di Romano Maria Levante
Vittoriale sul Garda e Castel Sismondo a Rimini per contemplare la bellezza, con Giordano Bruno Guerri e il critico d’arte Alberto Agazzani nelle vesti di messaggeri.
Una redazione che si sdoppia, mentre una parte di essa pubblica la notizia di una manifestazione, c’è chi va alla conferenza stampa di presentazione per farne un approfondimento. E’ il massimo di impegno che può mettere in campo un periodico culturale, e questo ha fatto la nostra rivista per “Contemplazioni. Bellezza e tradizione del Nuovo nella pittura italiana contemporanea”, la mostra di cui sono stati informati i lettori, che viene inaugurata a Castel Sismondo e al Palazzo del Podestà di Rimini oggi 5 agosto, e resterà aperta fino al 6 settembre 2009.
E poiché la fortuna aiuta gli audaci, siamo stati premiati da una bella sorpresa. Eravamo pochi ma buoni gli intervenuti alla presentazione quanto mai curata ed istruttiva nella calda mattinata del 30 luglio al Ministero per i Beni e le Attività culturali. Una partecipante ha detto di essere incaricata dalle istituzioni cinesi dei contatti in campo culturale e, riferendosi al protocollo di collaborazione firmato al G8 da Berlusconi con i governanti, si è offerta di portare la mostra a Pechino. Una possibilità inattesa, tutta da verificare, e il Ministero lo farà senz’altro, “circolazione” delle attività culturali e promozione dei confronti tra le “diversità” sono tra i punti innovativi della sua strategia.
Il messaggio di Giordano Bruno Guerri che viene dal Vittoriale
La bella sorpresa è stata trovarvi Giordano Bruno Guerri, da poco più di nove mesi Presidente della Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” di Gardone Riviera, non dietro al tavolo dei relatori come per lui consueto, ma dalla parte dei giornalisti; lui che è “anche” grande giornalista, venuto dal Vittoriale per conoscere da vicino questa “contemplazione della bellezza” e trarne spunti preziosi. Anche perché al Vittoriale la bellezza è di casa, come meta ricercata e spesso raggiunta.
Ne abbiamo subito approfittato, facendo leva su una conoscenza personale diretta – ci siamo scambiati i nostri libri su D’Annunzio a dieci anni di distanza – oltre che sulla stima sconfinata di chi scrive per un personaggio inimitabile, colto e disinibito scrittore e affascinante affabulatore.
Lui non si è fatto pregare, ci ha dato notizie sulle attività in corso e anticipazioni su future iniziative. Il primo pensiero all’Abruzzo: “Mi sono premurato di stringere maggiormente i legami con l’Abruzzo, che non erano buoni. I rapporti con il Centro studi dannunziani di Tiboni e con la Casa natale sono rifioriti, ora ci sono scambi continui”. Ed è un bene, commentiamo, non si può concepire uno iato tra i due poli dannunziani, la terra natale che tanto lo ha ispirato e l’approdo al Vittoriale che tanto ha amato; come sarebbe inconcepibile – parlando con l’autore di “Povera santa…” non lasciamo stare i santi – uno iato tra Pietrelcina e San Giovanni Rotondo nella saga di Padre Pio, che D’Annunzio chiamava “quell’umile fraticello di Pietrelcina” e definiva “stigmatizzato” per le stimmate sanguinanti che lo avevano molto impressionato fino a pensare “più volte ad un incontro col mirabile uomo”.
Poi una buona notizia per chi ama la “gabbia d’oro” del Poeta, lo splendido “buen retiro” sul Garda: “Il trend dei visitatori si è invertito, il calo si è arrestato e nel primo semestre c’è stato un aumento. Stanno andando in porto delle importanti iniziative intraprese dalla nuova Presidenza.”. Chiediamo di parlarcene: “Ne cito solo due, l’illuminazione notturna del Vittoriale, necessaria per la vista dal lago dell’insieme e per le visite serali; inoltre l’apertura di un nuovo museo, “D’Annunzio segreto”, dove saranno esposti oggetti e cimeli oggi non visibili ma di notevole interesse, di varia natura, si va dagli abiti all’argenteria, dagli articoli per il pranzo a quelli per la scrittura”.
