di Romano Maria Levante
Al Complesso del Vittoriano, a Roma dove l’artista siciliano visse 50 anni, la mostra nel suo centenario, “Guttuso 1912-2012”, dal 12 ottobre 2012 al 10 febbraio 2013: esposti 100 dipinti nella successione delle varie fasi in modo da esprimere l’intero arco della sua vita artistica. E’ curata, con il catalogo Skirà, da Fabio Carapezza Guttuso, presidente degli “Archivi Guttuso” e da Enrico Crispolti, direzione e coordinamento generale di Alessandro Nicosia, presidente di “Comunicare Organizzando”, che l’ha realizzata con prestiti di grandi musei e apporti della collezione privata.
Sala dei Grandi Dipinti, a sin. “La spiaggia”, 1955-56, a dx “Zolfara”, 1953
La mostra “Guttuso 1912-2012” è stata definita da Alessandro Nicosia “una mostra importante, per rendere il legame forte che ha avuto con la città nei suoi luoghi caratteristici, le osterie e gli altri ambienti da lui frequentati”. Per questo è stata posta una targa commemorativa della sua presenza nella città eterna. E’ in effetti una “mostra unica”, diversa da quelle svoltesi in Germania, Inghilterra e anche in Italia, ideata per celebrare il centenario della nascita del grande artista.
Il presidente Giorgio Napolitano all’anteprima della mostra ha ricordato che quando visitava i musei e le esposizioni con Guttuso, l’artista gli diceva che si poteva essere veloci senza soffermarsi perché se vi è arte il quadro deve colpire subito; poi ricordava perfettamente tutte le opere viste.
Crispolti ha affermato che Guttuso vuol essere “testimone del proprio tempo, un tempo collettivo e anche politico”, che racconta in immagini forti. La mostra documenta sin dall’inizio mezzo secolo di pittura, con una dinamica interna molto interessante, dato che approda già negli anni ’40 ad una pittura realista. “La volontà di racconto, quindi di comunicazione, orienta anche l’evoluzione dei mezzi pittorici, era tra i più vicini a Picasso nel modo di vedere la realtà. L’impegno politico e sociale appare prepotente, si creò un antagonismo non politico ma ideologico e culturale con le tendenze figurative dell’epoca”. Dopo i piccoli quadri degli anni ’30 le dimensioni si sono dilatate, quattro quadri imponenti di periodi diversi documentano la sua volontà di racconto. Va poi oltre il “realismo ideologico” per il “realismo esistenziale” finché negli anni ’60 entra in una nuova dimensione autobiografica, che infine si apre alla libertà espressiva.
Fabio Carapezza Guttuso,Presidente degli Archivi Guttuso a Roma, lo ricorda come “un incantatore”, e parla del suo amore per la città. Rivela la preoccupazione nel cercare di fare una mostra antologica fedele della sua arte. Una delle sue frasi era “Ho sentito il bisogno di dipingere il mio tempo, è il pittore della narrazione, si avvicina agli scrittori, Moravia, Pasolini, Ungaretti, che hanno raccontato i grandi momenti collettivi”. Parla della Crocifissione che precorreva i tempi, troppo complessa da capire in quegli anni, lui esprimeva più della realtà che vedeva; fa un altro parallelo con Andrea Camilleri che è penetrato nel quadro della “Vucciria” scavandovi dentro.
La vita e l’arte fino al dopoguerra
Prima della visita alla mostra, ricca di immagini suggestive, va ripercorso l’itinerario artistico e di vita di Guttuso, fuso nel suo senso esistenziale e nella sua sensibilità politica ai movimenti popolari e ai valori civili. Ne fa una ricostruzione particolareggiata Carapezza Guttuso rievocando la sua vita, dalle prime esperienze siciliane al trasferimento nel continente, ai viaggi, alle attività: una riflessione attenta e anche accorata da figlio adottivo, ne citeremo virgolettati i titoli dei capitoli.
