di Romano Maria Levante
Un’occasione si presenta ai giovani artisti: visitare la mostra dei vincitori del concorso del 2011 e poter decidere per tempo di partecipare al nuovo concorso del 2012-13. L’occasione la offre l’iniziativa “6ARTISTA”, alla quarta edizione, con l’avvio del nuovo concorso avvenuto il 22 dicembre, dieci giorni dopo l’apertura, il 13 dicembre, della mostra delle opere realizzate nel 2012 dai vincitori precedenti esposte nella sede romana di arte contemporanea, il Macro di via Nizza 138.I due eventi terminano entrambi in febbraio, il concorso scade il giorno 4, la mostra chiude il giorno 13; sono promossi da Civita con la Fondazione Pastificio Cerere per sostenere la crescita professionale di giovani talenti, italiani e stranieri, purché residenti in Italia. Il concorso è intitolato “L’arte che forma l’arte”, programma di residenze per giovani artisti; i vincitori del concorso 2011 sono Margherita Moscardini e Francesco Fonassi. Il racconto della visita alla loro mostra è preceduto dalle notizie sulla nuova edizione del concorso per i potenziali partecipanti, che hanno il tempo di farsene un’idea andando a vedere le opere dei due ultimi premiati esposte al Macro; e la vasta offerta espositiva di mostre speciali, anche etniche e rievocative, cui accenneremo al termine.
Hiwa K, “Ciò che non fecero i barbari fecero i Barberini”, con a sin. l’artista
La nuova edizione del premio “6ARTISTA”
Il premio, più precisamente, ha “l’obiettivo specifico di offrire un’esperienza lavorativa e formativa qualificata ai giovani artisti italiani”. La nuova edizione è sostenuta dalla Camera di Commercio di Roma edalla Fondazione Roma ed ha un’apertura internazionale tale da rafforzare l’immagine della creatività italiana all’estero. Com’è avvenuto nelle edizioni precedenti verrà facilitato l’inserimento professionale nel circuito dell’arte contemporanea dei giovani artisti vincitori del concorso.
Nell’edizione attuale viene offerto ai due vincitori “un periodo di formazione di nove mesi caratterizzato da un’intensa attività di produzione, affiancato da lectures, studio visit, con galleristi, curatori e collezionisti”. La residenza è inizialmente a Roma, nella sede della Fondazione presso la struttura industriale dismessa del Pastificio Cerere, dove risiede il “Gruppo di San Lorenzo”, con studi d’artista, scuole di fotografia e attività culturali come mostre e iniziative per la città con riguardo agli studenti del quartiere di San Lorenzo, confinante con l’Università “La Sapienza”. Poi tre mesi a Parigi, nella Cité Internationale des Arts – istituto che promuove l’internazionalizzazione delle arti con più di 300 studi d’artista – in un apposito “atelier” d’arte: in questo periodo, insieme al costante monitoraggio di esperti di Civita e della Fondazione, sono previsti incontri formativi con critici, galleristi, curatori. Al termine del periodo di residenza, con il coordinamento del curatore scientifico dell’iniziativa, viene realizzato un progetto espositivo presso uno spazio romano, utilizzando un apposito budget. Per gli artisti vincitori è previsto inoltre uno stipendio mensile .
Sono ammessi al concorso i giovani artisti italiani o stranieri residenti in Italia, di età compresa tra i 21 e i 30 anni, compiuti alla data di chiusura del bando, formatisi sulle arti visive negli istituti italiani come Università e Accademie di Belle Arti, Danza, Teatro, Cinema, Conservatori e Scuole di Design. La selezione tra le domande presentate avverrà tenendo conto dei curriculum, da parte del Comitato scientifico composto da esperti di arte contemporanea in istituzioni pubbliche e private, rispetto ai seguenti elementi: “Per la capacità di utilizzare modalità espressive legate alla cultura contemporanea, per la qualità estetica delle loro opere, per il livello d’innovazione e sperimentazione del linguaggio espressivo usato, per l’originalità della ricerca artistica, per il valore della loro poetica, per la capacità di utilizzo dei diversi linguaggi in maniera trasversale”.