E gli altri progetti? “Il 14 settembre ci sarà il primo dei tre convegni per i novant’anni dall’impresa fiumana”. Un incontro di approfondimento storico e non solo: “In quell’occasione faremo una cerimonia per l’acquisizione di due importanti ‘Fondi’ di documenti che vengono dall’archivio Baccara, e saranno da allora interamente al Vittoriale”. Non è stato automatico acquisire questi documenti preziosi: “Abbiamo bloccato altrettante aste esercitando il diritto di prelazione”. Come aveva iniziato, Giordano Bruno Guerri termina con un pensiero per l’Abruzzo: “Agli abruzzesi dico di venire a Gardone Riviera, al Vittoriale, vi troveranno anche un pezzo della loro terra”.
La bellezza perenne che vive al Vittoriale
Oltre a “un pezzo della loro terra”, che li emozionerà, vi troveranno ad estasiarli la bellezza evocata da Francesco Meriano, dopo un incontro con D’Annunzio al Vittoriale che – ricorda il figlio Carlo Ernesto – “lo emoziona profondamente, colorandosi nel suo racconto di suggestioni mitologiche e profetiche”. Ma ecco il Console generale d’Italia a Odessa: “Se il Vittoriale fosse una casa, si potrebbe osservare che le stanze sono gremite da una congerie di cose troppo belle, che v’è ridondanza di forme decorative; e si potrebbe ripetere uno di quei melensi luoghi comuni che vegetano, fungaia maligna, attorno alle vive creature dannunziane: esservi, nella casa come nell’arte, esagerazione d’ornamenti, di preziosità, di superfluo.
Entrati nell’atmosfera dell’ineffabile, cioè appena varcata la soglia del Vittoriale, guidati dall’una all’altra stanza dalla voce calda e colorita del Comandante, dalla melodia delle sue immagini che senza sforzo passavano attraverso tutti gli strati psicologici, dall’ironia al sacrificio, dimenticammo la pioggia e il sereno, il lago e la selva; vivemmo in un sogno tanto più vero della trita realtà d’ogni giorno. Lampade nascoste modulavano le varie luci sulla dovizia dei marmi e dei metalli; soffici tappeti attutivano il passo; vetri istoriati ci isolavano dal bagliore spettrale del crepuscolo. Troppe cose per una casa, non per il luogo dove un artista adora e crea la bellezza, dove un guerriero medita e svolge il suo mito meraviglioso”.
E per finire: “L’ambiente ch’egli crea risponde a una esigenza e a una tecnica che rivelano , se è possibile, un’agilità più giovanile, un’ispirazione lirica più pura. Ogni oggetto vi ha il ‘suo’ luogo; idoli, colonnine d’onice e d’alabastro, calchi di opere classiche, dall’Atena lemnia al Prigione del Buonarroto, arazzi, cuscini, libri, armi, cimeli, tutto obbedisce ad una invenzione nuovissima, la materia si anima in un complicato istantaneo gioco di simboli e, come di solida, può divenir fluida, assume impreviste significazioni, e i confini del tempo e dello spazio sono aboliti, e sacro e profano sono aggettivi, oh finalmente! vuoti di senso. La sola verità che resiste a questa metamorfosi incessante è la verità dell’anima umana, la bellezza della vita eroica”.
E Giuseppe Bigaglia, riferendosi agli affreschi della Stanza del Lebbroso, la più intima e carica di simboli del Vittoriale, scriveva: “In quelle visioni in cui è alta espressione di poesia resa con dolcezza di linee, in cui è maggiore la festosità dei colori in un’armonia indovinata di figure distribuite in un ambiente pieno d’aria tranquilla, serena, allietata da un canto mistico che solleva l’animo; in queste visioni il Cadorin è proprio il pittore di rappresentazioni sacre, di cui l’età nostra abbisogna: maestro efficace di fede, di amore, di bontà, di bellezza”.
La lezione sulla bellezza e sul nuovo di Alberto Agazzani, curatore della mostra di Rimini
Avrebbe potuto dire soltanto “maestro di bellezza”, sarebbero stati compresi ugualmente gli altri valori, da fede e amore alla bontà.. Questa in sintesi la vera propria lezione sulla bellezza che abbiamo avuto la ventura di ascoltare da Alberto Agazzani, il critico d’arte che ha costruito la mostra pezzo per pezzo su una forte spinta ideale. Possiamo rendere la sua lezione compiutamente, dato che l’ampia notizia sulla mostra data dalla Redazione il 31 luglio contiene già delle informazioni, quindi ci esime dal rendere conto dei particolari sull’iniziativa già trattati.
