di Romano Maria Levante
Dopo aver fatto conoscere la Via della Seta nella sua genesi, anche attraverso le testimonianze dei viaggiatori veneziani e genovesi, con le merci che la attraversavano tra Oriente ed Occidente nei due sensi, la mostra “La Via della Seta. Antichi sentieri tra Oriente ed Occidente”, al Palazzo Esposizioni di Roma dal 27 ottobre al 10 marzo 2013, fa compiere un viaggio virtuale nelle principali località dell’Oriente dove approdavano gli occidentali in uno scambio fecondo di prodotti e tecniche, fedi e conoscenze: sono Xi’an e Turfan, Samarcanda e Baghdad fino ad Istambul.
Pittura d’epoca di Cavaliere
Il viaggio virtuale si svolge nelle gallerie che fanno corona alla grande rotonda centrale del Palazzo Esposizioni, è il cuore della mostra che all’inizio e alla fine presenta le testimonianze e le evidenze sui traffici tra Oriente ed Occidente di cui abbiamo già dato conto nella presentazione.
Xi’an, città della pace
La prima tappa è Xi’an, “la città della pace”, con il massimo splendore sotto la dinastia Tang, dal 618 al 907 d. C., meta di mercanti con un milione di abitanti, un’urbanistica di palazzi imperiali, templi e mercati. Risalgono all’XI secolo a. C. le prime notizie come centro culturale e politico, all’epoca della dinastia Zhou, 1045-256 a. C. Dalla dinastia Sui, dal 581 al 618 d. C., divenne la capitale, estesa su 84 chilometri quadrati circondati da mura. Alla fine della dinastia Tang fu distrutta e gli abitanti emigrarono, finché nel XIV secolo con la dinastia Ming fu ricostituito un abitato molto più ristretto, 12 chilometri quadrati, di cui ci sono pervenuti i resti. Oggi ha 8 milioni di abitanti, moderno centro di produzione di petrolio e carbone, oggetto di attenzione degli archeologi di tutto il mondo e di flussi turistici.
Vi è tuttora una fiorente sericoltura dall’epoca del fulgore della Via della Seta. La produzione di seta prende l’avvio dal ciclo vitale del baco che si conclude con l’intervento umano per interrompere il processo prima che si schiuda il bozzolo in modo da poter raccogliere i preziosi filamenti con i quali viene prodotto un tessuto dalle straordinarie caratteristiche: resistente e robusto, nel contempo morbido ed elegante, fresco d’estate e caldo d’inverno, sembrava “magico”.
Ma, a parte l’importantissima seta, Xi’an con l’afflusso di viaggiatori e mercanti che influenzavano ogni aspetto della vita, era un crocevia di tradizioni e culture, e anche di fedi religiose. Vediamo un catino d’argento del ‘700 proveniente dalla Persia, una coppa a forma di corno, il “rhyton”, realizzata in Asia orientale e portata in Cina dai viaggiatori; facciamo la conoscenza anche del mercante di vino, una figuretta ugualmente originaria dell’Asia centrale.
Di particolare interesse le religioni che si incrociavano nella capitale, portate dai mercanti e viaggiatori insieme alle proprie merci e tradizioni; lungo la Via della Seta venivano costruiti templi religiosi oltre ai luoghi di sosta e ristoro che si trasformavano in vasti abitati. Erano rappresentate le principali fedi dell’epoca, favorite dalla tolleranza religiosa di alcune dinastie cinesi, come quella dei Tang: buddhismo e zoroastrismo, taoismo e confucianesimo, cristianesimo nestoriano ed ebraismo, islamismo e manicheismo. Il buddhismo, nato in India con Siddhartha Gautama nel 450 a. C., all’insegna del raggiungimento del “nirvana” con la libertà dalla sofferenza, si sviluppò attraverso il proselitismo dei suoi monaci che nella Via della Seta promettevano la protezione divina ai viaggiatori: nel 500 d. C. in Cina vi erano 2 milioni di buddhisti.
