di Romano Maria Levante
Dopo la pittura di Corte, relativa agli ambienti e temi più legati a quel mondo è il momento della Ritrattistica e della Religione, di altri Temi mitologici e della Donna come la vede Lucas Cranach, il grande pittore dell’“Altro Rinascimento” in mostra alla Galleria Borghese a Roma, dal 15 ottobre 2010 al 13 febbraio 2011, in un confronto tra il Rinascimento italiano con 30 opere di pittori celebri, tra cui Tiziano e Raffaello, e il Rinascimento tedesco dell’artista che della donna seppe esprimere anche il potere legato all’erotismo e alla sessualità con i dipinti di celebri eroine.
Il confronto dei due Rinascimenti. La ritrattistica
Come riassumere le prime immagini. già commentate, della pittura di corte di Cranach e come definire l’“altro Rinascimento” rispetto a quello italiano? Possiamo dire che, a differenza del nostro Rinascimento, non si ispira all’antico e non ha forme classicheggianti, ma nordiche: riproduce la natura nei particolari e con uno stile pittorico di origini e ispirazione fiamminghe.
Il curatore Bernard Aikema afferma: “Cranach entra in competizione con Durer come entra in competizione con i grandi pittori italiani ma sempre traducendo queste novità in un linguaggio pittorico che per esempio si riconosce molto direttamente nelle sue figurine, quasi senza struttura ossea, quasi fatte di gomma con la pelle liscia e quei sorrisi maliziosi delle femme fatale un po’ inquietanti. Tipica invenzione cranachiana, che ha avuto immenso successo in centro Europa”.
Diversa l’attività ritrattistica, per avere un’idea della sua vastità basta considerare che, ad esempio nel 1532, il suo principe elettore – era l’epoca di Giovanni Federico I – gli commissionò sessanta coppie di ritratti dei predecessori, cioè Federico il saggio suo zio e Giovanni suo padre, che poteva eseguire soltanto con le tecniche cui abbiamo accennato a proposito della “pittura di corte”, cioè cavalletti affiancati per una lavorazione quasi in serie con sagome in cartone e lucidi e varianti su un impianto comune. Altri ritratti multipli furono quelli che vedremo più avanti a proposito della sua pittura religiosa, in particolare fatti a Lutero e a sua moglie dopo la trasgressione delle nozze, “originali di massa” richiesti in gran numero per diffondere il nuovo verbo protestante.
Il primo che vogliamo citare è il “Ritratto di Lucas Cranach il vecchio”, l’autore si pensa sia il figlio Luca Cranach il Giovane che ne continuò l’opera: un mezzo busto forse del 1550, l’ombra inconsueta e i minuziosi particolari della barba escludono ci sia la sua mano, non è un autoritratto.
La ritrattistica di Cranach il vecchio fu innovativa: oltre al busto, la mezza figura e il profilo in tre quarti sperimentò anche la figura intera a grandezza naturale, come nel dittico del duca di Sassonia “Enrico il Pio e la moglie Katharina”. Ritrasse i bambini che assumevano ruoli nella corte e diede a delle signore di corte abiti e atteggiamenti di figure come Giuditta e Maria Maddalena.
Il busto con la testa in particolare rilievo lo troviamo nel “Ritratto del Malgravio Casimiro”, che ricorda nel taglio dell’immagine, nell’abbigliamento e acconciatura, a parte la barba, un dipinto di Durer. Stessa inquadratura nel “Ritratto postumo di Federico il Saggio” e nel “Ritratto di giovane barbuto con cappello rosso”, mentre nel “Ritratto di Carlo V” del 1533, a differenza dei precedenti il mezzobusto è rivolto verso sinistra. Nello stesso periodo Tiziano ritrasse l’imperatore con il cane a figura intera, mentre Cranach tornò sul tema nel 1550 ad Augusta dando di Carlo V un’immagine decadente, anche l’artista era in un’età avanzata, lo si avverte nel quadro. Il “Ritratto di principe di Sassonia” di Cranach del 1516-18 viene messo a confronto con “L’elettore Giovanni Federico di Sassonia” del 1533 di Tiziano, venuto dal Museo storico di Vienna.
