di Romano Maria Levante
Riproponiamo un’intervista-saggio che nel 1981 l’On. Alberto Aiardi rilasciò al nostro Romano Levante per la rivista «Realtà del Mezzogiorno». Aiardi, già intervistato da AbruzzoCultura.it per il suo libro “Persona e città. Politica, economia ed etica” (Galaad Edizioni, pp. 240, Euro 14), è stato responsabile dell’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Teramo, docente universitario, Vice Sindaco di Teramo, deputato alla Camera per cinque legislature e Sottosegretario al Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica.
Carenze e vizi mostrati sin dal 1981, rivisti oggi che “la finanziaria non c’è più”, o è “light”.
E’ stata presentata in questi giorni la legge finanziaria per il 2010, definita “light” per la sua leggerezza, non solo in termini di manovra, appena 3 miliardi di euro in complesso, ma per la sua stessa consistenza. Tanto che il ministro dell’Economia Tremonti, che ne è l’artefice, ha detto addirittura nel presentarla, “e la finanziaria non c’è più…”, con la stessa soddisfazione dell’omino in pigiama nello spot che esclamava “e la pancia non c’è più…”. E ha aggiunto che è l’ultima finanziaria, il prossimo anno ci sarà la “legge di stabilità” prevista nella nuova riforma.
In effetti la finanziaria di quest’anno, che inizia ora l’iter parlamentare, si compone di soli tre articoli, e anche se il secondo articolo sul bilancio dello stato ha cinquanta commi, non supera i settanta commi. Va considerato che a luglio c’è stato il provvedimento con le misure anticrisi, anch’esso snello, composto di 26 articoli per circa 70 commi; lo scorso anno gli articoli erano stati quattro per un totale di 100 commi, dopo la cosiddetta “manovra d’estate” con altri 100 commi.
Perché citiamo in modo inusuale questi ultimi, che sono la scansione logica degli articoli e non hanno una propria specificità? Perché le leggi finanziarie per quattro anni consecutivi sono state costituite addirittura di un solo articolo, diviso in un numero di commi compreso tra un media di 600 per il 2005 e il 2006 e una media di 400 per il 2007 e il 2008. E’ stato l’effetto vistoso del costume che era invalso di far decadere con il voto di fiducia mediante un maxiemendamento ad articolo unico le molte centinaia di emendamenti ostruzionistici e anche di “assalto alla diligenza” per far andare sulla corsia preferenziale della finanziaria provvedimenti spesso clientelari di spesa, le “leggine” dette di collegio. Un “buco” coperto da una “toppa” non certo appropriata né elegante.
L’intervista che ci concesse più di ventotto anni fa Alberto Aiardi, allora Vicepresidente della Commissione Bilancio della Camera e da poco relatore alla legge finanziaria per il 1981, è molto significativa, ci rivela i “buchi” e le “toppe” di ieri. Viene bene rileggerla oggi che ci si prepara a un nuovo sistema, in parte avviato, perché veniva poco dopo l’entrata in vigore della legge di riforma dell’epoca, varata nel 1978, non ancora a regime, e ne metteva a nudo le pecche subito emerse.
Ecco, dunque, il testo integrale dell’intervista, a parte l’alleggerimento della nostra introduzione dalla quale abbiamo stralciato le parti attinenti ai fatti economici contingenti. Fu pubblicata nel numero di aprile del 1981 sul mensile di politica economia cultura “Realtà del Mezzogiorno”, che per quindici anni ha ospitato, oltre ai nostri articoli di collaboratore fisso, le “corrispondenze abruzzesi” di Giammario Sgattoni raccontate di recente in cinque articoli di ricordo e di memoria.
La legge finanziaria nel racconto del relatore On. Alberto Aiardi
Nuovi interrogativi si aggiungono a quelli che la legge ha suscitato sin dalla sua introduzione con il provvedimento-quadro numero 468 del 1978 che ha ridefinito l’intera materia delle procedure di bilancio; e ci riferiamo non solo alla legge finanziaria per il 1981 ma anche a quella dello scorso anno, allorché fu inaugurato il nuovo modo di programmare e gestire la spesa pubblica.
Si è passati a un dimezzamento del numero degli articoli, dagli 88 dello scorso anno ai 44 del testo approvato dalla Camera; ma va sottolineato che il testo del Governo era di soli 17 articoli, portati già in Commissione a 32 e quindi ulteriormente aumentati ai 44 ora ricordati Non é stato certo il fatidico 17 dell’articolato governativo a produrre i due raddoppi successivi nel numero degli articoli; e neppure l’integrazione per far fronte alle esigenze eccezionali delle zone terremotate che si ritrova solo nelle cifre degli allegati e non negli Articoli della legge. E allora, cos’è avvenuto lungo l’iter di approvazione della legge per determinarne la lievitazione? E’ uno degli aspetti oscuri le cui motivazioni potranno essere approfondite ma che comunque potrà essere pragmaticamente evidenziato dal confronto dei diversi schemi normativi. Le aggiunte più vistose appaiono la quadrimestralizzazione della scala mobile dei pensionati, i nuovi strumenti di raccolta del risparmio e la parte relativa al Mezzogiorno il cui capitolo era del tutto assente nel primitivo testo governativo.
