di Romano Maria Levante
L’Associazione Banche Popolari e “Civita” presentano una rassegna degli interventi per l’arte e la cultura, con un’analisi economico-istituzionale dei rapporti con lo sviluppo.
Tornare a Palazzetto Venezia, a Roma, l’8 ottobre 2009 è stato emozionante per chi scrive, che vi entrò la prima volta decenni fa per iniziare la propria vita professionale. In più, in questa circostanza c’è stata la splendida terrazza aperta sul Vittoriano nella quale si è passati al termine della mattinata.
Siamo nella sala conferenze dell’associazione “Civita” – che abbiamo citato presentando “Francigena”, la riproposizione dell’antica marcia devozionale – associazione nata nella storica Civita da Bagnoregio che mostra particolare attenzione per l’ambiente e il territorio ed è molto attiva nell’organizzare o promuovere eventi culturali, ricordiamo le mostre su Leonardo e Galileo, due delle quali tuttora aperte.
L’evento di oggi è particolare, viene presentata la rassegna “Arte, cultura, territorio” che illustra una serie di interventi mirati delle Banche popolari nei rispettivi territori in cui sono insediate; e se ne analizzano le interazioni con lo sviluppo economico.
Diamo conto di questo approfondimento per tanti versi illuminante, perché consente di inquadrare gli interventi a sostegno della cultura e dell’arte nel contesto e nella strategia in cui si collocano.
L’analisi economica
L’analisi economica di Walter Santagata, dell’Università di Torino, inizia con la definizione del territorio come “una variabile sempre più importante dell’economia”, dopo che per lungo tempo è stato trascurato. Perché questa disattenzione? La ragione è semplice, “il denaro non si identifica con il territorio”; invece la cultura sì, legata com’è a persone e personaggi che esprimono il loro vivere comune, l’appartenenza a un gruppo, ad una comunità che vive in uno spazio determinato.
Territorio e cultura interagiscono e si sostengono a vicenda, il primo è localistico per definizione e limitato, la seconda universale e senza confini, anche se le radici da cui attingere potenza creativa possono essere locali.
Queste interrelazioni portano a definire l’organizzazione del territorio su nuove basi che alimentano le industrie culturali: dall’arte in senso stretto alla musica nelle sue varie forme, dal design all’immagine. Ogni generazione ha una propria identità, tutte convergono nel patrimonio culturale.
C’è il problema dell’organizzazione della cultura, tenendo presente che il territorio è nello stesso tempo l’origine e la destinazione dei prodotti culturali. Ci sono nuovi orientamenti, in particolare la possibilità di utilizzare “tecniche ‘seriali’ come nell’industria e la ‘virtualità’ che favorisce comunità aspaziali ma coeve”.
Non si tratta di astrazioni né di realtà statiche, il binomio cultura-territorio va reinterpretato costantemente alla luce dei risultati delle politiche culturali.
Tre sono le politiche adottate storicamente nei riguardi della cultura e dei suoi prodotti: la distruzione, la conservazione, la produzione. Escludendo la prima, mossa da un fondamentalismo deteriore che è la negazione della cultura, le altre due hanno contenuti peculiari.
La conservazione, oltre che la tutela delle opere d’arte di proprietà pubblica dal deterioramento, può comportare anche la sottrazione al mercato per proteggerne l’integrità e l’identità. C’è quindi un’attività di gestione e una di vigilanza e di intervento diretto.
Poi c’è la produzione di cultura, aspetto importante per lasciare testimonianze anche della nostra epoca come ci sono pervenute da quelle precedenti; non ci si può sottrarre a questo compito se si intende far valere i caratteri più qualificanti della propria identità. Significa creare nuove espressioni artistiche in forma tangibile o intangibile. In tal modo si porta avanti la frontiera della cultura.
E’ questo l’aspetto più trascurato, spesso ci si limita alla conservazione. “Ci si chiede dove sono gli artisti oggi, dov’è la fabbrica della cultura che c’era in passato. C’è un grande bisogno di produrre nuove idee, è necessario anche per la competitività”. Si può far leva sul territorio: “Conta sempre di più per ragioni geografiche ed organizzative, è uno dei principali input della produzione culturale”.
Chiave di volta è uno sviluppo economico sostenibile coerente con le potenzialità locali. E la creatività ne è un’importante componente. Una stima di alcuni anni fa attribuiva alle industrie creative il 9% del prodotto interno lordo, con 2,5 milioni di addetti impiegati direttamente, più un vasto indotto nei settori collegati, dai trasporti alle telecomunicazioni ai servizi in genere.
