Romania, la pittura del ‘900 valore culturale e civile, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

La Romania è la nazione che dà il maggior numero di immigrati al nostro paese, e Roma la città che ne ospita un’alta percentuale. A parte i legami storici, questa circostanza rende di particolare importanza due mostre sull’arte antica e moderna in tale paese svoltesi a Roma, perché ne hanno presentato la ricchezza culturale. Dopo  gli “Ori di Romania”, i preziosi reperti di antiche necropoli esposti nel 2010 ai Mercati Traianei, sono approdati nella capitale “I colori delle Avanguardie. Arte in Romania 1910-1950”, con la mostra al Vittoriano dal 3 settembre al 15 ottobre 2011  realizzata da Comunicare Organizzando  di Alessandro Nicosia per l’Ambasciata di Romania e  curata da Erwin Kessler: 74 dipinti di 24 artisti. Ne parliamo, a oltre un anno dalla chiusura, per il valore civile dell’immagine del paese che si riflette in positivo sui tanti immigrati.

Camil Ressu, Funerali in campagna, 1911 

Le opere esposte seguivano gli stili più diversi  mescolati tra loro dato che erano raggruppate in sezioni  tematiche. Per questo l’interesse della mostra è accresciuto dal valore storico e sociale che si aggiunge a quello artistico, dato che i temi sono legati allo spirito di un intero popolo che dobbiamo conoscere meglio nelle sue radici culturali, condividendo l’appartenenza all’Unione Europea e ospitando la maggiore percentuale di immigrati romeni rispetto alle altre nazionalità.

Motivi della pittura romena nella prima metà del  ‘900

Abbiamo visto dipinti post-impressionisti vicino ad espressionisti, dadaisti e cubisti, surrealisti e simbolisti, tradizionalisti e astratti, ispirati al futurismo e allo stile metafisico, al costruttivismo e anche al realismo socialista essendo un paese dell’Est a lungo sotto l’egida  dell’Unione sovietica.

La matrice comune di questa eterogeneità stilistica è la spinta al modernismo nella quale le Avanguardie convivono con le correnti tradizionali in un periodo così tormentato sul piano politico, civile e sociale come quello drammatico tra le due guerre mondiali.  E la commistione è tale che invece di  raggruppare le Avanguardie separandole dalle opere tradizionali si è preferito comporre un affresco per temi: “Più che una mostra d’arte – afferma esplicitamente il curatore Erwin Kessler nel Catalogo di Gangemi Editore- è una mostra di storia”. E precisa: “Le principali caratteristiche dell’arte moderna in Romania nella prima metà del XX secolo evidenziate in ‘I Colori dell’Avanguardia’, sono lo sviluppo ellittico e contraddittorio, l’ibridizzazione, il compromesso tra le diverse pratiche e il desiderio di riflettere l’andamento culturale e sociale dell’epoca”.  

Questo processo caotico ma ricco di stimoli e fermenti ha una base precisa: “Lo stato di giubilo e stupore artistico e superficiale accomuna i modernismi romeni indipendentemente dal loro rito e dal loro orientamento ideologico”. Elemento comune “il trionfale uso del colore che rende possibile la proliferazione cerimoniale di opere e oggetti artistici di fattura eccelsa, soprattutto dipinti”:  attività che  esprime “un ruolo sociale, una fonte di continua responsabilità ma anche di orgoglio”.

Di qui la posizione peculiare delle Avanguardie  romene rispetto a quelle di altri paesi: non di rottura radicale ma di “compimento ultimo del modernismo, della modernizzazione sociale”, fenomeno portato avanti anche dagli altri movimenti artistici  con punti di rottura diversi.

E’ un processo alimentato da tre stati d’animo: entusiasmo, scetticismo, accettazione formale.

L’entusiasmoè rivolto all’industrializzazione, spinta dalla meccanica e dalla tecnologia, e vi aggiunge lo sport dinamico e vitale; in questa linea si collocano le opere di Brauner,  Maxi e Iancu, dove ricorrono temi legati ad automobili e aeroplani,  ascensori e le gru, elettricità e  motori.