E’ innegabile tuttavia che la possibilità di includere o meno un capitolo di tale importanza sta a significare per lo meno una estrema latitudine ed indeterminatezza nel contenuto della legge finanziaria. E’ questa l’altra faccia del problema del carattere “omnibus” giustamente rigettato almeno nelle intenzioni; nel definire le ‘esclusioni’ vanno anche definite le ‘inclusioni’ necessarie perché la legge finanziaria possa essere validamente composta.
Problemi di metodo, come si vede, si mescolano a problemi di contenuto e di sostanza. Come dire che le premesse di cui abbiamo parlato all’inizio non si sono ancora tradotte in fatti conseguenti. Tanti interrogativi, dunque, si affollano sulla legge finanziaria. Abbiamo ritenuto che la cosa migliore fosse porli al Relatore di maggioranza che più di ogni altro può approfondirne gli aspetti più controversi nella duplice attività governativa e parlamentare.
Venti domande all’On. Alberto Aiardi
Alberto Aiardi, quarantacinque anni, deputato di Teramo per la Circoscrizione abruzzese da tre legislature, per la DC, Vicepresidente della Commissione bilancio, programmazione e partecipazioni statali dalla scorsa legislatura, è stato il relatore di maggioranza della legge finanziaria e del bilancio di previsione 1981 alla Camera.
In tale ramo del Parlamento si è svolto praticamente l’intero lavoro di approfondimento, revisione e discussione dei successivi testi della legge che ha impegnato il dibattito in Commissione e in Aula per 5 mesi (dal 30 settembre del 1980 al 1 marzo del 1981). Al Senato la legge è stata approvata in via definitiva nel testo licenziato dalla Camera dopo una discussione rapidissima (dal 4 al 27 marzo scorsi).
L’On. Aiardi ne ha seguito, quindi, passo passo la faticosa gestazione ed è l’interlocutore ideale per dare una risposta ai numerosi interrogativi che restano aperti pur dopo l’approvazione finale della legge. Interrogativi, come si è detto nell’introduzione, di metodo e di contenuto, sui quali non è eccessivo soffermarsi data l’importanza assunta dal provvedimento nel meccanismo istituzionale del governo dell’economia.
D Puoi dire, in breve, ai lettori di “Realtà del Mezzogiorno”, a cosa serve, in definitiva, questa legge finanziaria le cui vicende sono sempre così burrascose?
R. Si era sempre messo in evidenza, prima della legge numero 468 del 1978, come il bilancio dello Stato rappresentasse ormai, data la rilevanza e complessità assunte dalla spesa pubblica, un documento scarsamente significativo di fronte alla esigenza di una concreta valutazione della manovra di politica economica che il Governo intende, annualmente e nel breve periodo, mettere in atto. Ora, il compito della legge finanziaria è sinteticamente quello di adeguare le spese dello Stato e degli altri Enti che concorrono a formare il settore pubblico allargato agli obiettivi di politica economica che con il bilancio annuale e quello poliennale si intendono conseguire. Con la determinazione del livello massimo di ricorso al mercato finanziario si stabilisce, per spiegarci in modo semplice, il massimo dei debiti che possono contrarsi dallo Stato nell’ambito delle compatibilità generali della manovra di intervento nella economia. Praticamente la legge finanziaria determina l’ammontare complessivo delle spese che si possono sostenere, anche se soltanto in termini di competenza, e che si determinano tenendo conto da un lato delle poste già contenute in bilancio per spese alle quali si dovrà comunque in buona parte far fronte o che siano state già decise, dall’altro delle nuove spese che si ritiene di dover affrontare, e che appunto vengono stabilite con tale provvedimento. Con la legge finanziaria si incide pertanto sulle modalità operative, determinando quantità e tempi di spesa per rendere concreta la manovra di bilancio, in riferimento tra l’altro ai contenuti della Relazione previsionale e programmatica, con la quale si esplicitano le coerenze e le compatibilità della politica economica.
D. Come rispondi alle critiche della Commissione Affari Costituzionali sull’incoerenza tra l’impostazione della legge finanziaria e quella della legge di bilancio, in particolare sui criteri diversi adottati per le previsioni di spesa (a legislazione invariata) e di entrata (scontando incrementi di gettito anche per “misure tributarie allo studio”)?
R. In effetti questo è un problema che si è posto con le prime esperienze della legge finanziaria e segnatamente con quella di quest’anno, in considerazione della impostazione – a mio parere corretta – del bilancio di previsione a legislazione invariata. E’ certo comunque che scontare con il bilancio a legislazione invariata maggiori entrate, per le quali, a parte previsioni di ragionati incrementi sulla base della normativa esistente, si prevedono nuove misure tributarie allo studio, pone questioni di rilevanza anche costituzionale, per possibile inosservanza dell’art. 81 della Costituzione. E’ da dire però che il problema è stato in buona parte superato con l’approvazione a suo tempo del nuovo decreto fiscale e con l’emendamento del Governo soppressivo dell’art. 1, concernente in particolare l’Ilor. Una più corretta soluzione del problema, non tenuto presente a suo tempo con la riforma di contabilità attuata con la legge 468, dovrà trovarsi in sede di aggiustamento della legge 468 stessa, valutando questo aspetto come altri che si sono evidenziati nella pratica attuazione.
