con la nave/ Per far più presto/ Preferiscono volare.// Vendono tutto/Case e poderi/Arrivati qua/ Non si trovano bene.// E neanche/ Il figlio al padre crede/ Ognuno vuole/ Metterci il piede.// Alcuni stavano/ Discretamente/ Ed ora riempiono/ Toronto di bestemmie.// Non solo  i vecchi/ Ma pure i giovani fan compassione/ Vedendoli sempre in giro/ In cerca di lavoro.// Non c’è persona / Che non si sente lamentare/ Che ogni giorno gli arrivano/ I billi da pagare.// Ma tutti e sempre tirano a venire/ E dopo dieci giorni/ Vorrebbero ripartire.// Somiglia alla favola/ Del nostro calderone/ Che tutti volevano/ Mangiare i maccheroni. //Qui soltanto/ Chi lavora sta bene/ Ma tanta povera gente/ Soffrono le pene.// Perciò, si chiama fortuna/ Ed è come un ruota questa/ C’è a chi gira a diritto/ E  chi al  rovescio.// Ma li mondo per il passato/ Sempre così è stato/ E ancor vi sarà/ Lo ricorda benissimo colui che vivrà.”

Centro storico, via Roma dopo l’arco di ingresso

In un’altra poesia insiste sulla difficoltà di trovare lavoro  e va oltre: … “Tutti hanno diritto/ un po’ di lavorare/ contentarsi pur di poco/ non se ne chiede assai.// Se in Italia delle volte/ succedeva di non aver niente/ andavi in bottega/ ti facevano credenza.//Credenza qua non si usa/ devi uscir sempre con i soldi in mano/ e non sia mai se mancassero/ ti puoi morir di fame. // Si dice che una donna/ andò a far la spesa/ poi non si poté pagare/ e glie se la ripresero // Sentire tale cosa/ fa proprio compassione/ forse simile a questa/ non v’è altra nazione.”

Centro storico, un angolo caratteristico

A parte le riflessioni amare sulla vita degli emigrati, non manca di criticare la vita dei canadesi con il suo spirito di osservazione penetrante e la sua sincerità disarmante: “Chi dice bella a questa terra/ forse gli manca un po’ di cervello/ La nostra Italia non ha paragone/ Solo a mirare i bei palazzoni. // Le case di qua sono belle solo dentro/ Che l’inverno ci fa caldo invece del freddo/ Sono tutte di legno sì, mandano calore/ Ma ogni momento ti trema il cuore. // A chiunque sembra al fronte stare/ Che da ogni parte si sente suonare/ I poveri pompieri non hanno pace/ Correndo notte e giorno, smorzando le case. // Mentre da noi una sola paura/ Pregando Sant’Emidio che ci regga le mura/ Un’altra cosa vi voglio notare/ Di tutta la gente che va a lavorare // La sera tornndo mezzo storpiati/ Se devono parlare non hanno il fiato/ Son come soldati che vanno alla guerra/ Ogni mattina gli suona la sveglia // Chi dice che questa è una menzogna/ Commette due cose, peccato e vergogna/ Perchè la persona si deve strapazzare/ Per tanto poco che ci resta da campare // Lavorano la Pasqua, ed il Natale/ Si credono di far bene mentre fanno male/ Non riguardano feste nè piccole, nè grandi/ Oh forse pernsano che gli altri muoiono loro campano //Se si seguita così/ Si campa davvero poco/ E nessuno si gode/ Un’ora di riposo.” Detto da lei – che come le altre donne del paese a Pietracamela portava più volte al giorno in testa fascine di legna dai Prati di Tivo e grossi pesi sempre in testa nella costruzione della strada da Ponte Arno, secondo il suo racconto – fa capire come senta molto diverso lo spirito nel lavoro libero all’aria aperta rispetto alla costrizione forzata che vede in Canada.

“In Canada, Ginevra Bartolomei e Pietro Mirichigni, a sinistra. e Giovanni Mirichigni, a destra nella foto (1957 o 1958)”

In questo c’è anche nostalgia, e quando il parroco di Pietracamela don Andrea andò a Toronto in visita ai paesani emigrati, gli dedicò una poesia con espressioni  di gioia: …“Appena dell’arrivo noi sapemmo/ Come valanga ci precipitammo…. // Bene accolto il prete e compagnia/ Si bevvero bicchieri in allegria. // Mentre noi allegri si cantava/ il Parroco di gioia lacrimava. // Il bello venne il giorno seguente/ Vedendo l’affluir di tanta gente. // In quella chiesa, da noi onorata,/ di S. Gabriele dell’Addolorata. // Per le parole che disse dall’altare,/ molti di noi dovemmo lacrimare. // Dal popolo lo ebbero gli onori/ I quattro o cinque organizzatori. // Che nella grande sala per rispetto/ Fu servito anche un buon banchetto. // Soddisfatti e con piena armonia/ Ognun di casa prese la via”….

“Vita pretarola (anni 1950-1960)”

La devozione religiosa

Dalle osservazioni esteriori, pur esse intense e appassionate,  sul paese e sull’emigrazione, con l’evocazione di S. Gabriele, passiamo ai suoi sentimenti interiori cominciando dalla devozione religiosa, per poi concludere con i pensieri nell’età avanzata,  attingendo, sempre “fior da fiore”, dalle poesie, quando sono  in “pretarolo” le citiamo  forzatamente nella versione italiana. Un quinto del suo “corpus” poetico è ispirato dalla religiosità, spicca l’invocazione a Gesù Cristo nella maggior parte delle poesie. E’ molto sentita la devozione per la Madonnina del Gran Sasso, la cui festa si celebra ogni anno la prima domenica di agosto, con il pellegrinaggio e la messa ai 2000 metri, la statua è in una nicchia all’inizio della salita verso il Rifugio Franchetti e poi Corno Grande.

” I De Luca verso la Madonnina in ‘cestovia’ (primissimi anni ’50).
Genitori: Luigina Panza e Salvatore De Luca; nelle ceste: Celestina e Antonio De Luca”

Ecco la  cronaca serena del pellegrinaggio del 5 agosto: “Alle nove del mattino/ partì la bella comnpagnia/ piano, piano, di buon passo/ sulla Madonnina del Gran Sasso.//….  “Il sacerdote andava avanti/ portava la croce/ e l’auto parlante/ per far sentir meglio la voce. // Quelli che aspettavamo/ tutti in allegria/ con un batter di mani/ gridam Viva Maria. // Loro senza sentir stanchezza/ tutti contenti  ed orgogliosi/ ringraziarono la Vergine/ e poi fecero  riposo. // Fu una bella giornata/ con messe, canti, e preghiere/  dalla mattina alla sera/ alla nostra madre del cielo. // Del Gran Sasso/ Vergine bella/ sei per noi/ fulgida stella.” La invoca  anche negli anni in  Canada come “la Bianca Castellana”. “Ai piedi del Gran Sasso/ Dentro una capannina/ C’è la Vergine Maria/ Col suo divin figliuol. // O bianca castellana/ Vergine santa e bella/ Sei la fulgida stella/ Che rallegri i nostri cuor. // Appena spunta il sole/ Indora le colline/ Ma la bellezza tua Maria/ Illumina terra e ciel.// Ogni anno in compagnia/ A visitarti venivamo/ Ed ora si troviam lontano/ Non si vedremo più. // Ma questa lontananza/ E’ soltanto di persona/ Però il nostro pensiero/ Non si allontana da te.// Nei nostri bisogni/ T’invochiamo  O Maria/ Madre nostra e di Dio/ Solo tu ci puoi salvar. // Sei la madre del cielo/ Miracolosa e vera/ E non vi è chi non spera/ Poter stare vicino a te. // Apriteci le porte/ Venire in paradiso/ Restar con te e con Gesù uniti/ Per tutta l’eternità”. In un’altra poesia in “pretarolo” si rivolge a lei chiedendole aiuto e non  per se stessa: “O Madonna del Gran Sasso/  aiutaci  tutti/ perché ci troviamo proprio/  in un mondo difficile. // Tra terremoti e guerre/ è davvero un disastro/ Vergine benedetta/ noi per tutti preghiamo. // Dinanzi a te, Madonna/ davvero di cuore/ mamma nostra del cielo/ abbi pietà del mondo intero.”

