Cina, incontro all’ambasciata, di scena il Tibet

di Romano Maria Levante

Incontro il 18 marzo 2013 all’ambasciata della Cina in via Bruxelles a Roma con l’ambasciatore Ding Wei in un momento speciale per le istituzioni cinesi. Si è conclusa la nuova sessione plenaria dell’Assemblea del Popolo Cinese, svoltasi dal  5 al 17 marzo 2013, in cui sono state prese importanti decisioni: l’elezione del  nuovo presidente della Repubblica e del nuovo premier  con i nuovi ministri  della Repubblica Popolare Cinese;  la riduzione del numero dei Ministeri e la loro riorganizzazione per migliorarne la funzionalità, vengono citate come esempio l’eliminazione del Ministero delle ferrovie e l’incorporazione nel Ministero per la salute della Commissione per la politica familiare.

L’ambasciatore Ding Wei in testa al tavolo dell’incontro con i giornalisti  

Nel giorno successivo alla chiusura della sessione, il primo pomeriggio del 18 marzo, intorno al grande tavolo i giornalisti hanno ascoltato e posto domande, l’ambasciatore ha dato le sue risposte mostrando la volontà di lanciare una serie di messaggi sul punto di vista cinese.

Ne citiamo soltanto alcuni di carattere generale senza entrare nei temi specifici, a parte quello che a nostro avviso è stato un momento centrale dell’incontro, la situazione del Tibet. “L’Oriente – ha detto – dà più valore alla collettività, l’Occidente ne dà di più all’individuo”.  In Cina affrontano il problema dell'”equilibrio tra ricchi e poveri e tra una zona e l’altra del paese. E’ difficile soddisfare tutti gli interessi”.

Passando al presente ha aggiunto che “il 2013 è un anno importante per risolvere molti conflitti sociali”. Inoltre ha manifestato “vivo apprezzamento per le virtù del nuovo Papa vicino ai bisognosi e aperto agli ultimi”, spera che ci siano “riforme e novità nella vita della Chiesa. Il Vaticano è uno dei pochi paesi senza rapporti diplomatici con la Cina”,  auspica un “miglioramento dei rapporti bilaterali, però non si deve interferire negli affari cinesi”.

Le risposte dell’ambasciatore cinese sul Tibet e l’economia

A una domanda di un giornalista del settore sulle previsioni turistiche della Cina, in particolare sulla possibilità di promuovere il turismo religioso verso il Tibet, ha risposto che ci sono “molti malintesi sul Tibet”.  Poi è entrato nelle polemiche in atto,  aggiungendo di voler “sfatare quanto si dice sull’oppressione del Tibet e sulle sue condizioni”. Negli ultimi 50 anni nella regione si è sviluppata cultura ed economia e la vita media è raddoppiata passando da 35 a 70 anni; il 95%  della popolazione era analfabeta, oggi il 98 % dei bambini va a scuola. Sono stati costruiti 70 mila chilometri di strade, vi sono 1700 chiese con 50.000 monaci. E’ una regione autonoma con tutti i diritti. “I problemi esistenti vengono affrontati”.

Queste indicazioni non ci sono parse sufficienti, allora abbiamo ricordato il Simposio sul Tibet all’Auditorium di Roma nel 2011, quando i relatori cinesi parlarono di tutto meno che dei diritti umani, e i relatori italiani li sfiorarono, affermando anzi che ci sono molti stereotipi diffusi da chi non è stato mai nel paese, mentre conoscendolo si ha un giudizio più sereno e positivo; ma allora perché, abbiamo chiesto, si moltiplicano le accuse sull’oppressione del popolo tibetano  con una intensità tale da farne un simbolo di come si possa annientare un’etnia antichissima e orgogliosa?