Il Comitato scientifico, presieduto da Marcello Smarrelli direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere, per l’edizione 2012 è composto da Ginevra Elkann presidente della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino, Ilaria Gianni direttore artistico della Nomas Foundation di Roma, Federica Guida responsabile delle residenze a Parigi per gli Incontri Internazionali d’Arte, Luca Lo Pinto curatore, Nunzio artista, Bartolomeo Pietromarchi direttore del Macro di Roma.
Le indicazioni operative per la partecipazione al concorso e il materiale da utilizzare sono sul sito web “www.6artista.it“: Ci limitiamo a specificare che “il materiale dovrà essere consegnato entro e non oltre il 4 febbraio 2013, ore 17.30”, nella segreteria dal lunedì al venerdì dalle 9.00 – 13.00 e dalle 14.30 – 17.30. Viene precisato: “Non farà fede il timbro postale ma l’effettiva consegna”. La segreteria 6ARTISTA è presso Civita Servizi, piazza Venezia 11, 00187 Roma. Per informazioni: 6artista@civita.it; Chiara Caporilli, tel. 06 692050282; Pina Brancati, tel. 081 4976128.
Margherita Moscardini, “1XUnknown” un monolite
“Unknown” di Margherita Moscardini: volumi con video
Dalla burocrazia delle notizie sul nuovo concorso alla cronaca d’arte delle opere degli ultimi due vincitori, che espongono al Macro il frutto della loro formazione di “artisti in residenza” in una mostra curata da Michele D’Aurizio, “curatore in residenza” del 2012, perché anche l’attività curatoriale rientra nella formazione, anche rispetto al vasto programma espositivo della Fondazione.
Cominciamo con Margherita Moscardini, con “1XUnknown”, un’opera da scatole cinesi, che va aperta per esplorarne l’interno con la pazienza richiesta alla ricerca. La pazienza che ha avuto lei nelle sue peregrinazioni alla caccia dei resti del “Vallo Atlantico”, la linea difensiva lungo le coste dell’oceano dalla Francia alla Norvegia formata da migliaia di bunker fortificati. L’artista analizza a fondo questi particolari siti, scrive che “ogni bunker è un modulo architettonico senza ricerca estetica”, il cui sistema di produzione standardizzato “restituisce figure archetipe, non localizzabili in alcun modo e tempo determinato”. Aggiunge: “Il processo erosivo a cui sono soggette le fortificazioni sembra realizzare il loro disegno progettuale: concepiti per mimetizzarsi nel contesto, i bunker dell’Atlantic Wall sono inizialmente sottoposti a camuffamenti macchinosi, modellati dall’azione del vento e delle maree che agiscono su di loro come sul paesaggio intorno”.
Le vede come “sculture” del tutto particolari, che “finiscono con il somigliare alla materia prima estratta e impiegata nella loro edificazione: la sabbia, prelevata sul posto per la produzione del calcestruzzo”. E conclude: “Ma nonostante questa forma di appartenenza al paesaggio ogni bunker resta un monolite”.
Il titolo “1XUnknown” è la convenzione adottata all’epoca per classificare i bunker della stessa batteria ma senza identificarne tipologia e funzione. La Moscardini nel resoconto della sua ricerca sul campo – è il caso di dire – descrive le spiagge battute dal vento ad una ad una, con i bunker nelle condizioni più diverse, più o meno interrati, alcuni coperti di graffiti. Poi si sposta al Parco degli Acquedotti di Roma dove trova altri monoliti e alla Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi per consultare dagli archivi il “corpus” di grandi disegni architettonici di Boullée; a Bracciano in una cava di basalto nello stesso 2012, richiama anche le numerose esperienze degli anni precedenti.