Tiziano era un altro pittore di corte che “pensava in grande e in modo manageriale” con un “sistema estremamente duttile, aiutato da numerosi assistenti”. Abbiamo citato Mantegna per il mezzo secolo a corte dei Gonzaga prima che Cranach facesse il suo mezzo secolo dagli elettori di Sassonia. Bernard Aikema – curatore di mostra e catalogo con Anna Colida – aggiunge: “All’epoca una ditta paragonabile a quella di Cranach era quella di Tiziano che nell’Italia settentrionale era un po’ la controfigura di Cranach per molti aspetti: pittoricamente era completamente diverso”. Queste analogie lo fanno concludere che “c’è un parallelismo assoluto tra Cranach e Tiziano” nella gestione dell’attività di corte, a cui si aggiunge l’incontro nel 1550-51 come pittori di corte nei fronti opposti dopo la sconfitta dell’elettore di Sassonia fatto prigioniero: e raffigurato sia da Cranach accorso da lui, sia per il vincitore da Tiziano che si richiamò al pittore tedesco. Si è saputo che Tiziano fece anche un ritratto a Cranach allora di 77 anni, andato perduto.
Dei ritratti femminili ci piace sottolineare le due figure a tre quarti e a figura intera: la prima “Ritratto di una giovane dama”, la seconda, “Fanciulla con una mela”, ritrae una damigella di corte. La nobiltà delle figure rappresentate fa dubitare, in particolare il critico John Martin, se tali dipinti “possano talora essere ritratti ideali, o quanto meno ritratti in cui la reale personalità della donna raffigurata sia stata subordinata all’ideale cranachiano della bellezza”.
Lo vedremo più avanti, per ora aggiungiamo solo alla galleria di ritratti due coppie di bambini a mezza figura: “Ritratti di un principe sassone” e “Ritratti di Maurizio e Severino di Sassonia”. Il primo dittico ritrae i due bambini nella loro espressione infantile, pur se con abiti e ornamenti del rango, mentre il secondo ne mostra la consapevolezza, soprattutto del più grande, non solo nell’abbigliamento ma nello sguardo imperioso in una vera introspezione psicologica.
Mentre questi sono dittici bene accoppiati, ci sono poi le “Coppie male assortite”, vediamo “Giovane uomo e anziana” e “Giovane donna e anziano”: ritratti impietosi di uomo e donna accostati nella loro differenza di età, figure burlesche i cui contrasti spiccano sul fondo nero.
Ed ora dovremmo commentare i “Ritratti di Hans e Margarethe Luther”, ma questo richiede di parlare del mondo in cui entrò Cranach, quello della religione, luterana e anche cattolica.
La pittura in nome della fede luterana
Nel ricordare la vita di corte dell’artista abbiamo già accennato all’irruzione del motivo religioso non più solo come soggetto particolarmente frequentato nell’arte pittorica ma come personale coinvolgimento nella rivoluzione protestante essendo amico di Martin Lutero che dalla stessa Wittenberg fece partire la riforma luterana,, definita da Joachim Jacoby nel Catalogo “uno spartiacque della storia europea”, nel senso che apportò “un rinnovamento spirituale ma allo stesso tempo turbolenza, guerre e secoli di dissenso nei confronti del Continente”,
Come vi fu coinvolto il nostro artista? “E’ lo stesso Cranach a dare alla riforma un nuovo aspetto esteriore , rappresentando in modo radicalmente nuovo i soggetti religiosi”, prosegue il critico. “Inoltre, grazie ai ritratti delle figure rappresentative di questo movimento, Martin Lutero e FIlippo Melantone, fu sempre Cranach a dare letteralmente un volto alla Riforma. Durante i primi anni i ritratti di Lutero si susseguirono in rapida successione”. Il primo citato è un’incisione del 1520 in cui viene ripreso di tre-quarti con un aspetto severo, l’anno dopo invece un profilo da precettore benevolo, fino alla successiva xilografia “Lutero come Junker Jorg”. Era questo (“giovane nobiluomo Gorge”) il nome con il quale Lutero si era rifugiato nel castello di Wartburg per sfuggire alla cattura da parte dell’imperatore che voleva incarcerarlo: il ritratto e la Bibbia da lui tradotta in tedesco contribuirono molto alla diffusione del nuovo verbo luterano.