“La Madonnina del Gran Sasso (26 dicembre 2015)”

E poi  San Gabriele, il cui santuario in basso nella vallata che si domina da Cima Alta è meta di incessanti visite di pellegrini, anche qui il pensiero devoto negli anni in Canada con l’accorato appello  mosso dalla struggente nostalgia per il paese lontano: . “O S. Gabriele puro e sincero/ Facci ritornare a Pietracamela/ Facci tornare, facci tornare/ Per venirti a visitare. // Quand’eravamo al paese natìo/ La  contentezza mai finiva / Quand’eravamo al paese nostro/ A qualunque festa venivam di corsa // Durante il cammino si cantavano/ Per te O S. Gabriele le preci più care/ Si recitavano rosari e preghiere/ tutte in onore a te O S. Gabriele // Ed affrettando il passo/ Si giungeva ad Isola del Gran Sasso/ Arrivati al convento che meraviglia/ S. Gabriele sembrava un giglio //Ed a sinistra c’è il tesoro/ S. Gabriele più bello di un fiore/ Quelle nobil feste che si facevano/ Sembrava a tutti trovarsi sul cielo // Ora forse il destino così ha voluto/ Qui tutti in america ci siamo perduti/ Da che vi abbiam lasciato ci sembra tanto/ Mentre è poco più di un anno//  Datosi che ora qua ci troviamo/  S. Gabriele ci devi aiutar/  Nella mia famiglia d’amici e parenti/ S. Gabriele guardaci sempre //  E se il signore salute ci dà/ Speriamo un giorno poter ritornar/  Di cuore preghiamo te e Iddio/ Tornando al paese con tanta allegria // Di grazie e miracoli è pien terra e cielo/ Tutti ti onorano O S. Gabriele”.  Speranza esaudita, dopo quattro anni tornerà all’amato paese natìo.

“Padre Archimede celebra la prima messa sul Corno Piccolo (1946)”

Dedica una cronaca serena, con una notazione semplice e intrigante, alla festa del patrono san Leucio cui è intitolata la chiesa madre: “Domenica otto Luglio/  si fece la festicciola/ in onore di S. Leucio/ nostro Protettore. // Senza fuochi artificiali/ nemmeno la banda/ suonarono le campane/  a festa tutte quante. // La solenne messa/ la bella processione/ sia sempre ringraziato/ il nostro Protettore. // Se si chiamano i cantanti/ vogliono i milioni/ noi senza spendere niente/ cantammo tante canzoni. // Con il suon della chitarra/ e con il mandolino/ tutta la popolazione/ stemmo in allegria. // Finito tutto questo/ ci fu pure il rinfresco /offerto da don Marco/ e completammo la festa. // Con i ringraziamenti/ infiniti/ andammo tutti a casa/ contenti e felici.”

Centro storico, antico edificio con il tradizionale balcone in legno

Ed ecco come parla del nuovo parroco don Marco dopo il suo arrivo: “Oh miei cari paesani/ ringraziamo di vero cuore/ il Signore/ che ci ha mandato il nuovo pastore. // Noi siamo le sue pecorelle/ dobbiam cambiar pure/ non essere/ sempre quelle.// Quando predica/ la sua parola/ ci riempie il cuore/ di gioia. // Però non è/  da tutti ascoltarla/ chi rimane fuori/ chi in piazza, e chi dentro casa. // Se si vedono/ un po’ più persone/ la sera del Venerdì Santo/ e la festa del protettore. // Specie quando/ ci sono gli sposi/ non son soltanto io/ siamo tutti curiosi. // Chissà Don Marco/ se rimase contento/ sabato sera/ della nostra accoglienza. // Credo che  a tutti/ come a me/ fece bella impressione/ conoscemmo pure i suoi genitori. // Sono buone persone tutti lo dicono/ e che il Signore li benedica. Quando don Marco si assenta per una lunga missione  scrive un appello accorato: …. “Da chiunque si sente/ Don Marco nominare/ i nostri occhi/ cominciano a lacrimare. // Lo Spirito Santo ci ha messo/ in mente queste parole/ così noi tutti preghiamo/ con l’anima e con il  cuore. // Dio mio aiutalo/ durante la missione/ e fa che sano e salvo/ riviene in mezzo a noi. // Siam poche persone/ in chiesa la sera/ ma diciamo sempre/ questa breve preghiera. // Recitiamo insieme/ un pater ave  gloria/ ed aspettiamo con gioia/ il suo buon ritorno.”

Centro storico, uno scorcio caratteristico

Il parroco cambia ancora, arriva il giovane don Filippo Lanci, gli dedica subito due poesie in “pretarolo”, non più in quartine ma in distici: “Grazie di cuore, Signore/ che qui a Pietracamela abbiamo il nuovo pastore. // Saluta, è buono, bravo veramente/ quando predica rimaniamo tutti contenti. // Però, ci dispiace molto/ che deve servire quattro parrocchie. // Che Dio lo benedica/ gli auguriamo tanta salute e lunga vita”.  E dopo due anni:  “O Don Fili, ca volevi la poesia in dialetto/ eccola già sta scritta su questo foglietto. // Leggila credo che ti piace/ dico tutta la verità niente inventato. // Gesù Cristo lo sa, la gioia che provasti/ la prima volta che la santa messa cantasti. // In chiesa tutta la popolazione, il vescovo/ i preti, il fratello e i genitori. //Come passa il tempo – se Dio vuole/ il trenta Ottobre sono giusto due anni./ Sei giovane, bello, che Dio ti benedica/ qualsiasi persona che vedi subito la saluti. // Quando predichi quelle belle parole/ ci si rallegra a tutti il cuore. // Ma a servire quattro parrocchie/ il povero cervello lavora troppo. // Dicesti che pure la scuola fai/ o per una cosa, o per un’altra non ti fermi mai. // Penso, ripenso, ma da dire non so più niente/ la cosa, pensata e scritta, la poesia qui finisce.”

Centro storico, un altro scorcio caratteristico

La devozione le fa chiedere spesso aiuto al Signore, con espressioni anche ingenue ma fortemente sentite, per risolvere i suoi problemi personali e soprattutto familiari, oltre a quelli di tutti. “O Gesù Cristo/ sia tu benedetto/ da tutta questa neve/ liberaci il tetto. // Fa che ci cade/ come facciamo?/ tu lo sai/ come ci troviamo. //Graziano è studente/  Paola poco bene si sente/  a Giovannino duole il braccio/ io ho 83 anni, sono vecchia. // O Gesù Cristo/  aiutaci sempre/ dacci un po’ di salute/ non farci succedere niente”.  E la devozione la fa anche ringraziare: “Ringrazio infinitamente Dio/ la Madonna, e tutti i Santi/ per quanto ho camminato/ in questi ottantaquattro anni // La mia povera testa/ quanto peso ha portato!/ Le mie povere braccia/ quanto hanno lavorato! // (Un bel proverbio dice/ tutto ha fine) // Adesso m’è rimasta/ quella cosa che tutti dobbiamo fare/ è quella che si parte/ e non si può più ritornare.” L’età si fa sentire, ma non le dà apprensione, la affronta con fiducia affidandosi al Signore, anche le poesie su se stessa si chiudono quasi sempre con espressioni di intensa devozione religiosa.  

