di Romano Maria Levante
Ideologia e cultura, quanta e quale differenza! Dal superamento delle ideologie del ‘900 ci si poteva attendere una maggiore apertura alla valutazione serena senza contrapposizioni muro contro muro rese cieche dai pregiudizi ideologici. Illusione svanita come si può verificare nei dibattiti in corso, resi ancora più laceranti dalla crisi economica che aggrava i contrasti e rende ancora più ciechi.
Sorprende, ma non troppo, come anche chi è estraneo alle dispute ideologiche se ne faccia catturare e si unisca ai corifei dell’una o dell’altra fazione trascurando i dati ineludibili della realtà. E allora la voce della cultura deve farsi sentire senza poter essere tacitata, per questo trattiamo un tema inconsueto e può sembrare che usciamo dal seminato, fatto di mostre d’arte ed eventi culturali. Lo facciamo perché siano superate le ideologie che accecano: nel nome della logica, cioè della cultura.
Un esempio lampante di tutto questo si vive giornalmente nelle dispute sull’IMU. S’ode a destra uno squillo di tromba: la casa di abitazione è il fulcro dell’esistenza, quindi non si può tassare perché è sacra per gli italiani; a sinistra risponde uno squillo: in tutti i paesi europei c’è tale imposta, al massimo si può “rimodulare” sulla base del reddito o del valore per equità sociale.
Sono questi gli unici concetti declinati invariabilmente senza un minimo di apertura mentale ai dati della realtà che danno alla questione contorni ben diversi, non ideologici ma terribilmente concreti.
Quali sono, dunque, i veri termini del problema con i quali confrontarsi? I termini con i quali hanno avuto a che fare gli italiani da quando questo inaudito aggravio è piombato su di loro? Perché è così, le medie di 280 euro a famiglia o giù di lì sono come i polli di Trilussa, ingannevoli e dannose per la vera comprensione dell’incidenza del tributo. Che ha colpito ben più duramente le famiglie.
Non ci si può limitare a considerare soltanto le prime case, perché il ceto medio ha anche le seconde case senza essere l’odioso padrone delle ferriere, e questo in virtù, è il caso di dirlo, dell’elevata propensione al risparmio che ci ha sempre distinti positivamente dagli altri paesi. Prime e seconde case acquistate sottoponendosi a balzelli, in termini di imposte di registro, ipotecarie, ecc., inesistenti negli altri paesi che pure tassano tutti la casa, come viene superficialmente ricordato; inoltre l’imposta colpisce capannoni ed edifici industriali, beni strumentali per la produzione.
Arrivare, come fa la Commissione Europea, a chiedere lo spostamento della fiscalità sugli immobili, è un arbitrio inaccettabile, perchè il sistema fiscale è assestato su certi equilibri in base ai quali si sono investiti i risparmi – altro che rendite! – e non si possono capovolgere brutalmente, altrimenti si va incontro ai pesantissimi contraccolpi cui stiamo assistendo; è come se negli Usa si portasse la tassazione sui carburanti ai livelli italiani, cosa accadrebbe all’industria automobiloistica e non solo?
Tornando all’IMU, l’intero gettito nel 2012 è stato superiore ai 24 miliardi di euro, con alcuni miliardi di gettito in più rispetto a quello previsto mentre, come è noto, il gettito dell’IMU sulle prime case è di 4 miliardi di euro, quindi altri 20 miliardi gravano sull’edilizia. Si parla soltanto delle prime case negli scontri in atto, e la contrapposizione ideologica è tale da passar sopra anche al gettito non rilevante, se si consideri che la stessa cifra è stata messa a disposizione del Monte Paschi di Siena per rimediare alla sua dissennata gestione e che soltanto per affitti di sedi l’amministrazione pubblica, che pure ha un rilevante patrimonio immobiliare, spende 12 miliardi di euro l’anno. Ma non è questo che ci interessa mettere in evidenza, bensì altri dati reali.
Il primo dato ben noto è che solo l’IMU per le prime case è stata reintrodotta dopo che il governo Berlusconi l’aveva abolita, l’IMU per le seconde case esisteva già. Ma cos’è avvenuto? Per le prime case da nessuna imposizione si è passati al ritorno alla preesistente ICI ma di entità doppia, per l’effetto congiunto dell’aumento delle rendite catastali del 60% e delle aliquote più elevate applicate dai Comuni; per le seconde case e gli edifici industriali e commerciali lo stesso fenomeno ma più accentuato, aumento delle rendite catastali del 60% e aliquote quasi dappertutto raddoppiate.
E’ stata la Capitale a dare il via al gravoso aumento delle aliquote posizionandosi subito sui massimi per la prima e la seconda casa, un esempio negativo seguito da gran parte dei comuni italiani; tra le lodevoli eccezioni ci piace segnalare Pietracamela, un paese alle falde del Gran Sasso, che ha mantenuto le aliquote al livello preesistente per il 2012 e per il 2013. Il sindaco di Roma Alemanno è stato punito dagli elettori che gli hanno negato la riconferma; al sindaco di Pietracamela Di Giustino non possiamo che formulare apprezzamento ed auguri.