La risposta è stata che “non tutti sono disposti a ragionare”, per cui va apprezzato il giudizio espresso dagli italiani nel convegno del 2011.  “Gli attacchi più aspri – ribadisce – vengono da persone che non sono mai state in Tibet, e che sono ostili ai cinesi per motivi ideologici.  Visitando il Tibet  si ha un’impressione del tutto diversa dalla propaganda, dai diari di viaggio emerge la realtà vera”. Alla base degli attacchi c’è la preclusione ideologica verso il Partito comunista cinese, mentre “è molto cambiato e si è rinnovato profondamente, non è vero che non c’è democrazia”.

Abbiamo chiesto anche qual è la risposta della Cina dinanzi alla crisi economica  dell’Europa, grande importatore dalla “fabbrica del mondo” che riduce drasticamente gli acquisti; per compensare le minori esportazioni viene sviluppato il consumo interno e con quali ripercussioni di natura sociale? La risposta è stata affermativa, “l’aumento della domanda interna diviene la forza trainante nello sviluppo del paese”, non va dimenticato che la Cina è anche il maggiore importatore del mondo, non solo esportatore. L’export cinese è diminuito ma crescono i consumi, “con l’aumento del reddito si punta sempre più sulla domanda interna. Non diminuisce l’importanza dell’export,  ma si investe di più nelle infrastrutture, il pilastro della politica economica cinese”.

Altre risposte hanno riguardato il notevole aumento delle spese militari, superiore al 10 per cento, lo ha spiegato con l’inquietudine dei paesi vicini in un’area molto instabile; comunque la Cina “segue la strada dello sviluppo pacifico all’esterno. All’interno il maggiore impegno della nuova leadership, oltre che sui problemi dell’economia, è nella soluzione dei  conflitti sociali interni.

Non manca l’apprezzamento finale per l’Italia, grande esportatore in Cina e meta di crescenti flussi di visitatori cinesi, per il patrimonio di cultura, storia e arte e per il ruolo primario che ha in Europa.

La modernizzazione del Tibet, nella scuola 

L’immagine data dai cinesi del Tibet nel simposio del 2011

A questo punto siamo tornati a rileggerci la cronaca del Simposio sul Tibet del 20 maggio 2011  all’interno della “Settimana della cultura tibetana” nell’ambito dell’“Anno della cultura cinese in Italia”. Il Simposio si svolse due mesi prima dell’incontro del Dalai Lama  con Obama  e il duro richiamo del capo religioso sul rispetto dei diritti umani.  Il giorno precedente, all’inaugurazione della settimana sul Tibet, era intervenuto l’ambasciatore Ding Wei, lo stesso dell’incontro attuale.

Il vicepresidente del Tibet Duoji Zeren disse espressamente che il destino della società tibetana è stato sempre legato alla patria Cina, e parlò dei profondi mutamenti  negli ultimi 60 anni, sui quali si è ora soffermato l’ambasciatore: la vita è migliorata in tutti gli aspetti, la Cina promuove lo sviluppo in campo culturale, come per le discipline tibetologiche, e valorizza le antiche tradizioni.

Ma rimase deluso chi, come noi, si aspettava di vedere affrontato il rispetto deidiritti civili e umani dei tibetani, con la risposta alle accuse di brutale oppressione. Il governatore del Tibet in generale, e poi i relatori cinesi in dettaglio, hanno parlato dei problemi dell’ecologia, peculiari data la  collocazione del territorio a 4000 metri, sul tetto del mondo, con situazioni speciali nella flora e nella fauna. Nel commentare tale impostazione, ricordammo la vecchia barzelletta sul siciliano che nel denunciare l’insopportabile problema che affligge la sua regione, invitato a indicarlo, dice che è il… traffico. Si attendeva che rispondesse “la mafia”, come qui i “diritti umani” più che l’ecologia.