A Bagheria, in provincia di Palermo, dove era nato nel 1912, Guttuso resta impressionato dalle immagini realistiche molto colorate dipinte sui carretti siciliani da un pittore di cui frequenta la bottega. Ma lascerà presto la Sicilia, pur restandovi legato, per Roma, dopo il “viaggio iniziatico” da Palermo alla città eterna nel 1924 a 13 anni, e la “prima Quadriennale”, cui partecipò nel 1931 a 19 anni stringendo rapporti con la “Scuola romana” di tendenza antinovecentista. Il “fascino della capitale” lo colpì subito, ma nel 1934 non potette resistere alla “tentazione milanese” restando nel capoluogo lombardo fino al 1937 dopo avervi terminato il servizio militare attratto dall’intenso fervore culturale: entrò in contatto con gli artisti Birolli e Sassu, Manzù e Treccani, gli scrittori Gatto e Quasimodo, Sinigalli e Vittorini, i critici De Grada e Persico. I sodalizi culturali furono una costante della sua vita, il suo studio romano diventerà uno dei centri intellettuali più vivaci.
“Il primo studio romano”, scrive lui stesso, nel 1937 “fu al sesto piano di un falansterio delle case popolari, in piazza Melozzo da Forlì”, in condizioni di fortuna; già nel 1938 “la Galleria della Cometa”, un vero cenacolo di artisti e intellettuali – come Cagli e Afro, Savinio e Moravia – ospita la sua prima personale. Ma le leggi razziali del 1938 costrinsero a chiudere la galleria, Cagli e la famiglia Pecci Blunt, che ne era proprietaria, dovettero lasciare l’Italia per gli Stati Uniti. Guttuso si dedicò a dipingere gli interni del suo studio e i paesaggi, oggetti di uso quotidiano e nudi femminili, nei quadri si avverte un’evidente inquietudine. Nello stesso anno dinanzi agli eventi drammatici della guerra di Spagna dipinge “La fucilazione in campagna”, dall’uccisione di Garcia Lorca.
Incontra “Mimise, la donna della sua vita”, cui dedica una serie di ritratti; e partecipa al movimento di artisti sorto nel 1938 intorno alla rivista “Corrente”, per reagire anche politicamente alla mistica di regime oltre che al crescente formalismo. Seguirà sul piano politico la partecipazione attiva alla lotta partigiana dal 1943 e l’adesione al partito comunista; sul piano artistico il “realismo sociale” che comincia a manifestarsi sin dal 1938-39 nel grande dipinto “La fuga dall’Etna”.
Nel 1940 trasferisce in via Pompeo Magno lo studio che diventa un cenacolo di intellettuali come Alicata e Trombadori, Amendola e Vittorini, Moravia e Santangelo e una base per la loro attività clandestina antifascista, c’era anche un ciclostile per la stampa, poi gettato nel Tevere per prudenza. Fissa i volti degli amici nei “Ritratti” che sono espressione di realismo nella concentrazione – come ha scritto Testori – “sull’oggetto, sulla cosa”, qui la persona, “in quanto oggetto e cosa fossero pure pezzi di carne guance menti” sono per lui “la verità ultima, estrema”. Lavora alle scenografie per il Teatro delle Arti:“Histoire du Soldat” con il grande coreografo Aurel Millos, poi “Torneo notturno” di Malipiero, molto apprezzate: sarà un suo impegno costante anche in seguito.
Viene fondata la rivista “Primato Lettere e Arti d’Italia” cui collaborerà intensamente, e istituito il Premio Bergamo dove presenterà le sue opere, tra le quali nel 1942 la trasgressiva “Crocifissione”, che ebbe il secondo premio e provocò aspre reazioni della Chiesa e di esponenti fascisti con la chiusura anticipata della mostra e la fine del Premio Bergamo di cui fu l’ultima edizione.