“Ginevra Bartolomei e il nipote Graziano Mirichigni (1971)”

La vita personale, i pensieri nell’età avanzata 

Riflette serenamente sulla vita, in particolare  nell’età avanzata,  ed esprime poeticamente i propri sentimenti interiori in almeno venti poesie, ne citeremo soltanto alcune. Eccone una  nella quale fa un primo bilancio della sua vita: “Quando avevo quarantotto anni/ sulla mezza età, né giovane, né vecchia ero/ ma soltanto su cose necessarie/ qualche lettera scrivevo. // Mai, e poi mai, chi c’avrebbe pensato/ che in Canada sarei andata/ partimmo tutti insieme, la famiglia/ noi genitori e i due figli. // Con cinque anni di emigrazione/ neppure uno ne feci di lavori/ pochi giorni in fabbrica, un po’ più nella campagna/ ma risultava pochissimo guadagno.//  Su qualsiasi parte mi presentavo/ mi dicevan che ero troppo anziana/ Per passare il tempo, come facevo?/ Prendevo penna e carta, e scrivevo. // Parecchie poesie feci in Canada/ e di tutte le specie le ho fatte qua/ e chiunque le poesie sente/ ci rimane assai contento. // Sto per compiere settantasette anni/ mi dicon son pochi, a me sembrano tanti/ vi dico questo: ho cominciato  a pensare/ che m’è rimasto poco da campare.  // Ho trascorso tutti quest’anni/ in buona salute e pochi malanni/ di vero cuore ringrazio Iddio/ e qui finisce la mia poesia”. 

Centro storico, una dell poche vie pianeggianti verso Porta Fontana

Dopo otto anni  scrive. “Grazie a Dio/ non mi lamento/ perché fin’ora/ nessun dolore mi sento. // Solo quando cammino/ le ginocchia sembrano legate/ forse quand’ero giovane / con il troppo peso furono sforzate. // Portando in testa/ mezzo quintale/ credo non era tanto facile/ poter bene camminare. // Ottantacinque anni già compiuti/ è l’età molto avanzata/ dunque questo non è proprio niente/ ringrazio Iddio infinitamente”.  In un’altra poesia in “pretarolo” si rivolge direttamente alle gambe: “Ieri mattina/mentre andavo a messa/ alle gambe volli dire questo. // Ma che siate/ benedette le gambe/ perché non camminate come nel passato/ pure adesso nel presente? // Veloce, veloce/ mi diedi la risposta/ ci siamo fatte vecchie e/ non abbiamo più la forza. // E se tu hai ancora da campare/ piano, piano vai camminando/ con un bel bastone/ invece di due ne sono tre di gambe. // Ne vuoi mettere tre e / ne vuoi mettere due/ si cammina sempre meglio/ con una in più.”

Il Belvedere Guido Montauti

Sembra una battuta consolatoria, comunque la sua visione seppur consapevole dei problemi dell’età, è serena, e la esprime in “pretarolo”in questa e in altre poesie: “O Gesù Cristo tu sia benedetto/  la vecchiaia quant’è brutta/ l’età migliore è la gioventù/ ma passa in fretta e non torna più. // Ma quando sui venti/ e trent’anni che ti ci trovi/  ovunque vuoi andare, puoi andare/ e puoi fare quello che ti pare. // Ma adesso, non puoi andare,/ e più niente puoi fare/ perché manca la forza/  e ti devi stare. // O Gesù Cristo/ che tu sia benedetto/ non farmi succedere niente / se campo un altro pochetto.”

Centro storico, un angolo con antichi edifici

Non manca di osservare anche il suo aspetto e sottolineare in modo impietoso  gli altri inconvenienti dell’età avanzata, ma sempre con un’accettazione devoita che li rende sopportabili: “O Gesù Cristo/ che tu sia benedetto/ mi serve il bastone/ non cammino più dritta // Se me l’avessero detto/ chi lo sa se gli avrei creduto/ che a tutti questi anni/ sarei arrivata // Avevo i capelli belli neri/ adesso mi rimangono curiosi/ a vedermi la testa bianca/ ma più curiosa la bocca senza i denti // E questo/ è un problema grande/ che faccio schifo da me stessa/  a vedermi mentre mangio // Vuoi col coltello/ vuoi con la mano/ qualunque cosa devo sminuzzare/ e sennò non posso mangiare // Ho provato/ un dispiacere grande/ che [mi] si sono morti fratelli e sorelle giovani/ e io ancora campo. //Ma qualsiasi persona/ su questo non può fare niente/ Gesù Cristo ci ha creati/ e lui comanda.”

“La roccia sul pagliaio. Sulla sfondo, Pizzo Intermesoli
(aprile 2008)”

E’ una filosofia esistenziale più profonda di quanto possa sembrare a prima vista, non si nasconde la realtà  ma senza deprimersi, anche perché si affida sempre e comunque al Signore: “O Gesù Cristo tu sia benedetto/ ho ottantanove anni, sono parecchi // Ma vorrei vivere un altro poco/ per godermi questa casetta così carina // Quello che successe a noi non è successo a nessuno/ senza la casa venticinque anni a ramengo // Io Gesù Cristo ti ringrazio tanto/ a quest’età i dolori non me li sento./ Questi figli ti raccomando/ dà loro la salute e non gli far succedere niente.” 

“Annina, la nonna di Aligi, con la conca, d’inverno (verso 1965)”

Sette anni dopo, il 15 maggio 2005, due brevi distici con una nuova speranza: “A più di 96 anni una donna/ ed è madre  e nonna // Prega Dio che la faccia campare/ che pure bisnonna vorrebbe diventare”.  Segue una poesia altrettanto breve: “O Gesù Cristo,  tu sia benedetto/ fammi campare un altro pochetto // E ti raccomando/ non mi far succedere niente // vorrei vedere il bel bambino/ poi muoio contenta. Gesù Cristo che tu sia benedetto.”  La sua accorata supplica viene accolta, è nato il pronipotino al quale il 2 luglio dello stesso anno si rivolge con questi versi:   “Coccolino, Coccolino/ vorrei tenerti qui vicino. // Vorrei tenerti qui accanto/ per baciarti ogni tanto  // Ma stai così lontano / con 7 ore di treno si giunge a Milano. // Contenti, e felici la bella famiglia/ padre, madre e figlio. //Che Dio vi benedica/ e vi auguro tanta salute  e lunga vita, / Nonna e bisnonna Gina. Ciao.”

“Ginevra Bartolomei (1994)”

Segue una poesia in cui chiama il pronipotino per nome: “Maicol Mirichigni/ il giorno 30 del 5-2025/  Nacque a Vimercate il 27 agosto / qui alla chiesa di Pietracamela il primo battezzato // figlio di genitori Laureati/  il padre Ingegnere la madre Avvocato / Possa essere un bella giornata/ felici noi e i parenti invitati // Auguro buona salute  a tutti/ non più altro vi dico la poesia è già finita // Tanti baci da bisnonna Gina/ Dio ti benedica ciao.”  I problemi dell’età avanzata sono dimenticati, si sente tutto l’orgoglio per il nipote Graziano e la moglie Lorena cui aveva dedicato poesie in occasione della loro laurea e del matrimonio invocando la protezione del Signore.