D. Ed alle critiche sul perdurare della superata concezione “omnibus” per la quale la stessa Commissione cita, tra l’altro, le spese per consulenze, pubblicazioni, del Ministero di grazia e giustizia, ma potremmo ricordare anche le borse di studio del Ministero della pubblica istruzione ed altri esempi ancora?
R. Notevoli passi avanti si sono fatti quest’anno per restituire, secondo lo spirito della legge 468, alla legge finanziaria, il suo reale contenuto, evitando che potesse rappresentare l’occasione per introdurvi una serie di norme che invece devono trovare sistemazione in specifiche leggi sostanziali. Su questa linea si era mosso il Governo, con la presentazione di un testo composto soltanto di diciassette articoli. Per la verità quest’anno si è registrato un ribaltamento di posizioni, se ricordiamo le polemiche precedenti. Cioè proprio da parte del Parlamento, negli anni passati fortemente critico verso la linea del Governo che aveva approfittato della finanziaria per far passare una serie di norme specifiche, per cui si coniò la definizione di legge ‘omnibus’, si è operato per l’inserimento di norme che più opportunamente avrebbero dovuto formare oggetto di provvedimenti ad hoc. Basti pensare soltanto alla tormentata questione delle pensioni. In realtà la legge finanziaria deve prevedere soltanto le risorse da destinare alla soluzione di un determinato problema, lasciando poi all’attività legislativa normale la approvazione della nuova normativa con legge specifica, evitando così anche di espropriare le Commissioni di merito di loro fondamentali competenze. Resta pertanto valida, a mio parere, la critica sulla introduzione anche quest’anno di norme sostanziali, alcune peraltro di scarsa rilevanza, che finiscono per appesantire e snaturare la legge finanziaria, facendo perdere di vista il dibattito ed il confronto sulle scelte fondamentali di politica economica.
D. Ma andiamo a critiche più sostanziali: così com’è composta come può la legge finanziaria adempiere al suo compito primario di valutare – come osserva la Commissione citata – ‘la fattibilità oltre che l’opportunità del programma legislativo complessivamente proposto dal Governo e la congruità dei relativi accantonamenti finanziari’?
R. Ritengo, anche per le osservazioni avanzate in precedenza, che se viene sfrondata da aspetti marginali o che comunque, pur rilevanti, devono formare oggetto di specifici provvedimenti sostanziali, la legge finanziaria, ed in particolare quella di questo anno, offre un quadro coerente ed organico del programma legislativo che si intende attuare nel corso dell’anno. Ad ogni buon fine, l’opportunità del programma e la congruità degli accantonamenti formano oggetto di valutazione da parte del Parlamento, che può modificarli come è avvenuto per comparti significativi.
D. Allora, come credi che si possa articolare la legge in modo che o rifletta il programma di governo dell’economia per l’anno a venire oppure, all’estremo opposto, si limiti a definirne la cornice?
R. L’articolazione della legge, a parte i problemi accennati di rapporto tra questa e la legge di bilancio, ritengo che debba rispondere alle caratteristiche indicate con la legge 468, e cioè contenere essenzialmente la rimodulazione annuale delle leggi di spesa in essere, la definizione dei nuovi fondi speciali, la determinazione del livello massimo di ricorso al mercato.
D. Non credi che in mancanza di questa ‘impostazione rigorosa’ si aprano paradossalmente varchi insperati per la produzione delle ‘leggine’ che tanto danno economico arrecano ai conti dello Stato; e ciò attraverso la compiacente copertura offerta dai ‘fondi globali’ i cui accantonamenti tendono ad essere sopravalutati creando capaci ‘pieghe di bilancio’?
R. E’ stata questa una preoccupazione tenuta ampiamente presente in sede di esame della legge finanziaria, soprattutto nel lavoro preliminare della Commissione Bilancio. E proprio per evitare gli inconvenienti accennati si è affermata la linea, condivisa da tutti i gruppi politici, rivolta a dare precisa caratterizzazione alle voci dei fondi speciali così da trovare nel corso del programma legislativo chiaro riferimento, oltre che alle coperture, alle scelte che si sono volute operare con la legge finanziaria. Il risultato certamente non è ancora perfetto, ma, come è facilmente intuibile, l’ottenimento di una più rigorosa gestione del Bilancio dipende moltissimo dal Parlamento. Vorrei inoltre rammentare due aspetti importanti. Il primo riguarda i nuovi fondi speciali. Questi, riflettenti la manovra che parte nel 1981 e quantificati nella finanziaria, consentono di distinguere l’ammontare del nuovo programma di spesa dal riflesso finanziario sul 1981 del programma precedente ed ancora in corso di approvazione. Il secondo concerne la netta volontà espressa dalla Commissione Bilancio circa il ripristino delle apposite tabelle dei fondi speciali, da approvarsi in maniera esplicita e non soltanto per l’ammontare complessivo, anche per non privare il Parlamento di un esame specifico delle singole voci che concorrono a formare detto ammontare.
D. Come credi si possa risolvere l’annoso problema – evocato anche nella discussione sulla legge –della copertura delle leggi di spesa ex art. 81 della Costituzione anche in relazione a spese future?