“La fuga da Roma e il rifugio di Quarto” furono la sua difesa dalla polizia politica che faceva retate negli studi degli artisti sospettati di cospirare contro il regime: irruzioni da Manzù e Sassu, arrestato con Franchina e Migneco e condannato, Carlo Levi mandato al confino; furono arrestati Trombadori e Alicata che lo avvertì dei sospetti della polizia consigliandolo di lasciare Roma.
A Quarto crea opere drammatiche, dalle battaglie alle nature morte, seguendo i criteri del realismo pittorico come strumento dell’impegno civile esposti nel suo articolo “Pensieri della pittura”: sottolineava la drammaticità delle guerre e delle stragi e l’imperativo morale degli artisti di esprimere la loro “collera” senza trincerarsi in “un astratto regno di colore, di forme, di parole, di suoni”. Non riteneva necessario che il pittore facesse politica, guerra o rivoluzione ma “è’ necessario che egli agisca, nel dipingere, come agisce chi fa una guerra o una rivoluzione”. In realtà, caduto il fascismo, non si limita ad agire come artista. Torna a Roma, partecipa al Comitato di accoglienza degli antifascisti liberati dal confino o dal carcere e rientranti dall’estero, si unisce il 10 settembre 1943 alla resistenza armata contro i tedeschi a Porta San Paolo, con Trombadori e Colorni; poi svolge attività clandestina entrando nella Resistenza, con il nome di “Giovanni” e facendo da collegamento tra il CLN e i reparti partigiani nella Marsica. In uno studio clandestino di Roma nasce la serie di disegni “Gott mit Uns”, il sinistro motto nazista “Dio è con noi” in 24 tavole sulla loro barbarie cui si contrappone la dignità delle vittime straziate dalle torture.
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“Occupazione delle terre”, 1947
Il dopoguerra fino al 1950
“La Roma del dopoguerra” lo vede impegnato, sin dal dicembre 1944 con un articolo su “Il Cosmopolita” intitolato “Crisi di rinnovamento” nel quale ribadisce il concetto che “l’arte non è un’accademia”, ma “un rinnovamento non può procedere da una ‘tabula rasa’”. E lo spiega così: “Chiediamo di vivere (e lo chiediamo a noi stessi) facendo il nostro mestiere di pittori, di scultori, di scrittori, come gli altri uomini, combattendo il vecchio mondo ed aiutando ad edificare il nuovo”.
Partecipa alla costituzione dei gruppi di artisti che si andavano formando intorno alle idee a lui care. Nasce la “Nuova Secessione Artistica Italiana”, nell’ottobre 1946, con un manifesto firmato Guttuso e Birolli, Cassinari e Carlo Levi, Morlotti e Pizzinato, Santomaso e Turcato; Vedova e Viani nel quale si dice esplicitamente che pittura e scultura “aumenteranno sempre più la frequenza con la realtà”, l’arte è “la storia stessa che degli uomini non può fare a meno”. Il gruppo nel gennaio 1947 prenderà il nome di “Fronte Nuovo delle Arti”, la componente romana avrà la maggioranza.
Trasferisce lo studio in via Margutta e a Parigi conosce Picasso che avrà una forte influenza su di lui sotto il profilo umano e artistico. Si ispira a lui nell’adottare un linguaggio post cubista, ma senza appiattire l’immagine, e sottoscrive nel gennaio 1947 il “Manifesto del neocubismo”; dipinge nel nuovo stile “Retata” e “Ritratto di Mimise”, “Massacro degli Agnelli” e “Merlo”. Resta sempre il suo realismo pittorico, lo scrive a Ernesto Nathan: “Ho sempre fatto quel che ho sentito… come si suol dire, ma per me sentire qualche cosa è sempre stato nell’ordine di cercare la ‘realtà'”.