Rovescio della medaglia  è lo scetticismo che condanna l’industrializzazione per esaltare i valori tradizionali della civiltà contadina,  statica ma dove il lavoratore dei campi è l’eroe coraggioso contro la disintegrazione individualista:  Ressu e Siratu, Ghiaja e Theodorescu-Sion. gli artisti.

Intermedia l’accettazione  formale della modernizzazione in atto nella società senza mostrare entusiasmo né scetticismo ma accogliendo serenamente i nuovi valori  per farli coesistere senza conflitti con quelli preesistenti: la troviamo nelle opere di Pallady e Michailescu, Phoebus ed Elder.

Con in mente queste posizioni possiamo ripercorrere idealmente le quattro sezioni dedicate  a “Il pathos poetico dei temi sociali”,  e “Le utopie dell’identità”, “Angosce e sogni urbani” e “La fine del viaggio”, osservando che gli ossimori  dei titoli esprimono le contraddizioni dei contenuti. Per cui le inquietudini del pathos, utopie e incubi coesistono con le aperture poetiche,  identità e sogni.

Corneliu Michailescu, La Madonna dei marinai, 1920 

Il pathos poetico dei temi sociali

I temi sociali sono visti con il pathos del dramma unito alla sublimazione della poesia. Lo stile è figurativo e spazia dal modernismo classico all’Avanguardia, i contenuti progressisti in senso ideologico vanno dal socialismo romantico all’anarchia critica. Si usciva dalla prima guerra mondiale, quindi ai residui motivi di ansia e pessimismo della società preesistente si sovrapponevano i fermenti di ricostruzione e rinascita che fanno leva sulla borghesia.  Di qui le raffigurazioni che vanno dalla tragedia della guerra con il suo carico di lutti alla ripresa della vita cittadina con lo sviluppo delle attività industriali e immagini aperte e festose come quelle sportive.

Il trauma della prima Grande guerra fu profondo nel popolo romeno sia per i lutti, sia per il cambiamento epocale determinato nella società; nell’arte si espresse con il polarizzarsi su forme nazionali come portato del nazionalismo legato ai nuovi stati sorti in base al principio dell’autodeterminazione. Artisti come Tonitzu e Michailescu avevano partecipato direttamente al conflitto, ma è di Hans Eder “La ritirata delle truppe austro-ungariche”, 1914, che ricorda le immagini della prima guerra mondiale pubblicate sulla “Tradotta”, drammatiche nel loro realismo.

All’inizio del secolo“I vagabondi”, di Apcar Baltazar, 1907, quattro volti di donna forti e decisi mentre, a ridosso del conflitto, “Porto di Constantia”, 1913-16,  di Marius Bunescu, con la vita produttiva: fabbriche e navi, binari e treni, stazione e viaggiatori, gli spettatori su un’alta torre.

Con la guerra tutto cambia, nelle cose e nelle persone. Nicolae Tonitza evidenzia questo dramma nella profonda tristezza sui volti di “Donne al cimitero” e “Nel ricovero”, 1920-21;  di Camil Ressuin“Funerali in campagna”, 1911, prima del conflitto, con il Pope e il popolo.  

Invece  Corneliu Michailescu esprime il sentimento religioso nel dipinto del 1920-21 “La Madonna dei marinai”,  con l’icona cristiana che si muove nella barca venerata sulla riva. A Ventotene nella festa della patrona,  Santa Candida viene portata in processione sulla barchetta il 20 settembre di ogni anno, tra la devozione popolare, ed è come se il quadro di Michailescu si animasse nella realtà o la processione si fissasse sulla tela; anche se nel dipinto c’è la Madonna col Bambino e non la santa martire il messaggio è molto simile. Dello stesso autore “Angelus”, 1926, con le due suore omologate nelle sembianze e nell’atteggiamento. In questo  intervallo  troviamo “Paesaggio italiano” e “I guardiani del castello”  con cui la sua pittura si apre a nuovi temi fino a “Interno del castello”, 1930,  dai colori e dallo stile moderni ed espressivi. In stile impressionista “La Fiera di Eldermen”, 1933,  giostre e tripudio di colori.