La creatività si radica nel territorio, perché spazio e tempo sono all’origine dei fenomeni culturali. Con il vivere insieme, l’agglomerazione urbana crea spunti e stimoli, alimenta la cultura. E la città diventa la cornice ideale del flusso di informazioni e conoscenza. Perciò la prospettiva della “città creativa” va considerata con attenzione: “C’è una temperatura morale, un ‘milieu’ creativo, forze che muovono la creatività come fenomeno spontaneo che non va spiegato, tanto è evidente”.
Il passaggio da “distretto culturale” a “distretto industriale” rappresenta l’evoluzione spontanea del processo di crescita. Questo è avvenuto, in particolare, nelle sedi tradizionali di produzione di ceramiche, come di tessuti, dove sull’antica cultura artigiana si è basato lo sviluppo produttivo.
L’Italia è la nazione dei distretti culturali, sul territorio si sono tradotti in agglomerati produttivi, che hanno indicato una nuova via di sviluppo sostenibile in cui si coniugano cultura e creatività, identità e territorio nutrendosi delle correlazioni spazio-tempo-ambiente in luoghi determinati.
La produzione di cultura riguarda tutte le forme di espressione, anche le più moderne e avanzate che possono sembrare trasgressive. Ma c’è molto da fare per stare al passo dei tempi. “Il fatturato dei “videogames” – conclude Santagata – supera quello del cinema e in Italia non c’è un solo produttore.
La visione istituzionale
All’analisi economica segue la visione istituzionale di Antonio Maccanico, oggi presidente di “Civita” dopo il “cursus honorum” che tutti ricordano: da Segretario generale della presidenza della Repubblica a Ministro per limitarci agli incarichi di maggiore notorietà e prestigio.
Ha sottolineato l’importanza della dimensione territoriale, perché la nostra democrazia nasce dai comuni e dalle città, poi si è consolidata in un assetto unitario che dovrà essere preservato anche con il federalismo. Non sarà facile la riorganizzazione su queste nuove basi, il rapporto tra Stato e città sarà comunque fondamentale.
Va riaffermata l’identità territoriale contro i rischi di omologazione conseguenti alla globalizzazione, anche perché può contribuire a delineare un nuovo modello di sviluppo. Per questo è importante il lavoro sul territorio, che nell’economia fordista era stato marginalizzato; mentre diventa decisivo nell’economia della conoscenza per il recupero dell’identità anche attraverso adeguate infrastrutture. A tal fine sono necessari sistemi locali avanzati di gestione del territorio.
Ma non ci si può limitare a questa dimensione, va curata la competitività internazionale del nostro patrimonio, tenendo conto che la cultura consente di creare le condizioni per una nuova promozione economica del Paese. I costi di questa azione si possono sostenere trovando “sponsor” per singole iniziative di recupero culturale, strada questa più praticabile rispetto all’intervento legislativo di carattere generale, spesso problematico anche per i vincoli economici.
Gli italiani hanno il senso del territorio molto più del senso dello Stato. Il campanile moltiplica le differenze e l’Italia è fatta di differenze; questo generalmente è visto come problema, e in parte lo è, tuttavia è anche la base della creatività, che nasce dall’essere “un catalogo di differenze”.
In queste differenze sta la forza del radicamento locale delle banche popolari e di credito cooperativo, perché possono corrispondere alle specifiche aspettative degli abitanti del singolo territorio; sul piano culturale è stato possibile valorizzare anche artisti minori a livello nazionale ma conosciuti negli ambiti di appartenenza.
La valutazione artistica
La specificità del nostro paese sta nel fatto che, nel corso della sua storia, c’è stata sempre la spinta a investire nell’arte come promozione economica e sociale, culturale e civile dei cittadini, ha detto il Direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci; e questo anche quando si è trattato di investimenti molto costosi. Ha fatto un esempio illuminante: all’inizio del 1400 una delle porte del Battistero di Firenze, del Ghiberti, fu pagata da un cartello bancario 21.000 fiorini d’oro, quando un cavallo costava 8 fiorini e la paga media annuale di un operaio specializzato era di 14 fiorini.
