di Romano Maria Levante
cultura.inabruzzo.it, 28 dicembre 2011, postato in mostre
Continua la visita alla mostra “Realismi socialisti”, aperta dall’11 ottobre 2011 all’8 gennaio 2012 al Palazzo delle Esposizioni, che ripercorre la “grande pittura sovietica 1920-1970” attraverso 7 gallerie di quadri di dimensioni giganti in cui si esprime un realismo dalla notevole forza evocativa che si opponeva al modernismo, al servizio di un regime che attribuiva all’arte un valore sociale per la diffusione dell’ideologia. Nel proclamare la superiorità del contenuto sulla forma venivano imposti i temi propagandistici della mistica di regime sul “radioso avvenire” del popolo, espressi in figure statuarie e nei giovani, nella tecnica e nel progresso, nel sole luminoso e nel volo.
Volendo riassumere in poche parole la “puntata” precedente, possiamo dire che nel primo periodo vi fu tolleranza, gli artisti godevano ancora di una relativa libertà, e cercavano di portare i nuovi contenuti ideologici nella forma d’arte prediletta, anche d’avanguardia, senza abbandonarla, fino a manifestazioni di astrattismo; poi il regime restrinse gli spazi del pluralismo e dell’individualismo nel nome di un’arte “proletaria” di massa che nel 1930 si tradusse nel “Realismo socialista”.
La nostra visita prosegue nelle altre gallerie del Palazzo delle Esposizioni – che fanno corona alla rotonda centrale – dove si trovano gli eccezionali dipinti, mai esposti prima per difficoltà logistiche e insufficienza di spazi espositivi di dimensioni adeguate: ricordiamo, per dare una visione dell’insieme, che ve ne sono per lo più 9 in ogni galleria – ciascuna è una sezione della mostra dedicata a un periodo storico – il più grande posto frontalmente e 8 collocati nelle pareti laterali.
1928-36, Stalin e l’avvento del “Realismo socialista”
La tolleranza degli anni ’20 termina nel 1928-29 con l’avvento di Stalin che costringe all’esilio Trotskij e sconfigge Bucharin; il “Primo piano Quinquennale” con il suo carattere imperativo sostituisce la più aperta “Nuova Politica Economica”. Si procede alla collettivizzazione forzata nelle campagne portata avanti con violente repressioni. Il clima ideologico si inasprisce, e alla mobilitazione del regime non potevano sottrarsi gli artisti che erano impegnati in opere collettive e pitture murali e venivano spinti verso un’arte proletaria di massa contro ogni visione individualista.
Nel 1932, il pluralismo nell’arte si restringe e nascono associazioni di artisti “proletari”, come “Oktiabr”, che si oppone alla “pittura del cavalletto” di cui faceva parte Deineka che nonostante questo vi aderì. La mistica del proletariato fa esaltare artisti dilettanti, come Rublev, e il loro stile primitivo. Si pone fine alle tante associazioni per un unico sindacato collettivo degli artisti.
Verso la fine dell’anno, viene reso ufficiale il nuovo verbo del “Realismo socialista” basato su “fedeltà al partito” e “contenuto ideologico”, nel senso dell’“identità popolare”: concetto che supera i canoni marxisti e va al di là della stessa definizione di arte proletaria consentendo agli artisti il recupero della tradizione e quindi dell’arte che l’aveva espressa, contro il modernismo.
Non si tratta, però, di un ritorno al passato, anzi l’ideologia cui dovevano ispirarsi era legata al “radioso avvenire” espresso in forma realistica attraverso il corpo prestante e la gioventù, la tecnologia e il progresso, il sole splendente e il volo. Intanto Stalin si consolidava, non era ancora diventato il despota irraggiungibile, il “piccolo padre” elevato quasi a divinità.
Lo si vede nel quadro esposto in questa seconda sezione, “Ritratto di Stalin”, di Rublev, che lo raffiguramentre legge il giornale seduto su una grande poltrona dall’alto schienale, nulla di marziale, sembra di vimini e la posa è assolutamente casalinga e confidenziale: la figura bianca è reclinata all’indietro, tutto intorno il rosso, l’unico elemento evocativo del suo “status”; un’immagine così domestica e accattivante sarà inconcepibile in seguito. Di questo autore altri due dipinti particolari: “Dimostrazione”, un campo lungo diviso in più livelli, la folla scura con due striscioni rossi, sopra la cintura di edifici che sfuma nel rosso, più in alto il cielo; e “Lettera da Kiev”: un tondo da natura morta, lettera, forbici e altro nel vassoio.