L’ambiente trionfa in “Paesaggio marino”di Marcel Iancu, 1925-30,  che lo anima con  “Nudi sulla spiaggia”; e in “Vecchio paesaggio di Bucarest” di Alexandru Phoebus, 1943,  definito “impressionante, potente e tragico”, l’artista adotta un cubismo umanizzato dal rilievo dato alla figura umana, in questo quadro è una sagoma in primo piano molto scura che dà la sua impronta.

Prima Max Herman Maxy aveva espresso con pari rigore il piacere del divertirsi in “Biliardo”, sei sagome di giocatori dietro il tavolo verde con birilli e boccette in primo piano. Ma l’immagine più moderna della sezione era “Testa e due pugili” di Victor Brauner, presa a testimonial della mostra per il modo in cui porta in primo piano la scena centrale in una sorta di rete geometrica di un costruttivismo pittorico applicato allo sport come valore della modernità.

Le utopie dell’identità

Nella seconda sezione era sviluppato in modo più compiuto il racconto popolare di una nazione fiera della propria identità.  Si trova espressa ai primi del secolo nei quattro volti maschili fermi e fieri di Baltazar in “Contadini”, 1907-09, gli stessi anni in cui dipingeva i quattro volti femminili già citati; prosegue prima della guerra con le immagini nei costumi tradizionali “Contadine in chiesa” di Ressue “Contadini da Abud” di Ion Theodorescu-Sion, 1911-13,  autore anche di “I pastori”, 1914-16  assorti e impettiti con il lungo bastone e le pelli di pecora, la divisa di una milizia secolare e “Composizione- Due contadine”, costumi tradizionali con la brocca dell’acqua in testa alla fonte, bella composizione su due livelli con tinte pastello. 

L’epopea della civiltà contadina prosegue negli anni 1925-26 con Stefan Dimitrescu in“Contadine a Saliste” ed Elena Popea in “Contadina con secchi”, una composizione sfumata che evoca il cubismo, più marcato nel “Ritratto di contadino”, 1931, di Maxy, che abbiamo già incontrato e ritroveremo ancora, essendo la mostra ordinata per temi e non per stili o autori, lo ripetiamo; in lui un ritorno alla tradizione e alla critica sociale dopo l’incontro con la metropoli moderna a Berlino.

Con l’“Interno contadino” di Ion Tuculescu si arriva al decennio 1940-50, si vede dall’ambiente non solo dignitoso ma quasi opulento per colori e arredi schizzati con forti pennellate. Nessuno dei quadri esposti dava il senso della vita misera e del lavoro duro dei campi, come nei quadri del “realismo sociale” dei pittori abruzzesi dell’800 della mostra “Gente d’Abruzzo”. Alle figure in costume tradizionale da parata folcloristica segue l’abitazione all’altezza di  questa sublimazione; vi accostiamo il “Matrimonio tartaro” di Magdalena Radulescu, degli stessi anni, una sorta di icona quasi di taglio religioso, con le cinque damigelle in costume che fanno corona alla sposa.

Tuculescu allarga l’orizzonte all’ambiente, fortemente caratterizzato da pennellate e colori violenti con il verde dominante nei due “Paesaggi” dell’inizio del  periodo:  hanno la figura umana in primo piano, con la casa e la vegetazione tagliata da una strada bianca, poi “Marina di Mangalia”, 1957, nel segno e nel colore intermittenti esprime la sua inquietudine e incertezza personale.