In mostra vediamo i “Ritratti di Martin Lutero e Katharina Von Bora”, del 1529, quattro anni dopo le nozze che trasgredivano al celibato e furono viste come una escalation della sfida a Roma, dipinti che furono prodotti in serie in diversi formati per diffondere il nuovo verbo. Sono entrambi su sfondo azzurro, di Lutero solo il viso ha il colorito naturale, per il resto tutto è nero, il mantello e il cappello; molto severa nel suo colletto bianco e pelliccia la moglie Katharina.
Due anni prima, a dieci anni dall’affissione alla porta della chiesa dell’iniziale manifesto, aveva dipinto i “Ritratti di Hans e Margarethe Luther”, i genitori di Martin Lutero ripresi a mezza figura in atteggiamenti familiari, imbronciato lui, stanca lei, e potevano essere riuniti in dittico.
Oltre ai ritratti ci furono xilografie e dipinti di Carnach per le nuove visioni della fede protestante. Tra le prime le illustrazioni del libello “Passional Christi und Antichristi” dove la vita ascetica di Gesù viene posta a confronto con l’immagine screditata del Papa ed altre esemplificazioni visive.
Anche le immagini dell’iconografia religiosa tradizionale sono rese in forma nuova, più semplice ed essenziale, per trasmettere in modo immediato il messaggio religioso senza pathos ma con intento divulgativo dei suoi contenuti. Questo in “Cristo e l’adultera” e soprattutto nel “Centurione sotto la Croce” che vediamo in mostra in tutta la sua impressionante semplicità: oltre al Cristo crocifisso tra i due ladroni c’è solo il centurione a cavallo con la scritta in tedesco che gli esce di bocca “Veramente quest’uomo era il figlio di Dio”, un messaggio forte e diretto e senza orpelli: lo sfondo è nero cupo senza alcun paesaggio né altro segno esteriore che possa distrarre.
Immagini della fede, la committenza cattolica
Le alterne vicende dell’iconoclastia protestante, cui Lutero comunque si oppose, favorirono o rallentarono la richiesta di ritratti e immagini per il nuovo verbo. Cranach, comunque, non trascurò la committenza cattolica neppure dopo il messaggio luterano: Abbiamo già accennato alle commesse per la chiesa di Halle e per il Duomo di Berlino: “Tanto per le dimensioni quanto per la rilevanza ideologica – osserva il critico Jacoby – entrambi i progetti rappresentano il concetto di ‘pale d’altare coordinate’ e possono essere paragonate alle decorazioni prodotte sotto la direzione di Giorgio Vasari per le chiese fiorentine di Santa Maria Novella e Santa Croce”.
Dei dipinti per le committenze cattoliche vediamo innanzitutto “San Gerolamo nel deserto” e “La visione di Sant’Eustachio”. All’opposto dell’essenziale “Centurione sotto la Croce”– a dimostrare la diversa destinazione e ispirazione -la figura principale è immersa in un paesaggio ricco di elementi naturali che sono di per sé architetture e, in assenza di altri soggetti trattandosi di romitori, di animali di vario tipo e nelle più diverse posizioni, in primo piano e in prospettiva. Viene esposto a raffronto il “San Gerolamo” di Lorenzo Lotto dal quale si differenzia perché qui il santo è quasi avulso dall’ambiente, mentre nell’artista italiano ne è parte integrante.
La piccola tavola “Santa Barbara”, con la sontuosa veste della santa che ha in mano un libro vicino alla torre della sua prigionia riporta alla “Santa Caterina” dello stesso Carnach, come ulteriore esempio di repliche differenziate con varianti anche notevoli ma ricondotte a un unico impianto originario. Mentre la “Vergine e Bambino che mangia un grappolo d’uva” richiama il dipinto del Perugino – identici i colori del manto e della veste – ma in Carnach il paesaggio retrostante ha un ruolo prevalente sulle figure in primo piano,mentre nell’altro è uno sfondo poco visibile. Stesse similitudini e dissonanze nella “Madonna con Bambino e San Giovannino”.