Come viene riportato al Macro tutto questo lavoro? In modo poco appariscente, la sala che contiene i risultati non li esibisce in modo vistoso, vanno ricercati. Ecco come ne parla Marcello Smarrelli, il già citato direttore artistico della Fondazione e del Comitato scientifico selezionatore:”Margherita Moscardini ha ideato una serie di volumi che raccolgono video di monoliti, manifestazione di un interesse verso moduli architettonici che nonostante il loro carattere di estraneità al contesto hanno raggiunto un grado di appartenenza al paesaggio”. Appunto, i bunker erosi da sabbia e maree.
“Kollaps, Aufstieg” di Francesco Fonassi: un video enigmatico
Ancora meno vistosa l’opera di Francesco Fonassi, “Kollaps, Aufstieg” realizzata anch’essa nel periodo di formazione come “artista in residenza”: nella sala solo uno schermo che trasmette un filmato senza interruzione e un piccolo monitor a terra che in alcuni momenti aggiunge il suo video. La raccontiamo come l’abbiamo vista, entrando nella sala senza la minima conoscenza preventiva.
Come quando si entra a cinema a metà e si cerca di capire l’intreccio del film interpretando gli indizi in senso retrospettivo, così la vista di una donna in nero che emetteva suoni lamentosi in un ambiente disadorno ci ha fatto pensare a una storia di solitudine, calamitati da un’atmosfera di sospensione e ansiosi di vederne gli sviluppi fino all’epilogo. E quanto più si prolungava il triste lamento – così almeno suonava alle nostre orecchie ignare – tanto più cresceva l’attesa per un tempo non breve fino al cambiamento di scena, per immergersi in ambienti diversi tra loro e da quello iniziale. La donna entra in una galleria oscura con pietre aguzze che sporgono, si muove lentamente, è un tunnel da incubo nel quale il lamento ha risonanze profonde, va avanti, torna indietro, si cerca di capire cosa c’è alla fine del tunnel, forse la luce? In effetti la terza scena è “en plein air”, l’ossessione claustrofobica lascia il posto ad una opposta, ampi spazi aprichi con una collina verso la quale la donna si dirige muovendosi a zig zag, come se fosse incerta sul da farsi, avanza e torna indietro, senza una direzione precisa, entra nel campo visivo un gregge di pecore, si cambia scena. La donna torna al chiuso, questa volta in una stanza con dei pannelli alle pareti, sono del tipo fonoassorbente, è la chiave dell’enigma che ci ha tenuti in “suspence” per l’intero lungo filmato.
Il curatore Michele D’Aurizio, citando Daniel Birnbaum, scrive che “gli artisti ‘fanno mondi’, e tali ‘mondi’ sono tanto più immanenti, decifrabili, autentici, quanto più i sistemi simbolici sui quali si fondano sono ‘spontanei’, condivisi, tali da stimolare l’emersione di scenari di comunione, empatia e fiducia reciproca”. E aggiunge che “la ricerca di Francesco Fonassi è un esempio efficace di tale concezione della produzione artistica , in quanto l’artista si avvicina all’opera proprio in virtù della sua capacità di creare uno ‘spazio spirituale'”. Perfino quando si crea l’equivoco del lamento di una donna nella solitudine mentre è una cantante professionista la cui voce serve alla ricerca sul suono che si svolge in diversi ambienti, in particolare nei cunicoli sotterranei della Piramide del Sole, rinvenuta nel 2005 a Visoko in Bosnia Erzegovina, e in un laboratorio di ricerca sul rumore.
Ed ecco, dopo la “storia” proveniente dallo spettatore ignaro, nella circostanza il cronista, nessuna ansia per un lamento che non è tale, ma altrettanta tensione: “Non si conta su di una voce, ma attraverso di essa. Tentare di osservarla nell’arco della sua estensione, riprenderla, sezionarla, testare la sua resistenza, evocarne lo spostamento e la variazione”. Dice anche: “Ambisco a vedere la voce impossessarsi dei luoghi che andremo a sondare, disegnarne i confini, rintracciarne i punti cardinali, crollare”. E’ la visione scientifica dove si cercava di trovare del sentimento, perché si era creato quello “spazio spirituale” delineato da D’Aurizio. Una voce che evocava l’uno e l’altro,come la Piramide del Sole evoca qualcosa di ben più profondo che una mera cassa di risonanza acustica. Smarrelli scrive: “Fonassi ha condotto una ricerca sulla voce umana quale primo strumento musicale dato all’uomo”; di qui la profondità sonora e psicologica che rimanda a epoche ancestrali.