Anche oggi sono più efficaci le sponsorizzazioni mirate a singole opere; con il rendere riconoscibile l’apporto dello “sponsor” si crea un interesse ben maggiore di quello per un contributo indistinto.
“Noi siamo quello che erano i nostri antenati sette-ottocento anni fa”; allorché si è formata una classe dirigente dei mestieri e delle professioni, dei borghi e dei comuni che ha voluto celebrare il successo economico e sociale anche ricercando la visibilità con la moltiplicazione di opere d’arte. “C’è stato un tempo, durato almeno tre secoli dal 1200 al 1400, in cui un fiume d’oro ha attraversato il Paese”, il denaro che fu investito ci è ritornato nelle opere che furono create in un circolo virtuoso.
E qui una riflessione: “Dove finisce il denaro? L’economista storico sa che non muore mai, è come un fiume carsico, riemerge. Ed è straordinario vedere che quando lo si impiega nel restauro torna dove è nato. Lo Stato attraverso il Ministero per i beni culturali ha stanziato 750 milioni di euro, non molto più delle banche private che hanno investito 500 milioni. “E’ il mecenatismo localistico, ha concluso il prof. Paolucci, che fa grande l’identità del nostro paese”.
L’ottica finanziaria
Carlo Fratta Pasini, presidente dell’Associazione nazionale tra le banche popolari sottolinea i valori di solidarietà che portarono alla loro costituzione a metà del 1800 e sono tuttora validi, rappresentando il presupposto degli interventi per il recupero delle opere d’arte e la promozione della cultura nel territorio in cui sono radicate. Si sono consolidate nel tempo diventando gruppi polifunzionali e politerritoriali, senza mai perdere la presa locale.
Banche popolari e di credito cooperativo rappresentano una sorta di “impresa civica espressione di una comunità”. Di qui il loro impegno nel recupero dei beni più preziosi sul territorio, come monumenti, chiese ed opere d’arte da salvaguardare e restaurare. La crisi finanziaria ne ha rafforzato il radicamento e l’identità, ed è apparsa evidente la resistenza dovuta ai molteplici legami con il territorio e alla possibilità di interagire con gli altri soggetti istituzionali e di matrice privata.
Le iniziative di “Arte, cultura, territorio” sono solo “la punta dell’iceberg, un primo colpo d’occhio sulle ben più numerose realizzazioni nell’intero territorio nazionale”; sono proseguite nell’attuale periodo di “vacche magre” per i rapporti di collaborazione con le organizzazioni private più attive, in questo campo, tra cui “Civita” della quale ha sottolineato la vicinanza ideale nei valori e nei progetti oltre che la contiguità delle sedi.
Un viaggio nel Bel Paese
Cosa dire a questo punto? Non di mere presentazioni si è trattato ma di lezioni sul territorio visto da osservatori diversi, economico e istituzionale, artistico e finanziario; in una fase nella quale le ricerche sul campo del Censis hanno evidenziato la capacità di resistere alla crisi nell’ambito locale con il concorso di una serie di fattori; e, più in generale, di creare i cosiddetti “territori di eccellenza” sotto l’aspetto produttivo, tecnologico-innovativo e dell’accoglienza. Vi abbiamo dedicato molti servizi nei mesi scorsi, ora troviamo una chiave interpretativa che coniuga arte, economia e finanza collocandole in un contesto storico ed istituzionale molto istruttivo.
Perciò ne abbiamo riportato i principali contenuti, che vanno al di là dell’occasione contingente, pur essa di rilievo: viene presentata una serie di interventi di conservazione e restauro del patrimonio artistico e di promozione culturale compiuti in tredici regioni italiane al nord, al centro e al sud.
Sono illustrati in un volume che raccoglie un campionario di tali realizzazioni delle Banche popolari. Una documentazione che rispecchia le bellezze del nostro territorio portando alla luce quanto questi gruppi bancari fanno per proseguire, nelle mutate condizioni, l’opera dei nostri avi.
La pubblicazione presenta una parte d’Italia che l’iniziativa privata locale cerca di valorizzare e danno qualcosa di più di una galleria di belle immagini: sono una rassegna delle diverse forme in cui si può sostenere la cultura nel territorio, non mediante la mera enunciazione, ma con la descrizione degli interventi effettivamente compiuti.
Dopo la lezione teorica di questa presentazione la prova dei fatti. Ci torneremo prossimamente, sarà un viaggio nel bel Paese, coinvolgente e istruttivo.