Home > argomento > restauri > I Colori di Giotto e l’archeologia del colore in mostra ad Assisi (prima parte)
I “venerdì di Archeorivista”, dopo il “cinemascope” dell’“Opus Sectile di Porta Marina”, approdano ad Assisi alla Basilica di San Francesco, un vero “planetario” di meraviglie pittoriche e di immagini celesti. Una mostra eccezionale sui “Colori di Giotto”, dall’11 aprile al 5 settembre 2010, regista Giuseppe Basile: un restauro reale nella Cappella San Nicola e la “restituzione virtuale” al Palazzo di Monte Frumentario. La spiritualità che emana dal ciclo delle Storie di San Francesco e dalle immagini sacre che popolano le volte e le cappelle della Basilica Inferiore, è illuminata dal cielo dipinto con un azzurro che nella Basilica Superiore appare tenue e offuscato.
Non solo il cielo, ma anche gli abiti e il panneggio, gli ambienti e la natura hanno assunto con il tempo colori sfumati, spesso macchiati dalle immissioni delle candele poi sostituite da luci anch’esse dannose, non solo potenzialmente, sui delicati pigmenti degli affreschi giotteschi.
Affrontare questo problema fa tremare le vene ai polsi, è un vaso di Pandora del quale non si conoscono gli esiti finali, sarebbe come rivedere, se non riscrivere, la Divina Commedia. Ebbene, è stato trovato il coraggio di farlo, e nel momento più simbolico ed evocativo, nell’VIII Centenario dell’approvazione della regola francescana; e farlo considerando “i colori di Giotto” come un sito archeologico da studiare ed esplorare per portare alla luce per quanto possibile la preesistenza.
A questa celebrazione si unisce il VII Centenario della presenza accertata di Giotto ad Assisi e del suo grandioso lavoro pittorico nelle Basiliche francescane, una congiunzione di astri celesti.
Le celebrazioni dell’anniversario della Regola francescana e della presenza di Giotto ad Assisi
Le manifestazioni si sviluppano lungo un triennio, il 2010 ne è l’anno centrale, metterne la figura di Giotto al centro potrà favorire la candidatura di Assisi a Capitale Europea della Cultura nel 2019: non siamo “sub specie aeternitatis” ma la prospettiva ha l’orizzonte lungo della Chiesa e l’ala del “Serafico” è protettrice. Gli si affidò anche D’Annunzio, che ne parla nei “Taccuini”, prima del volo periglioso alle Bocche di Cattaro, la sua venerazione per il Santo è documentata dal libro “D’Annunzio e il francescanesimo” che Arnaldo Fortini, allora sindaco di Assisi, pubblicò nel 1963 per le “Edizioni di Assisi”, 263 pagine di episodi, incontri e riscontri di fede dannunziani.
Quest’anno sono i “Colori di Giotto” al centro della celebrazione, nel 2011 ci sarà una grande mostra con prestiti internazionali su “Giotto e Assisi. Il cantiere della Basilica e l’arte in Umbria tra Duecento e Trecento”, che proporrà ulteriori iniziative innovative del tipo di quelle presentate quest’anno e di cui parleremo. Non prima di aver precisato che il programma si avvale di un Comitato scientifico il cui presidente è Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, tra i membri spicca Giuseppe Basile, direttore delle attività di restauro reale e virtuale.
L’organizzazione è curata dall’associazione “Civita”, presieduta da Antonio Meccanico, benemerita nella promozione dell’arte e della cultura con la moltitudine di organismi che vi fanno capo, che vede messa alla prova la sua intensa attività e la comprovata efficienza in una sfida molto impegnativa sotto il profilo organizzativo per la novità e la complessità della realizzazione.
