di Romano Maria Levante
Alla Galleria Borghese a Roma, dal 15 ottobre 2010 al 13 febbraio 2011, il Rinascimento tedesco a confronto con il Rinascimento italiano nella mostra di Lucas Cranach, per la prima volta in Italia con 57 opere esposte insieme a 30 opere di artisti come Lorenzo Lotto e Dossi, Pinturicchio e Bellini, Ghirlandaio e Carpaccio, Tiziano e Raffaello. L’algido Rinascimento tedesco nei dipinti provenienti da molti musei e quello caldo italiano in quadri della Galleria Borghese con aggiunte significative. Dopo “Caravaggio e Bacon” un’altra mostra nella sede monumentale di una straordinaria collezione permanente, in un progetto di lungo periodo che prende lo spunto dai capolavori presenti- questa volta Venere e Amore di Cranach – per costruire eventi prestigiosi.
La mostra e la presentazione dei ministri italiano e tedesco
Il progetto “dieci grandi mostre in dieci anni” è stato confermato: per il 2011 preannunciata la mostra su “I Borghese e l’Antico”, per il 2012 su Tiziano, successivamente su Dosso Dossi, Domenichino e Bernini. Prima di Caravaggio e Bacon c’erano stati Correggio, Canova,e Raffaello. Va ricordato come esempio di museo con preziose presenze artistiche e monumentali che non si limita a esporre i propri tesori ma si apre alle mostre con opere esterne acquisendo nuova vitalità.
Questa volta la vita si sente fluire nella carne, i nudi delle figure rinascimentali posti a confronto nella fredda e spesso inquieta immagine tedesca e nella calda e solare immagine italiana, ed è un evento. E’ un nastro che corre lungo le pareti: in prima fila Cranach con l’“altro Rinascimento,” in altra fila la serie di artisti italiani con il “nostro Rinascimento”. E’ un accostamento congeniale al pittore tedesco perché, sebbene sia sempre rimasto in Sassonia, ha guardato attivamente anche l’arte italiana; addirittura di Tiziano fu un fiero competitore, se si può usare questo termine, essendo entrambi artisti di corti diverse nello stesso periodo storico e con opere di soggetti confrontabili.
La grande innovazione di Cranach è applicare ai temi iconografici del Rinascimento italiano non più lo stile classico ma quello fiammingo, riconoscibile nella forma e nel colore, in tutto. Un evento che meritava la massima risonanza, lo si è visto nella presenza congiunta dei ministri della cultura italiano e tedesco alla Galleria Borghese per la presentazione della mostra il 14 ottobre 2010.
Il ministro italiano Sandro Bondi lo ha definito “un avvenimento di grande importanza per la nostra cultura e per la cultura europea, che parla all’Europa intera”. La prima mostra in Italia dell’artista tedesco “è espressione di uno dei traguardi più alti della civiltà europea”. Non solo per il suo contenuto, ma perché dimostra come “nell’epoca rinascimentale circolassero così intensamente le idee, i modelli letterari, artistici, e ci fosse un simile scambio di esperienze anche con un pittore mai venuto in Italia. Eppure aveva assimilato i frutti del nostro Rinascimento”. Il ministro ha parlato anche degli aspetti religiosi della pittura di Cranach: “Si deve ricredere chi pensava che lo spirito protestante non fosse penetrato in Italia e vi fosse stata solo la controriforma”: si sono avuti forti influssi dal punto di vista religioso e storico, “la riforma protestante è penetrata nel tessuto del nostro paese”. Ha aggiunto che “ci illudiamo se crediamo di poter affrontare i problemi economici e sociali a livello europeo solo con gli strumenti della politica, senza fare appello alle sorgenti della nostra civiltà”. Ha poi annunciato due grandi mostre d’arte italiana in Germania nel 2011.