Per questo le analisi dei cinesi sui problemi ambientali, pur di per sé di indubbio interesse, furono offuscate, per così dire, dall’assenza di ogni considerazione sui problemi dei diritti umani: le ombre sul piano umanitario non facevano apprezzare le luci sul piano ambientale. “Dobbiamo prendere cura di ogni montagna, ogni fiume, ogni albero del Tibet”  ha affermato il  presidente del Tibet; non fu fatta analoga affermazione per ogni persona umana dell’etnia tibetana.  Tutta l’attenzione perché  il ciclo ecologico tibetano entri nel circolo virtuoso della salvaguardia naturale a livello mondiale. “Questa è la nostra priorità assoluta, la nostra popolazione avrà una vita ancora più felice e più tranquilla, e si sarà aperti agli scambi per far conoscere quello che è un vero “sangri là”, il paradiso”.

Come si fa a dirlo e a crederci se non si diradano le ombre cupe che invece lo descrivono come l’inferno per i diritti umani e l’identità dell’etnia tibetana?  I  relatori italiani  sfiorarono questi problemi cruciali con un approccio molto comprensivo  verso la Cina da loro ben conosciuta.

 Il nuovo ruolo del Tibet negli assetti geopolitici mondiali

Gianni De Michelis, da politico navigato, non ignorò il tema, ne accennò all’interno di un ragionamento complessivo sui diversi e mutati assetti geopolitici dopo la fine della guerra fredda, nei quali sono divenuti centrali per l’equilibrio globale la Cina e l’India che sono il cuore dell’Asia.  La regione del Tibet assume un nuovo ruolo,  paragonabile, pur nei mutamenti epocali, a quello di un millennio fa, quando era alla pari con l’impero cinese. E’ un ruolo decisivo, come quello del Kashmir nell’Asia meridionale. “I rapporti con la popolazione tibetana in questa regione autonoma della Cina vanno visti rispetto agli equilibri complessivi, considerando alcuni aspetti centrali”.

E qui l’ex ministro degli esteri di un’altra stagione politica è entrato nel vivo: “Non si può mettere in discussione la sua appartenenza al territorio della Repubblica popolare cinese, molti fattori geografici e storici vanno in questa direzione. Noi europei abbiamo situazioni analoghe verso le quali abbiamo adottato uno speciale approccio, come per l’Italia l’Alto Adige, per la Spagna i Paesi Baschi, per il Regno Unito l’Irlanda del Nord.”. Ma se va preso atto dell’esigenza di  ” riconoscere il Tibet territorio inalienabile e integrante della Cina” va altrettanto “riconosciuto il diritto delle popolazioni all’identità culturale, alla libertà religiosa, allo sviluppo territoriale”.

Per il ruolo centrale dell’area nell’equilibrio geopolitico vi è un interesse comune alla riduzione delle tensioni,  per cui si può sperare che “il riconoscimento dei diritti fondamentali avvenga in modo pacifico. Noi italiani possiamo indicare il modello dell’Alto Adige: tutela dell’integrità del territorio e riconoscimento alle autonomie delle popolazioni nel territorio suddetto. In Tibet si sono fatti passi avanti sul piano economico e sociale, si spera che altrettanto avvenga per i diritti civili”.

La modernizzazione del Tibet, nell’agricoltura

L’autonomia nel Tibet nel sistema normativo cinese

Entrò nel tema  dei diritti civili della popolazione nell’ambito della posizione delle minoranze l’avvocato Alessandro Picozzi,  parlando dell’autonomia della regione. Lo ha fatto per esperienza diretta, lo studio legale Picozzi-Morigi ha sedi a Shangai e a Nanchino, disse che sperava di aprire presto una sede nel Tibet.  La Cina, la cui popolazione è di 1 miliardo e 350 milioni, riconosce 56 gruppi etnici, il 9% minoranze: l’etnia tibetana ha 4,5 milioni di abitanti in un territorio vastissimo.