Intanto lo scontro tra “realisti e astrattisti a Roma ” si fa sempre più aspro. Il ritorno nella capitale dopo un nuovo viaggio a Parigi lo fa trovare dinanzi al fatto compiuto: gli artisti che lo frequentavano hanno fondato a marzo dello stesso 1947 la rivista “Forma” in cui si proclamano “formalisti e marxisti” rimarcando che i progressisti non dovevano “adagiarsi nell’equivoco di un realismo spento e conformista”. Guttuso vede la posizione – che è la premessa per la svolta astrattista – in antitesi rispetto ai propri principi e reagisce con forza: “Ho parlato sempre di realismo e di cubismo, sono antiastratto, antidecorativo, antiformalista”; spiega che l’influsso dei cubisti va visto come “educazione che riconducesse all’oggetto, ne agevolasse la identificazione. Se sono caduto in errori di semplicismo è stato sempre in senso realistico mai in senso astrattista”. Di “Forma” facevano parte Ugo e Carla Accardi, Dorazio e Consagra, Guerrini e Perilli, Sanfilippo e Turcato, tutti assidui frequentatori dello studio di Guttuso che anche per questo si sentì tradito.
Nel “Fronte Nuovo delle Arti” si crea una spaccatura tra i seguaci dell’una e dell’altra linea con accuse reciproche, polemiche e scontri pubblici sui giornali e nei caffè, nelle trattorie e nelle gallerie. Carapezza Guttuso ricorda che “a Piazza del Popolo i due diversi caffè indicano due diverse appartenenze. Il caffè Rosati ospita gli astrattisti, il Canova i realisti”. Anche i critici si schierano e Guttuso fa vignette satiriche su Lionello Venturi, “il critico divenuto il vate degli astrattisti”. Lo scontro si infiammò dopo l’aspra critica da parte di Palmiro Togliatti alla Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea del 1948 a Bologna, che parlava delle due strade aperte ai giovani artisti “quella dell’astrattismo da un lato e quella del realismo dall’altro”, stroncando la prima. Ci ha ricordato l’aspra reazione di Krushev contro le deviazioni dal realismo socialista nel 1962 dopo la visita a una mostra di Mosca in cui una sala era dedicata al nuovo “stile severo”, con forme semplificate e sfondi sfumati. L’ideologia entra nel dibattito artistico, altra benzina sul fuoco, finché nel marzo 1950 il “Fronte Nuovo delle Arti” cessa di esistere. La mostra “Arte Astratta Italiana” alla Galleria nazionale d’Arte Moderna fino al 27 gennaio 2013, da noi commentata di recente, ha esposto 50 opere con un’accurata analisi della costituzione e composizione dei vari gruppi.
L’arte di Guttuso si esprime ora con opere di taglio narrativo come “La pesca del pesce spada” e “Ricci” e opere di forte impegno sociale e storico, da “Occupazione delle terre incolte in Sicilia” a “Battaglia di ponte dell’Ammiraglio”, un quadro di grandi dimensioni di cui dice espressamente: “In un momento in cui infuriava l’arte astratta, ho pensato fosse giusto fare un quadro storico”.
“Trionfo della guerra”, 1966
Dal 1950 al 1970
Nel 1950 “il matrimonio e la nuova casa”: sposa Mimise, testimone Pablo Neruda esule dal Cile, lo aiuta con Trombadori, Moravia e la Morante a divincolarsi alla stazione Termini dalla polizia che voleva espellerlo, e gli dedicherà un ritratto al quale il poeta risponderà con l’intensa poesia “A Gutusso de Italia”. Dipinge “La zolfara”, 1953, con le figure dei lavoratori stravolti dalla fatica, scena ben più drammatica di quella del quadro del 1947 “L’occupazione delle terre”.
Coesistono con questo impegno su temi sociali “le affollate solitudini romane, La spiaggia, i Balli popolari, La gita in vespa”: sono altrettanti titoli di suoi dipinti di questo periodo: dopo “Ballo popolare”, del 1945, la gente lo attira nei momenti collettivi di svago, dello stesso 1953 è “Boogie Woogie”, del 1955 “La Spiaggia”, del 1958 “La gita in vespa”, nel ricordo del film “Vacanze romane”, girato cinque anni prima con i protagonisti partiti per il celebre giro della città sullo scooter dallo stesso edificio di via Margutta dove Guttuso aveva allora lo studio.