R. E’ da premettere che nel quadro dei problemi rimasti aperti in questi primi anni di applicazione della legge 468 del 1978 emerge quello della copertura delle leggi di spesa, con particolare riguardo a quelle che dispongono spese a carattere pluriennale o continuativo. In questa materia, infatti, come ho avuto modo di rilevare in sede di replica, la legge di riforma ha delineato un sistema di strumenti e procedure che, sia per la mancata attuazione in ordine a suoi elementi essenziali, come il bilancio pluriennale programmatico, che per una sua certa difficoltà interpretativa, non ha potuto sinora tradirsi in concreto. Ne è conseguita una conferma della prassi tradizionale, per la quale la disciplina stabilita con il quarto comma dell’articolo 81 della Costituzione viene sostanzialmente assicurata con riguardo agli oneri deliberati a carico dell’esercizio in corso o, al massimo, del successivo e non anche per quelli disposti a carico degli esercizi futuri. Il nuovo sistema delle decisioni di spesa sembra che si possa così delineare: la legge poliennale determina obiettivi, procedure e livello massimo della spesa, verificandone la copertura sulla base del bilancio pluriennale e per gli anni in questo considerati; mentre la decisione di bilancio – cioè, in base all’articolo 18 della legge 468, la legge finanziaria – rende attuale anno per anno il riscontro globale di copertura effettuato all’atto della approvazione delle leggi di spesa, commisurandolo alla loro modulazione nell’ambito della manovra perseguita. Apparirebbe così raggiungibile l’obiettivo di rendere le decisioni di spesa al contempo flessibili e responsabili.
D. Nella tua replica c’è stata una differenziazione interessante a questo riguardo tra spese correnti e spese in conto capitale nel senso che i criteri di copertura dovrebbero privilegiare queste ultime a differenza del passato in cui esse sono state considerate per lo più un ‘residuo’. Potresti illustrare questo punto?
R. Il sistema posto dalla legge è noto e si traduce, nella perspicua interpretazione fissata dalla Corte dei Conti, nella relazione al Parlamento sul Rendiconto del 1078, nel ‘vincolo di non peggioramento dei saldi netti da finanziare (per le spese in conto capitale) e dei saldi di parte corrente (per le spese correnti ed i rimborsi dei prestiti) rispetto alla misura fissata per gli uni e gli altri nel bilancio pluriennale’. Le nuove e maggiori spese di parte corrente (o per il rimborso prestiti), disposte a carico degli esercizi considerati dal bilancio pluriennale, devono cioè trovare copertura all’interno del differenziale tra le entrate tributarie ed extra-tributarie e le spese correnti (risparmio pubblico) fissato dal bilancio pluriennale per quei medesimi esercizi. Nel senso o di sostituire oneri già previsti e compresi nel risultato differenziale o di aggiungersi agli oneri previsti indicando come copertura ‘il miglioramento nella previsione per i primi due titoli delle entrate rispetto a quella relativa alle spese di parte corrente’ (articolo 4, comma VIII). Le nuove e maggiori spese di parte capitale, invece, oltre a trovare copertura con la previsione o l’introduzione di incremento delle entrate, possono anche riferirsi al risultato differenziale tra le entrate finali e spese finali (saldo netto da finanziare) cioè, in sostanza, all’indebitamento previsto per ciascuno degli esercizi finanziari considerati dal bilancio pluriennale. Come più volte osservato questo sistema non soltanto definisce un parametro quantitativo per il riscontro di copertura ma esprime una scelta sulla qualità della spesa, privilegiando quella di parte capitale, che può essere finanziata in ‘deficit’, rispetto a quella di parte corrente, per la quale si richiede una ‘copertura reale’.
D. Potresti spiegare anche i motivi per cui a tre anni dall’approvazione della legge 468 che regola il bilancio il sistema non né ‘a regime’ ma presenta anzi gravi carenze ed anomalie; non solo quelle di cui fin qui si è discusso ma anche la non attuazione di strumenti istituzionali formalmente previsti?
R. E’ indubbio che una riforma delle procedure di contabilità dello Stato, come prospettato dalla legge 468, non sia pienamente attuabile nel breve tempo, considerando le complesse implicazioni di metodo e di strumentazione che essa comporta. Di fatto, ad esempio, il bilancio pluriennale programmatico non è stato sinora presentato, per cui la stessa metodologia delle coperture non ha potuto giovarsi degli strumenti propri previsti dalla legge.
D. A parte questi problemi il cui approfondimento porterebbe lontano, puoi esplicitare l’intero disegno – che ci auguriamo veder realizzato presto almeno per poterlo discutere e, se del caso, criticare – dal bilancio pluriennale programmatico alla Nota di variazione in connessione con gli strumenti già in atto?