La Costituzione cinese  pone tutte le etnie sullo stesso piano, non solo non ammette discriminazioni ma garantisce l’aiuto dello Stato. Una  minoranza consistente può ottenere l’autonomia con propri poteri e organi, non si ammette la secessione, ma c’è libertà nella lingua e negli usi di ogni  etnia.

La legge del 31 maggio 1984 sulle autonomie regionali delle minoranze etniche ha modificato il testo del primo Congresso del popolo del 1954 con precise regole sull’autonomia territoriale e i poteri di autogoverno, l’amministrazione della legge e della giustizia e i rapporti tra le varie nazionalità e quelli tra Stato e territori autonomi come le Regioni. Le istituzioni sono a tre livelli: Regione, Prefettura, Distretti autonomi. L’autonomia del Tibet inizia nel 1965, dopo che fu concessa alla Mongolia interna a nord, al Xinjiang a ovest, al Guangx a sud, al Ningxia al confine con la Mongolia interna. Vi sono 5 Regioni, 30 prefetture e 122 distretti. Le minoranze autonome sono il 70% delle minoranze, il territorio autonomo è il 64% del continente cinese. Ai gruppi troppo piccoli per avere l’autonomia dei più grandi, possono essere concesse forme speciali più limitate.

Picozzi ha anche descritto i contenuti delle autonomie territoriali: danno diritto alla propria lingua, alla base della comunicazione sia personale che istituzionale: i provvedimenti dello Stato sono nella lingua locale. Il  sistema educativo, con al centro la scuola, è competenza delle autonomie locali, i libri di testo sono per lo più nella lingua della minoranza anche se si deve favorire la conoscenza della lingua ufficiale. L’autonomia normativa consente di emettere leggi e regolamenti anche in deroga a leggi nazionali; sempre, però, con la supervisione dello Stato. Vi è anche l”autonomia fiscale per le esenzioni, si può esentare da tributi statali, non fare nuove imposizioni locali.

In questo sistema, la Regione autonoma del Tibet ha agevolazioni fiscali per incentivare gli investimenti: l’imposta sul reddito delle imprese invece che del 25% è del 15% , i diritti per l’uso del territorio sono ridotti del 50%, vi è l’esenzione dai diritti doganali sui macchinari.

La lingua tibetana non solo è riconosciuta dal governo ufficialmente anche negli atti legali, insieme alla lingua cinese, il mandarino; ma nel1988 è stato insediato un comitato per promuoverla. Gli insegnanti di lingue sono 15 mila e 10 mila per il  tibetano: è una lingua protetta, in cui pubblicano  9 case editrici e 20 riviste cinesi. Nella scuola del Tibet la Cina ha investito, dalla “rivoluzione pacifica” del 1952, 22 miliardi di yuan, e gli studenti tibetani sono esentati dalle tasse scolastiche dal 2007. Vi sono 1237 istituti di insegnamento e 6 college universitari; si è proceduto negli ultimi anni a un programma di ristrutturazione e ammodernamento delle strutture scolastiche tibetane. Questi dati vanno raffrontati alla popolazione, 4,5 milioni di abitanti, all’incirca come il Lazio.

Per le infrastrutture l’opera “monstre”  è  lalinea Pechino-Llasa, completata nel 2006, “la ferrovia del cielo”, lunga 1000 chilometri, che ha rotto l’isolamento del Tibet..

Nel ricordare gli elementi sulla situazione del Tibet sotto il profilo dell’autonomia dobbiamo citare anche la risposta che ci diede al termine della sua relazione  l’avvocato Picozzi alla nostra domanda se aveva illustrato il “dover essere o l’essere”, e questo perché l’immagine del Tibet presso l’opinione pubblica internazionale sulle persecuzioni  e le sofferenze dei tibetani è  ben altra.

