di Romano Maria Levante
Si conclude l’excursus sull’arte di “Pablo Echaurren, Crhomo Sapiens” nella mostra alla Fondazione Roma Museo nel Palazzo Cipolla a Via del Corso a Roma, che ne ha inaugurato il 18 dicembre 2010 la destinazione all’Arte contemporanea. Dopo il suo anticonformismo e il suo omaggio a Roma, abbiamo trattato della sua visione della natura e delle sue opere, fino alla ceramica; ora gli altri temi di questo artista eclettico oltre che “malinconico”. Concludiamo con la Musica nei dipinti dei suoi amati “bassi”, ricordando anche il suo iimpegno di illustratore di copertine e manifesti, grafiche e fumetti, che ci fa entrare nella vita dell’artista e dell’inquieta contemporaneità.
“Sax machine”, 2007
Non chiamiamo “il resto” le sue opere di illustratore, ricorderebbe lo sbrigativo “bene gli altri” delle cronache teatrali. Eppure sono meno spettacolari delle pitture, vanno dalle carte e cartoni, alle copertine e ai fumetti nelle più diverse forme su tanti fronti, come una colonna grafica; cui si associa la colonna sonora con la Musica nei suoistrumenti, i “bassi” dipinti nei quadri e vissuti da strumentista in un complesso rock di cui è stato componente appassionato; con in più il sentimento nel ricordo dei Ramones, i “Fast Four” scomparsi che hanno segnato la beat generation.
Le copertine e le illustrazioni, i libri e i fumetti
C’è tutto un mondo nel quale non servono immagini allucinate per riempire il vuoto di conoscenza dell'”artista malinconico”, ed è quello della carta. E’ plasmabile nelle sue mani, ovviamente ben più della ceramica, la utilizza stampata o disegnata, scritta o ad acquerello, ritagliata o incollata. “Editoria” si intitolava la sezione della mostra ad essa dedicata, si potrebbe chiamare “Fantasia”.
E qui le espressioni usate dal presidente Emanuele riportate all’inizio della visita alla mostra si ritrovano tutte. C’è la ricerca di strade espressive nuove su contenitori e circuiti diversi, dal collage alla copertina, dal manifesto alla grafica in generale fino ad approdare al fumetto d’autore. Mai in modo asettico e occasionale, bensì in contesti impegnativi vissuti nella libertà da ogni pregiudizio ideologico per una sperimentazione sempre effervescente, senza adesioni pedisseque.
La coerenza nell’apparente incoerenza appare evidente nel suo incontro occasionale prima, epocale dopo, con Filippo Tommaso Marinetti, il padre del Futurismo che attirò il nostro artista sebbene si ponesse agli antipodi sul piano ideologico per un appartenente a “Lotta continua” e poi agli “Indiani metropolitani”. Ma proprio l’anima libertaria di questi ultimi dava coerenza al paradosso di venire catturato da un’ideologia avversa, considerata addirittura “fascista” per lo spirito di allora rispetto a chi si sentiva puro e intransigente nella galassia ideologica a sinistra dei comunisti.
Abbiamo già accennato – lo ha detto lui stesso – che fu l’anticonformismo di Marinetti ad attirarlo e a fargli scoprire un movimento altrettanto fantasioso e irriverente, libertario e anarcoide in senso positivo, immaginifico e creativo. Rivoluzionario nella vita come nelle arti, tutte coinvolte. Non lo aveva capito neppure Bréton, l’alfiere del movimento dada-surrealista, che ebbe come epigono italiano Arturo Schwartz, al quale si era rivolto Baruchello, primo destinatario dei suoi disegnini ricevendo conferma della sua vena artistica. Abbiamo sentito Schwartz in occasione della grande mostra al Vittoriano rievocare la creatività di Dada e Surrealisti, ma nessun accenno al Futurismo che ne aveva anticipato i fermenti ideali e lo sbocco artistico con un’immaginazione senza freni.