La cantante protagonista, Letizia Fiorenza Sautter, ne parla con toni intensi:. “Il respiro che diventa voce mette in vibrazione tutto il corpo e lo spazio interno che a sua volta dà forma al respiro e conferisce alla voce il suo timbro, il suo colore, anche la sua qualità emotiva, implicita o esplicita che sia. Cantando lo spazio interno entra in risonanza con lo spazio esterno”. Dalla voce passa alla sua emissione: “Mettendoci in uno stato di raccoglimento possiamo percepire il movimento del respiro che non si limita ai polmoni, ma che pervade e coinvolge tutto il corpo, se questo glielo permette”, Tra l’inspiro e l’espiro, “la pausa è il momento del nulla, un nulla però ricco, carico dell’attesa del nuovo impulso vitale”. Nel quale “nessun movimento, nessuna direzione e perciò assenza di tempo, minuscolo ‘nirvana’, ‘instant illumination’; uno spiraglio sull’eternità. Un attimo dopo lo squilibrio ricrea il movimento, la polarità, il flusso potenzialmente continuo che invece , a strappi e strattoni, è la nostra realtà”. E questi “attimi di completo equilibrio tra dentro e fuori” vengono visti come “attimi di riconciliazione con il mondo”. Nei quattro ambienti l’impatto sonoro è del tutto diverso, com’è l’impatto emotivo nel vedere la donna che vaga emettendo suoni lamentosi alla ricerca di qualcosa che non si può capire prima di aver decifrato l’enigma. Ma in definitiva le parole della cantante fanno tornare allo spazio spirituale che ci ha preso come visitatori ignari ma resta intatto, sia pure con diversi significati, a enigma risolto.
Francesco Fonassi, “Kollaps, Aufstieg”, un fotogramma
Le sorprese del Macro di via Nizza
Andare al Macro per vedere le opere dei premiati al concorso “6ARTISTA” vuol dire entrare nel paese dei balocchi dell’arte contemporanea, uno spazio dove da ogni parte incalzano le sorprese, senza che ci sia nessun Mangiafuoco. Citiamo solo alcune mostre speciali, a parte quella in chiusuradi Turcato e le visioni pittoriche-luminose nella terrazza tra i tetti di Roma, la “Urban Arena”.
La prima è la ricostruzione, in un modulo di sabbia, di uno dei tanti componenti la cupola del Pantheon – il ben noto cassettone sagomato – fatta da un artista iracheno in “residenza” al Macro. Hiwa K ha composto sul pavimento una delle apposite “tessere” quadrate del soffitto dalla struttura leggera, nelle misure reali di tre metri di lato, ben più grandi di quelle visibili rimpicciolite dall’altezza; il tutto in base a uno studio accurato dei profili con metodi antichi, appena visibile nelle pareti. Il titolo dell’opera è “Ciò che non fecero i barbari fecero i Barberini”, a memoria della loro spoliazione dei bronzi del Pantheon fusi per fabbricare cannoni, oltre al Baldacchino dell’altare di San Pietro; fa un parallelo con lo stesso procedimento arcaico di fusione del bronzo, ma all’inverso, dell’iracheno Nazhad sui residuati bellici delle guerre del Golfo e di altri conflitti, di cui sono esposti esemplari. Un messaggio di pace e insieme di culto dell’antico, entrambi meritori.