Il sindaco Claudio Ricci ha fatto un excursus sul grande lavoro compiuto nel territorio comunale per guarire le ferite del terremoto del 1997 con ben 2600 fra restauri, opere, infrastrutture: “Abbiamo ridato luce alle ‘pietre vive’ della città serafica da cui, otto secoli fa, è nato il francescanesimo – ha detto – Ma dal francescanesimo, sette secoli fa, nasceva anche l’arte pittorica europea”. Ha parlato degli oltre 20.000 mq di affreschi, “in cui si possono ammirare le prove dei maggiori tra i pittori del Duecento e del Trecento, dallo stupore della tridimensionalità in pittura di Giotto, a Cimabue, a Simone Martini, a Pietro Lorenzetti fino all’assisiate Puccio Capanna”.
E’ arrivato così alla manifestazione attuale: “Quasi 100 artisti e artigiani che fecero di Assisi il cantiere più importante della cultura europea. Con le mostre dedicate a Giotto nell’anno 2010 e 2011 vorremmo riaprire questo cantiere”. In che modo? “Non sarà solo un evento espositivo, ma un vero e proprio ‘progetto culturale’ volto a dare emozioni ai tanti visitatori di Assisi”. E ha concluso dicendo che “si è voluta coniugare la tradizione con la modernità per valorizzare l’identità culturale del territorio e suscitare stupore insieme ad emozione”.
Ne parla, con riferimento alle celebrazioni dei centenari assisiati, il Custode del Sacro Convento padre Giuseppe Piemontese con tono ispirato, ricordando la saldatura della spiritualità di San Francesco con l’arte di Giotto: “L’intento celebrativo ed evangelizzatore dei frati francescani, verso la fine del XIII secolo, si incontrò e si sposò in maniera egregia con Giotto e la sua scuola perché, attraverso una coralità di riflessioni e di interazioni, fossero rappresentati la vita, la santità, la teologia e il messaggio di Francesco”. E ha ricordato che nell’VIII centenario dell’approvazione della Regola ad Assisi, nell’aprile 2009, per una settimana 2000 frati osservanti di ogni provenienza hanno celebrato il Capitolo delle stuoie, culminato nel rinnovo della professione della Regola da parte dei ministri delle tre grandi famiglie francescane davanti a papa Benedetto XVI, in una cerimonia “speculare a quella che, sette secoli fa – hanno scritto le cronache – è stata magistralmente affrescata da Giotto nelle storie francescane della Basilica Superiore di San Francesco di Assisi”.
La presentazione da parte di Giuseppe Basile, direttore e regista dell’iniziativa – è riduttivo definirlo curatore della mostra – ha messo in luce la vastità del lavoro di ricerca che ha permesso di proporre al pubblico un’esperienza straordinaria e senza precedenti. Dove lo studio approfondito si è avvalso di tecnologie avanzate e di metodi innovativi – “grazie a Sorella tecnologia” aveva introdotto francescanamente il rappresentante dei frati conventuali – per un compito titanico: mettere le mani sui dipinti del sommo maestro Giotto sembra un sacrilegio, invece serve a riportarli nella loro sacralità originaria, primigenia diremmo; e anche se questo è possibile farlo solo in modo parziale, si è inteso dare un’idea molto spettacolare di tutto l’insieme con un intervento virtuale.
L’archeologia del restauro è stata già sperimentata nella Basilica con gli interventi conservativi e ricostruttivi a seguito del terremoto del 1997, che fece crollare le due vele centrali, ricollocate con un intervento che, per quanto possibile, rivela visivamente il materiale originario recuperato in centinaia di migliaia di frammenti e ricomposto. Si è ricavata da una minaccia un’opportunità, come sia stata grave lo ricorda la nuvola distruttiva di polvere e calcinacci che al crollo sconvolse l’intera Basilica come fosse una tromba d’aria: è stato possibile “‘vedere da vicino’ uno dei più avvincenti capitoli della storia dell’arte dell’Occidente, dove hanno lavorato i maggiori pittori del Medioevo”.
Le storie di San Nicola nella Cappella della Basilica Inferiore
Tra poco anche noi vedremo “da vicino”, nel “venerdì di Archeorivista”, i dipinti della Cappella di San Nicola dove c’è innanzitutto il mistero intrigante dell’intervento di Giotto e dei suoi allievi.