Il dipinto del 1531 “Il sacrificio di Abramo” ha caratteri analoghi, colori forti, prevalenza della natura con la scena rovesciata, i due servitori in primo piano, la scena madre del sacrificio interrotto dall’angelo in alto in piccolo, segno del carattere corale e non solo personale dell’evento.
Sempre in campo biblico, due dipinti a grandezza naturale “Adamo ed Eva” che nella mostra spiccano in maniera particolare. Sono del 1528 e a dimostrazione dell’interesse dell’artista per tale tema sta la sua xilografia del 1509, anch’essa in mostra, successiva a quella di Durer del 1504: Durer dava rilievo alle due figure nelle loro perfette proporzioni, laddove l’incisione di Cranach le inseriva, sommergendole, nel viluppo della natura tra albero, animali e altro ancora. Le figure dipinte hanno la levigatezza e le forme sottili dello stile tedesco rispetto alla maggiore floridezza italiana, queste però non sono filiformi come altre e hanno un chiaro richiamo erotico.
Tra erotismo e tenerezza l’incisione “La penitenza di san Giovanni Crisostomo” con il corpo nudo tra gli alberi della giovane che ha il neonato in grembo vigilata dai cervi, mentre Giovanni è rimpicciolito sullo sfondo per scontare la sua colpa. Vicina a questa immagine – nella collocazione di donna e bambino sotto un albero – la xilografia “Riposo durante la fuga in Egitto”, qui però la donna è vestita, trattasi della Vergine con San Giuseppe, è del 509; Caravaggio ne farà un capolavoro con l’angelo seminudo e il cartiglio recante lo spartito misterioso che fu decifrato.
Le xilografie “La tentazione di Sant’Antonio” e “San Giorgio” concludono questa rassegna di temi religiosi con figure molto diverse: nel primo il santo sollevato in alto dai diavoli è confuso tra viluppi inestricabili di rami e fauci di bestie e demoni; nel secondo, invece, il santo si staglia imponente nella sua armatura dopo il combattimento con dei putti che reggono elmo e parte dell’armatura, il suo capo è circondato dall’aureola. Un finale in gloria, dunque.
La seduzione femminile
E dato che siamo entrati nell’erotismo proseguiamo in una vera e propria galleria di sensualità femminile, che Aikema nel Catalogo introduce così: “L’immagine della donna sensuale, seducente e (semi)nuda costituisce una delle novità più spettacolari dell’arte del Rinascimento italiano (Botticelli, Raffaello, Tiziano). Così vuole tradizionalmente – e giustamente – la storiografia artistica. Ma il pittore cinquecentesco del nudo femminile per antonomasia non è italiano: è tedesco, si chiama Lucas Cranach e non segue la tipologia classicheggiante che siamo soliti associare al concetto di nudo rinascimentale”.
Nel Rinascimento italiano le forme sono morbide e floride, c’è un ideale di bellezza muliebre unita al benessere del corpo e dello spirito, una sorta di estasi corporale e spirituale insieme, senza ansia e tanto meno angoscia, il creatore dispensa i suoi doni anche nell’armonia delle linee arrotondate. Il modello tedesco, dell’“altro Rinascimento” di Cranach, dà ai corpi una estrema leggerezza, sono “figurine eleganti dai corpi flessibili e apparentemente privi di struttura ossea, creature decorative, dalla pelle liscia e bianchissima e dall’aspetto vagamente inquietante, quasi una sequenza ininterrotta di ‘lolite’, ma con attributi iconografici ogni volta diversi”.
La galleria di dipinti esposti mostra figure che esprimono diversi contenuti e significati, dal religioso al profano, dal tradizionale al rivoluzionario; con il particolare che abbiamo anche qui produzioni in serie con varianti significative. Due sono le immagini ricorrenti: Venere e Lucrezia.
