di Romano Maria Levante
“Ieri e oggi. Due sindaci a confronto, Alemanno e Darida”. Questo l’invitante manifesto che ci ha indotto a recarci nel tardo pomeriggio dell’11 marzo 2009 al teatro San Raffaele nel quartiere del Trullo alla periferia di Roma, perché il confronto tra ieri e oggi non va lasciato soltanto allo spettacolo televisivo, nel quale abbondano le rivisitazioni in bianco e nero della giovane età dei personaggi.
C’è stato poi un altro motivo di interesse, la presenza di Paolo Gatti, neo assessore alla Pubblica Istruzione e al Lavoro della Regione Abruzzo, già assessore al Comune di Teramo, il più votato alle recenti elezioni regionali, e di Pasquale De Luca, l’attivo Consigliere comunale di Roma che ogni anno organizza nella Capitale un incontro all’insegna dell’“orgoglio teramano”. Poter toccare con mano il nesso tra Roma e l’Abruzzo, Teramo in particolare, nel contatto con tali autorevoli protagonisti ci è parsa un’occasione da non perdere.
E’ stato il consigliere De Luca, di cui conoscevamo l’ardente “teramanità”, che ha ricordato anche alla platea, a stupirci con la sua profonda “romanità”. Ha gestito l’incontro ripercorrendo la storia amministrativa della città, ma anche immergendosi nei problemi della gente del quartiere, situato all’estrema periferia non lontano da Corviale, la “casa lunga un chilometro” dell’“edilizia ideologica” dei primi anni ’70 che è stata evocata.
Il ieri di Corviale era un progetto ambizioso di socializzazione in un palazzo che al suo interno riproduceva un paese, i negozi e i servizi, la passeggiata e la vita associata; poi la cattiva frequentazione e il degrado hanno travolto le migliori intenzioni, l’oggi è sospeso nell’attesa di una migliore qualità della vita, c’è anche una Tv interna. Il ieri dell’Ara Pacis era un contenitore da rinnovare a misura dello scrigno prezioso, l’oggi è la teca smisurata di Mayer nella quale c’è di tutto e di più, che sovrasta lo scrigno e l’adiacente chiesetta. Il ieri del quartiere erano i presidi di sicurezza e socialità, l’oggi è la loro faticosa ricostituzione.
Il confronto tra i due sindaci di ieri e di oggi fa tornare indietro di quarant’anni, Alemanno lo è oggi, Darida lo è stato dal 1969 al 1976, in un’altra Roma e soprattutto in un altro mondo. Ed è un fatto culturale viverlo in un teatro esaurito, anche nei posti in piedi. Perché si percepiscono umori e passioni, timori e volontà, di un pubblico che partecipa, in testa a tutti la preoccupazione per la sicurezza e l’immigrazione.
La sicurezza
E’ stato sottolineato da Darida che anche nella sua sindacatura questo problema era preminente, ma nasceva dal terrorismo e quindi riguardava la politica e le istituzioni; inoltre era un portato della lotta violenta tra gli opposti estremismi, e ha ricordato con commozione gli episodi di sangue di quel periodo. Tornando ancora più indietro nel tempo, ha rivolto un commosso pensiero alla memoria del giovane democristiano romano, Gervasio Federici, pugnalato e ucciso dall’opposta parte politica tra l’11 e il 12ottobre del 1947, mentre attaccava manifesti all’Esquilino, come faceva anche il giovane Darida. Forse l’essere stato, per così dire, sfiorato dalla violenza politica lo ha portato, da Sindaco, a rendere omaggio alle vittime anche se si trattava di assumere posizioni scomode e isolate, come fu per la barbara uccisione dei fratelli Mattei, bruciati nella loro abitazione per un odio ideologico incontrollato.