Vittoria Garibaldi, soprintendente dei beni storici e artistici dell’Umbria, direttore del restauro della Cappella, i cui lavori sono coordinati da Sergio Fusetti, descrive la vasta composizione pittorica. Vale la pena prenderne nota per apprezzarne la qualità artistica e valutarne i problemi.
C’è anche il monumento funerario di Gian Gaetano Orsini, della famiglia committente di questa Cappella e dell’altra simmetrica dedicata a San Giovanni Battista. E’ sovrastato da un trittico pittorico che crea con la scultura una composizione di elevato valore artistico tutto da decifrare “durante il restauro in corso, che in questo senso diventa ancora più importante”.
Le pitture, che coprono i 240 metri quadrati della Cappella, iniziano già all’esterno con l’”Annunciazione”, poi ci sono sei coppie di santi compreso San Nicola, quattro martiri circondati da quattro sante tra cui Santa Chiara, ricollegando questa parte di cappella alle storie francescane.
Dopo le pitture iconiche si sviluppano le storie del Santo, dall’apparizione in sogno di Nicola a Costantino, al Dono dell’oro alle fanciulle, dai Salvataggi miracolosi degli innocenti condannati alla decapitazione e della Nave nella tempesta, fino ai Tre principi che gli rendono grazie.
L’attenzione è richiamata su altre vicende miracolose nel vano di fondo della Cappella con Il Santo che risuscita un giovane strangolato da un demone, Libera il giovane Adeodato e lo restituisce ai genitori; fino al Vecchio ebreo che colpisce la sua immagine tra casse svuotate per un furto. La Garibaldi cita le tavole apparecchiate e San Nicola che “vola” a salvare il giovane: “Sono tutte invenzioni che presuppongono uno studio articolato degli spazi e delle storie e che indicano la presenza in questo cantiere di un grande maestro. La qualità di alcune vedute, come ad esempio la prospettiva esplosa del palazzo alle spalle dei tre giovani salvati dalla decapitazione, può avere dei confronti solo con le architetture della cappella degli Scrovegni di Padova”. E aggiunge: “Tutte idee che porterebbero a riconoscere Giotto nell’ideatore di questi affreschi. Che l’esecuzione sia stata affidata o meno alle cure della bottega è un nodo che il restauro in corso dovrebbe aiutare a sciogliere”.
Di grande valore pittorico la Maddalena, “forse la scena più bella dell’intera Cappella”, poi San Giovanni Battista e Cristo benedicente con a lato, finalmente diciamo, San Francesco che presenta Napoleone Orsini e tre cardinali e San Nicola che presenta Gian Gaetano Orsini e altri tre cardinali”: “Anche in questo caso la qualità della pittura è piuttosto alta, ma resta da chiarire per quale motivo le figure di Napoleone e di suo fratello sono state dipinte su pezze di intonaco che evidentemente sono sovrapposte al resto del velo pittorico. Che coprano qualcosa?”. Un altro interrogativo che Vittoria Garibaldi pone con chiarezza, per concludere: “Come si è detto più volte, molti sono i problemi aperti intorno a questa Cappella, tutti importanti e tutti concatenati tra loro, dal nome dell’autore alla data, nodi che si intrecciano con la presenza di Giotto ad Assisi, con lo studio della sua bottega, col passaggio dallo stile di Assisi a quello di Padova. E’ giusto sospendere il giudizio fino alla fine dei restauri in corso”.
Così è giusto sospenderlo nelle ricerche archeologiche fino al termine degli scavi, in questo senso abbiamo quella che abbiamo definito “archeologia del colore”, con annessi gli altri elementi: autore, datazione. E la complessità del restauro diventa ancora maggiore perché deve dare delle risposte chiare, oltre ad eliminare per quanto possibile o comunque ridurre i segni del degrado.