Nette e precise le figure, scuri i colori nei due quadri contrapposti di Adlivankin:”Uno dei nostri eroi (lavoratore d’assalto)”, la figura centrale fiera e possente, circondata da gente del popolo altrettanto dignitosa, gli viene annodato il fazzoletto rosso al collo come una decorazione, tra visi sorridenti e ammirati; vicino c’è “Uno dei loro eroi”, la decorazione è la medaglia appuntata al petto di un soldato irrigidito nella divisa davanti al plotone sull’attenti, alcuni civili in tuba e una donna in pelliccia, l’opposto della gente del popolo, atmosfera glaciale da cerimonia burocratica.
Nulla di marziale né realismo in un quadro da sperimentazione: “Komsomol militarizzati” di Samochvalov, che sfuma sul verde chiaro ed è fatto soprattutto di figure quasi evanescenti, erette o a terra, che danno più l’immagine della sorpresa che della militarizzazione marziale.
Resistono ancora le rappresentazioni moderniste, come “Dirigibile e orfanotrofio” diLabas, un’immagine sfumata dell’aeronave in alto e figure indistinguibili in basso, poco più che macchie di colore; e “Uomo e nuvola”, di Nikritin, altre macchie indefinibili di colore mescolate al bianco della nuvola su sfondo scuro.
In “Sportivi”, di Malevic, vediamo quattro figure quasi metafisiche dalle teste ad uovo con abiti dai forti colori divise per metà che segnano il tentativo di conciliare l’astrazione con il realismo; mentre è un approdo al realismo “Costruzione di una fabbrica”, di Vil’jams;che unisce al figurativo degli operai in primo piano la sintesi simbolica della costruzione in secondo piano.
Ed ecco Deineka presente nella sezione con tre dipinti, il primo è “Paracadutista sul mare”, un’immagine da aerofuturismo in cui l’impianto figurativo è collocato in un’atmosfera aerea rarefatta dal bianco e celeste tenue, un’immagine sfumata e quasi impalpabile. Gli altri due dipinti mostrano invece scene di vita dinamica: in “Corsa”, i corpi degli atleti appaiono quasi sospesi sullo sfondo scuro, sono figurativi in una composizione su più livelli non del tutto realista; in “Pausa pranzo nel Donbass” il realismo è compiutamente realizzato, escono dall’acqua corpi nudi in una corsa gioiosa, c’è anche un pallone, è la mistica del vigore fisico, il “mens sana in corpore sano”.
Un grande pallone come fosse una piccola mongolfiera è l’elemento centrale di “Pushball”, di Kuznetsov, lo spingono in alto una diecina di giovani ragazzi ben definiti nelle figure, ma dai volti solo abbozzati, pantaloncini bianchi, camicie rosse e nere, un’immagine festosa dai colori accesi.
E così abbiamo percorso la prima parte del lungo itinerariodi mezzo secolo che la mostra ha il merito di evidenziare nei suoi aspetti artistici e storici, ideologici e umani. Proseguiamo entrando in un periodo cruciale, dal 1936 al 1945, nel quale irrompe la tragedia della 2^ guerra mondiale.
1936-41, dal potere staliniano alla vigilia della guerra
Con la terza sezione della mostra continua la storia della società sovietica nell’arte e prima nella politica che la influenza profondamente. Nel 1936 viene dato un colpo decisivo al residuo pluralismo artistico e al modernismo con la campagna contro il “formalismo” che costrinse molti a lasciare addirittura la pittura e colpì anche il grande Deineka. Il potere di Stalin non ha limiti.
Si scatena il terrore con la caccia ai “nemici del popolo”, la mistica del proletariato lascia il posto alla ricerca dell’ “identità popolare” anche in senso tradizionale; ne deriva la completa rivalutazione dell’arte del passato come specchio di questa identità e come “utile al popolo”. Il “Realismo socialista” viene collegato addirittura a un movimento pittorico dell’ ‘800, quello degli Ambulanti; ma lo si incardina sulla “teoria del riflesso” secondo cui “doveva sì rappresentare un’immagine speculare della realtà, ma integrandola di una componente idealistica in grado di trasformarla”.
Il legame tra esercito e popolo diventa un motivo centrale, ma non si esprime solo in dipinti celebrativi bensì anche in opere che nella vita militare esaltano il rapporto con la natura, come nella mostra del 1938 per il ventennale dell’Armata Rossa.