La sfrenata creatività del Futurismo si rispecchiava nel suo desiderio di sperimentare vie sempre nuove senza limitazioni, e comincia a farlo con i collage, dove nella moda futurista compie i più bislacchi accostamenti. E’ esposta una serie di collage dove le parole “F. T. Marinetti” o “futurista” compaiono come firme comunque apposte, per lo più sghembe, in composizioni dove si trova di tutto, compresi i personaggi di Walt Disney per i quali provava ben più di una simpatia superficiale. E’ sintomatico vedervi la parola “fantasie” con lettere a stampa anche ritagliate dal giornale come suggeriva di fare il dadaista Tristan Tzara per comporre un’espressione estraendo a caso le singole lettere e affidando alla sorte la loro successione. Ma non era affidato al caso l’approfondimento che fece sul movimento con lo spirito dell’entomologo, raccogliendo e collezionando quanto poteva trovare con una ricerca appassionata, fino a possedere una delle raccolte più vaste e complete di quanto scritto e prodotto da e su questo movimento rivoluzionario. Che conteneva i germi e non poche espressioni di quella che nel 1968 fu l’immaginazione al potere.
Naturalmente un’immaginazione così stimolata ed esercitata si esprimeva sulla carta in forme nuove e contenuti innovativi. Ritroviamo i quadratini di cui abbiamo parlato come prima manifestazione verso la natura del suo spirito di ricercatore e classificatore certosino. Ebbene, quella forma espressiva esternata dal 1973 troverà la sua consacrazione editoriale nella famosa copertina di “Porci con le ali“, dal sottotitolo “Diario sesso-politico di due adolescenti”, una sorta di manifesto della “beat generation”. E’ il 1976, i 9 quadratini disegnati col segno calligrafico degli inizi contenevano immagini allora “shock” come la storia raccontata da “Rocco e Antonia”, che erano Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera divenuta una scrittrice impegnata. Seguirà nell’anno successivo la copertina della colonna sonora del film, al posto dei quadratini due grandi porci alati.
la copertina di Rocco e Antonia, “Porci con le ali”, 1976
I quadratini proseguono nelle copertine di altri libri di Savelli, l’editore del best-seller “Porci con le ali”: li ritroviamo in “C’era una volta una gatta” sui “cantautori degli anni ‘60”, i 9 disegni sono altrettanti ritratti del felino di Gino Paoli in posizioni ed espressioni intriganti Abbiamo citato questa tra le tante sue copertine, perché evoca più di altre un periodo e un clima. E li troviamo anche nella copertina di “Rinascita” e in altre tipo “I love Paperino”. Nella copertina di “Arezzo Wave”, “European Rock Festival” perdono l’aspetto calligrafico per il segno pesante del pittore, le 9 figure sono altrettante maschere che ricordano i grandi riquadri di “Volevo fare l’entomologo”.
La sua arte grafica tracima senza più quel modello stilistico che portò a raccogliere le copertine per farne un volume, più atteso e pregiato degli stessi libri tematici. Le copertine esposte sono molteplici, riguardano anche riviste con forte connotazione ideologica e satirica come “Frigidaire” e la raccolta dei numeri di “Tango”, “Linea d’ombra” e “Il complotto”. Ne abbiamo contato, nell’esposizione, una cinquantina, con soggetti e stili diversissimi, sempre originali e creativi.
In alcuni manifesti del 1993 e 1998 tornano forme assemblate come nei quadratini degli anni ’70, ma lo stile è pittorico e non più grafico, i colori netti e decisi. Altri manifesti presentano invece una grande figura centrale come in “Pablo Echaurren per Rimini” e nel “Festival internazionale del teatro per ragazzi”. Particolarmente vistosi “Artigiano metropolitano” con le anfore come lettere I e le R retrattili come lingue e “Futurismo contro”, un triangolo rosso di fronte a un cerchio giallo. C’è anche il manifesto-collage “Marinetti e il Futurismo”, per il 50° anniversario della morte, nel 1994-95, ricorda le recenti celebrazioni del centenario del Manifesto del Futurismo; e perfino un manifesto per il “48° Festival della Canzone Italiana di Sanremo” del 1998. Un caleidoscopio di eventi, quelli da lui illustrati, che è anche un affresco sulla vita sociale e culturale contemporanea.