La delicatezza del lavoro di restauro
Si apprezza maggiormente l’eccezionalità di questo lavoro avendo a mente che non vi è altra possibilità di vedere le opere come potevano apparire allorché furono realizzate. Ciò vale in particolare per il ciclo delle Storie di San Francesco, secondo Giuseppe Basile “definite in tutti i manuali e studi di storia dell’arte in ottimo stato di conservazione e invece impoverite in maniera seria rispetto all’aspetto originario, come testimoniano in negativo le piccole, a volte microscopiche tracce rivenute sulla superficie dipinta”.
Né con il restauro, pur se accurato, si possono eliminare i segni irreversibili del tempo, a meno di fare come in epoche passate quando non si andava per il sottile e si adottavano tecniche invasive soprattutto per le parti molto deteriorate. Ne parla Basile ricordando “l’intervento ‘creativo’ mediante completamento mimetico delle parti mancanti”; e la tecnica opposta dell’“‘approccio ‘filologico’ cioè il mantenimento della situazione di non completezza, tutt’al più mitigata dal ‘trattamento a neutro’, un tipo di intervento che ha avuto larghissima diffusione in Italia”.
Mentre per il “restauro virtuale” delle storie di San Francesco non vi sono questi problemi e limiti, l’approccio è quanto mai creativo aiutato dalla tecnologia, nell’altro evento, il “restauro reale” della Cappella di San Nicola, il lavoro sarà conservativo e di ripristino, ma vi sono situazioni che possono richiedere la ricostituzione di parti perdute, e allora Basile è esplicito, si seguirà la linea indicata da Cesare Brandi: “Se integrità materica e interezza formale possono non coincidere, allora il restauro di un’opera può dirsi cosa fatta anche se non si è riusciti a ripristinare l’integrità materica, purché però sia ricostituita l’unità formale dell’opera, cioè la capacità di tornare a produrre nel fruitore effetti il più possibile analoghi a quelli anteriori alla perdita dell’integrità materica”.
Si procede operando con i due modi suggeriti dalla “Teoria del restauro” di Brandi, il “tratteggio” e “l’abbassamento ottico-tonale”. Il primo – spiega Basile -“consiste in una serie di tratti sottili, paralleli, verticali, che da lontano ricompongono percettivamente il tessuto pittorico, mentre a distanza ravvicinata esso si rivela senza possibilità di equivoci per quello che è, cioè un intervento strumentale alla restituzione dell’unità potenziale dell’opera”. L’altro modo “persegue , ovviamente, lo stesso scopo ma in maniera profondamente diversa, forse anche più innovativa, certamente più complessa e difficile, dato che rinuncia al ‘supporto’ percettivo derivante dalla ‘ricucitura’ del tessuto pittorico”.
E’ bene che i visitatori conoscano questi problemi e questa tecnica per apprezzare meglio l’opera di restauro alla quale potranno assistere da una posizione ravvicinata: “Schematicamente, essa consiste nello ‘abbassare’ in maniera uniforme tonalmente, facendolo diventare più scuro, il fondo delle lacune in modo da farlo retrocedere (appunto ‘abbassare’) otticamente fino a farlo coincidere – nei casi più felici – con il fondo e, in ogni caso, ottenendo che il tessuto pittorico ‘riemerga’ e torni così ad assumere la funzione sua propria di figura rispetto al fondo che, a questo punto, risulterà costituito dall’insieme delle lacune”.
Quando le “lacune” non sono “risarcibili”, il “tratteggio” è la via obbligata del restauro, le due tecniche “non sono fungibili”. Sono le regole dell’Istituto Italiano per il Restauro, impegnato nei restauri reali e virtuali di Assisi.
A questo punto ci sembra di essere preparati alla visita, e così ci auguriamo possano sentirsi i nostri lettori. Non ci resta che visitare la Cappella di San Nicola nella Basilica Inferiore per renderci conto dei lavori di restauro testé iniziati; e poi andare nel vicino Palazzo del Monte Frumentario per la “restituzione virtuale” delle Storie di San Francesco nella Basilica Superiore, “un ciclo pittorico ritrovato”, come dice il realizzatore Fabio Fernetti, con gli autentici “colori di Giotto”.
Autore: Romano Maria Levante – pubblicato in data 23 aprile 2010 – Email levante@archart.it