Riportiamo le sue parole testuali: “E’ l’essere, sono leggi che non restano sulla carta, vengono applicate. Gli occidentali dovrebbero visitare il Tibet per rendersi conto di persona che la realtà è molto diversa da quella che viene rappresentata”, come ci ha ripetuto l’ambasciatore. Alla nostra insistenza,  ricordando le distruzioni dei monasteri e altre accuse alla Cina, rispose: “E’ un portato della rivoluzione culturale e ha investito l’intera Cina, dopo la parola d’ordine di Mao ‘bombardate il quartiere generale’ che ha fatto scatenare le ‘guardie rosse’ nell’eliminazione di una intera a classe dirigente. Da lì è nata la contestazione e la voglia di ribaltare gli equilibri esistenti”.

Tibet antico e moderno, la vecchia tibetana con il cellulare

Per autonomia e ambiente l’esperienza dell’Alto Adige

L’altro relatore italiano, Riccardo Scartezzinidell’Università di Trento portò l’esperienza dell’Alto Adige facendo un parallelo con il Tibet, in primo luogo per i problemi assimilabili dell’ambiente naturale montano sul piano infrastrutturale ed economico, sociale e culturale.

Al riguardo ha detto che l’esperienza delle Alpi, anche nella valorizzazione dei saperi e identità locali, può essere utile ai tibetani: in particolare per evitare lo spopolamento della montagna in alta quota con sostegni economici, ad esempio micro investimenti gestiti localmente, progetti di sviluppo per comunità che stimolano la partecipazione, incentivi anche modesti per la tutela dei boschi, piccole strade di montagna per poter vivere in quota, servizi cooperativi di raccolta del latte, scuolabus ecc. Nelle alte quote, cruciali per l’equilibrio dell’ecosistema, ci sono le sentinelle ecologiche del pianeta,  perciò le minoranze etniche che svolgono questo ruolo vanno tutelate nelle loro esigenze mutevoli, in un processo per il quale le rispettive esperienze sono di reciproca utilità.

Poi ha sfiorato il tema dell’autonomia del Tibet parlando dell’esperienza dell’Alto Adige, affermando che “l’autonomia non va vista in senso statico, rispetto alla Costituzione e alle norme giuridiche, deve maturare nella popolazione”, con una crescita che faccia tesoro delle esperienze di autoformazione. “L’autonomia è una conquista, più che una concessione, evolve con la capacità delle comunità di crescere culturalmente ed economicamente, contano molto educazione e scuola”.

Tibet antico e moderno, lo storico Monastero tra i fuochi d’artificio

L'”essere” e il “dover essere”, l’invito a un chiarimento

Tutto qui ciò che è emerso nel Simposio del 2011 che, ripetiamo, è stato al centro della “Settimana della cultura tibetana” – insieme a una grande mostra fotografica e a uno spettacolo dell’Opera cinese – il tutto inquadrato nell'”Anno culturale italo-cinese” con il simbolo della gondola veneziana intrecciata a uno strumento musicale cinese.  E’ stata presentata dai relatori cinesi la realtà multiforme del Tibet – e a suo tempo ne abbiamo dato conto – soprattutto negli aspetti naturalistici ed ambientali, economici ed energetici, artistici e religiosi – mentre i problemi delle minoranze sono stati solo sfiorati, come si è visto, dai relatori italiani.

L’ambasciatore cinese in Italia, Ding Wei, nell’inaugurare la manifestazione del 2011, disse: “Il Tibet è una regione dove i cittadini di diverse etnie convivono serenamente, il popolo tibetano e quello degli Han sono in pace e in amicizia e sviluppano insieme la società e l’economia. Credo che grazie alle variegate attività organizzate per la ‘Settimana della cultura tibetana’, gli amici italiani potranno conoscere maggiormente il vero Tibet”. Infatti questo è avvenuto per i tanti aspetti analizzati a fondo con ricchezza di documentazione e di immagini, salvo che per i diritti umani.