Il ministro tedesco della cultura ha sottolineato “l’unicità della mostra fatta di dipinti prestati da musei di vari paesi, da Germania e Francia, da Gran Bretagna a Stati Uniti e, naturalmente, dall’Italia”; e il fatto che ”diversamente da altri artisti tedeschi non ha mai visitato l’Italia, è la prima volta che viene nella culla del Rinascimento”. La presenza di due ministri “testimonia le ottime relazioni tra i due paesi sin dai tempi di Goethe”. E a questo riguardo ha ricordato la casa Goethe a Villa Massimo a Roma, le biblioteche e istituti tedeschi a Firenze e Venezia. La collaborazione culturale sarà sviluppata con nuove mostre, anche di ritrattistica rinascimentale, a Venezia e Firenze, e anche a Dresda. La mostra di Cranach l’ha definita ”meravigliosa”.
Gli hanno dato atto dell’impegno nei rapporti culturali tra i due paesi il sottosegretario Francesco Maria Giro che ha sottolineato come “entrambi i governi credono all’importanza di valorizzare il patrimonio culturale europeo” e il direttore generale per la valorizzazione Mario Resca il quale ha definito Italia e Germania “due potenze sorelle che hanno nella cultura la propria identità di paese”.
Chi è stato Lucas Cranach
Per meglio comprendere l’“Altro Rinascimento” di Cranach è bene conoscere gli aspetti peculiari della vita e dell’attività. Il suo percorso artistico prende l’avvio in età non precoce quando dopo il suo trasferimento a Vienna nel 1502 dalla natia Kronach in Franconia, nel 1504, a trentadue anni, fu chiamato da Federico il Saggio, elettore di Sassonia come artista di corte nella capitale Wittenberg.
Lo stile drammatico, nella forma e nel colore come nei soggetti mostrato a Vienna, sembra fosse all’origine della designazione del principe, che si pensa avrebbe voluto Durer, al quale aveva commissionato un ritratto, per “ripiegare” poi su Cranach che mostrava di ispirarsi alle potenti xilografie dell’artista il quale nel 1501 aveva creato le potenti incisioni di Apocalisse; l’anno prima di Cranach era entrato alla sua corte il veneziano, in rapporti con Durer, Jacopo de’ Barbari per uscirne nel 1506, quando da due anni vi si era insediato stabilmente Cranach. Questa presenza fu fruttuosa perché de’ Barbari trasmise le visioni prospettiche italiane ai pittori e ai committenti del Nord Europa, che influenzarono l’artista, unitamente a Durer; come lo influenzò l’intensa vita culturale locale; va ricordato che quando entrò nella Corte, da due anni Federico aveva fondato un’Università e l’isolata cittadina di Wittenberg era divenuta un centro di cultura umanistica.
Altri influssi gli vennero dalla pittura fiamminga, da David a Bosch, e dalle nuove forme d’arte del versante sud delle Alpi, in particolare dell’Italia, che conobbe nella corte di Margherita d’Austria, committente illuminata, a Malines nelle Fiandre: vi fu mandato nel 1508, dopo quattro anni nella corte di Sassonia. Eseguì il ”Ritratto di Massimiliano I” e di colui che diventerà Carlo V; l’anno dopo, nel 1509, uscirono le sue xilografie della “Passione”, la risposta all’“Apocalisse” di Durer.
Chiusa questa parentesi, si insedia a Wittenberg dove gestisce una mescita di vini, si sposa nel 1512 – ha due figli che diverranno artisti e poi tre figlie – e in seguito per ben trent’anni, dal 1519 al 1549, fa parte del Consiglio comunale, divenendo borgomastro per tre volte, nel 1537, 1540 e 1543.
La sua fisionomia di artista si evolve: dirige una vera officina dove avrà fino a dieci assistenti in un’attività con caratteri imprenditoriali al di là della bottega d’arte. Questo non solo per le opere monumentali e quelle commissionate in grande numero, ma anche per la sua responsabilità sulle iniziative di corte in campo artistico e non solo: opere d’arte e decorazioni come addobbi stabili o temporanei, mobili e medaglie. E anche per le committenze private dei benestanti locali, che si aggiungevano all’attività di corte di per sé molto intensa, soddisfatte anche con copie e varianti.