Fermo e incisivo è il tratto pittorico di Alexandru Ziffer, in “L’inverno sulla strada dei minatori” con il bianco prevalente, e “Il parco della scuola di pittura di Baia Mare”, con il verde dominante, tra il 1920 e il 1930, segni e colori ancora più decisi di quelli del primo Tuculescu.  Quest’ultima località ha ispirato pure Szolnay Sandor, in “Veduta di Baia  Mare”, 1927, in un forte giallo ocra.

Non è facile discernere dov’è l’utopia e dove la vera identità, passando dall’esaltazione della vita contadina all’idealizzazione dell’ambiente naturale.“Il venditore di tappeti”, 1926, di Francisc Sirato, dà un’immagine borghese dopo quella contadina, mentre le maschere di Michailescu  intitolate  “Motivi romeni”, 1934, danno il senso della tradizione.

Max Herman Maxy, Nudo disteso, 1928 

Angosce e sogni urbani

Nel cambiamento epocale dal mondo statico della civiltà tradizionale verso le forme moderne di un industrialismo dinamico e alienante si alternano speranze e delusioni, certezze e timori. Il riflesso di questi turbamenti  si trova nei tre “Ritratti maschili”di Eder, immutabili nel ventennio 1917-39; come nei due Autoritratti” di Phoebus, del 1942-47, simili nell’espressione, diversi nella forma.  

L’ambiente è reso da due dipinti prosecuzione l’uno dell’altro che riprendono dal basso la curva di un  ponte,  entrambi“Veduta di Resitia”, uno di Stefan Popescu, 1927, l’altro di Jean Al. Steriadi, 1947; e da “La notte delle acacie”, di Tuculescu, impressionista nel tratto e nei colori.

A questo punto c’era quasi una personale di Michailescu, già citato all’inizio. Si tratta di dipinti dai quali traspare  l’oscillazione stilistica di una forma che va verso l’astrazione. Infatti tra i figurativi “Dopo il ballo”, 1926, e “Sul balcone”, 1929, era esposto il metafisico“Interno di studio”, 1928; con dominanti grigio e  celeste; all’inizio degli anni ’30 evolve verso forme indefinite se non astratte senza dimenticare la figura umana ma incapsulandola in composizioni tra il cubismo e il surrealismo: così “Composizione” e “Un’anima è salita in cielo”, 1930,  realizzate tra “Natura morta”, 1929, e “La leggenda”, 1932, che estende il motivo onirico di “Composizione”. Con “Carro nero”, 1950-55,  supera il figurativo nell’impianto e nell’impasto cromatico del tutto nuovi.

Seguivano le opere di due artisti diversissimi nello stile e nei contenuti: i nudi femminili di  Pallady,  e le astrazioni coloristiche di Teutsch;poi dipinti anche su questo tema di Maxy e Brauner.

Theodor Pallady utilizza una gamma di colori raffinati le cui tonalità quasi immateriali sono ravvivate da bagliori luminosi; i motivi sono quelli della vita urbana, panorami e interni, anche autoritratti e nature morte. Erano esposti  4 “Nudi” di fattura simile sebbene realizzati tra il 1929 e il 1947, in interni chiusi con tende e suppellettili: si tratta, scrive Ioana Vlasiu, di “figure femminili sognanti, in un certo modo inaccessibili nel loro abbandono”,  è come compiere i “viaggi intorno alla stanza” di cui parla l’artista, “questo tipo d’immagini sono stati d’animo, metafore dell’interiorità” di marca simbolista. La giovane donna la troviamo nuda in poltrona e a terra con un libro, in piedi davanti alla toilette o distesa sul divano appoggiata a un’altra donna anch’essa nuda; è vicina e tangibile ma inafferrabile, come altri sogni urbani. Sul divano ricordiamo il “Nudo disteso” di Maxy, 1928, marcato nei colori e nell’atteggiamento; mentre “Paesaggio con nudo”, 1931, sempre suo, trascolora nei riflessi sull’acqua con un bell’effetto.