Ma la gente comune, che non faceva attivismo politico, non si sentiva minacciata a differenza di oggi, anche se questo possa sembrare un paradosso, perché negli “anni di piombo” erano i politici, magistrati, forze dell’ordine, giornalisti a trovarsi sotto tiro. E poi vi erano le minacce internazionali, la guerra fredda che però non era avvertita sulla pelle di ciascuno.
Nonostante non ci sia più tutto questo, oggi l’insicurezza è diffusa, ne ha parlato Alemanno ricordando l’impegno a rimuoverne le cause più evidenti, come i campi abusivi e l’assenza di presidi adeguati sul territorio; l’annuncio del ripristino di una caserma dei carabinieri nel quartiere ha suscitato un’ovazione fragorosa, che ci ha sorpreso per la sua spontaneità e intensità.
L’immigrazione
Un altro fenomeno che ha connotati apparentemente comuni, ma effetti molto diversi, è quello dell’immigrazione. Roma all’inizio degli anni ’60 ha visto raddoppiare la popolazione da 1,5 a 3 milioni di abitanti, con cambiamenti radicali nel suo assetto. E’ stato come “avere addosso un’altra città” delle dimensioni di quella preesistente. Si trattava di immigrazione interna, l’esodo dal Sud non aveva come meta solo il Nord ma anche la Capitale, con i problemi conseguenti dati dalla crescita fuori controllo delle periferie e delle borgate dove si dovevano portare i servizi essenziali, che non si vedono quando ci sono, ha sottolineato Darida, ma si sente la loro necessità quando mancano. I problemi maggiori erano il lavoro e l’abitazione. Il sindaco di allora ha tenuto a sottolineare che, nonostante fosse della stessa parte politica, non ebbe dal governo nazionale il minimo aiuto, neppure per l’Anno Santo del 1975, anzi si prese i rimproveri del Vaticano “dati a nuora perché suocera intenda”; mentre nell’ultimo Anno Santo del 2000 l’impegno del governo a sostegno della Capitale è stato ingente. Ha detto che così si toglieva un altro “sassolino dalla scarpa”.
Nell’anno di Alemanno l’immigrazione è dall’estero con tutti i problemi connessi che rispetto all’emigrazione interna contemplano l’emergenza della sicurezza. L’impegno del Sindaco a garantire il rispetto delle regole e della legalità da parte degli immigrati, pena l’espulsione immediata di chi non è in regola, è stato osannato; e ha citato l’azione per eliminare entro il 2009 i campi nomadi abusivi e attrezzare aree di permanenza con i servizi, l’assistenza e una sorveglianza adeguata.
La politica e i cittadini
Ma l’aspetto che ha marcato forse di più la differenza tra ieri e oggi riguarda il personale politico nell’Amministrazione e nelle Istituzioni e il contatto con i cittadini e i loro problemi. Intanto ieri c’era una forte instabilità politica, le maggioranze erano risicate e ballerine con il passaggio dei socialisti da una parte all’altra, lo ha ricordato Darida la cui amministrazione cadde per questo motivo. Inoltre il Sindaco era impegnato con il Consiglio comunale molto di più di quanto avvenga oggi dopo le riforme che lo hanno alleggerito di compiti che aveva in precedenza.
C’era l’“assedio” dell’opposizione, non solo nelle aree consiliari ma nella Piazza del Campidoglio. Darida lo affrontava “uscendo dalle mura, andando tra la gente, ascoltando tutti, aprendosi al dialogo”. Spesso non si potevano esaudire le richieste, ma era importante conoscerle, e poi c’era da salire la scala della Banca d’Italia, una sorta di “scala santa” ha detto, dato che il Comune era “indebitato fino al collo”: “Roma la città del dialogo” fu il suo slogan. Ciò era possibile perché il personale politico “si era fatte le ossa” nel contatto con la gente sul territorio iniziando dai livelli inferiori e ascendendo gradatamente nel suo “cursus honorum”. Oggi questo non avviene, si bruciano le tappe e viene meno la gavetta; forse perché, abbiamo osservato, il professionismo politico ai pregi ha unito tanti difetti.