Di Venere vediamo tre dipinti, uno dei quali a grandezza naturale: “Venere e Cupido che ruba il favo di miele”, con inserita nello sfondo nero la morale molto edificante, quasi da favola di Esopo: evoca il dolore che punisce la “voluttà delle nostre brame” come il morso dell’ape il bimbo che ha rubato il miele dall’alveare, metafora della mela di Adamo ed Eva. E’ la proprietà della Galleria Borghese che ha dato avvio all’intera mostra, datato 1531. veramente pregevole.
Oltre 20 sono le varianti sul tema, in mostra c’è la piccola tavola “Venere”, uno splendido nudo su sfondo nero, il cui accostamento alla “Nascita di Venere” di Botticelli e alla “Venere di Urbino” di Tiziano evidenzia la differenza cui abbiamo prima accennato, nella raffigurazione della bellezza muliebre; la minore floridezza delle forme, tuttavia, non ne riduce la sensualità, perché dà un che di provocante e di ambiguo tanto che, ricordail critico Andrew John Martin, nella metropolitana di Londra due anni fa volevano rifiutare il manifesto che la riproduceva per la mostra di Cranach.
Abbiamo poi “Venere e Cupido”, che si avvicina di più alle forme rinascimentali italiane ed è ben accostata al quadro di tale soggetto di Gianpietrino. Ancora più vicina alle forme floride la xilografia dallo stesso titolo, ritenuta vicina al Botticelli sia nelle proporzioni che nella posa.
La Venere da sola, che abbiamo appena commentato, ci porta alle immagini di “Lucretia”, altro tema seriale, e precisamente al dipinto, anch’esso di piccole dimensioni, da Vienna, in cui sullo stesso fondo nero e lo stesso pavimento spicca un nudo molto simile, a parte il pugnale impugnato nella destra e non solo il velo sottile come l’altro dipinto. Anche se sono molto simili e simmetrici, tanto da far pensare a due “pendant”, Bodo Brinkmann, citato da Martin, qualifica questa Venere come “la più lasciva e seduttiva dea dell’amore che Cranach abbia mai dipinto”, mentre il “pendant”, la Lucrezia “viennese” come “la più seria e tragica di tutte le sue Lucrezie”. Martin, seguendo Brinkmann, arriva a cercare un significato alla somiglianza: “L’amore virtuoso e la fedeltà fino alla morte potrebbero essere contrapposti all’amore vizioso e all’invito all’adulterio”.
C’è un’altra “ Lucretia” sempre nuda, però molto diversa, una matrona piuttosto che una giovane sensuale, tra tendaggi e un paesaggio con alberi e case che “entra” in modo prepotente dalla finestra. Poi due tavole intitolate “Lucrezia” o “Il suicidio di Lucrezia” : la matrona ha forme più floride ed è vestita in modo sontuoso dalla cintola in giù, solo il seno è scoperto : nella prima – sullo sfondo spiccano le torri e il paesaggio – brandisce il pugnale nelle mani serrate dal basso verso l’alto e, a parte questo particolare, ricorda nella posa e nell’atteggiamento “Lucrezia” di Jacopo Palma il Vecchio, anch’essa esposta; l’altra tavola è un ovale su fondo nero, il pugnale nella mano destra va dall’alto verso il basso, l’espressione appare maliziosa. Si è molto discusso del voyeurismo collegato a questo esempio di virtù: è “una ‘ignuda’ che fa vedere le proprie grazie” chiosa Martin, e cita Johannes Erichsen che parla di “oscillazione tra monito morale e attrazione erotica”. Ma è voyeurismo provocato oppure ostentazione del “potere delle donne”?
Il potere delle donne nel mito e nella Bibbia
E’ un “potere” che in Cranach si esprime soprattutto sui temi biblici e mitologici, dove è abbinato all’inganno”, in tedesco Weibermacht e Weiberlist; e si traduce – scrive Aikema – “in una fioritura di soggetti dove una figura femminile utilizza il proprio fascino per dominare, compromettere o addirittura distruggere un uomo illustre e inconsapevole”. Le scene bibliche e mitologiche le abbiamo viste in tanti pittori, ma è Cranach il primo a trasferirle nella pittura del Nord Europa dopo che tali temi erano entrati nelle maioliche; ne abbiamo avuto conferma nella recente mostra romana “Il bianco a tavola”, sullo stesso periodo,- e nelle vetrate, nelle formelle, nelle stampe.