R. Come è noto, lo stesso bilancio pluriennale a legislazione vigente, pur incorporando la proiezione per gli esercizi considerati delle determinazioni su cui si basa il bilancio approvato, inclusi i fondi speciali, espone dati ad un elevato livello di aggregazione. Un primo, utile intervento, sembra possa essere quello della proiezione disaggregata dei fondi speciali ‘nel bilancio pluriennale e limitatamente all’arco temporale da questo considerato’, come ribadito dalla Corte di Conti nella relazione sul Rendiconto per il 1979 e come già proposto in sede di studio. Per conseguire questo scopo sembra sufficiente, con riguardo alla discussione in atto, che il Governo si impegni ad esporre la proiezione disaggregata dei fondi speciali approvati con la legge finanziaria (insieme con quelli approvati con la legge di Bilancio) nella sede del Bilancio pluriennale, attraverso le operazioni e con i medesimi metodi, con cui, secondo la relazione governativa, una tale proiezione era stata già approntata, per la presentazione del disegno di legge finanziaria. Strumento a tale fine potrebbe essere la nota di variazioni con cui si trasferiranno sul disegno di legge di bilancio (che è anche di approvazione del bilancio pluriennale) le deliberazioni della legge finanziaria. Una tale procedura, va comunque, ribadito, resta soltanto e assai parzialmente surrogatoria della presentazione di un vero bilancio pluriennale programmatico, avente le caratteristiche di struttura e funzione previste dalla legge di riforma.
D. Puoi riassumere le principali differenze tra vecchio e nuovo sistema della legislazione di spesa precisando cosa è già acquisito degli auspicati vantaggi e cosa invece deve essere ancora perfezionato?
R. Le principali modifiche introdotte con il nuovo sistema sono: una impostazione più articolata, anche ai fini di una migliore conoscenza e di un più adeguato controllo, dei conti della finanza pubblica, la predisposizione del bilancio di cassa accanto a quello di competenza, l’estensione del bilancio al settore pubblico allargato, la stesura del bilancio pluriennale, la determinazione dei limiti d’indebitamento, un adeguamento della disciplina dei residui, la presentazione delle relazioni sulla stima del fabbisogno di cassa, e quindi la legge finanziaria. Se passi significativi si devono registrare per quanto attiene alla migliore comprensione dell’intero sistema della contabilità pubblica e se un primo importante obiettivo viene raggiunto con la legge finanziaria, che individua e determina i caratteri e le possibili influenze della manovra annuale di politica economica, molti problemi restano aperti: il collegamento tra legge finanziaria, bilancio annuale e bilancio pluriennale programmatico, anche in riferimento, come si è avuto modo di notare in precedenza, alle coperture di spesa; la conoscenza degli effettivi movimenti di cassa e della collegata manovra dei residui, anche per determinare il fabbisogno di cassa del settore pubblico allargato, e quindi il reale disavanzo di cassa da finanziare, senza dimenticare una maggiore capacità operativa delle strutture amministrative ed un più moderno utilizzo dei relativi strumenti.
D. Pur senza fare classificazioni od avanzare giudizi di valore quali ritieni siano i provvedimenti, come si suol dire, più qualificanti della legge finanziaria e quali i loro presumibili effetti in campo economico?
R. La destinazione di risorse aggiuntive per il 1981, determinate con la legge finanziaria, è andata nella direzione di un positivo incremento della spesa per investimenti. A parte le sensibili risorse finalizzate alla ricostruzione delle zone terremotate, possiamo fare riferimento agli investimenti per il Mezzogiorno, alle spese per l’adeguamento delle strutture giudiziarie e penitenziarie, agli interventi in materia di opere pubbliche, agli investimenti nel settore agricolo, in quello dell’edilizia, al sostegno del credito per l’artigianato e per le esportazioni, alle misure particolari per alcuni settori dell’economia, con particolare riguardo all’industria e relativo fondo per l’innovazione, così pure per le Partecipazioni statali, senza dimenticare il sensibile incremento dei fondi per l’aiuto ai paesi in via di sviluppo. E’ evidente che gli effetti di una manovra come quella prevista, tendente a favorire processi di ristrutturazione e di riequilibrio sia sotto il profilo territoriale che settoriale, sono strettamente collegati alla capacità di accelerare la realizzazione degli investimenti.
D. Alcuni dei provvedimenti che hai citato non erano nel testo generale del Governo; più in generale vi è stata una completa revisione del testo in Commissione prima ed in aula poi. Anche se ciò può ritenersi normale, anzi qualifica l’intervento delle varie istanze come apporto costruttivo e non come mera ratifica, non si può negare che in questa circostanza si è fatto ‘tabula rasa’ della proposta governativa iniziale; come si concilia questo con il ruolo che alla finanziaria si vuole assegnare di verifica della fattibilità del programma di governo per l’anno a venire?
R. Non direi che si è fatta tabula rasa dell’iniziale proposta governativa. D’altronde non possiamo dimenticare che il primitivo testo venne presentato a settembre, da un altro governo ed in una situazione congiunturale che si è venuta drammaticamente modificando nel giro di pochi mesi, senza parlare del verificarsi dell’evento del sisma, che ha imposto l’esigenza del reperimento di nuove e consistenti risorse finanziarie da destinare alla ricostruzione. In pratica nel confronto tra Governo e Parlamento, sulla base anche della prima nota di variazioni e degli emendamenti al testo della finanziaria presentati dal Governo stesso, si è operato in un continuo raccordo tra programmi di spesa, obiettivi di politica economica e manovra finanziaria. Circa quest’ultimo aspetto infatti, nonostante l’introduzione della nuova spesa per le pensioni, ed a parte le necessità intervenute successivamente per porre vincoli ulteriori all’espansione del disavanzo (situazione valutaria internazionale, peggioramento ulteriore della bilancia dei pagamenti, eccetera), non sono stati superati in modo rilevante i limiti posti responsabilmente dal Governo per la determinazione del livello massimo del ricorso al mercato finanziario, nell’ambito delle compatibilità di una manovra coerente di politica economica.