Leggerezza fino alla vacuità e alla dispersione, professionalità dissipata sul piano commerciale? Non si direbbe, lo afferma il presidente Emanuele: “Libero da ogni pregiudizio su presunte gerarchie di generi, Echaurren non ha posto mai limiti alla sua potente energia creativa”. Nicoletta Zanella, la curatrice, ribadisce “l’incapacità cronica a collocarsi in alto o in basso, a porsi in una posizione giudicante, considerandosi invece fuori da dentro, e dentro da fuori. Alto e basso permettono solo due direzioni, anzi sono i due estremi di un’unica linea, peraltro spesso a scorrimento veloce”. E se le ultime citate qualcuno volesse catalogarle nel “basso”, non sarebbe l’artista che non fa “gerarchia di generi”, dà pari dignità rispetto a pitture e sculture ceramiche.
Ma pure nella carta stampata si muove verso l’estremo superiore della linea evocata dalla Zanella con i libri di cui non ha disegnato soltanto la copertina, ma ha scritto anche il contenuto. Sono tanti i temi, primi tra tutti quelli sull’arte, con i concetti ispiratigli nell’adolescenza dal citato Gianfranco Baruchello, il suo primo gallerista che lo collegò a Schwartze viene riscoperto come anticipatore di sperimentazioni contemporanee: abbiamo visto esposti “Dada con le zecche” e “Impala l’arte”, “Il suicidio dell’arte” e “Controcultura in Italia”, “Vita di poeti”e “Caffeina d’Europa”, “Vestire il Futuro” e “Futurocollezionismo”. Temi impegnati in “Compagni” e “Non aprire, libro diseducativo”, fino alle “Fiabe di Esopo” e al giallo “Delitto d’autore”; temi leggeri in “Diario culinario” e “Bianco rosso e Veronelli – Manuale per enodissidenti e gastroribelli” espressione di un viaggio in un mondo particolare con il noto personaggio che ricorda oggi con accenti commossi.
Da questo impegno a quello nei fumetti si va all’altro estremo della linea dell'”alto” e “basso”? Non si direbbe, l’assenza della “gerarchia di generi” si manifesta anche in questo campo. Le strisce ripropongono i suoi “quadratini” in orizzontale, e li applica a temi alti come le vite di Campana e Tzara, Picasso ed Ezra Pound, oltre a Marinetti, i due ultimi accomunati nell’ostracismo della sua parte politica e dalla sua assoluta indifferenza per la “patata bollente” che poteva scottargli le mani.
Nella forma del tutto nuova il suo è un metafumetto, all’insegna della semplicità fulminante del messaggio anche quando è complesso: come l’accostamento in “Terremoto Picasso” dell’artista spagnolo alla relatività di Einstein, che esprime avvicinandosi al cubismo picassiano; ed evoca l’americano Roy Lichtenstein con i campi cromatici ben definiti. La sua creatività, che si manifesta nella sperimentazione di forme inedite spesso legate ai contenuti, fa sì che venga chiamato ad esprimere la “new wave” del fumetto – come ricorda la Zanella – sulle riviste impegnate già citate oltre che su “Linus” e “Comic Art”, “Frizzer”, “Zut” e “Il Sabato” aperte alle geniali innovazioni.
Nelle salette dedicate all’Editoria che si aprivano sul corridoio dei manifesti e dei collage, esplodevano le forme essenziali e fulminanti con i colori intensi di una tavolozza potente, come lo sono i testi apparentemente disimpegnati ma dai forti contenuti. Meriterebbero un’attenta lettura.
La serie pubblicata sul settimanale “Il Sabato” è particolarmente espressiva. I protagonisti delle “Favole di Esopo” sono esilaranti nelle immagini “shock” con i testi lapidari alle pareti: come dimenticare “Il Pavone” e “La rondine”, “Il coccodrillo” e “Il granchio”, fino a “I due galli“?