Ci soffermiamo su questo che è una sorta di “back stage” della mostra, il suo retroscena e insieme la sua motivazione profonda, con il pizzico di soddisfazione di aver dato la stura alla lezione con una nostra domanda che Agazzani ha gradito in modo particolare perché ha potuto tirare fuori tutto.
La “bellezza”, parola chiave della mostra – l’altra è “tradizione del nuovo” – “non è un concetto astratto o metafisico, bensì un sistema di valori nel quale c’è il bello ma anche il buono, c’è la scelta etica che esclude protagonismo, ricerca del successo come del denaro e del potere”. Di qui uno sfogo appassionato, senza freni: “Mi sono arrogato il diritto di fare scelte etiche nella selezione delle opere per la mostra, da tremendo moralista”.
E non è la prima volta: “da quindici anni organizzo mostre adottando per me i valori etici che ricerco negli altri, il disinteresse e la coerenza, il rigore morale e il rifiuto di compromessi”. E’ un atteggiamento etico non sanzionatorio ma valutativo, per vedere se “in questo tempo senza eroi si trovano ancora valori e speranze”. Il critico d’arte “è un accessorio, è al servizio dell’artista per collegarlo con la società”. Una volta che ciò è avvenuto il suo ruolo è esaurito, può tornare dietro le quinte, ma è giusto che ora sia sul proscenio..
La “bellezza” non è stato il tema assegnato, e abbiamo capito come, a parte la ricerca di artisti attivi in Italia, non ci sono altre analogie con la mostra “Mitografie” al museo Bilotti di Roma di cui abbiamo dato conto di recente, per la quale un critico e un artista hanno selezionato gli autori assegnando come tema “Il mito”, declinato in modi molto diversi dal riferimento alla mitologia classica, in una visione moderna spesso onirica e lontana da canoni di qualsivoglia natura.
“Cosa c’è di più scandaloso della bellezza?”, si è chiesto Agazzani, e ha citato quadri di nudi maschili che per alcuni possono dare scandalo. “La bellezza è scandalosa perché ci fa ritrovare i fili di una trama emotiva, appunto come insieme di valori, eticità ed onestà in testa; i pittori sono i talebani del bene che combattono anche per cambiare il mondo, un esercito cresciuto a dismisura”. E a riprova ha esclamato: “Il padiglione Italia alla Mostra di Venezia, curato da Beatrice Buscaroli e Davide Rondoni che coordinano la rassegna di Rimini, è il più visitato perché la bellezza attira”.
La pittura era un filo che si era perduto, “era un sapere che all’inizio degli anni ’80 andava svanendo, come sistema di tecniche e materiali”, si stava assistendo alla sua fine soppiantata da forme espressive dichiaratamente all’avanguardia. Il filo è stato riannodato dalla riscoperta delle vocazioni pittoriche contemporanee nascoste, che venivano oscurate dalla moda del momento e avevano scelto “la via della clandestinità” pur di sopravvivere. E qui Agazzani ha dato atto a Vittorio Sgarbi di essere stato antesignano della ricerca dell’artista ignoto e di avervi dedicato ormai da molti anni la propria grande notorietà e visibilità. Di qui inizia “”una lenta ma irreversibile riscoperta, accompagnata anche da fenomeni vistosi e da prese di posizioni radicali, come può essere stata la Transavanguardia”.
La ricerca della bellezza, nell’accezione prima indicata, e di una coerente tradizione del nuovo, è una reazione al “nichilismo imperante” nella società e al concetto che l’artista sia in grado di “dare all’esistenza una forma diversa da tutte le altre, quella della ‘vera vita’, una vita che costituisce a sua volta la garanzia più certa che tutte le opere che essa produce appartengano a pieno titolo alla dinastia e al dominio dell’arte”. E’ stato questo un piano inclinato per il quale “l’arte si è trasformata in un veicolo del cinismo” in base all’idea che “l’arte stessa debba stabilire con la realtà un rapporto che superi la sua semplice imitazione o la sua rappresentazione ideale, per diventare uno strumento in grado di metterla a nudo, di smascherarla, di raschiarne le incrostazioni, scavarne l’essenza per ridurla violentemente ai suoi elementi primari”.