D. Ponendoci su di una tematica più generale, qual è il disegno di politica economica che emerge dalla legge finanziaria approvata nel persistente dilemma tra stretta creditizia antinflazione e politica di sviluppo per l’occupazione?
R. Certamente la linea di politica economica sottesa alla legge finanziaria ed al conseguente quadro di bilancio è quella individuata già, nei riferimenti di fondo, nella Relazione previsionale e programmatica per il 1981, e secondo la quale la correzione degli squilibri economici interni, accentuati dai fattori esterni di crisi, dipende da una decisa azione antinflazionistica, sostenuta da guadagni di produttività del sistema e quindi da maggiori investimenti. A tal fine importanti risultano gli obiettivi intermedi: contenimento (sul 5% del Pil) della quota di disavanzo corrente del settore pubblico allargato; aumento degli investimenti pubblici, specialmente in settori strategici; mantenimento, entro valori compatibili, del livello del fabbisogno complessivo di detto settore pubblico. Pertanto la legge finanziaria 1981, come licenziata dalla Camera e poi, senza variazioni, approvata definitivamente dal Senato, ha retto a mio parere, sul fronte del collegamento con i suddetti obiettivi di politica economica. In effetti si è determinato un livello di risparmio pubblico negativo (il disavanzo di parte corrente) coerente con tale impostazione, almeno in termini di competenza.
D. La notizia dell’approvazione definitiva della legge al Senato è stata data da ‘la Repubblica’ del 28 marzo con il titolo ‘La maggioranza ha approvato una legge tutta da rifare’. Ciò, evidentemente, in relazione sia agli ‘sfondamenti’ operati da leggi di spesa approvate dal Parlamento, sia alle misure della ‘domenica nera’ del 22 marzo che avrebbero stravolto l’intero quadro finanziario. Cosa pensi di questo giudizio e come ritieni che si colleghi la legge all’attuale situazione economico-finanziaria del Paese e agli impegni che ne derivano?
R. Che le decisioni del Parlamento e l’aggravarsi della situazione economica abbiano determinato l’adozione di nuovi provvedimenti monetari, tra cui la ulteriore restrizione creditizia, e la necessità di comprimere ulteriormente la spesa corrente, non significa che vengono meno le ipotesi sulle quali si fonda la legge finanziaria; esse, anzi, ne ricevono positiva conferma. Una qualificazione della spesa nella direzione degli investimenti, in coerente rapporto con le linee del Piano Triennale e rivolta a privilegiare una concreta politica dell’offerta, è indispensabile per accrescere la produttività, come una delle condizioni più importanti per contribuire a combattere le cause che sono alla base di un così elevato tasso di inflazione nel nostro Paese. Non vedrei pertanto contraddizione tra misure restrittive in atto e sostegno, in termini produttivistici, ai settori dell’economia, come possibilità offerte dalla finanziaria. L’uscita dalla crisi e la ripresa economica non dipendono certamente da più o meno dure strette creditizie. Esse sono necessarie se non si aggrediscono, attraverso responsabilità congiunte di Governo e di forze sociali, i complessi nodi che alimentano gli elevati impulsi inflazionistici che sono, come è ben noto, da domanda e da costi al tempo stesso, e da costi interni ed esterni contemporaneamente. Lo Stato deve fare la sua parte, organizzando meglio le sue spese, da un lato contenendo al massimo quelle che hanno connotazioni chiaramente improduttive e parassitarie, e dall’altro assicurando tempestività di sostegni agli investimenti. Gli altri centri di decisione devono assumersi le loro responsabilità, anche per un approfondito esame delle conseguenze di indicizzazioni esasperate ed illogiche di fronte ad un tasso di inflazione a due ‘decine’ se non a tre.
D. Ti chiediamo ora delle notazioni personali, se ce lo consenti: quali sono state le più petulanti richieste di modifica della legge e i momenti di maggiore imbarazzo nel non accettare istanze astrattamente giustificate ma in contrasto con le compatibilità ed i vincoli finanziari?
R. Non direi che si siano avute richieste per così dire ‘petulanti’, a parte il tentativo d’inserire nella legge problemi marginali e riguardanti soluzioni particolari di interesse di zone e categorie. Debbo dire che questo tentativo in elevata misura non ha avuto udienza. Un momento di reale imbarazzo è certamente stato quello della discussione sugli emendamenti per i trattamenti pensionistici, ed in particolare per l’aspetto relativo ai benefici quantitativi da concedere. Resto invece convinto che a parte la previsione di spesa necessaria per assolvere a tale impegno, la materia non avrebbe dovuto trovare posto nella legge finanziaria, come non ha niente a che vedere con la legge la prima parte, introdotta con voto dell’aula, e relativa a disposizioni di materia fiscale.
D. A parte questo aspetto particolare ma restando sempre nelle notazioni personali, non ti chiediamo i momenti ‘politicamente’ più difficili anche perché a tutti noti, ma quelli ‘umanamente’ più frustranti, Ci riferiamo all’andamento della discussione sul quale nella tua replica hai avuto accenti critici anche per l’ostruzionismo strisciante messo in atto da alcuni gruppi. Cosa puoi dirci al riguardo e quali rimedi si possono prospettare?