Di Xi’an viene ricordato che era un approdo anche dal punto di vista musicale per chi percorreva la Via della Seta: la musica era utilizzata nelle cerimonie religiose e delle comunità, inoltre era un linguaggio comprensibile alle varie lingue ed etnie e uno strumento di diffusione della fede e dei valori della tradizione. I primi strumenti avevano fili di seta intrecciati con bacchette di bambù.
Resta un’immagine cosmopolita in cui i commerci si intrecciano alle fedi, le merci alle culture, le melodie lamentose della tradizione ai profumi esotici. Da qui la Via della Seta attraversava il deserto di Taklimakan per giungere alla seconda tappa, l’oasi lussureggiante di Turfan.
Pannello di marmo che raffigura danzatori sogdiani
L’oasi di Turfan
Per entrare nello spirito dei viaggiatori di allora basta considerare che l’oasi dista 2500 chilometri da Xi’an, un deserto arido tra dune altissime fino alle Montagne Fiammeggianti, chiamate così perché infuocate dal sole. Il viaggio a dorso di cammello richiedeva mesi e l’arrivo alla vegetazione e all’acqua dell’oasi, in un’area posta al centro del bacino montuoso, doveva essere una liberazione, Veniva coltivata frutta e verdura in grande varietà con sistemi di irrigazione che convogliano l’acqua raccolta dalle piogge e dai rilievi montuosi, attraverso i canali sotterranei del cosiddetto “karez”, portandola per chilometri sui campi, come avviene tuttora. La mostra “fa entrare” nell’oasi con un pergolato che rende in modo tangibile quell’ambiente fresco e accogliente.
Queste caratteristiche veramente preziose nella terra desertica sono alla base della storia tormentata della località, presa di mira dai popoli limitrofi e dalle tribù turche, fino alla riconquista da parte della dinastia Tang, tra il 618 e il 907 d. C.; poi tra il VII e il IX secolo ripresero gli scontri tra cinesi, tibetani e turchi per il dominio sull’oasi e la città di Turfan. Anche i mongoli, dei quali abbiamo ricordato la forza espansionistica, dominarono su Turfan dal 1209 al 1389. Poi ci fu il dominio di piccoli stati nei loro rapporti complessi e agitati con la dinastia cinesi dei Ming, dal 1384 al 1644, verso cui il sovrano locale Yunus Khan arrivò a dichiarare guerra, dopo il 1465, allorché furono introdotti forti limiti all’invio di delegazioni, ma ne fu sconfitto. Seguì la dinastia dei Qing, dal 1644 al 1912, con la quale ci avviciniamo ai giorni nostri. Oggi Turfan è una “città giardino” di mezzo milione di abitanti, meta di turisti, per i suoi vigneti è detta “valle dell’uva”.
Ma tornando ai traffici sulla Via della Seta, l’oasi oltre a luogo di sosta e ristoro diventava un mercato fiorente e affollato, anche con prodotti di lusso come pelli pregiate e pietre preziose.
Spiccavano le pellicce, e anche le code di animali e le piume d’uccello a scopo ornamentale, nelle cerimonie imperiali venivano usate centinaia di ventagli con penne di pavone. E c’erano i tessuti non solo di seta, ma anche di lana, presa da cammelli, yak e pecore; e cotone, che cominciò a essere prodotto a Turfan nel 700 d. C, con lino, canapa e altre fibre tessili.
Le pietre preziose venivano dall’Afghanistan e dal Vietnam, arrivavano in Cina e in Persia, spesso venivano donate dagli ambasciatori ai regnanti; tra loro i lapislazzuli, di cui anche oggi sono i maggiori fornitori, con il loro colore blu che evocava l’acqua così preziosa nel deserto.