Potrebbe sembrare positiva questa pittura che “nasce dal basso”, intesa “come luogo primario d’irruzione dell’elementare, come messa a nudo dell’esistenza”, anche perché “si genera da elementi che ‘stanno sotto’ a tutto ciò che fino al 1789 non aveva né diritto né possibilità d’espressione”, in un’arte allora pienamente “platonica ed aristocratica”. Tuttavia, secondo Agazzani, si è superato ogni limite da quando l’arte si è posta in una “posizione di incessante e costante rifiuto, negazione di ogni regola, sia essa stabilita, dedotta o indotta purché riconducibile ad una tradizione, ad un passato”; all’“incessante e spasmodica ossessione del passato” si è associato logicamente “un nuovo da ricercarsi e perseguirsi ad ogni costo, finendo così per rappresentare il cinismo della cultura che si rivolta contro se stessa”.
Ed ecco la conclusione senza mezzi termini:“Priva di qualunque valore e confine, l’arte moderna (e contemporanea) si è presto trasformata in un circo nel quale tutto è possibile, anzi nel quale ogni oscenità, provocazione, dissacrazione e profanazione è dovuta, obbligatoria in nome di una presunta verità trasformatasi in vorace verità”.
Constatare che non si tratta di una mera denuncia è stato consolante, il fuoco savonaroliano nel bruciare i disvalori cerca di accendere i nuovi valori e di animarli con azioni concrete da almeno quindici anni. Perché “l’arte può dare consolazione e speranza, comunicare valori e la bellezza nella sua accezione più ampia è il valore fondamentale”; un antidoto contro la “sovversione dei valori”.
In queste azioni, divenute una missione alla quale ha sacrificato tante altre opportunità, Agazzani si sente sostenuto dalla visione di Jean Clair, uno dei maggiori critici d’arte contemporanei che attribuisce, nella sua opera così intitolata, “la crisi dei musei e la globalizzazione della cultura” a un processo di decadimento più generale; e denuncia con durezza “i mali che hanno portato la nostra società, e l’arte che la rappresenta, al livello di ‘punto morto’ attuale, identificandone il male con l’imperante senso di nichilismo che ammorba anime e annienta valori”.
La bellezza e la tradizione del nuovo nella mostra della “Contemplazione”
Seguendo Jean Clair, “contemplare” significa etimologicamente, da “templum”, “spazio divino tagliato nell’aria”, come facevano gli àuguri che traevano messaggi divini dal volo degli uccelli, osservandone il passaggio nelle reti immaginarie formate dai quadrati disegnati con dei bastoni. Ugualmente si può “entrare in contatto col trascendente mediante l’atto del contemplare”, e a questo tende la mostra con l’impostazione prescelta sulla base dei valori che si sono illustrati riportando il pensiero del curatore e selezionatore delle opere: “L’artista ritagliando degli spicchi di cielo può veicolare dei valori”, bisogna restituirgli questo ruolo che la modernità ha cancellato.
L’intento, “ben lungi dall’avere la certezza della soluzione”, è ambizioso: “Evidenziare l’esistenza di un’arte italiana scevra da cinismo e nichilismo, strettamente legata ai valori tradizionali incarnati dalla bellezza ma, contemporaneamente, in grado di rinnovarne la forma e rinvigorire, ravvivandola, la forza espressiva”.
E’ un intento realistico perché esistono, e Agazzani li ha scovati, “artisti profondamente legati alla realtà e ai suoi accadimenti quotidiani, uomini e donne, anziani quanto giovanissimi, che contro ogni moda, contro ogni tendenza e costrizione hanno saputo tener fede alla loro espressività, al loro Io, imponendo stili e modalità espressive quanto mai originali ed autonome”.
Qui è stata fatta la constatazione, anch’essa consolante, che “l’Italia presenta una ricchezza di contemporaneità all’interno della pittura figurativa”, possiamo essere fieri che in questi venticinque anni si è formata “una generazione di pittori padroni della tecnica”, per cui nella selezione si è potuto esercitare il necessario rigore. Dei 480 artisti considerati ne sono stati selezionati 120 in base a due criteri, veri e propri “paletti”: l “espressività autentica”, o se si preferisce l’“autenticità dell’espressione”; la “dimensione etica”, cioè il rapporto dell’artista con la pittura, inteso come “manifestazione della propria anima, del proprio spirito”. Escludendo coloro che, al di là della resa esteriore, non hanno contenuti propri e ripetono altri artisti oppure hanno motivazioni non etiche.