R. Proprio l’andamento della discussione generale in Aula è stato motivo di conferma dello svilimento in cui rischia di cadere sempre più l’attività del Parlamento, se non si ribadiscono condizioni per ridare tono e interesse al dibattito in un confronto serrato e più vivace. Posso comprendere i lunghi ripetitivi interventi, che diventano di fatto soliloqui nel deserto dei banchi parlamentari, quando si mette in atto un ostruzionismo che può avere una sua dignità di fronte a temi politici rilevanti. Ma non comprendo assolutamente un andazzo che tende unicamente ad intralciare il lavoro parlamentare. In particolare, in occasione del dibattito sul bilancio e sulla legge finanziaria, atti fondamentali di indirizzo e di controllo dell’azione di Governo, è inconcepibile procedere come in questi ultimi anni. Come ho detto nella mia replica, ritengo che sia indispensabile, oltre che serio, dedicare, come del resto prevede il regolamento della Camera, una specifica sessione autunnale alla discussione ed all’approvazione della legge finanziaria e del bilancio. E’ un periodo nel quale l’attenzione del Parlamento, e quindi del Paese, deve essere interamente accentrata su decisioni tanto determinanti per la vita sociale, quali quelle relative alla politica economica. Il dibattito inoltre dovrebbe essere più serrato, con brevi interventi, che favoriscano repliche immediate, in un confronto diretto e continuo. Si ravviverebbe in tal modo l’interesse a stare in Aula da parte dei parlamentari, si ricreerebbe il gusto di sentirsi partecipi delle decisioni.
D. Non ritieni, però, che le disfunzioni siano ancora più vaste e diffuse, come emerge dalle defatiganti discussioni svolte in tutte le Commissioni dalle quali – ad eccezione della Commissione bilancio che ha gestito di fatto la legge e della Commissione affari costituzionali che ne ha compiuto una penetrante analisi critica – sono venuti pareri di una estrema povertà con l’unico scopo spesso di inserire richieste di stanziamenti particolari, peraltro molto marginali? Non si lega a tutto questo anche il discorso, che monta sempre di più, della riforma istituzionale e costituzionale?
R. E’ proprio il modo attuale di procedere dei lavori parlamentari, con l’accavallarsi dei problemi e la conseguente farraginosità dei meccanismi, che crea una dispersione di interesse e rende spesso superficiale l’esame dei provvedimenti. Proprio restando alla finanziaria ed al bilancio, se l’intero Parlamento sapesse di essere chiamato per quindici-venti giorni di seguito a trattare soltanto di tali argomenti, sulla base di un calendario preciso, io ritengo che ogni parlamentare sarebbe stimolato a seguire, ad approfondire, a confrontarsi, per gli specifici settori nell’ambito delle rispettive Commissioni e poi in assemblea. Non legherei quindi il problema alla tanto vexata quaestio delle riforme costituzionali. Per me personalmente non è questa la via per risolvere il gap che si è creato tra istituzioni e cittadini. Certamente alcuni aggiustamenti di determinate norme costituzionali sono anche necessari, ma non investono aspetti di fondo. Modifiche elettorali o regolamentari sono peraltro sempre possibili. L’importante, ritengo, è che ognuno cerchi di far procedere meglio le cose per la parte di responsabilità che ha. Anche per il Parlamento, dipende dalla buona volontà di tutti farlo funzionare meglio. Se a tal fine è necessario apportare qualche modifica al regolamento della Camera, lo si faccia e presto.
D. Consentici di introdurre un’altra domanda personale con una citazione del relatore di minoranza alla legge, l’On. Carandini che in sede di replica ha osservato che ‘tra i tanti primati del nostro paese c’è quello del più alto rapporto fra spesa pubblica e prodotto interno lordo e del più basso rapporto fra discussione di temi di politica economica e dibattito politico generale’. A parte un tuo commento su questa affermazione, ci interesserebbe una tua notazione spontanea sull’esperienza – certamente importante per un uomo politico che è anche un ‘tecnico’ in materia economica – di aver vissuto dal di dentro per alcuni mesi la gestazione di un provvedimento chiave per l’economia del Paese.
R. Mi sento di concordare con questa affermazione di Carandini. D’altro canto molti mali della nostra vita politica derivano dalla eccessiva ideologizzazione delle posizioni, per cui il confronto, o lo scontro, si alimenta soprattutto delle tematiche teoriche e degli equilibri necessari per la governabilità, mettendo in zona residua la differenziazione concreta sulle scelte e sulle soluzioni. Non che la vita politica non debba alimentarsi di tensione ideale, ma essa è chiamata anche a risolvere i problemi della gente, e da questa bisogna farsi capire. Proprio tenendo presente ciò vorrei rispondere alla seconda parte della domanda. Dico anzitutto che questa esperienza è stata per me senz’altro significativa, anche se, non proprio come relatore, avevo avuto modo di viverla molto da vicino già negli anni precedenti. La notazione spontanea: sono sempre più convinto della necessità che si trovino i modi più opportuni e semplici per far capire alla gente le questioni delle quali si discute, e questo a maggior ragione in occasione dell’approvazione della finanziaria e del bilancio, i motivi delle scelte che si fanno, gli obbiettivi che si intendono raggiungere. Si tratta cioè di facilitare il riavvicinamento tra cittadino e Stato. Perché, ad esempio, dopo l’approvazione del bilancio, non si pensa a stampare un semplice e chiaro opuscolo illustrativo dello stesso, da diffondere nel Paese, a cominciare dalle scuole superiori?