Sarebbe già molto tutto questo, ma si aggiunse un aspetto fondamentale: dopo il manifesto protestante di Martin Lutero del 1517, esposto alla porta della chiesa di Wittenberg, Cranach – che ne era amico vivendo nella stessa città – ne diffonde le idee con la sua arte pittorica: fu testimone alle nozze di Lutero con Katharina von Bora e le celebrò con i Ritratti della coppia che fissavano visivamente il nuovo modello e la trasgressione delle regole cattoliche. Non si limitò a questo, curò stampa e diffusione del Nuovo testamento e poi dell’intera Bibbia nel 1534. Sul lato artistico i riflessi si trovano anche in opere di ispirazione direttamente religiosa, sul peccato originale e la redenzione, nella figura di Cristo con l’adultera e i bambini e nella Crocifissione con il centurione.
L’incidenza delle immagini sulla vita spirituale e sociale era molto dibattuta nel mondo protestante, in forme anche violente, tanto che tra il 1521 e il 1522 – pochi anni dopo il manifesto di Lutero – in sua assenza alcune chiese di Wittenberg furono invase da monaci e studenti che ne devastarono gli arredi in una sorta di furia iconoclasta. Furono sconfessati, ma cessarono di fatto le ricche committenze per tali dipinti. E’ di quel periodo, 1524, un “Ritratto di Cranach” eseguito da Durer a Norimberga dopo il loro incontro: molte cose li univano sin dall’inizio della vita di corte..
Con il suo spirito imprenditoriale si rivolse non solo al mercato delle classi borghesi in crescita, con soggetti mitologici, ma anche alla committenza della Chiesa cattolica tedesca: il cardinale Alberto di Brandeburgo gli affida una vasta serie di dipinti per la chiesa di Halle e il duomo di Berlino: la cattolica Halle, cui furono destinati 142 dipinti, dista pochi chilometri dalla luterana Wittenberg.
Non si trattava soltanto di una contrapposizione religiosa: nella battaglia di Muhlberg del 1547 l’imperatore Carlo V sconfisse i riformatori della Lega di Smalcalda e prese prigioniero Giovanni Federico il Magnanimo. Cranach fu chiamato all’accampamento di Carlo V e nel 1550 accompagnò Federico in esilio ad Augusta. Abbiamo qui, in questo stesso anno, il memorabile incontro con Tiziano, massimo ritrattista degli Asburgo, che fece un Ritratto anche a Cranach.
Restò vicino all’elettore di Sassonia, terzo nella dinastia, quando nel 1552 terminò il breve esilio e poté stabilirsi a Weimar, Dopo qualche esitazione lasciò la “bottega” al figlio omonimo e lo seguì a Weimar, dove morì nel 1553 a 81 anni. Fedele al suo principe fino al termine della vita, artista di corte fino in fondo.Ma un artista non solo di corte, la mostra dà conto delle sue tante vite..
Cranach a corte per mezzo secolo come Mantegna
Parlare della pittura di corte è riduttivo rispetto all’attività artistica svolta da Cranach per i tre successivi “elettori” sassoni, sia perché comprendeva le altre molteplici attività decorative e artistiche, sia per la libertà di avere committenze private e di affrontare altri temi. Questa complessità fa dell’artista tedesco qualcosa di più di un pittore, non si parla propriamente di scuola, bensì di impresa o di “marchio” Cranach, proseguito dal figlio, che ne prese il posto.. Quando le committenze erano per diecine di opere similari come i ritratti, usava metodi che consentivano la lavorazione multipla con cavalletti in serie e, nella pittura, con varianti portate a uno schema fisso.
Sono andate perdute le tante opere di decorazione per feste e tornei, cerimonie e ambienti particolari, come grandi tele e pitture murali esterne e interne su tanti palazzi della Sassonia; oltre a questo, addobbi per matrimoni di Stato, come quello della residenza di Torgau dove lavorò due mesi, decori per vestiti e mobili, cassoni e vetrate, lapidi e medaglie; un testo sulla nuova università di Wittenberg – il Dialogus di Meinhard – indicava i cicli di storia romana e mitologica, allegorie e ritratti dipinti nei saloni del castello della cittadina. Aveva una squadra che arrivò a dieci assistenti ed era impegnato anche in stampe e incisioni, anzi le sue prime incisioni seguendo Durer potrebbero aver avuto un peso nella sua scelta come pittore di corte non essendo stato possibile avere il primo.