Tornando al quadro generale, rispetto al 2011 il peso sui proprietari per le prime case da zero è diventato quasi doppio rispetto all’ICI; per le seconde case si è più che raddoppiato rispetto al 2011. Il ceto medio che dispone anche di seconde case ha visto quadruplicare l’onere dal 2011 al 2012 per l’effetto congiunto della reintroduzione ma di entità doppia dell’ICI prime case e del raddoppio e oltre dell’ICI seconde case. Il calcolo fatto dalla stampa per le case di Monti e signora recava proprio il quadruplicarsi dell’onere per entrambi, una verifica diretta dei parametri reali anche se nella circostanza non si tratta di ceto medio ma alto.
A questo punto, perché nessuno si pone una domanda elementare? Quale imposta da un anno all’altro viene mai raddoppiata, e diventa quadrupla per effetto del reinserimento doppio per le prime case in aggiunta al raddoppio per le seconde case, e si tratta di imposte con diversi zeri quindi con un onere che incide pesantemente? In quale altro caso si è fatto gravare così pesantemente su una categoria di contribuenti e su un settore vitale l’onere del risanamento che andava invece meglio ripartito su una platea più vasta? Per quanto l’ideologia possa accecare si dovrebbe rispondere a questa domanda e chiedersi in base a quale aberrazione si è compiuto un eccesso di dimensioni che pensiamo non abbia precedenti.
Ma si potrebbe obiettare che l’emergenza può giustificare anche questi eccessi, il fine giustifica i mezzi, e il fine era il “salva Italia”. Abbiamo visto come nelle pensioni la stessa furia riformatrice della tecnica non assistita dalla sana politica abbia creato il “mostro” degli “esodati”, 300.000 il cui onere è tale da assorbire gran parte delle risorse derivanti dalla riforma, ma questa è un’altra storia.
Una storia, però, non troppo estranea perché anche nel caso dell’IMU i danni collaterali, per usare un eufemismo, sono stati tali da vanificare gli stessi effetti positivi in termini di gettito anche se iniqui e odiosi. Questi danni risiedono in modo evidente a tutti nella crisi dei consumi dovuta alla stretta che il prelievo ha provocato, data la sua entità, raddoppiato oddirittura o quadruplicato da un anno all’altro, lo ripetiamo, per il ceto medio con cifre rilevanti; e colpire così il ceto medio nell’anno in cui Obama ha inaggiato il ben noto braccio di ferro con il Congresso repubblicano per tutelarlo è anche antistorico oltre che iniquo e controproducente per l’economia del Pese.
La crisi dei consumi ha provocato effetti a catena, chiusura di esercizi commerciali, di imprese e attività produttive, peraltro colpiti direttamente con l’Imu di loro competenza, per carenza di domanda, con disoccupazione, cassa integrazione e quindi oneri per lo Stato in ammortizzatori sociali e altre provvidenze assistenziali, lo si vede dall’esigenza di nuovi stanziamenti per la “cassa in deroga” di cui si discute, in parte dovuti alla caduta della domanda.
A questi gravi effetti sul versante della domanda se ne sono aggiunti altri ancora più rilevanti sul versante produttivo per la crisi verticale in cui è piombato l’intero settore edile. Un settore ad alta intensità di lavoro, nel quale si sono avuti centinaia di migliaia di nuovi disoccupati per il blocco assoluto delle vendite e delle costruzioni dato dall’azione negativa congiunta della reintroduzione doppia per le prime case e del raddoppio e oltre per le seconde case. Come i soggetti colpiti non potevano reggere a un aumento così gigantesco dell’imposizione – si ripete, quadruplicata per il ceto medio – così il settore produttivo non poteva non riceverne un colpo mortale, e così è stato.
Ne è risultata una manovra a tenaglia dal lato della domanda e dell’offerta degna di von Clausevitz, se fosse stata consapevole, è come se si fossero volute spezzare le reni a un settore che, oltre alla sua diffusione capillare e la sua alta intensità di lavoro, ha una caratteristica peculiare: è legato da una fitta rete di interdipendenze a gran parte degli altri settori produttivi. Per questo si dice che “quando l’edilizia va, tutto va”, basta consultare la tavola delle interdipendenze strutturali dei settori produttivi per verificarlo e poterlo quantificare. Il crollo del PIL e dell’occupazione vi trovano la chiara origine che pochi hanno indicato, mentre è l’aspetto chiave. Il numero di 500.000 disoccupati è una stima per difetto.