Basta citare i titoli perché tornino alla mente gli altri artisti che si sono ispirati agli stessi temi: “Salomè con la testa di San Giovanni Battista” in due raffigurazioni, dove colpisce l’espressione niente affatto tragica, anzi estasiata della donna che regge il vassoio con la testa mozzata. Molto simile “Giuditta con la testa di Oloferne”, dove il capo mozzato è simile a quello di Giovanni nei due dipinti precedenti, ma anche Giuditta è uguale alla seconda Salomè, sempre nel sistema seriale in cui si modificavano dei particolari di un impianto comune, qui c’è la spada invece del vassoio; ricordiamo che Caravggio ne diede interpretazioni drammatiche, con la fredda determinazione di Giuditta, qui il volto esprime piuttosto bellezza e levigatezza, Abiti e acconciature sono molto elaborati e raffinati, li troviamo immutati in questi dipinti, simili a quelli della giovane nella “coppia male assortita” di cui si è detto, nella quale, però, l’espressione del viso è ammiccante.
Non sono soltanto truculente le immagini del potere della donna, c’è anche quello che nasce dall’intesa e dall’affetto, dalla condivisione e dall’amore. Abbiamo una sfilata di soggetti, cominciando dal tema biblico di “Lot e le figlie”, del 1529, una delle diverse raffigurazioni dell’“inganno” delle figlie che per garantire la discendenza lo ubriacano e seducono: secondo il già citato Martin, nel dipinto meno drammatico“Lot scivola, per così dire, nel ruolo del vecchio delle coppie male assortite”, ed è proprio vero vedendo i due visi accostati; molto lontana sullo sfondo la scena della fuga con la città in fiamme e la moglie trasformata in un statua di sale. Come questo è lezioso così è realistica la stessa scena raffigurata da Bonifacio Veronese nella drammaticità e nel realismo espressivo, con simbolismi e atteggiamenti che fanno riflettere sul significato morale.
Riflessi moralistici evidenti in “Davide e Betsabea”, del 1534, la storia biblica dell’amore del re per la moglie di un generale, che non viene raffigurata nuda come in altri dipinti sul tema, ma in abiti da gentildonna circondata da damigelle come in un minuetto, forse con intenti edificanti per testi luterani; è “potere delle donne” anche questo, conquistare con l’eleganza e non l’erotismo.
Altra “coppia” con il potere nella donna è “Aristotele e Fillide”, lei giovanissima addirittura lo cavalca come un somaro reggendosi alla sua barba e guardando con malizia lo spettatore, con le loro due figure immerse nel verde che non fanno pensare alle “coppie male assortite” nonostante la differenza di età: un vasto paesaggio fa da sfondo, con in primo piano di alberi e rocce.
Vogliamo concludere questa rassegna di dipinti sul “potere della donna” tornando agli splendidi nudi di Cranach. E cosa meglio del “Giudizio di Paride”, che si risveglia avendo dinanzi i corpi ignudi delle tre dee, quasi “tre grazie” le cui forme, più morbide che nelle Veneri prima commentate, contrastano con la rigida armatura che lo imprigiona. E infine “Diana e Atteone”, il giovane cacciatore trasformato in cervo dalla dea sorpresa a fare il bagno con le sue ninfe: una scena di caccia sullo sfondo, un primo piano con lo stagno dove spiccano i sette nudi diafani e delicati, in varie posizioni e atteggiamenti con un effetto sicuramente seducente.
E di certo, il “potere della donna”, qui impersonato in una dea, è sublimato nella trasformazione in cervo – per di più attaccato subito dai cani – dell’uomo che poteva insidiarla. Un contrappasso per tante situazioni in cui il cacciatore diventa selvaggina: è questo un messaggio educativo, in aggiunta alle altre morali che si possono evidenziare, che si può trarre dalla mostra di Cranach.