Ma com’era la posizione di pittore di corte? Ne dà un’accurata descrizione Martin Warnke nel Catalogo della mostra, ben documentato, facendo un “paragone storico-artistico” con Mantegna che stette stabilmente dai Gonzaga di Mantova per un periodo analogo a quello di Cranach – quasi mezzo secolo – in un’ideale staffetta: Mantegna alla corte di Mantova dal 1459 al 1506, Cranach alla corte di Wittenberg dal 1505 al 1553. Il fatto che entrambi alla morte del signore che li aveva ingaggiati furono confermati dal successore e poi da colui che seguì indica “un’incondizionata fiducia nelle qualità pressoché atemporali dei loro maggiori artisti”, cioè i due pittori di corte.
Pur se diversi e distanti geograficamente e nel tempo avevano in comune il trattamento del pittore di corte. Gli veniva assicurato il sostentamento dignitoso, abiti anche per i lavoranti e l’alloggio, entro il castello oppure all’esterno in una residenza di prestigio: Cranach nel 1518 lasciò il castello per una grande abitazione nella Schloss strasse dove rilevò farmacia e mescita di vini dolci, attività che proseguì. Inoltre un regolare appannaggio, a Cranach 100 fiorini (180 ducati a Mantegna), mentre le opere d’arte erano remunerate separatamente. L’appartenenza alla Corte ne era il segno distintivo, Cranach ebbe come stemma e sigla un serpente alato (Mantegna usava il motto di Ludovico Gonzaga e poi il titolo di comes palatinus). Questo riconoscimento proseguiva dopo la morte: per Cranach i tre figli del principe elettore Giovanni Federico fecero erigere a Weimar una delle tombe tedesche più sfarzose per un artista del Rinascimento (la cappella di Mantegna con il busto di bronzo è nella chiesa di Sant’Andrea di Mantova destinata ad ospitare le tombe dei Gonzaga).
Per tornare alla vita e all’arte va sottolineato che all’ingresso nella Corte principesca non era estranea la segnalazione del mondo letterario e umanistico nel quale poi si aveva accesso: Cranach fu paragonato nell’ambiente colto ad Apelle, il pittore di corte di Alessandro Magno (lo stesso era avvenuto per Mantegna, anche a questo riguardo il parallelo è giustificato).
Veniva concesso di lavorare per terzi, come riporta Schwarzmann per Cranach: “In particolare per noi deve lavorare con tutto lo zelo possibile e… dipingere per noi a un prezzo un po’ più basso di quello che farebbe a un estraneo”.
La particolare posizione a Corte ha creato dei sospetti nella critica, che per parecchio tempo ha visto Cranach condizionato dal mondo feudale, quindi indifferente alla sensibilità artistica del mondo borghese (lo stesso per Mantegna la cui opera a Corte fu considerata esteriore e incapace di rendere la spiritualità iniziale). Ma la rivalutazione è stata totale e ha incluso le opere considerate “in serie” su un impianto comune, ritenendo di grande interesse la semplice ricerca di pur piccole differenze.
I risultati dell’ingente lavoro svolto “con tutto lo zelo possibile” si vedono nella selezione di opere in mostra, cominciando con i temi riguardanti la vita che ruotava intorno alla Corte tra le cacce e i tornei e i ritratti dei personaggi di corte e altri nobili del tempo. I temi profani, mitologici o di altra natura, erano molto diffusi. E così quelli religiosi, che in Cranach avranno aspetti peculiari: temi legati al protestantesimo; attraverso Lutero; e al cattolicesimo con le committenze delle chiese.