Su “Zut” notiamo “Teppista”; dove viene umanizzata un’automobile che “ha assassinato la notte con la lama tagliente dei propri fari” cui accostiamo l’apologia delle “Matite” su “Frigidaire” , che inizia “ma le matite hanno un’anima?” e termina dopo un lungo excursus imperdibile, “Dunque, cos’è mai la vita senza una matita?”. Su questa rivista anche fumetti impegnati come “Basta!”, una denuncia della decadenza dell’arte e “I diritti artistici” con la proposta di creare depositi di opere in cambio di risorse per poterle produrre; fino a “Muzic”, un fumetto le cui pagine sono veri quadri pittorici, i testi disincantati evocano la contaminazione di generi, un “concerto di odori e profumi”.
“Love me Feder”, 2008, davanti l’artista
La Musica nella scrittura e nella pittura
Siamo nel campo della musica, la passione di Pablo Echaurren, per la quale si è esercitata anche la sua scrittura nei libri “Bassi istinti – Elogio del basso elettrico” e “Chiamatemi Pablo Ramone”: il primo sullo strumento di cui è stato valido esecutore in un complesso che si esibiva nei locali, il secondo per un gruppo per il quale ha sentito un attaccamento al di là di quello di “fan” pur acceso.
Con la scrittura anche l’arte grafica, e compositiva, soprattutto nei collage. Ce n’erano otto nella sezione dedicata alla “Musica”, realizzati tra il 2007 e il 2009: recanti uno o più strumenti musicali insieme ad altre figure accomunate alla moda futurista, però senza scritte disinibite e bislacche, c’è molto rispetto anche nelle immagini associate, dai tulipani a figure femminili di sculture e pitture classiche oppure di giovani, mentre suonano o in riposo; si nota anche il Colosseo.
Il clou, naturalmente, i grandi dipinti introdotti da una “scultura” vera, “Pablo Bass”, lo strumento musicale, ne ha una vasta raccolta, anche qui da attivo collezionista come nel Futurismo: 7 dipinti sono alti oltre 1,5 e lunghi quasi 2,5 metri, due più grandi misurano 1,7 per 2,7 metri.
Come appaiono le composizioni sulla musica, imperniate sui “Pablo Bass” e non solo? Vi abbiamo ritrovato la forma pittorica di alcuni dipinti sulla “Natura” e anche su “Roma”, in una continuità stilistica che coesiste con la variabilità del suo estro artistico. “Love me Fender” con il basso elettrico nato nel suo stesso anno, in piena luce al centro tra altri strumenti nell’ombra, richiama pur nelle notevoli differenze la struttura di “The dark side of the light”. E’ scura , invece, la figura centrale, mentre tutt’intorno spiccano filamenti luminosissimi ed elettrizzati come scosse elettriche in “Le antenne del genio”. In un color oro su fondo blu “Sax machine”, composizione con l’altro celebre strumento jazzistico, abbiamo contato 12 sassofoni in un disordine creativo.
Siamo alla “pioggia” di strumenti a corda bianchi di forme diverse su fondo rosso-nero in “White noise”, cui associamo analoga “pioggia” di bassi elettrici neri con punti bianchi al termine del braccio, come occhi nel buio del fondale viola e nero in “Il cuore & l’orecchio”; strumenti rossi con evidenziate le parti bianche che spiccano nel fondale a intreccio rosso e viola in “Milaresol“.
Dalla “pioggia” di strumenti alla loro fluttuazione: lo si vede in “Crono sapiens”, 10 strumenti sul rosso e nero, posti in orizzontale, anche qui con parti bianche che illuminano la composizione contornata da una frangia anch’essa bianca dai due lati corti; al riguardo ci piace sottolineare questo titolo, che fa ritenere non infondata la nostra interpretazione del logo della mostra, in cui “Crhomo Sapiens” non riguarda solo il “cromo” dei colori , ma perlomeno anche il “crono” del tempo, qui scandito dal cuore che pulsa e dal sistema venoso dove scorre il sangue rosso che alimenta la vita.
Una fluttuazione quasi monocromatica blu in “Linee andamentali di un giro di basso”, dal titolo di derivazione futurista da Balla; la passione dell’esecutore immagina gli strumenti tra rondini in volo, che si moltiplicano come le note sul pentagramma. Questa immissione non è l’unica, nei dipinti citati si intravede in “Il cuore e l’orecchio” una sagoma di pipistrello, in “Milaresol” delle figure animali a bocca spalancata, in “Crono sapiens” il cuore palpitante: collocate in modo discreto al centro nel mare di strumenti, danno alle rispettive composizioni un che di enigmatico.