Verso Pietracamela, la prima automobile (1940)”

Ed ecco l’ultima poesia, dell’8 settembre 2005”: “Maicol caro tesorino/ 21  giorni ci sei stato qui vicino // Il 27 Agosto fosti battezzato/ e poi ripartiste a Vimercate // Quando si ritorna tutti contenti/ quando si riparte  si rimane dispiacenti // Quando Paola telefona a Lorena/ domando come sta Maicol? Sta bene. // Che Dio lo benedica/ parecchie volte al giorno così dico // La mattina mi diceste nonna mantieniti forte/ se Dio vuole a Natale ritorniamo un’altra volta // Va bene ma ancora c’è tempo per Natale/ quattro mesi devono passare // Ne vorrei ricordare tanto/ ma c’è il Signore che comanda // Sono la più anziana del paese/ ho compiuto 96 anni e 7 mesi //Ho detto tutto, che bella poesia // e son vostra nonna e bisnonna Gina. Ciao.” 

“Don Andrea” , agosto 1955

I quattro mesi passarono, e ci sarà un altro Natale l’anno successivo, il 2006,  con il “coccolino” Michael e gli amati genitori, Graziano e Lorena, fino al 22 febbraio 2007 quando la Gina ha raggiunto il Signore da lei tanto invocato. Il giorno prima il parroco di Pietracamela don Filippo Lanci – al quale aveva dedicato poesie colme di ammirazione – che le era stato molto vicino anche negli ultimi momenti mandò questo messaggio: “Gina è in agonia e la montagna da stamattina è coperta di nebbia, perché sempre ci si vela il volto quando muore un poeta”.

“Da Pietracamela (2021)”

Commiato

E ‘ una nebbia che torna velando di malinconia il sole sfolgorante  di questa giornata di giugno. Abbiamo ripercorso momenti che ci sono sembrati particolarmente significativi del percorso poetico della “Gina”, un percorso umano individuale  divenuto anche collettivo. Le poesie che abbiamo riportato riguardano il  suo paese e la vita da emigrata,  la devozione religiosa, la vita personale e l’età avanzata; ma non esauriscono il suo “corpus “ poetico, nel quale troviamo una vasta quanto gustosa serie di aneddoti, sulla vita nel paese e il suo spopolamento, il censimento spiritoso delle famiglie rimaste, fino ad episodi curiosi nei quali  può manifestare tutta la sua “verve”. Del resto, anche nelle poesie più intense e accorate troviamo passaggi che ne attenuano  l’impatto emotivo, nel segno di una filosofia esistenziale che non è fatalismo ma fiducia incrollabile  nella volontà dell’essere superiore che va accettata perchè protegge e dispone secondo fini imperscrutabili

La casa natale di Ginevra Bartolomei, la poetessa ‘Gina

Il migliore commiato è quello che ha lasciato lei stessa, non c’è altro da aggiungere se non riportare le due quartine nelle quali c’è tutto il suo spirito semplice  e profondo: “Dei miei nipoti/ Graziano è il primo/ gli consegno questo quaderno/ con tante poesie // E chiunque le leggerà/ O mio caro buon Gesù/ Si ricorderà di me/ Quando non ci sarò più.”  

Hai ragione, “Gina” carissima, abbiamo letto le tue poesie e ci ricorderemo sempre di te, siamo certi che non sarai mai dimenticata da coloro che leggeranno quelle riportate nella  nostra rievocazione  mossa da sentimenti di immedesimazione: come te siamo figli del “nido delle aquile”, il nostro “natio borgo selvaggio”  e ci sentiamo vicini e partecipi di tante tue osservazioni esteriori e riflessioni interiori. E così sarà per tutti, non solo per i paesani! che ti hanno conosciuta.

“Ginevra Bartolomei (2004)”

Info

Le poesie di Ginevra Bartolomei, “la Gina”, sono tratte dal libro “La lingua ‘degna’. Pietracamela e il pretarolo nei testi di Ginevra Bartolomei. Profilo linguistico, norme di lettura, antologia poetica”, a cura di Giovanni Agresti (dir.), Graziano Mirichigni, Silvia Pallini, Territori della parola. Una collana di Odellum , Observatori de les lingues d’Ruropa i de la Mediterrania (Universitat de la Girona) – Iker (CNRS Université Bordeaux Montaigne – Université de Pau et desPays de L’Adour) – Associazione LEM Italia, Lingue d’Europa e del Mediterraneo, dicembre 2020 pp. 396. Introduzione trilingue, in italiano, catalano e francese, testo in italiano.. Nel libro le 102 poesie – riportate a stampa da pag. 125 a pag. 325, tratte da due quadernetti e da fogli sparsi tutti manoscritti dall’autrice – sono pecedute da un’approfondita analisi linguistica del “pretarolo”; a questa analisi abbiamo dedicato il primo articolo pubblicato in questo sito il 3 agosto 2024. Molte poesie in tale idioma sono riportate con il testo in “pretarolo” a fronte e la versione in italiano di Silvia Pallini a cui si deve anche il “Commento letterario” a conclusione del libro. Le poesie riportate, integralmente o parzialmente, sono le seguenti, nell’ordine in cui sono nel testo (tra parentesi le pagine del libro da cui sono state tratte): Il suo Paese, Pietracamela, con i Prati di Tivo: “Riassunto di Pietracamela” (pp. 125-28), “Poesia dei Prati di Tivo” (129-32), La vita in Canada, negli anni da emigrata: “Questa poesia fatta in Canada” (132-33), “Per gli emigranti in Canada” (141-43), “Poesia fatta in Canada pr motivo di lavoro” (162-63), “Le case che vanno a fuoco in Canada” (140-41), “A Don Andrea” (320-21). La devozione religiosa: “5 agosto. La Madonnina del Gran Sasso” (164-65), “La Bianca Castellana (scritta in Canada)” (135-36), “La Madonnina del Gran Sasso” (158-159), “Questa è di San Gabriele pure in Canada” (137-38), “Festa di San Leucio” (156), “Questa è l’accoglienza di Don Marco” !160-61), “Mancanza del sacerdote” (190-91), “Pietracamela 24-9-2000. Volevo scrivere queste poche parole sul nostro parroco Don Filippo proprio ora” (295), “Poesia su Don Filippo Lanci” (296-97), “Poesia sulla nostra casa” (246-47), “Mia piccola poesia” (249). La vita personale, i pensieri nell’età avanzata: “Poesia sulla mia età'” (182-83), “Un’altra piccola poesia” (255), “Poesia sulle gambe” (256-57), “Piccola poesia sulla mia vecchiaia” (272-73), “Non trovo mai fine alle poesie” (282-85), “Sentite questo 1998” (280-81), “Poesia di poche parole” (307), “Piccola poesia 15 maggio 2005″ (308-09), “Voglio scrivere pure questa piccola poesia sul mio pronipotino 2 luglio 2005″(309), “Poesia sul bimbo Michael” (310), “Pietracamela 8 settembre 2005″ (311).