D. La ventesima ed ultima domanda vorremmo che fossi tu stesso a proporla: puoi rispondere a quella domanda che avresti voluto ti fosse posta e che invece non figura nel ‘terzo grado’ a cui con molta cortesia hai accettato di assoggettarti? Grazie anche a nome dei nostri lettori.
R. La domanda: ‘con tutti i problemi, soprattutto di procedura, che la legge finanziaria ha sollevato, la aboliresti?’ Risposta: No. Pur con le accennate esigenze di apportare miglioramenti alla legge numero 468, ritengo la legge finanziaria un significativo passo avanti nell’adeguamento dell’intero sistema di contabilità pubblica, anche ai fini di una più moderna attuazione dei compiti di indirizzo e di controllo da parte del Parlamento, che proprio nel controllo delle spese del Re ebbe il fondamento iniziale della sua giustificazione storica.
Conclusione
La domanda finale che l’On. Aiardi ha prescelto è proprio quella che avrebbe voluto fargli il Direttore della Rivista Prof. Macera e che esitavo a proporre ritenendola troppo provocatoria. Siamo grati al Relatore della finanziaria per essersela posta spontaneamente cogliendo – con acuta sensibilità politica – la domanda di fondo proveniente dall’opinione pubblica dinanzi alle tormentate vicende della tanto discussa legge. Non sappiano se i lettori della nostra Rivista condivideranno la sua risposta. Ma è certo che gli elementi ampi e documentati da lui forniti nel corso della lunga intervista consentono ora un giudizio più motivato e comunque non superficiale su questo tema di basilare importanza per la vita politico-economica del paese.
Anche di questo ringraziamo l’On. Aiardi a nome dei lettori di Realtà del Mezzogiorno che avranno avuto la costanza di seguirci nei meandri tecnici e procedurali oltre che economici e politici di una legge così complessa.”
Qui termina la lunga intervista dell’aprile 1981. A questo punto un ringraziamento va ai lettori di Abruzzo Cultura che hanno avuto pari costanza. Sono stati premiati dal fatto che il finale, lo vediamo ora, si ricollega alla presentazione iniziale dove abbiamo riportato le parole del Ministro Tremonti “e la finanziaria non c’è più…”. Queste rendono quanto mai attuale il dilemma di allora.
Nella seconda parte dell’intervista si entra anche nei contenuti della legge finanziaria 1981 e, come si vede, molti collimano con quelli attuali, a parte il tasso di inflazione “a due decine” lontano anni luce, e la conseguente politica antinflazionistica assente nella presente fase di deflazione; aspetto certo non secondario, ma che non muta il giudizio di fondo. Nella visione di allora abbiamo una prova ulteriore che i problemi trattati come emergenze si ripresentano come ordinari e permanenti finché le sempre invocate riforme di struttura non fanno il miracolo di risolverli, come avvenne per le abnormi spinte inflazionistiche cessate con l’abolizione dell’indicizzazione della scala mobile, per di più esasperata dall’unificazione al livello massimo del punto di contingenza; a questo si accenna nell’intervista come all’esigenza di una sessione speciale di bilancio con dibattiti serrati senza ostruzionismo, alla riforma del regolamento della Camera e ad altri punti critici, e si può dire oggi a ragion veduta, che sono stati risolti nel senso allora auspicato con preveggenza.
Abbiamo parlato all’inizio di “buchi” e “toppe” nella finanziaria di “ieri”, ma si è visto altresì che il sistema era volto proprio alla trasparenza e al controllo dei conti, obiettivo invece del tutto mancato, anzi rovesciato se fino ad allora i conti pubblici erano in sostanziale equilibrio, pur se precario, mentre poco dopo, con i primi anni ’80, è iniziata la corsa al deficit.
Il rapporto tra debito e Prodotto interno lordo, che nel 1981, l’anno della finanziaria di “ieri”, era del 56%, dieci anni dopo era schizzato al 95%, proprio allorché i parametri di Maastricht nel 1992 lo richiedevano entro il 60% che l’Italia riuscì a far considerare tendenziale; la corsa non si è arrestata, si è superato anche il 120% dopo temporanei contenimenti. Tutto ciò sebbene i vincoli europei al deficit di bilancio abbiano costituito una barriera che negli anni ’80 non c’era; allora bastavano le alchimie interpretative e manipolatorie su un sistema complesso, lacunoso e farraginoso, insieme al rapporto consociativo tra maggioranza e opposizione, sindacati e poteri vari, a creare in un decennio il dissesto dei conti pubblici senza che qualcuno facesse rinsavire.
Un “come eravamo” molto istruttivo, dunque, particolarmente in questa delicata fase di passaggio a un nuovo sistema. Per non risvegliarci un giorno amaramente dal sogno, con una “pancia” ancora debordante, come il patetico omino protagonista dello spot televisivo ricordato all’inizio.