Già allora l'”altro Tibet”, rispetto all’immagine presentata dall’ambasciatore, emerse nella denuncia della violazione dei diritti umani nella regione lanciata in quei giorni dal Dalai Lama nell’incontro con il presidente americano che sfidò platealmente il duro ammonimento cinese nonostante l’interesse degli USA a non irritare la grande potenza asiatica che detiene più di mille miliardi di dollari di Buoni del tesoro del paese, quindi potrebbe fare azioni fortemente destabilizzanti.

Alla fine dell’incontro il Dalai Lama rivelò: “Obama ha naturalmente manifestato l’inquietudine sui valori umani fondamentali, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa. Ha espresso un’inquietudine sincera sulle sofferenze in Tibet e nelle altre zone”. Nessuna rettifica venne dalla Casa Bianca, il cui comunicato fu un impegno, oltre che un monito: “L’incontro sottolinea il sostegno vigoroso del presidente a favore del mantenimento dell’identità religiosa, culturale e linguistica del Tibet e la tutela dei diritti umani per i tibetani”. E’ datato 16 luglio 2011, il Convegno è del  20 maggio.

Da allora le denunce non sono mancate, pertanto anche prendendo atto doverosamente delle risposte dataci dall’ambasciatore nell’incontro attuale, non possiamo esimerci dal rinnovare l’invito che avanzammo nel commentare il Convegno da noi rievocato, le cui conclusioni furono così riassunte da un dirigente cinese per definire la fase storica vissuta ora dal Tibet : “Una nuova era in cui si mantiene l’identità etnica, religiosa, nazionale, e insieme lo sviluppo rapido, economico e sociale”.

Il nostro invito è rafforzato dalle parole dell’ambasciatore e anche dalla sua volontà, emersa chiaramente, di parlarne senza reticenza, prendendo lo spunto dalle domande postegli. Si tratta di far luce definitivamente su una materia nella quale non ci si può trincerare dietro la non ingerenza negli affari interni, né l’ambasciatore ha mostrato di volerlo fare. E allora perché non fare un passo ulteriore? Con un incontro, nella forma preferita, dedicato a questo tema , per fornire notizie esaurienti supportate da adeguate prove e documentazione, sulla situazione effettiva. Cioè sull’“essere”nella realtà viva del territorio  rispetto al “dover essere” delle astrazioni normative.

Non ci sembra di chiedere troppo, proprio perché abbiamo fiducia nelle assicurazioni fornite. Soltanto – e lo abbiamo detto direttamente all’ambasciatore – dinanzi alle reiterate denunce ci sembra sia interesse della grande nazione Cina diradare i dubbi e ripristinare la verità, sempre che si tratti di quella presentata. E lo si può fare soltanto con un’informativa vasta, esauriente e veritiera.

Info

Per il Simposio sul Tibet citato, cfr. i nostri due articoli nel sito cultura.abruzzoworld.com, entrambi il 21 luglio 2011, mentre sull’Anno della cultura cinese in Italia cfr. il nostro articolo nel sito ora indicato il 26 ottobre 2010. Per la mostra “L’Aquila e il Dragone”  tenuta a Palazzo Venezia in tale ambito, cfr. i  nostri due articoli in notizie.antika.it  il 4-7 febbraio  2011.

Foto

Le immagini sono state riprese tutte da Romano Maria Levante, quelle in apertura e chiusura nel corso della conferenza stampa all’ambasciata cinese il 18 marzo 2013,  quelle intermedie alla Mostra fotografica sul Tbet che ha aperto la “Settimana della cultura tibetana” il 19 maggio 2011. In apertura, l’ambasciatore Ding Wei in testa al tavolo dell’incontro con i giornalisti; seguono due immagini  del Tibet che si ammoderna, nella scuola e nell’agricoltura, e due con il Tibet antico dinanzi alla modernità, nella vecchia col cellulare e nello storico Monastero tra i fuochi d’artificio; in chiusura il logo dell’incontro all’ambasciata.   

Il logo dell’incontro all’ambasciata