Nella rassegna dell’anno successivo sull’“Industria del socialismo” si afferma definitivamente l’espressione pittorica definita “kartina”, cioè il quadro tematico di grande formato – come quelli in mostra – e i contenuti sempre più rivolti ad esaltare l’uomo nuovo, prestante e proiettato nel futuro, le immagini del lavoro per il progresso e anche il nuovo tema dell’omaggio al leader.
Con l’avvicinarsi della fine del decennio cresce l’ostilità per le tendenze impressionistiche, perché minavano il criterio inderogabile della chiarezza del soggetto in pittura; lo stesso Stalin favorì lo stile opposto, il “precisionismo” neoaccademico. Ma dal 1939, con la guerra in Europa il tema dominante diviene la difesa della patria, che nel giugno ‘41 subì la devastante invasione nazista.
I dipinti esposti rendono il clima inasprito, sebbene non manchino all’arte gli anticorpi. Nella mostra celebrativa dei 20 anni dell’Armata rossa nel 1938, furono presentate tre opere in cui l’aspetto celebrativo era contemperato da quello popolare, peraltro fondamentale per l’ideologia. Appare evidente in “Il Commissario del popolo per la Difesa, maresciallo K. E. Voroshilov, sugli sci”, di Brodskij, raffigurato mentre scia da solo in un ambiente spoglio, nulla di marziale, richiama l’immagine “casalinga” di Stalin di Rublev. Nella stessa direzione va “Incontro degli artisti del teatro Stanislavskj con gli allievi dell’Accademia aeronautica ‘Zukov’”, di Efanov, c’è solennità celebrativa, ma applicata a giovani artisti riuniti nella grande sala con colonne insieme agli allievi militari. Addirittura “Il bagno dei cavalli”, di Plastov, pur riferendosi ad una sosta militare, è sul rapporto con la natura; sui cavalli si vedono giovani soldati nelle più diverse posizioni che si sono liberati delle divise e hanno i corpi nudi, l’autore era un giovane di una zona sperduta dell’impero.
Dopo un anno, nel 1938, la mostra “L’industria del socialismo” diffonde l’uomo sovietico impegnato nella costruzione del nuovo mondo: “In una vecchia fabbrica degli Urali”, di Ioganson, presenta due operai in primo piano, uno seduto e l’altro in piedi, prestanti e determinati, ma l’atmosfera oscura rivela le difficoltà; altro clima in “I cercatori d’oro scrivono al padre della Grande Costituzione”, di Jacoviev, c’è luce e i lavoratori si affollano intorno al tavolo di fortuna con la lettera in preparazione. Il padre della Grande Costituzione diviene protagonista nel dipinto esposto nella stessa mostra del 1938, “Guida, maestro e amico (Stalin presiede il II Congresso dei Contadini nel febbraio 1935”, di Segal: è eloquente che Stalin discuta con evidente disponibilità al tavolo della presidenza sotto la statua gigantesca di un Lenin corrucciato, forse per rimarcare il diverso atteggiamento; l’opera è del 1936-37, il “Ritratto di Stalin” di Rublev in versione casalinga era del 1935, il “culto della personalità”, qui evidente, diventerà il nuovo verbo imposto dal regime.
Vi concorrono le opere genericamente celebrative, come “Il capitano Judin, eroe dell’Unione Sovietica, in visita ai cantieri del Komsomol”, di Laktionov, allievo di Brodskij, nello stile del “precisionismo” che, con l’appoggio di Stalin, veniva contrapposto alle tendenze impressioniste.
1941-45, la guerra in difesa della patria
Dinanzi all’invasione tedesca della Russia scatenata dal nazismo, gli artisti e gli studenti delle scuole d’arte furono trasferiti nelle zone orientali, a Samarcanda nell’Asia centrale e a Taskent in Uzbekistan: molti furono mobilitati, anche in unità apposite, per preparare materiali di propaganda in modo suggestivo; ma tanti furono inviati al fronte, per lo più i meno famosi o i sospetti.
Per favorire la mobilitazione popolare si allentarono i vincoli e la repressione; si consentì la ripresa della vita religiosa e si alimentò il patriottismo nazionale. Tutto ciò portò in pittura al prevalere di questi motivi tradizionali rispetto a quelli legati all’ideologia che ne furono oscurati.