Cacce e tornei, scene di umanità primitiva e mitologica
La nostra visita alla mostra comincia ammirando il nuovo allestimento, con dei paraventi cremisi che isolano in un certo senso dalle monumentali pareti istoriate della Galleria Borghese; nel precedente allestimento per “Caravaggio e Bacon” i dipinti in mostra erano semplicemente accostati a pareti talmente invasive e prorompenti che riuscivano addirittura a soverchiare i grandi dipinti di Caravaggio; valorizzati invece alle “Scuderie” con l’occhio di bue che isolava ciascuno di essi nella penombra quasi fosse una star, e tale si rivelava, tanto suggestiva era la messa in scena.
Qui l’isolamento è reso con discrezione dai pannelli come fondali, e consente di calarsi nell’atmosfera creata dal pittore tedesco senza le interferenze dell’ambiente espositivo.
Delle pitture di corte cominciamo a considerare quelle che ne esprimono maggiormente il clima, perché riproducono le più spettacolari attività dei nobili, la caccia alla selvaggina e i tornei.
Intendiamo soffermarci, in particolare, su tre grandi tematiche: la caccia al cervo e il giardino dell’eden; l’umanità primitiva e gli uomini selvaggi, la famiglia del fauno e le scene mitologiche. Non esauriscono i temi di corte, che spaziano per l’intero arco della produzione, e riguardano soprattutto i ritratti e altri soggetti di natura mitologica e soprattutto religiosa; ma ci sembrano i più espressivi di una visione tutta particolare da parte di un testimone diretto di quelle situazioni, spinto alla ricerca anche culturale delle proprie origini primitive in ambienti mitici. Ci fanno conoscere quel mondo al quale sono stati rivolti i giudizi più severi, come quello di Georg Dehio dei 1928, citato da Warnke: “Con le sue bamboline pallide, senza sangue, leziose, la qualità della sua produzione diminuisce, proprio mentre il suo successo cresce”.
Cominciamo con le due “Caccia al cervo”, del 1540 e 1545, quindi nell’ultimo decennio, perché le più espressive di quel mondo: non ci sono le “bamboline pallide”, ma scene venatorie concepite come un arazzo ad intarsi costituiti da una folla di piccole figure, in prima fila il principe con la balestra, sullo sfondo il grande castello di Torgau, una sede di Giovanni Federico II; c’è un corso d’acqua nei due dipinti che hanno analogie, anche se non sono varianti su uno schema comune. Lo stesso soggetto è presente anche in una xilografia dallo stesso titolo che invece è dell’inizio della sua attività a corte: 1505, una visione d’insieme a cui si accosta molto il dipinto di quarant’anni dopo, sempre una “ripresa” corale dall’alto, mentre nella famosa “Caccia notturna” di Paolo Uccello la “ripresa” era quasi a livello dei cacciatori; stesso angolo di visuale nell’altra xilografia degli inizi “Torneo sulla piazza del mercato”, una giostra spettacolare con il groviglio di figure di cavalieri e musicanti, nonché della gente assiepata nella gran baraonda della giostra cavalleresca.
Le “bamboline” cominciamo a vederle nel “Giardino dell’Eden” del 1530, dove in alto è dipinto un film della creazione con le figure sottili di Adamo ed Eva, rispetto alla figura imponente del Creatore e alla natura lussureggiante con le varie specie di animali opime e rotonde in primo piano.
Ma soprattutto nell’“Umanità primitiva”, in cui si identifica “L’età dell’oro” dove gli stessi alberi e cespugli rigogliosi sono abitati da grassi animali e da figurine umane nude nelle pose più serene e idilliache: il girotondo, l’uomo e la donna insieme nel bagno, distesi o seduti sul verde in dolce compagnia; c’è anche una “variante” che ci mostra quella particolare tecnica, le figure sono spostate ma vengono riprodotte nella composizione con una notevole similitudine.
Il passaggio dall’Umanità primitiva” agli “Uomini selvaggi” segna anche il passaggio dall’“Età dell’oro” all’ Età dell’argento”. Nell’ambiente naturale con la prospettiva meglio definita ci sono quattro uomini di età diversa che lottano con i bastoni, due a terra, mentre due donne badano ai piccoli senza esserne turbate e una terza guarda la scena tenendo un bastone, tutti i corpi sono nudi, quelli delle donne levigati e senza ombre. Le figure maschili in movimento richiamano la “Battaglia di uomini nudi” di Pollaiolo, quelle femminili statiche pittori come Memling e Bosch.