Agazzani ha parlato con tono appassionato della sua ricerca certosina delle opere da selezionare recandosi di galleria in galleria, di pittore in pittore, “senza dimenticanze”- ha tenuto a precisare – ma anche senza cedimenti. Nessuno è stato “dimenticato”, ma molti sono stati “ignorati”, e volutamente, perché non rispondevano ai requisiti di eticità intesi nel senso anzidetto; altri si sono autoesclusi non essendo più disposti a partecipare a una mostra collettiva dopo l’abbuffata di mostre individuali a cui abbiamo assistito.
La mostra nel “Premio Rimini” e nelle politiche dei Beni culturali
Il critico curatore appare molto soddisfatto del risultato, sono presenti le diverse forme figurative che caratterizzano la pittura italiana; “tutti artisti intrinsecamente legati alla grande tradizione della storia dell’arte italiana ma al contempo capaci di una continua rilettura della stessa in chiave contemporanea”, appunto la “tradizione del nuovo” che diventa mostra, esposizione al pubblico.
Anche sotto il profilo generazionale c’è un campionario completo, da Lanfranco che è stato collaboratore di Salvator Dalì al giovanissimo Riccardo Negri e, per fare nomi di caposcuola, da Cremonini a Sughi, da Guarienti a Guccione fino al celebre Ventrone, “grandi maestri della pittura figurativa contemporanea”. Ci sono anche artisti di origine straniera ma legati per formazione e forma espressiva al filone dell’arte italiana, da Kapor a Pajevic, da Ponzalo a Beel.
La vera e propria orazione di Alberto Agazzani ci ha preso la mano, ma non possiamo non sottolineare l’impegno del Ministero dove si è svolta la presentazione, alla quale ha partecipato lo staff del Ministro ad alto livello, con il capo della Segreteria Hullweck e il consigliere Crespi,. Presenti attivamente i vertici dell’Associazione Culturale Città d’Arte, che ha realizzato la mostra, e della Fondazione Carim di Rimini che ha sostenuto questa e altre esposizioni al Castel Sismondo, dalle quali sono venuti consensi dalla critica e successo di pubblico, con mezzo milione di visitatori.
E’ importante tener conto di quanto già indicato nella nota redazionale pubblicata su questa rivista il 30 luglio, che abbiamo citato all’inizio, sul più vasto “Progetto Sismondi. Moti d’arte e poesia contemporanea”. E’ una rassegna biennale, coordinata da Beatrice Buscaroli e Davide Rondoni, in merito alla quale va precisato che il “dialogo tra Arte e Poesia interrogate sul tema della Bellezza” avrà in questa mostra una premessa fondamentale: l’incontro di nove poeti, tra i quali Sergio Zavoli e Giancarlo Pontiggia, con i centoventi artisti per designare ciascuno il proprio artista di riferimento nella “Selezione del premio Rimini”; dopo di che “artista e poeta condurranno insieme un originale percorso tra arte e poesia sino alla Mostra del premio Rimini”, previsto per il 2010. In carattere con i valori etici che ne sono alla base “il premio non incoronerà un vincitore e non sarà un premio in denaro. Consisterà nella partecipazione ad una esposizione collettiva d’arte e poesia, accompagnata da una prestigiosa edizione d’arte”.
Inutile dire che siamo già in fibrillazione per questo evento del 2010 che ci proponiamo di seguire da vicino, ci richiama gli stretti collegamenti con le altre arti nel “Libro della pittura” di Leonardo da Vinci, di cui abbiamo dato conto nel commentarne la mostra a Roma. Confidiamo che tale programma venga apprezzato da Giordano Bruno Guerri, nel segno del Cenacolo dannunziano di Francavilla con il connubio che si realizzava tra le diverse arti, la poesia e la narrativa di D’Annunzio e la pittura di Michetti, con la musica di Tosti e la scultura di Barbella, per non parlare delle acqueforti e del mandolino di De Cecco e degli scritti di Scarfoglio, che si unì al gruppo; un sodalizio di opere d’arte e di vita ispirate e intrecciate l’una all’altra, non solo idealmente ma spesso visivamente come nel quadro “La figlia di Iorio” di Michetti dov’è raffigurato De Cecco.