Al “quartiere Monti i nuovi studi e la casa della vita”: da Villa Massimo, destinata al governo tedesco, a via di Santa Maria Maggiore nel 1956 e a via Cavour nel 1960, con una veduta panoramica che tradurrà in dipinti come “Tetti di via Leonina” e “Tetti di Roma”. La repressione della rivolta d’Ungheria del 1956 gli creerà un dramma sul piano politico per il contrasto tra l’ideologia del suo partito e gli ideali di libertà, farà un album di disegni con interrogativi come “Erano veramente colpevoli? Restano solo i morti”. Le sue opere riflettono i dibattiti politici, come “Discussione”, del 1960, dove compaiono ritagli di stampa e visi di militanti, Ma come sempre alterna opere di altra natura, in particolare l’illustrazione della Divina Commedia.
La nuova casa in cui si trasferisce dopo quella molto piccola alla Suburra è nel Palazzo del Grillo, decorata di statue e stucchi, ma lui riempirà lo studio degli oggetti familiari nei quali troverà nuova fonte di ispirazione con opere quali “Damigiane e bottaccino”, 1959, e “Natura morta con fornello elettrico”, 1961. “A me interessa trarre da ciò che vivo giornalmente – ebbe a dire – l’elemento per dire qualcosa sulla realtà nella quale vivo, che mi circonda”, il suo realismo segue ora questa massima: “Dipingi quello che hai davanti, con cui sei in intimità, che conosci bene perché ci stai insieme. Negli oggetti, nelle persone, nelle cose, si riflette quello che è il movimento generale della realtà”. Oltre alla realtà segue la memoria, con opere sulla sua vita, come il ciclo “Autobiografia” e “Il Padre agrimensore”, inoltre su eventi da cui era stato colpito, “Incendio alla cancelleria apostolica” e “Paracadutista”, fino a “Il trionfo della guerra”, tutti del 1966.
“Il sessantotto, I funerali di Togliatti, il Caffè Greco, la Vucciria” sono tradotti in altrettante opere: il primo in “Giornale Murale. Maggio 1968”, gli altri in dipinti con quei titoli negli anni ’70.
Gli anni ’70 fino alla scomparsa nel gennaio 1987
Nei “Funerali di Togliatti” le bandiere rosse spiccano su uno sfondo di ritratti realistici, nel “Caffè Greco” si riflette la presenza con de Chirico, Palazzetti e de Pisis nel caffè di D’Annunzio e Buffalo Bill. La “Vucciria” è la memoria della sua Sicilia vista nel grande mercato ricco di persone e cose.
E’ il 1974, l’anno dopo inizia la politica nelle istituzioni per il Partito comunista, prima consigliere comunale a Palermo, poi “il Senato”, eletto per due legislature nel 1976 e nel 1979. Il quadro “Comizio di quartiere”, 1975, nasce dal suo impegno alle elezioni, come ricordava Paolo Bufalini.
“La vita a Palazzo del Grillo” era regolare e metodica, molto laboriosa, tra la scrittura al mattino, il disegno e la pittura nel pomeriggio in due studi su due piani diversi; inoltre gli incontri con gli amici, come Trombadori e Bufalini, Sapegno e il vescovo Angelini, perfino Giulio Andreotti.
Nelle “Allegorie” e “Il sonno”, 1979-80, irrompe un’immagine pessimistica e oscura, che si andrà stemperando in una visione più intima e misteriosa, come in “Tigre che entra nel mio giardino”.