Nell’anno di Alemanno nulla di tutto questo. Le manifestazioni e delegazioni ci sono, ma il quadro politico è molto diverso. L’Amministrazione è stabile, per la legge elettorale che dà un vero potere al Sindaco non esposto agli umori del Consiglio, ci sono i Municipi che gestiscono il territorio, le mediazioni politiche sono ben diverse e meno defatiganti. Perciò il Sindaco ha potuto presentare con piglio decisionista la sua “strategia della sicurezza e della riqualificazione del territorio” come base per dare avvio a un “unico grande ciclo di sviluppo” con al centro la valorizzazione dell’identità romana ad ogni livello della città. Si deve “costruire il futuro risolvendo tutti i problemi del territorio, dalla sicurezza alla vivibilità fino all’arredo urbano, nella prospettiva dell’identità romana, nei valori degli individui, delle famiglie e dell’intera comunità”. Per concludere: “Ci si dovrà sentire a Roma anche nelle più lontane periferie”.
Una po’ d’Abruzzo
In tanta “romanità” ci siamo sentiti di chiedere un commento sul “ieri e oggi” al neo assessore regionale abruzzese Paolo Gatti. Il passaggio dall’assessorato al Comune di Teramo di ieri a quello della Regione Abruzzo di oggi ha rappresentato un salto da una realtà consolidata e sotto controllo a una situazione tutta da esplorare. Ma il primo problema emerso in modo prepotente è la situazione critica nei conti regionali, il bilancio è dissestato oltre il prevedibile. Il sovrapporsi della crisi generale a quella regionale aggrava ulteriormente il quadro d’insieme perché con l’indebitamento a livelli record e le entrate ridotte mancano le risorse quando ce n’è più bisogno.
L’assessore cita la linea del presidente Gianni Chiodi improntata al rigore e alla selettività nella spesa. Nel suo assessorato si sta concentrando sui problemi del lavoro e della formazione, una vera emergenza; ma può già dire che nell’istruzione la carenza di risorse si farà sentire. Gli ricordiamo gli sprechi dati dal moltiplicarsi di sedi universitarie distaccate in comuni anche piccoli, è un problema che ha ben presente, andrà risolto non più solo per scelta razionale ma anche per necessità; l’assessore non si nasconde comunque le difficoltà, fin da ora immagina le resistenze che dovrà affrontare.
Cerchiamo di introdurre una nota positiva sottolineando che tra i 161 “territori di eccellenza” individuati dal Censis nella ricerca presentata il 13 febbraio 2009, figura il Gran Sasso per ben due volte, tra le eccellenze nell’“accoglienza” e quelle “tecnologiche”, e la Val Vibrata di Teramo, insieme a Casoli, tra le eccellenze “produttive”. Anche qui l’assessore mostra il suo realismo: mentre il Gran Sasso, per la natura e il Laboratorio di fisica, non viene colpito dalla crisi, per la Val Vibrata i problemi sono gravi: la vocazione tessile l’ha esposta alla pressione dei prodotti importati a bassissimi costi e poi alla crisi produttiva, e oggi vi è emergenza occupazionale anche se nella ricerca del Censis figura tra i territori di eccellenza.
Un “ieri e oggi” molto ravvicinato questo, purtroppo di segno negativo.
Vogliamo concludere comunque in modo positivo, e lo facciamo ricordando l’intervento dello stesso assessore Gatti in apertura della manifestazione, allorché ha sottolineato la contiguità dell’Abruzzo con la Capitale e ha auspicato un avvicinamento sempre maggiore tra le due regioni anche sotto l’aspetto dell’imprenditoria e del lavoro. Se son rose fioriranno, ma non si può dire quando: “La primavera tarda ad arrivare”, cantava Franco Battiato nel 1991 nel suo accorato “Povera Patria”. Un “ieri e oggi” simbolico anche questo.
Tag: Gianni Chiodi, Paolo Gatti, politica, territorio