Nel,Cenacolo gli artisti erano uniti nella ricerca di un ideale di pura bellezza, che richiama la mostra e la rassegna riminese. Perché non trovare un posto d’onore, tra le nove coppie di poeti-pittori, alla coppia D’Annunzio-Michetti, che trova un’eco nelle strofe del Canto Novo ispirate al quadro “I morticelli”, per non parlare di “Il voto” e di altre assonanze? La proposta nasce dall’associazione di idee con il già citato “Mitografie”, una ricerca con intenti paralleli, dove ai selezionati sono stati affiancati idealmente, quasi da padrini, due grandi artisti, de Chirico e Novelli nella mostra recente.
Dal Ministero per i Beni culturali è venuto un forte sostegno che si inserisce in una linea di pensiero e d’azione ben precisa, incardinata sul concetto che l’arte deve essere libera, non è né di destra né di sinistra e va promossa al massimo grado, nell’ambito di una strategia di valorizzazione dei beni culturali il cui programma è stato presentato dal Direttore generale Resca nel quadro delle politiche illustrate dal Presidente del Consiglio il 29 luglio 2009, di cui abbiamo già dato conto.
Hullweck ha detto che “l’arte contemporanea può divenire uno strumento culturale di massa, deve uscire dalle nicchie e dai circuiti privilegiati ed essere portata al grande pubblico che così potrà crescere culturalmente al passo dei tempi”. Crespi ha aggiunto: “Non possiamo limitarci a custodire e trasmettere l’arte del passato, ma dobbiamo anche lasciare traccia del nostro passaggio, la caratteristica della nostra civiltà ai vertici della società occidentale è di vantare tradizioni millenarie che proseguono nell’arte contemporanea, a differenza di altre civiltà ormai estinte”.
E’ la prima volta che il Ministero sostiene l’arte contemporanea, una delle tante meritorie “prime volte” che abbiamo apprezzato e segnalato, nell’ambito della nuova attenzione data anche alle “attività culturali” la cui ”circolazione” diventa un importante veicolo di comunicazione e anche di progresso e sviluppo. Con la mostra viene sostenuto l’impegno dell’Associazione culturale Città d’Arte nel dimostrare che “l’arte pittorica non è morta e l’arte contemporanea è anche pittura”.
E allora torniamo alla mostra per una doverosa conclusione, Non si deve pensare, dopo quanto si è detto, che si tratta di un’operazione di mera politica culturale. Anche se si vuole riaffermare che la pittura è viva, anzi rappresenta “una delle forme espressive maggiormente capaci di interpretare la modernità rinnovando valori quali bellezza e verità”; e ci piace sottolineare che bellezza e verità sono pure nella descrizione che fa del Vittoriale Francesco Meriano, riportata all’inizio nel gemellaggio virtuale che abbiamo delineato tra due fari, uno permanente e l’altro temporaneo, di bellezza (e anche di verità). Pittura che, oltre ad essere viva, rappresenta “un patrimonio da scoprire e valorizzare, prima che di artisti e di opere d’arte, di valori artistici, morali, spirituali”.
La conclusione è che la mostra ha anche finalità spettacolari, legate alla fruizione dei visitatori che si attendono numerosi come nelle tradizioni della sede prescelta. Nell’allestimento espositivo si è pensato al grande pubblico e alla resa visiva. Non è né museale né didascalico, ma “teatrale”, ha assicurato Agazzani, le opere in mostra, veri “capolavori assoluti”, sono presentate in modo da valorizzarle al massimo sul piano dell’immagine per chi le guarda.
Le opere che abbiamo visto in anteprima sono suggestive, i nudi tranquilli o tormentati avvolti nella castità dell’arte, il blu intenso dove spunta il miraggio di una cupola bianca, o il verde abbagliante di un declivio infinito, il cromatismo traslucido del mattino e quello violento dell’asfalto, le teste pensanti, la notte e il giorno in due modulazioni cromatiche, il firmamento in tanti cromatismi, il bambino e la gallina, la libreria e il banchetto nuziale, infine i giocatori della partita a carte.
Attraverso queste e le tante altre opere esposte, il visitatore potrà rivivere, nel luminoso scenario dell’estate riminese, la magia della creazione artistica, “un viaggio nel buio per inventare mondi”.
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