Di Hans Mattis Teutsch citiamo innanzitutto il diversissimo nudo di “Composizione”, 1929, proiezione in primo piano di una piccola figura femminile posta sul fondo, stilizzata ed elegante; si differenzia molto dai dipinti del 1915- 25 con tale titolo,  o intitolati “Fiori dell’animo” e “Pace”,accomunati dai colori violenti e contrastanti il cui effetto cromatico sembra esserne il soggetto.

“La  fiamma blu” di Brauner, 1934, con la sua atmosfera metafisica, resta il migliore sigillo al dilemma tra angosce e sogni, che spesso convivono perché il sogno non realizzato dà angoscia.

La fine del viaggio e il nuovo inizio

Arreca sogno o angoscia la fine del viaggio?  ci siamo chiesti nella visita alla mostra dinanzi al titolo della quarta sezione.  Possiamo rispondere oggi come allora che arreca angoscia se si intende il viaggio delle Avanguardie, perché è terminato quando con la fine della seconda guerra mondiale poteva divenire aperto e liberatorio. Ma venne l’oppressione comunista  dell’Unione sovietica,  si diffuse il “Realismo socialista” e si interruppe  la diffusione delle principali  correnti artistiche.

Tra i maggiori artisti delle Avanguardie alcuni,  come Michailescu e Pallady,  si ritirarono in silenzio, altri rimasero sulla scena artistica con atteggiamenti molto diversi: ci fu chi cercò di integrarsi nel “Realismo socialista” utilizzando i  rigidi modelli tradizionalisti prima rifiutati per le esigenze propagandistiche di regime; e chi, convinto dell’inizio di una nuova era, tentò di creare un nuovo modello di eroe a difesa di valori che l’artista in buona fede credeva autentici e da sostenere.

La mostra ne dava conto presentando opere che si inquadrano in questi due atteggiamenti. Per i neo-tradizionalisti il dipinto di Maxy, “Minatori al carrello”, 1945,  che riprende stereotipi di contadini ma quasi in dissolvenza; per i neofiti convinti il dipinto di Teutsch, “L’ammalata”, 1950, che scade in uno stile detto “realismo esanime”: i medici hanno lo sguardo più spento della malata.

In questo clima di disarmo stilistico e debolezza di contenuti irrompe  il vigore nella forma e la forza nei colori di Tuculescu, la cui pittura rilanciò i temi dell’Avanguardia senza rinnegare la tradizione  di cui utilizza il linguaggio simbolico perfino con forme arcaiche. Si vede in “C’era una volta” e in “Visione”, 1950-55,  pittura “potentemente oscura e drammatica”, e nel più luminoso e totemico “Alberi al sole”.  Di lui abbiamo già ricordato l’inquietudine e l’incertezza, ora vogliamo sottolineare l’energia, così descritta dalla Vlasiu: “La sonorità dei colori, la brutale irruzione del nero e la violenza gestuale delle pennellate  rendono drammaticamente allucinati gli strumenti della sua pittura.”.  Di qui è ripartita la pittura romena agganciandosi alla tradizione.

Ci permettiamo, dunque, di fare una aggiunta al titolo della quarta sessione, in analogia con gli ossimori delle altre sezioni. Con “la fine del viaggio”  delle Avanguardie c’è “il nuovo inizio” dell’arte.  Le immagini forti di Tuculescu legate alle radici popolari sono aperte al futuro.

Info

Catalogo  “I Colori delle Avanguardie. Arte in Romania 1910-1950”, a cura di Erwin Kessler, Gangemi Editore, settembre 2011, pp. 128, italiano-inglese,  formato 21 x 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo..

Foto

Le immagini della mostra sono state riprese all’inaugurazione da Romano Maria Levante, si ringraziano l’Ambasciata romena e “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia  con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura:  Camil Ressu, Funerali in campagna, 1911; seguono Corneliu Michailescu, La Madonna dei marinai, 1920  e Max Herman Maxy, Nudo disteso, 1928; in chiusura Victor Brauner, La fiamma blu, 1934. 

 Victor Brauner, La fiamma blu, 1934