Dall’antico all’esotico, nella sala Enel il “Secret Garden”, dal29 novembre 2012 al 10 febbraio 2013.Espone Pascale Marthine Tayou, l’autrice di “Plastic Bags”, l’installazione fatta di migliaia dei sacchetti ora banditi dai supermercati, al centro del cortile di ingresso, e di “Crazy Wall. The Red Line” della mostra “Neon”. Nel vastissimo ambiente è ricostruito un mondo etnico, pittoresco e affascinante, con l’intensa vitalità di colori e di forme anche primitive aggressive. Sagome scultoree in legno di grandi dimensioni, oggetti in gran numero di una cultura diversa dalla nostra che ci attira per la sua qualità artistica, oltre che per l’artigianato di eccellenza, tavole apparecchiate, tutto un mondo che si può toccare da vicino come se si fosse varcato il Mediterraneo per l’altra sponda.
Un’altra grande sorpresa per la sua ampiezza e il suo contenuto, è la mostra “Ritratto di una città. Arte e Roma 1960-2001”, dal 29 novembre 2012 al 26 maggio 2013. Un vero “atlante visivo”, che si sviluppa lungo un itinerario fatto di oltre 50 opere d’arte e di una teoria di fotografie e manifesti, documenti e video lungo le pareti della sala più grande lunga 45 metri, che danno sostanza alla cronologia divisa per i singoli anni in un tragitto che ripercorre la nostra vita. Sono 40 anni di storia cittadina, non solo artistica ma anche culturale e di costume, in cui ciascuno può ritrovare tanti momenti vissuti e rimasti finora sepolti nella memoria, che riaffiorano con forza.
A questa associamo “Streets of Rome and Other Stories”, di Jimmie Durham, aperta nello stesso periodo, curata dal direttore del Macro Bartolomeo Pietromarchi, che presenta le sue opere più significative degli ultimi dieci anni, istallazioni, video e disegni, sulla città in cui è vissuto dal 2007 e a cui si riferiscono lavori come “Templum; il sacro il profano ed altro”.
Sono sorprese che ci hanno colpito in modo particolare quando siamo andati alla presentazione dei lavori dei giovani premiati in “6ARTISTA”, di cui abbiamo dato conto; non potevamo passare sotto silenzio queste altre esposizioni che rendono la visita al Macro quanto mai intensa e suggestiva.
Info
Macro, via Nizza 138, Roma. Da martedì a domenica ore 11,00-19,00, sabato fino alle 22,00 (la biglietteria chiude un ‘ora prima). Lunedì chiuso. Ingresso intero euro 12,50; ridotto 10,50 (per i residenti 1 euro in meno). Ingresso cumulativo con il Macro Testaccio, p.zza O. Giustiniani 4, intero 14,50; ridotto 12,50 (per i residenti 1 euro in meno). Tel. 06.671070400; http://www.museomacro.org/. Cataloghi: Fondazione Pastificio Cerere, Programmazione 2012, Postcard from… II Edizione, Pastificio Lab, 2012, pp. 80; 6Artista, testi di Maccanico, Smarelli, Dal Boni, Pietromarchi; Kollaps, Aufstieg, di Francesco Fonassi, testi di D’Aurizio, De Bertolis, Sautter, Macioce, 2012, pp. 80; dai Cataloghi sono tratte le citazioni del testo.Foto
Le immagini sono state riprese al Macro di via Nizza alla presentazione della mostra sui vincitori di “6ARTISTA”, si ringrazia Civita con l’organizzazione e i titolari dei diritti, soprattutto il Macro, per l’opportunità offerta. In apertura l’opera di Hiwa K, “Ciò che non fecero i barbari fecero i Barberini”, con a lato l’artista che ringraziamo di aver posato per noi; seguono immagini staccate dalle opere dei due premiati a “6ARTISTA”, la foto di un monolite da “1XUnknown” di Margherita Moscardini e un fotogramma da “Kollaps, Aufstieg” di Francesco Fonassi; in chiusura un’immagine da “Secret Garden”,di Pascale Marthine Tayou.
Pascale Marthine Tayou, “Secret Garden”,un’immagine