In “Sant’Eustachio. La visione elettrificante” –un dipinto nella tonalità tra l’oro e il bruno più chiara e luminosa delle precedenti – vi è un solo basso al centro nella luce come in “Love me Fender”; ma mentre in quest’ultimo spiccava tra altri strumenti nel buio, qui è circondato da formazioni inquietanti, sembrano teste con grandi occhi nelle più varie posizioni. In effetti immagina di porre il basso elettrico in cima alla chiesa imprimendo all’ambiente le scosse sonore.
Tornano gli incubi dell’“horror vacui” da esorcizzare con diaboliche figure che allontanano il maligno? Non possiamo dirlo, ci sembrava che la musica avesse scacciato questi pensieri molesti. Ma “The Big Bang” li riporta sul proscenio con i tre suonatori di basso quasi minacciati da viscide spire, e soprattutto da quattro bianche dentature di draghi spalancate pericolosamente, come quelle dell’acrilico su carta “Circolo prezioso” propedeutico alla ceramica. “The Big Bang” è anteriore agli altri prima descritti, risale al 2005, ma è anche vero che il “Sant’Eustachio” è del 2009 e le forme con grandi occhi possono essere i dipinti della chiesa o altro, fino ai teschi.
Ce li ha fatti ricordare il più piccolo dipinto in mostra con i lati di metri 1,30, l’unico quadrato, un altro paradosso dopo tanti “quadratini”, per tanto tempo la sua forma preferita. E’ “Silenzio sonoro”, ben più di 100 strumenti musicali stilizzati, tipo basso, ammassati in un magma compatto; come il numero equivalente di teschi nel Catacombelicale” e i pochi raccolti nell’“Umbilicus Urbis”; che nella ceramica di “Il mio ombelisco” sono separati ed allineati in perfetta simmetria.
“Silenzio sonoro” è del 1991, gli strumenti ammassati compatti non permettevano intrusioni, l’“horror vacui” era esorcizzato dal “pieno” della musica, non serviva altro. Poi, evidentemente, anche l'”artista malinconico” ha sentito il bisogno degli esorcismi di “Sant’Ignazio” e degli altri.
Il cerchio dell’arte di Pablo Echaurren, prima sotteso tra “Roma” e la “Natura”, poi aperto alla ceramica di “Faenza”, si è chiuso con la “Musica” e le altre espressioni di illustratore e fumettista di alto livello artistico. E’ un corpus tanto multiforme e variegato quanto coerente che abbiamo voluto esplorare collegando l’arte alla vita, e analizzando le sue opere nei dettagli per tentare di decifrarne gli intriganti misteri. Non pretendiamo di esserci riusciti, comunque è stata una ricerca appassionata e appassionante, nella quale abbiamo voluto coinvolgere i nostri lettori.
Info
Catalogo della mostra: “Pablo Echaurren. Chromo Sapiens”, a cura di Nicoletta Zanella, Skirà, 2010, pp. 164, formato cm. 24×28. I due articoli precedenti sono stati pubblicato il 23 e 30 novembre 2012, con la presentazione dell’artista e la descrizione dei temi “Roma” e l'”horror vacui”; “Natura” e “Faenza”, illustrati da 4 immagini per articolo.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra, si ringrazia Civita, con la Fondazione Roma Museo, gli organizzatori e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta; e soprattutto l’artista Pablo Echaurren che ha accettato di essere fotografato davanti alle sue opere con una disponibilità di cui gli siamo molto grati. In apertura “Sax machine”, 2007; seguono la copertina di Rocco e Antonia, “Porci con le ali”, 1976 e ““Love me Feder”, 2008; in chiusura l’inizio di tutto, gli acquerelli e china su carta “A Sir Tarzan, baronetto di sua maestà la regina d’Inghilterra”, 1972, e “Tra quarantatré secondi circa”, 1975.
“A Sir Tarzan, baronetto di sua maestà la regina d’Inghilterra”, 1972, a sin., e “Tra quarantatré secondi circa”, 1975. a dx