A Turfan si produceva soprattutto frutta, con particolare riguardo all’uva che cominciò ad essere trasformata in vino con la dinastia di Tangn, che lo conobbe nel VII secolo espandendosi verso Occidente; prima c’erano bevande ottenute dalla fermentazione di orzo e riso. Il primo assaggio di vino fu dell’imperatore Mu Zong, che regnò solo tre anni, tra l’821 e l’824, e definì la bevanda “principe della grande tranquillità”, fu profetico, doveva trovarla poco dopo con la morte.
Non solo piante per l’alimentazione, anche piante aromatiche, sostanze medicinali e pigmenti a Turfan: si citano il “sale inglese” e l’incenso, precisando che vi era un confine molto sottile tra la cura del corpo e il godimento dei sensi, per cui la stessa sostanza veniva usata come farmaco o come fonte di sensazioni piacevoli indipendentemente dalla cura dei malanni.
Le sostanze di origine vegetale erano la corteccia della cassia e le alghe marine, i semi di ricino e lo zafferano, la menta e il rabarbaro; quelle di altra origine i capelli umani e le corna di rinoceronte. C’erano poi sostanze come il “bezoario”, cibo non digerito di certi animali, usato per curare dei disturbi ma con proprietà descritte così da un medico cinese: “Rappacifica l’anima celeste e rafforza quella terrena. Libera dagli spiriti maligni e libera dal male interiore”. Le fragranze più in uso erano il legno di sandalo e la canfora, l’ambra e l’incenso, l'”agarwood” e la corteccia di storace.
Si lascia l’oasi con le sue fragranze per inoltrarsi nel deserto seguito dai monti del Tian, la meta è affascinante, addirittura la mitica Samarcanda.
Ciotola, ottone ageminato in argento e oro, Fars (Iran), XIV sec.
La mitica Samarcanda
Si arriva a Samarcanda dopo altri 2500 chilometri, attraversando la catena del Tian e scendendo nella profonda valle di Fergana. E’ una città antichissima, con più di 2500 anni di vita, ora fa parte dell’Uzbekistan, il nome viene dall’unione della parola persiana “asmara” cioè pietra o roccia, e “quando”, città, fu occupata da Alessandro Magno che rimase impressionato dalla sua bellezza di capitale di una satrapia dell’impero persiano, Sogdiana, chiamata Marakanda dai greci.
Era in una posizione strategica sulla Via della Seta, a metà strada tra Xi’an e l’allora Costantinopoli, a ovest della città c’è Baghdad. Nell’VIII secolo fu presa dagli arabi e nei due secoli successivi divenne un centro di civiltà islamica; nel Medioevo era una metropoli che attirava i mercanti e quindi centro di commerci, vi si produceva seta e carta di elevata qualità, oltre ai metalli.
Nel 1220 fu occupata e distrutta da Gengis Kahn, e nel 1270 subì una nuova distruzione dal sovrano mongolo Khan Baraq. Ma non finì così, al termine del XIII secolo tornò a fiorire, tanto che Marco Polo la descrisse come “una città enorme e splendida”. A farla rinascere fu il conquistatore mussulmano Tamerlano, vissuto tra il 1336 e il 1405, fu la capitale del suo impero dall’India alla Turchia; fece costruire palazzi, moschee e giardini, e la popolazione raggiunse 150.000 abitanti.ù
Ma con i successori, i Timuridi, ci fu la disgregazione dell’impero e la città decadde, finché cessata questa dinastia, fu annessa all’emirato di Bukhara; nel 1886, dopo essere entrata vent’anni prima nell’orbita della Russia, divenne la capitale del Turkestan, e due anni dopo dell’Uzbekistan, fino al 1930 quando le subentrò Tashkent. La sua posizione sulla Via della Seta si riflette tuttora nella sua produzione serica e cotoniera, e in quella dei metalli secondo le antiche tradizioni, nonché nei prodotti alimentari dal grano al vino e al tè. Tra i metalli c’era anche oro e argento, che venivano plasmati per produrre oggetti ornamentali, anche combinandoli e decorandoli; l’argento di Samarcanda veniva usato per coniare monete dei regni arabi ne persiani, oltre che del sogdiano.