Un’idea di come gli artisti vissero quei terribili anni di guerra si ha pensando a quelli di loro che condivisero i 900 giorni dell’assedio di Leningrado, con i tremendi sacrifici per la fame e il freddo, e le incalcolabili perdite umane fino al successo dell’eroica resistenza. Da lì inizia la riscossa, il contrattacco incontenibile che nel maggio 1945 porta alla conquista di Berlino.
La tragica ed esaltante esperienza bellica diventa il nuovo tema del “Realismo socialista”, sul quale raccogliere l’unanime favore del popolo, al posto dei valori proletari e dell’identità popolare.
Si tratta di un tema sviluppato con immagini trionfali, dove si vedono i segni stilistici del barocco e del romanticismo; il linguaggio pittorico è enfatico come lo sono i toni celebrativi di una strenua resistenza seguita da una vittoria epocale dopo inenarrabili lutti.
Ma il riferimento all’identità non scompare, lo troviamo in opere che riflettono piuttosto la quotidianità nella vita sconvolta dalla tempesta della guerra; motivi che erano stati esclusi dall’impostazione ideologica tornano sullo sfondo della “grande guerra patriottica”.
I dipinti esposti nella quarta sezione si succedono come in un film epico a lieto fine dove non mancano momenti patetici. Si inizia con “I tedeschi stanno arrivando (Girasoli)”, di Plastov, la terribile notizia coglie i contadini nei campi in una bellissima immagine in cui girasoli e persone fanno un tutt’uno in una natura lussureggiante che viene sconvolta dalla tragedia incombente. “Stalingrado”, di Efanov, mostra gli effetti devastanti sulla popolazione, che si assiepa sulla neve dinanzi alle rovine del quartiere distrutto nella città martire.
La guerra è un dramma collettivo, ma anche individuale: viene rappresentato in “La madre del partigiano”, di Gerasimov, una energica figura di donna dietro la quale c’è la popolazione inerme, simbolo della dignità e dell’orgoglio con cui ci si oppone al nemico, un rude militare tedesco in divisa che gesticola minaccioso con la spada nella sinistra; e in “Lettera dal fronte”, di Laktionov – che ricorda dipinti della nostra storia patria visti nella mostra celebrativa del 150° anniversario dell’Unità d’Italia “I pittori del Risorgimento” alle Scuderie del Quirinale – un altro modo di rappresentare la dignità delle donne, la leggono in una giornata serena che riflette tanta sofferenza.
La guerra è tutto questo ed è combattimento, ne rende l’asprezza “L’asso abbattuto”, di Deineka, è l’aviatore nemico rappresentato un momento prima di schiacciarsi al suolo sui cavalli di frisia d’acciaio mentre si protegge la testa in una posa quasi infantile vista con pietà e rispetto dall’artista. Un’altra immagine del nemico, di cui si sottolinea la solitudine senza infierire, è addirittura quella di Hitler, raffigurato in un interno oscuro da incubo in “La fine”, di Kupr’janov-Krylov-Sokolov.
E’ invece luminosae coralela rappresentazione della fine dell’incubo con “Il trionfo del popolo vittorioso”, di Chmel’ko: nella Piazza Rossa, sullo sfondo le cupole del Cremino, a sinistra il Mausoleo di Lenin con i gerarchi schierati, dinanzi a loro la resa nazista con le bandiere e le insegne degli sconfitti ai piedi dei generali vittoriosi. Si inneggia ai protagonisti della vittoria in “Ritratto del maresciallo Georgij Zukov”, di Jakovlev, sublimato su un cavallo bianco rampante che calpesta insegne naziste, un’allegoria contraria alle regole del “Realismo socialista”; rimanda a una figura mitica l’“Aleksandr Newsky”, di Korin, imponente nella corazza, lo sguardo fiero del combattente.
Siamo nel 1945, cessato il tremendo conflitto la vita artistica torna a rivivere. ma abbiamo due sorprese: le speranze di apertura nell’arte sono subito deluse, continua il “Realismo socialista”; inoltre la guerra non é certo dimenticata, i ricordi riemergono prepotenti come incubi. Ne parleremo presto nella visita alle ultime tre sezioni di una mostra così istruttiva ed esaltante.
Ph: le immagini sono state fornite dall’Ufficio stampa del Palazzo Esposizioni, che si ringrazia, con l’organizzazione della mostra e i titolari dei diritti, in particolare i musei di Mosca e San Pietroburgo prestatori delle opere riprodotte.