I Prati di Tivo, cui è dedicata una poesia, in primo piano

Photo

Nel testo sono inserite, ad esclusione di grafici e tabelle, tutte le 21 immagini contenute nel libro citato in un diverso ordine di successione – con le relative didascalie in corsivo e virgolettate – sulla poestessa e su Pietracamela dove si è svolta gran parte della sua vita; in più, sono riportate 11 immagini del centro storico e dei panorami – con le didascalie in tondo e non virgolettate – che si aggiungono alle 19 immagini, la maggior parte sulle caratteristiche “scalinate” del paese, contenute nel primo articolo. Questo per rendere con l’evidenza visiva l’ambientazione alla quale va riferita idealmente l’ispirazione genuina e l’espressione spontanea della poetessa. Viene indicata di seguito l’attribuzione delle singole immagini fotografiche, iniziando con le 21 tratte dal libro citate espressamente, mentre per le altre 19 immagini l’attribuzione è unica, con la precisazione che il numero identificativo per l’attribuzione si riferisce all’ordine di successione nell’articolo. Le immagini tratte dal libro sono di: Graziano Mirichigni: Foto n. 1, 16, 27; Fondo n. 2, 13, 21. Aligi Bonaduce: Foto n. 4, 6, 25, 26, Fondo n. 5, 14, 15, 17, 28, 29 ( su quest’ultima, intitolata nel libro “Don Andrea (1935)”, va precisato che è stata scattata da Salvatore Levante con Romano Maria Levante nell’agosto 1955 usando camera Ferrania Condor, e presentata nello stesso anno con altre 4 foto tipiche di Pietracamela, al 1° Concorso fotografico dell’Università di Bologna). Michael Mirichigni: Foto n. 9, 30. Emilio De Rogatis Foto n. 8. Gianfraco Spitilli Foto n. 32. Le altre immagini del centro storico e dei panorami sono tutte del 2018 di Romano Maria Levante, n. (3), 7, 10, 11,12, 18, 19, 20, 22, 31,33, salvo l’ultima tratta dal sito del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, si ringrazia l’Ente titolare per l’opportunità offerta. In apertura, “Ginevra Bartolomei”, seguono, “La Madonnina del Gran Sasso, In dialetto. Manoscritto di Ginevra Bartolomei”, e “Sempre poesie”, LXXIV poesia della “Gina” in “pretarolo”con testo in italiano a fronte di Silvia Pallini; poi, “Pietracamela, Prati di Tivo e Massiccio del Gran Sasso d’Italia (settembre 2008″), e “Pietracamela, in processione (anni ’40)”; quindi, “Le campane di San Giovanni (2000)”, e Centro storico, l’ingresso di via Roma, verso l’antica sede del Municipio; inoltre, “Parlando in strada (1996)”, e “Pietracamela dal Monte Calvario (2021)”; ancora, Il Monte Calvario, a dx, di cui parla in una poesia, a sin. il qurtiere meno antico, “la Villa”, e Centro storico, via Roma dopo l’arco di ingresso; continua, Centro storico, un angolo caratteristico, e “In Canada, Ginevra Bartolomei e Pietro Mirichigni, a sinistra. e Giovanni Mirichigni, a destra nella foto (1957 o 1958″; prosegue, Vita pretarola (anni 1950-1960)”, e ” I De Luca verso la Madonnina in ‘cestovia’ (primissimi anni ’50). Genitori: Luigina Panza e Salvatore De Luca; nelle ceste: Celestina e Antonio De Luca”; poi. “La Madonnina del Gran Sasso (26 dicembre 2015)”, e “Padre Archimede celebra la prima messa sul Corno Piccolo (1946″); quindi, Centro storico, antico edificio con il tradizionale balcone in legno, e Centro storico, uno scorcio caratteristico; inoltre, Centro storico, un altro scorcio caratteristico, e “Ginevra Bartolomei e il nipote Graziano Mirichigni (1971)”, ancora, Centro storico, una delle poche vie pianeggianti verso Porta Fontana, e Il Belvedere Guido Montauti; continua, Centro storico, un angolo con antichi edifici”, e “La roccia sul pagliaio. Sullo sfondo, Pizzo Intermesoli (aprile 2008″); prosegue, “Annina, la nonna di Aligi, con la conca, d’inverno (verso 1965)”, e“Ginevra Bartolomei (1994); poi, “Verso Pietracamela, la prima automobile (1940)”, e “Don Andrea,” agosto 1955; quindi, “Da Pietracamela (2021)”, e La casa natale di Ginevra Bartolomei, la poetessa “Gina” ; inoltre, “Ginevra Bartolomei (2004)”, e I Prati di Tivo, cui è dedicata una poesia, in primo piano; in chiusura, Pietracamela alla falde del Gran Sasso dì’Italia , il “nido delle aquile” della poetessa “Gina”.

Pietracamela alla falde del Gran Sasso dì’Itallia , il “nido delle aquile” della poetessa “Gina”

Pietracamela, 1. Il “pretarolo”, l’analisi linguistica sui versi della poetessa popolare “la Gina”

di Romano Maria Levante

L’8^  tappa  del Giro d’Italia l’11 maggio 2024 ha visto i riflettori del grande evento sportivo accendersi sull’arrivo in salita ai Prati di Tivo, superando di 6 Km  l’abitato di Pietracamela – il borgo montano  che dal 2008  fa parte del club dell’Anci “i borghi più belli d’Italia  – di cui tale località  è il culmine alle falde del Gran Sasso, la catena montuosa con  Monte Corno che troneggia in alto nelle due vette di Corno Grande e Corno Piccolo, distese come il “gigante che dorme” o “la bella addormentata”. E la maglia rosa operando uno scatto irresistibile, ha onorato con una vittoria prestigiosa tale scenario spettacolare, bella la scena del sindaco AntonioVillani in fascia tricolore, che gli mette al collo la medaglia nel palco con i boschi e l montagna a fare da cornice incomparabile. Siamo a  Pietracamela, il  “nido delle aquile”,  che il 30 dicembre 2023 ha onorato con un monumento nella piazza principale all’ingresso del paese,  i suoi “Aquilotti”, i primi “locali” a cimentarsi nelle scalate, precedendo gli “Scoiattoli di Cortina” e i “Ragni di Lecco”, aprendo le vie alpinistiche sulle rocce dolomitiche del Gran Sasso.

Le due manifestazioni per il “pretarolo” verace della “Gina”

A  questi due eventi ci piace collegarne due di ben diversa natura ancora più strettamente legati alla storia e alle tradizioni di un paese che resta vitale pur nello spopolamento della montagna, da non confondersi con l’abbandono, tanto i suoi figli sono rimasti legati al “natio borgo selvaggio”  dove ritornano dai luoghi dove gli avi  e i padri sono emigrati, in Italia o all’estero per lo più nelle lontane Americhe. Entrambi gli eventi riguardano un libro, frutto di una accurata ricerca sulle radici di tutto questo come risultano dalla “lingua degna”,  la parlata paesana, il “pretarolo”, che va ben oltre il dialetto per le sue peculiarità che la distinguono nettamente da quella abruzzese e non solo, con una connotazione linguistica e socialogica del tutto particolare; ricerca basata sui componimenti in “pretarolo” di una poetessa popolare, Ginevra Bartolomei detta “la Gina”. Sono due eventi, il primo c’è stato a Roma il 26 gennaio 2023 – nel concorso “Salva la tua lingua locale” in Campidoglio è stato conferito al libro il 2° premio “Tullio De Mauro” – il  secondo evento ci sarà a Bruxelles domani 4 giugno 2024 nella sede della Rappresentaza della Regione Abruzzo in Avenue Luise 210, dove sarà inaugurata la mostra personale “Rapsodikòs” dell’artista Mara Di Giammatteo – aperta fino al 28 agosto – con lavori e allestimenti di arte conteporanea attraverso l’antica arte della tessitura e del ricamo ispirati alle poesie della “Gina” fissando nella materialità della tela con un lavoro ispirato alla tradizione il senso di alcune parole esprimendo così il valore popolare e identitario del “pretarolo” per evidenziarne la validità da preservare dal rischio dell’oblio.