All’epoca della Via della Seta vi si trovavano tutte le merci con le quali i mercanti trafficavano sulle direttrici dei commerci che avevano come fulcro quell’itinerario, si pensi che nella zona intorno a Samarcanda ogni località aveva locande per i viaggiatori: il geografo arabo Ibn Hawqal parla di “duemila caravanserragli e locande dove chiunque arrivi può trovare cibo sufficiente per sé e foraggio per gli animali”. I mercanti usavano tutti i mezzi, anche presentandosi come cammellieri e guide per le carovane, che erano composte di pellegrini, viaggiatori e mendicanti. Come bestie da soma nella Via della Seta erano impiegati i cammelli, capaci di portare carichi fino a 350 chili, in grado di cibarsi di piante desertiche e di restare diversi giorni senza bere. Le abitazioni dei commercianti erano lussuose, perfino con dipinti murali all’esterno
A Samarcanda, in particolare, si sviluppò la produzione di carta: la leggenda tramanda che il segreto fu carpito alla Cina dagli islamici nel 751 dopo la vittoriosa battaglia di Talas, nell’Asia centrale, in cui furono fatti prigionieri molti artigiani cinesi. “Di tutti i tesori che percorsero la Via della Seta nessuno fu più potente della carta”, scrivono nel Catalogo della mostra Norel, Leidy e Ross.
In effetti dalla carta alla scrittura con inchiostro il passo fu breve: fu utilizzata subito per lettere di credito e simili in modo da non portare denaro, in documenti ufficiali e poi nella letteratura; favorì molto lo sviluppo della cultura e delle scienze. Gli islamici a lungo furono diffidenti, tanto che il Corano fu scritto su pergamena e non su carta fino al X secolo, allorché nel 971-72 fu copiato su carta dal calligrafo Al Razi, e fu avviato un nuovo stile di scrittura, il corsivo dopo i caratteri cufici. Si fa osservare che sin dall’848 a. C. vi fossero libri completamente realizzati con la carta.
Per raggiungere Baghdad, la quarta tappa sulla Via della Seta, si attraversa il fiume Amu Darya, tra i più lunghi dell’Asia centrale, poi si costeggia il Grande deserto salato iraniano, per passare nei valichi dei monti Zagros, fino a raggiungere le pianure irachene. L’avventura continua, racconteremo prossimamente le ultime due tappe: Baghdad, la città della sapienza, e Istanbul, la porta dell’Oriente.
Info
Palazzo Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. Martedì e mercoledì, giovedì e domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato fino alle 22,30, lunedì chiuso; accesso fino a un’ora prima della chiusura. Ingresso intero euro 10,50, ridotto 7,50, scuole 4 euro a studente, gruppi tra 10 e 25, martedì e venerdì- Con il biglietto si vedono tutte le mostre del Palazzo Esposizioni. Tel . 06.39967500, mailto:info.pde@palaexpo.it. Catalogo: “Via della Seta. Antichi sentieri tra Oriente e Occidente”, Palazzo Esposizioni e Codice Edizioni, ottobre 2012, pp. 296, formato 20 x 24, euro 26; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo è uscito, in questo sito, il 19 febbraio, il terzo e ultimo uscirà il 23 febbraio 2013. con 4 immagini ciascuno.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Palazzo Esposizioni, e in parte dal Catalogo, si ringrazia l’Ufficio stampa del Palaexpo con gli organizzatori e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura una pittura d’epoca di Cavaliere, seguono Pannello di marmo che raffigura danzatori sogdiani e Ciotola, ottone ageminato in argento e oro, Fars (Iran), XIV secolo; in chiusura Produzione del vetro rappresentata in un manoscritto d’epoca.
“Produzione del vetro” , in un manoscritto d’epoca