Anche qui troviamo un diverso dipinto di “Uomini selvaggi”, con figure della stessa tipologia in altre posizioni, sempre con lo sfondo: due uomini in lotta afferrano una donna, in una sorta di ratto delle Sabine. Le figure nude ed efebiche di uomo, donna e due bambini, piccolo e piccolissimo, sono protagonisti anche di “La famiglia del fauno”dove si precisa e si arricchisce la prospettiva dello sfondo con rupi, castello e specchio d’acqua, mentre in primo piano si vede una belva uccisa.
Le figure nude in un’atmosfera bucolica sono la caratteristica saliente di queste pitture di corte che trasferiscono nel dipinto miti e credenze. Lo vediamo nella “Scena mitologica”, simile prospettiva e vegetazione scura dell’ambiente, due figure maschile e femminile in piedi, e a terra altre figure di giovani e bambini, sembra esserci una disputa nella coppia, comunque l’atmosfera è serena.
Con due immagini mitologiche e allegoriche si arricchiscono i motivi di corte, In “Bacco e il grande tino” la figura con un recipiente nelle mani, domina una platea piena di piccolissimi infanti, sulla solita vegetazione, dove c’è l’albero di frutta e in lontananza la consueta prospettiva. Tranne la figura di Bacco, arrossata, le altre sono lisce e delicate, gli infanti si affollano intorno al tino. E’ l’unico pervenuto di questo soggetto, quindi non c’è stata committenza seriale..
Con “Malinconia” cambia tutto tramite i piccoli putti nudi che cercano di spingere una palla grossa come loro, con dei piccoli bastoni sotto lo sguardo sereno della damigella alata elegantemente agghindata, che affina un bastone con il coltello, mentre incombe lo sfondo consueto di rupi con costruzioni ad esse abbarbicate, in una visione di prospettiva fino ai lontani monti all’orizzonte. La serenità della scena è contrastata dall’immagine molto in piccolo sul lato sinistro, un gruppo di diavoli e streghe sembra rapire un dignitario, . La scala è diversissima, le figure principali sono in primissimo piano, le altre in una sorta di quadro nel quale c’è anche la prospettiva e lo sfondo.
Un’immagine assorta e serena conclude questo assaggio, con le pitture più legate al mondo di corte. Bernard Aikema, curatore con Anna Coliva della mostra e del catalogo edito da “24 ore Cultura” – rimarchevole la straordinaria bellezza iconografica, anche con preziosi ingrandimenti di particolari, e ricchezza di documentazione con approfondite analisi critiche – afferma: “In questa mostra proponiamo alcuni esempi di questi momenti in cui Cranach riprende le tematiche delle iconografie dei grandi pittori italiani per tradurle poi nei suoi termini: in ‘un altro Rinascimento’ che non rispetta la proporzionalità albertiana e il ruolo della figura in rapporto con lo sfondo”.
Vedremo gli altri soggetti, dalla ritrattistica alla pittura religiosa, che si muove sui due versanti del protestantesimo e del cattolicesimo; i temi biblici e mitologici e la sua visione della seduzione femminile con particolare riguardo al potere della donna visto attraverso eroine della storia e del mito. Ci saranno confronti tra l’“altro Rinascimento” del grande pittore tedesco e il Rinascimento italiano, con i nostri campioni presi a confronto, trenta dei quali in mostra. Potremo citarne solo alcuni dovendo concentrarci sulle molte opere di Cranach, che non vedremo più, mentre sappiamo che i dipinti esposti di Bellini e Pinturicchio, Jacopo Palma e il Ghirlandaio, Parmigianino e Lorenzo Lotto, Carpaccio e Raffaello li vedremo ancora, sono nella Galleria Borghese. Allora appuntamento a presto per i grandi temi portati alla ribalta della mostra dopo le scene di corte.