Pietracamela, il “nido d’aquile” alle falde del Gran Sasso, incorporata nella natura

Come nella premiazione a Roma, interverranno, nella presentazione del libro, il sindaco di Pietracamela Antonio Villani e gli autori, a Bruxelles anche il rappresentante della Regione Abruzzo e la critica d’arte curatrice della mostra Maria Chiara Wang sul tema “La fragilità della memoria”. Una onsacrazione internazionale di un libro di per sé internazionale, con l’Introduzione in tre lingue – italiano-catalano-francese – e il suo inserimento nella serie “Territori della parola “ che documenta le lingue regionali,  minoritarie nell’area euro-mediterranea, con la direzione di Giovanni Agresti professore dell’Università Bordeaux-Montaigne e Federico II di Napoli, e coautori Graziano Mirichigni attivo custode dell’opera scritta e orale della nonna poetessa, e  Silvia Pallini alla quale si deve  il “Commento letterario”  conclusivo sulle oltre 100 poesie in “pretarolo” riportate nel libro. A Bruxelles la presentazione rientra nelle manifestazioni per l’Anno delle radici italiane nel mondo.

Pietracamela, uno scorcio del centro storico, con la piazza sovrastata dall’identitaria “Vena grande”

Ma è questo un primo ossimoro, dal locale più chiuso e ristretto all’internazionale, però quanto mai suggestivo. L’altro ossimoro – peraltro apparente come il primo – è dato dal fatto che l’accurata ricerca con l’adozione delle metodologie più elaborate e sofisticate  si concentra su quanto vi è di più spontaneo e immediato, l’espressione di pensieri, sentimenti ed emozioni che diventa poetica nella forma e nel contenuto proprio perché si manifesta in modo naturale senza il benché minimo intento letterario: protagonista assoluta una figlia del popolo, Ginevra Bartolomei, da tutti chiamata  “la Gina”, animata  da un’indomabile vitalità che ha trovato uno sfogo irresistibile nel corso di decenni in una declamazione poetica nella “lingua degna” del suo paese arroccato tra i monti, con le difficoltà inenarrabili di una vita nell’assoluto isolamento e nell’inclemenza della natura.

Non ci addentreremo nei meandri impenetrabili  dell’approfondita analisi svolta con criteri strettamente scientifici di cui apprezziamo l’alto livello professionale e lo spessore culturale, ma ci limiteremo a dar conto sommariamente di quelli che ci sono sembrati i principali risultati conoscitivi sulla “lingua” di  un territorio che è anche il nostro “natìo borgo selvaggio” e sulla poetessa protagonista e testimone. Per poi dare la parola alle sue espressioni poetiche  per rievocare la vita e il sentire di una comunità cui anche noi siamo profondamente legati.

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Questa immagine e le seguenti, nella visita al “centro storico” con le sue scalinate e i suoi archi

Il ”pretarolo”, la “lingua degna” per le sue straordinarie peculiarità 

L’analisi della “lingua degna” viene effettuata con l’ausilio di interviste dirette ai paesani sull’uso del dialetto e le loro percezioni, nonché di risposte a due questionari in ambito locale e nel territorio circostante, e ci si avvale anche dei risultati di una tesi di laurea di Gabriella Francq nel 2016 sul “pretarolo”.

Si inizia con l’”inquadramento socio-linguistico” nel quale vengono analizzati i nessi tra la “lingua” e la comunità che la utilizza, in base alle risposte date dai locali, e anche dagli abitanti dei paesi vicini, sulle loro percezioni inerenti i modi con cui si esprimono. Ebbene, è confermata la consapevolezza della singolarità della loro “parlata”,  delle nette differenze rispetto a quella abruzzese in generale e anche a quella dei paesi limitrofi –  compresa la vicinissima frazione di Intermesoli – il che rappresenta un elemento fortemente identitario; come la consapevolezza del progressivo deterioramento del fonema originario per le contaminazioni di vario tipo – con i forestieri sempre più invasivi per lo spopolamento e i ritorni degli emigrati con le loro interpolazioni straniere –  che trasformano e diluiscono  il paesaggio linguistico.

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Interpolazioni nei tempi passati anche dell’italiano puro da parte dei “cardatori” di ritorno dalla Toscana, dove andavano soprattutto nei mesi invernali in cui il lavoro in paese era precluso dalla rigidità del clima di alta montagna; tali interpolazioni furono valorizzate da uno studioso, Tommaso Bruno Stoppa, che voleva inserire il “pretarolo” nell’”Atlante linguistico italiano”, poi non andato in porto. Il mestiere della cardatura della lana da parte dei “pretaroli” anche in Umbria e Romagna, oltre che in Toscana, era tanto diffuso da far nascere una variante linguistica del “pretarolo”, il “trignano” utilizzato dai cardatori nel parlare tra loro per rendersi ancora più incomprensibili ai forestieri che li ospitavano. A parte questo, la percezione della singolarità della “lingua”portava anche a ritenere non proponibile la sua scrittura quasi fosse limitata alla sola oralità,  mentre tale convinzione è stato smentita dall’opera della poetessa Gina, oltre che da altre circostanze; per questo il “pretarolo” non può essere declassato né confinato tra le espressioni dialettali minori, ma ha la dignità di una lingua, una “lingua degna” come viene  intitolato il libro.

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Queste “percezioni” individuate in una ricognizione preliminare, sono validate dall’accurata ricerca effettuata nella tesi di laurea sul “pretarolo” sopra citata, con due questionari diffusi nel paese direttamente interessato, Pietracamela, e in alcuni paesi vicini per misurarne la consistenza e l’ampiezza: un questionario dedicato all’idioma e l’altro al significato identitario che assume nella comunità. .Le domande sono molto semplici, ma frutto di una sofisticata impostazione di carattere scientifico  della quale si trovano nel libro tutti gli elementi conoscitivi e i riferimenti culturali.  Si è trattato  di “pensare una lingua e un’identità”, riguardo al “peso delle rappresentazioni sociali” , per arrivare a definire “le rappresentazioni sociali della lingua e dell’identità pretarola”.

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Dalla ricerca è emersa “un’indefinitezza legata  alle origini: diversi miti di fondazione” e  “diversi tratti di prossimità linguistica”  e tra questi “il problema del toponimo, dell’origine controversa del nome del paese”. Sulle origini dei fondatori si va dalle vicine Puglie alle più lontane Albania e Grecia, sulla vicinanza linguistica si aggiungono assonanze francesi, a parte quelle abruzzesi ma limitate; il mestiere itinerante dei cardatori pretaroli – con il loro gergo “trignano” – ha reso apporti e contaminazioni. Il nome Pietracamela, secondo la prima rilevazione, richiamerebbe la forma dei massi sopra il paese simile alle gobbe di un cammello, fino a “sommità”; più avanti diremo degli approfondimenti al riguardo riferiti anche ai più antichi popoli e ad altre caratteristiche ambientali.