“Il giardino incantato nel centro di Roma” – quello del Palazzo del Grillo dove ha studio e casa – è stato definito da Carapezza Guttuso un “hortus conclusus”, uno “spazio sacro” dove vive “l’ora della malinconia, la nera compagna con cui da tempo dialoga l’artista che proietta la sua ombra su luoghi familiari riempiendoli di oscuri presagi”. Così prosegue: “Ed è quindi la Melanconia che, come una linfa sotterranea, pervade le opere di Guttuso ultimo, come testimoniano le sue letture, il suo rivisitare con insistenza gli antichi maestri, i significati misteriosi delle sue pitture”. Questo in “La visita della sera” e “Sera a Velate”, del 1980; e nell'”allegoria visionaria” dalle nature morte del 1984, come “Bucranio”, “Mandibola di pescecane”, “Drappo nero contro il cielo”, fino ai nudi di donna con “qualcosa di tragico” più che erotici, come “Ginecei” e “Due donne sdraiate”.
“La morte e il grande funerale romano”: è il 1986, stanco e malato vede solo pochi amici, ma intraprende un’opera di grande formato intitolata con le parole di Eliot “Nella stanza le donne vanno e vengono/parlando di Michelangelo”, otto donne su tacchi altissimi in un ambiente. Il 5 ottobre muore l’amata Mimise, di cui scrive ai coniugi Carapezza: “Mimise non fu solo mia compagna. Fu una cosa della mia vita, parte della mia carne, della mia mente”, poi aggiunge con pudore “della mia cultura”. La sua scomparsa accelera il percorso spirituale che alla morte, avvenuta dopo tre mesi, il 18 gennaio 1987, gli vedrà impartiti i conforti religiosi dall’amico cardinale Angelini. Grande folla ai funerali, dopo la camera ardente al Senato, orazioni funebri di Moravia e Carlo Bo, oltre che del vertice del Partito comunista, poi cerimonia religiosa del cardinale Angelini che nell’omelia disse: “L’eternità della sua arte è anch’essa momento e segno dello spirito che accomuna tutti gli uomini e che li predispone al mistero”.
Così Carapezza Guttuso conclude la sua commossa rievocazione della vita e dell’arte di Renato Guttuso, che gli fu così vicino da adottarlo. L’abbiamo seguita solo per sommi tratti riportando tra virgolette i suoi capitoli, ma anche dai nostri brevi accenni se ne coglie l’intensità e la vitalità.
E’ un’immagine forte calata in una realtà che nel tempo ha assunto molte facce. Ci prepariamo a visitare le 100 opere esposte per ritrovare l’artista e i tratti del mondo in cui è stato protagonista senza rinchiudersi nella torre d’avorio dell’arte. Racconteremo la mostra prossimamente dopo questa preparazione volta ad apprezzarne i contenuti umani, sociali e civili oltre che artistici.
Info
Complesso del Vittoriano, Roma, via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali).Tutti i giorni: da lunedì a giovedì 9,30-19,30; venerdì e sabato 9,30-23,30; domenica 9,30-20,30 (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingresso intero euro 12,00, ridotto euro 9,00. http://www.comunicareorganizzando.it/ Tel. 06.6780664; prevendite 199.747554 http://www.ticketone.it/. Catalogo: “Guttuso 1912-2012”, a cura di Fabio Carapezza Guttuso ed Enrico Crispolti, Editore Skira, pp. 224, formato 24 x 28, euro 39,00, dal Catalogo sono tratte le citazioni riportate nel testo. Il secondo e ultimo articolo sulla mostra uscirà, in questo sito, il 30 gennaio 2013. Il nostro servizio sulla mostra “Arte Astratta Italiana” è uscito, in questo sito, il 6 novembre 2012; per i “Realismi socialisti” si rinvia ai nostri tre articoli usciti su “cultura.abruzzoworld.com” il 31 dicembre 2011; inoltre ai tre articoli del nostro servizio su “Deineka” , su questo sito, il 26 novembre, 1 e 14 dicembre 2012.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Vittoriano, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti e in particolare Fabio Carapezza Guttuso per l’opportunità offerta. In apertura un’inquadratura della sala dei Grandi Dipinti, a sinistra “La spiaggia”, 1955-56, a destra “Zolfara”, 1953; seguono “Occupazione delle terre”, 1947, e “Trionfo della guerra”, 1966; in chiusura “Autoritratto”, 1975.
“Autoritratto”, 1975