Il giudizio diventa ancora più severo se si considera che si sono colpite le imprese domestiche, per lo più piccole, di un settore dove non c’è il rischio della “delocalizzazione” e dove predomina la domanda interna, quasi si volesse approfittare di questo radicamento per non avere come risposta l’esodo in massa. Invece proprio questo settore va sostenuto per il valore che assumono le sue peculiarità nazionali.
Perciò diciamo che la soluzione del problema dell’IMU non può venire dalla contrapposizione tra le diverse visioni ideologiche ma dall’analisi dei dati della realtà che evidenziano anomalie agghiaccianti: la reintroduzione doppia per le prime case e il quadruplicare l’imposta per il ceto medio per il più che raddoppio per le seconde case, un aggravio fiscale gigantesco, insopportabile per la categoria di contribuenti che, tra l’altro, è già colpita da imposte sulla casa altrove inesistenti; la mazzata insostenibile a un settore produttivo con alta occupazione e diffusione che ha subito un crollo verticale con centinaia di migliaia di disoccupati diretti e altrettanti indiretti nei settori legati dalle interdipendenze anch’essi colpiti gravemente. L’effetto congiunto dei danni arrecati dal lato della domanda e dell’offerta supera di molto la crescita del gettito in quanto si è tradotta in caduta del PIL e in erogazioni per ammortizzatori sociali e altro che hanno assottigliato i vantaggi monetari.
Il gigantesco extra gettito del 2012 rispetto a quello del 2011 dovuto all’abnorme raddoppio impositivo, mai verificato per nessun’altra imposta, si ribadisce, è stato pagato duramente dall’economia italiana messa letteralmente a terra, e non poteva essere altrimenti. Giustamente si paventa l’aumento di 1 o 2 punti di Iva rispetto al 20%, quindi del 5 -10%, cosa si direbbe se venisse ipotizzato un raddoppio dell’imposizione, come avvenuto per le abitazioni, prime case (da nulla al doppio) e seconde case che siano? Si dovrà tornare a livelli compatibili con quelli del 2011, con un incremento d’imposta, dovuto all’emergenza, fisiologico, ma non patologico e quindi controproducente, anzi autolesionistico come si è visto nel 2012: quindi con un aumento dell’imposizione rispetto al 2011 che si misuri in termini percentuali su una cifra, e non sul 100% con cui è stato colpito il settore, e per il ceto medio ancora oltre.
Quindi il problema non riguarda solo le prime case, 4 miliardi di euro, ma anche il resto dell’IMU, per altri 20 miliardi, da ricondurre a dimensioni compatibili con il sistema economico e produttivo del Paese: e non può risultare compatibile, per quanto detto, aver più che raddoppiato l’imposizione.
Non c’è nulla di ideologico in tutto questo, sono dati reali che potrebbero essere quantificati con precisione senza le medie da polli di Trilussa per i contribuenti colpiti e senza la cecità che ha preso gli osservatori dinanzi alla crisi di un settore portante per l’economia del Paese. Se l’emergenza ha indotto a concentrare il prelievo su un settore che poteva assicurare un gettito sicuro in tempi precisi per coprire il “buco” finanziario, superato questo momento si deve riconsiderare il tutto per ripartire l’onere e ricondurre a dimensioni fisiologiche e soprattutto sostenibili l’imposizione lievitata in modo anomalo. Non si ricorse alla tassa eccezionale per l’Europa, unico prelievo possibile nella situazione di urgenza all’entrata nell’euro? Ma poi è stata restituita per ristabilire la situazione di normalità che l’emergenza aveva fatto destabilizzare in modo, peraltro, molto meno dirompente di quanto avvenuto nel 2012 nella proprietà immobiliare, e quindi nella vita delle famiglie italiane.
Sembra che sia stata dimenticata la selva di elemetti di edili che riempì un piazzale davanti a una sede istituzionale, sembravano lapidi di un cimitero di guerra. Vittime della guerra dell’IMU scatenata da una cecità colpevole alla quale dovrà seguire un ripensamento operoso basato sui dati di una realtà che deve essere rovesciata: perché si scoprano quelle tombe, si levino quei morti, l’edilizia torni a produrre, le famiglie a consumare, il Paese risorga a nuova vita. Su questo il governo dovrà impegnarsi ripartendo dalla tassazione 2011 con l’incremento ragionevole che ci si può attendere dalle imposte in momenti difficili e non l’iperbolico moltiplicatore che le ha portate alle stelle.
Le misure compensative del gettito si trovano, basta cercarle dove non producono danni a settori vitali – com’è avvenuto per l’aberrante vessazione sull’edilizia che ha portato al crollo di domanda e offerta – e dove possono ripartirsi su una platea di contribuenti tanto vasta da non pesare in modo così abnorme sui singoli.
Info
Le immagini sono state riprese, nell’ordine, dai siti web seguenti: Iorio immobiliare, Public policy e Hd healthdesk, che si ringraziano per l’opportunità offerta.