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L’incertezza di queste prime risultanze non ne riduce l’importanza perché derivano dall’analisi “etnica”, di natura percettiva e soggettiva  rispetto alla comunità locale: “domande e risposte  sono componenti indissolubili e indispensabili  di un unico processo di scoperta e di accrescimento dell’autocoscienza dei membri della comunità pretarola”.  L’analisi “etnica” si aggiunge all’analisi “etica” di natura oggettiva, limitata per la perdita degli antichi archivi distrutti da un incendio.

Al centro della ricerca c’è stato l’idioma locale, analizzato con l’approccio scientifico degli analisti  esercitati nei “Territori della parola”, che collegano strettamente la lingua nelle sue varie espressioni alla comunità locale,  definita nei suoi riferimenti  storici e nei fattori  identitari.  Il tutto con la testimone d’eccezione, la poetessa “Gina”, preziosa  interprete dei due versanti, quello linguistico e quello identitario  nella sua espressione poetica che ne accresce l’eccezionale unicità.

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L’origine del nome “Pietracamela”, dagli antichi popoli alle caratteristiche ambientali

Ed ecco cosa è risultato nello scavo sul “profilo linguistico” del  “pretarolo”, fino a  definirlo “lingua degna”, cioè “bella” per la sua singolarità e unicità  delle sue peculiarità positive. L’analisi inizia con l’approfondimento del nome del paese, “Pietracamela” – da cui deriva ovviamente il “pretarolo”  – di cui abbiamo citato in precedenza le  percezioni verificate sul campo.

 Si parte dall’età romana, l’insediamento montano nel Regio V. Picenum è chiamato “Petra Cimmeria” e riferito all’antico popolo italico dei Pretuzi che si trovava tra i fiumi Tronto e Vomano, quindi non al nome del popolo ma a un toponimo diffuso in aree anche molto lontane come la Crimea e l’Albania e collegato ad etimologie di varia natura e origine che richiamano la “collina”, il “torrente” fino alle “tenebre profonde” della Sibilla  Cimmeria, intese come “oscurità”. Ma i Cimmeri erano anche un popolo  storicamente originario della Crimea, diffuso in Tracia, Anatolia e Vicino Oriente; mentre nella mitologia sono presenti  i “Cimmeri omerici” citati nell’Odissea. “di nebbia e nube avvolti” nel tenebroso regno dei morti,  e i “Cimmeri flegrei”  citati da Strabone  presso il lago d’Averno dove vivevano in case sotterranee collegate da gallerie con “l’oracolo dei morti” consultato pure da stranieri; e Plinio il Vecchio li colloca anche lui nell’Averno.  

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Analogamente per il nome “Petra Cameria” che con riferimento a Pietracamela si trova citato nel “Dizionario ragionato del Regno di Napoli” del 1804, perché la parola “cameram” nell’etimologia significa “soffitto a volta” – che richiama la curvatura dei monti circostanti a gobba di cammello –  mentre un riferimento allo spagnolo “cambre”  richiama “cima”, “culmine”, “punto più elevato”. Ma il  collegamento può essere anche al popolo italico dei “Camerti” insediati sul versante adriatico dell’Appennino centrale, dove si trova Pietracamela, che hanno dato il nome a diverse altre località  del’Appennino centrale, come Camarda e  Camerino. 

Il riferimento alla gobba di cammello dei monti e in particolare di Pizzo Intermesoli  (e forse di “Vena grande”, la roccia identitaria  che sovrasta la piazza principale)  qualifica Pietracamela come “pietra/roccia a forma di cammello”, identificazione fissata nello stemma comunale  con un cammello, immagine tanto eloquente quanto discussa, non essendo presente nel catasto preonciario del secolo XVII. Del resto sulla prima parte del nome, “Pietra” non vi sono dubbi, nell’espressione pretarola l’intero nome è “La Prota” senza aggiunte.

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A questo problematico excursus filologico, storico e ambientale insieme, segue una sintesi particolarmente intrigante, perché mostra come le qualifiche  delle diverse interpretazioni si ritrovano tutte  nella descrizione dl borgo di Pietracamela: “situato in un punto elevato, sormontato da una formazione rocciosa in evidenza,  spesso in ombra, a bacio (proprio perché sormontato da tale formazione rocciosa) e per di più esposto a Nord, collegato al fondo valle da un torrente, non di rado avvolto da nubi e nebbia”.  Nebbia che ritroviamo in un distico dialettale della poetessa Gina, che in italiano recita così: “Quando la nebbia va in su/ Prendi la conca e vai alla fontana// Quando la nebbia va in giù/ Prendi la zappa e vai alla terra”.

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Breve cenni al profilo linguistico del “prtarolo”

Non è giunto ancora il momento di parlare della poetessa, prima qualche accenno al “profilo linguistico”  che viene analizzato in modo approfondito, dopo la dissertazione sul nome del paese. Ci limitiamo a citare il “vocalismo”, che presenta notevole complessità, con “almeno quattro suoni vocalici con valore fonologico (distintivo) assenti nell’italiano standard”, mentre “il consonantismo del “pretarolo  non si discosta sostanzialmente da quello dell’italiano. Fanno eccezione soprattutto alcuni suoni fricativi”.

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Di qui  parte l’analisi dei “tratti linguistici distintivi”, che si avvale soprattutto dei testi della poetessa Gina – 100 poesie in 2 aurei quadernetti con altri fogli staccati – del questionario di Francesco d’Ovidio di un secolo fa, dagli etnotesti orali in “pretarolo “ raccolti da Maria Iannetti nel 2021  ed ora trascritti,  e infine di due conversazioni  a più voci, di una pagina ciascuna,  edite in versione bilingue pubblicate nel Bollettino parrocchiale di San Leucio vescovo, “La Madonna del Gran Sasso” nell’ottobre-novembre 1947  e nel marzo 1948.   E’ un’analisi molto tecnica dei  tratti che caratterizzano i dialetti centro-meridionali  che vengono accostati al “pretarolo”  per evidenziarne le peculiarità con citazioni di esempi specifici per ciascun tratto. Si inizia con la “fonetica pennese” richiamata dal vocalismo del “pretarolo” per poi entrare nel tecnicismo glottologico più arduo, nei seguenti aspetti a ciascuno di quali viene dedicato un paragrafo nel libro: “Metaforesi(o metafonia) a flessione interna” e  “Centralizzazione”, “Frangimento  e dittongazione delle vocali toniche”  e “Assimilaziuoni”,  “Betacismo” e “Trattamento di [l ] + consonante”, “Sviluppo di [j-] e di consonante + [j], e “Sviluppo di nessi latini [- kj -]  e [- ng -] + [e] / [i],  “Sviluppo di [- bj -]  e di [- sj -] e “Lo sviluppo di /- / -/  e / – ll – /”, “Trattamento di [ pl – ] e [ fl -] latini”,  e “Possessivo enclitico”,  “L’espressione della ripetizione” e “Dimostrativi”,  “Plurale alla latina” e “Marche di numero, genere e determinanti”, “L’imperfetto indicativo”  e “Superlativo assoluto iterativo”, l’iperbole analitica con cui si conclude un tecnicismo fino all’estremo che conferma l’accuratezza dell’analisi di una idioma da considerare lingua vera  e propria.

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Naturalmente non possiamo minimamente darne conto, mentre qualche cosa possiamo aggiungere riguardo al “lessico” che evidenzia i tratti distintivi di una lingua alimentata nel lontano passato anche delle espressioni gergali dei cardatori che la rendono criptica  e in tempi più recenti dalle interpolazioni degli emigrati.  Ci sono “forme arcaiche, forestierismi e singolarità”, le parole “vescia” cioè ragazza e figlia, e “r(j)uf”,  cioè bambina e bambino, nei nostri ricordi  della parlata familiare il primo termine era più affettuoso del secondo; “Iona” adesso, e  “Cant(a) come, “Domèna”  mattina, e  “Digna” o “Dagna” bella,  “Utri” soltanto e “”Zalla” piccola,  fino alle forme gergali del “trignano” dei cardatori  che ne rendeva incomprensibili ai terzi le conversazioni.

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La “Gina”, poetessa  di talento espressivo e  vitalità popolare

Ed ora non ci resta che presentare rapidamente la figura che sottende a queste approfondite analisi glottologiche avendole consentite di fatto con le sue espressioni in “pretarolo”, per di più in forma poetica raccolte, come già accenanto, in due quadernetti oltre che in fogli sparsi su stimolo del nipote Graziano che capì come fosse importante far fissare in scritti preziosi la spontanea poetica orale della cara nonna. Ginevra Bartolomei, la Gina per i paesani,  nata nel 1909, vissuta  per l’intero secolo XX entrando per 7 anni nel XXI secolo, è morta nel 2007, dopo una lunga vita  sempre a Pietracamela, salvo la parentesi di 5 anni in Canada  dal 1957 al 1962, periodo molto significativo in quanto fu allora che iniziò il suo percorso poetico perché aveva del tempo libero in attesa del primo lavoro  e poi tra un lavoro e l’altro, con le difficoltà a trovare occupazione dai 48 anni dell’arrivo ai 53 della partenza. In quei lunghi momenti nei suoi pensieri irrompevano i sentimenti mossi dal distacco –  quello che viene definito il “dolore del ritorno” – dall’amato paese “il quale, forse per compensazione, prende corpo nell’interiorità. La parola, prima sentita, poi espressa,  quindi fissata sulla pagina, diventa territorio e prende il testimone del territorio assente”, commenta Giovanni Agresti.

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I suoi testi sono preziosi come testimonianza straordinaria  del “pretarolo” scritto in forma poetica , e formano un affresco altrettanto straordinario dei costumi del secolo scorso, della vita difficile  nell’alta montagna dove si lavorava duramente per la sopravvivenza con i magri frutti di una terra arida con la stagione invernale particolarmente inclemente.  Un lavoro molto duro per gli uomini ovviamente, che nei mesi invernali si spostavano come cardatori della lana nelle regioni del Centro Nord, Marche e Umbria, Toscana e Romagna; e ancora più duro per  le donne impegnate,  oltre che nei lavori domestici – con il lavare i panni al lavatoio e prendere l’acqua alla fontana con la conca, cucinare alla fornacelle o al focolare – nel portare in testa legna e fascine dai Prati di Tivo, dove andavano anche più volte al giorno ad almeno 1450 metri  di quota mentre il paese è a 1005 metri, e la Gina era una di loro; anzi racconta di aver lavorato persino nella costruzione della strada provinciale che sale per 9 km dalla statale a  Ponte Arno, portando in testa i materiali usati, sassi e cemento,  travi di ferro e acqua.

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Ma non c’è solo questa testimonianza nei preziosi quadernetti e nei fogli sparsi che ha lasciato, bensì le sue continue valutazioni disincantate sul valore della modernità che eliminava i tremendi disagi del passato ma con essi offuscava anche tanti valori di una tradizione profondamente radicata che rischiava di venire cancellata. Anche perché l’emigrazione all’estero e lo spopolamento per l’incalzante urbanizzazione erodeva inesorabilmente  la popolazione locale con il rischio di sparizione. L’emigrazione l’ha vissuta in prima persona, come abbiamo accennato, per cui ne descrive, come per il resto, croce e delizie.  Tutto questo riguarda in vari modi la vita esteriore, quella di tutti i giorni vissuta e vista sempre con una prospettiva  di più ampio respiro.

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Alla vita interiore ha dedicato una vasta serie di componimenti  particolarmente intensi: e questo riguarda l’aspetto religioso con la profonda devozione unita ad osservazioni disincantate e, soprattutto nell’ultima fase, l’aspetto dell’età avanzata, anche qui con espressioni  non fataliste ma di una filosofia di vita che fa meditare, fino alle battute di uno “humor” spontaneo e gustoso. Le sue poesie molto spesso hanno una premessa o una conclusione che dà loro un valore più vasto del semplice sfogo personale dell’autrice, perché si rivolge anche all’esterno e spiega, quasi come se volesse giustificarsi, il motivo per il quale si è decisa ad esternare i suoi sentimenti interiori.

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Un alto valore umano oltre che storico e letterario, dunque, che fa della poetessa Gina una vera icona, oltre che una testimone preziosa. Del resto, questo fu compreso ben prima dell’attuale consacrazione, quando nel capoluogo di Teramo, al Cinema Smeraldo, alla fine degli anni ’80, fu premiata pubblicamente; nel 1989 fu intervistata dalla Rai da Monica Leofreddi nella trasmissione “Uno mattina”e nel 2006 in un articolo sul settimanale “Famiglia Cristiana” Alberto Bobbio scrisse che “la Gina s’inventa versi nella mente e poi li recita a chi la viene a trovare”. Dice tutto d’un fiato perchè sa che il tempo è breve…”, morirà l’anno dopo a 98 anni. Non possiamo quindi, che dare la parola a lei, ai suoi versi, che riempiono circa 200 pagine del libro, in “pretarolo” con la “versione” italiana operata dagli autori, ovviamente  riporteremo stralci dei suoi componimenti in italiano data la difficoltà della “lingua degna” di essere  non solo compresa ma anche trascritta. Ne emergerà l’affresco storico, ambientale e umano che abbiamo tratteggiato, l’excursus nella poetica popolare della “Gina”  uscirà  presto in questo sito.

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L’edificio storico con le “bifore”

Info

Libro “La lingua ‘degna’, Pietracamela e il pretarolo nei testi di Ginevra Bartolomei. Profilo linguistico, norme di lettura, antologia poetica. A cura di Giovanni Agresti (dir.), Graziano Mirichigni, Silvia Pallini,“. Territori della parola. Una collana di Odelleum, Observatori de les liungues d’Europa i de la Mediterrania (Università de Girona) CNRS – Université Bordeaux-Montaigne – Université e Pau et des Pays de l”Adour. Edito da Associazione LEM Italia – Lingue d’Europa e del Mediterraneo, dicembre 2020, pagg. 396, Introduzione trilingue, in italiano, catalano e francese, testo in italiano.

Photo

Le immagini – salvo la seconda panoramica con Pietracamela alle falde del Gran Sasso d’Italia che la mostra immnersa nella natura fino a confondersi in essa, tratta da “Tesori d’Italia”, di cui si ringraziano i titolari – sono state riprese da Romano Maria Levante nell’agosto 2018 e, a parte la terza con una panoramica della parte più antica, “La terra”, e della roccia identitaria “Vena grande”, rappresentano la visita nel centro storico con le sue scalinate e i suoi archi. L’immagine conclusiva mostra una delle “pitture rupestri” a Pietracamela del “Pastore bianco”, il gruppo pittorico guidato dalla gloria paesana il pittore Guido Montauti, alla presentazione dell’opera restaurata il 10 agosto 2018 con il restauratore Corrado Anelli, nella foto davanti alla pittura.

Pietracamela, una “pittura rupestre” del “Pastore bianco”, il gruppo pittorico guidato dalla gloria paesana il pittore Guido Montauti, alla presentazione il 10 agosto 2018 dell’opera restaurata con il restauratore Corrado Anelli, nella foto davnti alla pittura