di Romano Maria Levante
Per presentare la nuova mostra in corso a Castel Sant’Angelo dal 21 maggio al 5 novembre 2013, “Capolavori dell’archeologia. Recuperi, ritrovamenti, confronti” sui tesori salvati dalle forze dell’ordine, ci sembra interessante ricordare quella che nel 2011 ha celebrato il 150° dell’Unità d’Italia sotto il profilo artistico. Organizzata, come la mostra attuale e altre del passato sul tema, dal Centro Europeo per il Turismo, si è svolta nella stessa sede prestigiosa dal 20 aprile all’11 settembre 2011 con il titolo “Arte forza dell’Unità. Unità forza dell’Arte”, per sottolineare il cemento unitario dato al Paese dalle opere d’arte e la salvaguardia assicurata dall’impegno comune. Le opere, di grande valore artistico, hanno dato la misura della forza dell’arte coniugata all’unità.
Luca Signorelli, “Flagellazione”, XV-XVI sec., salvata da P. Rotondi
Analogamente alle altre mostre organizzate a Castel Sant’Angelo dal Centro Europeo per il Turismo – ricordiamo quella del 2009 sui “Tesori invisibili” – anche questa ha unito all’aspetto celebrativo un forte contenuto didattico; ci ha fatto ricordare e in qualche caso apprendere ciò di cui si parla poco, forse perché “il bene non fa notizia”, come scriveva Aldo Moro nell’ultimo editoriale su “Il Giorno”. Il bene è la salvaguardia, un lavoro oscuro e silenzioso, ma quanto mai efficace, spesso risolutivo. Ebbe a dire il Segretario generale dell’Onu Kofi Annan nel 1999, riferendosi alla prevenzione, che “i benefici non sono visibili, essi sono i disastri che NON sono avvenuti”. Nel caso delle opere d’arte si tratta delle due linee di salvaguardia, quella dalle distruzioni e dalle spoliazioni della guerra e quella dai trafugamenti operati dalla criminalità; poi la terza, la tutela mediante il restauro che recupera l’opera impedendone il deterioramento.
A queste tre forme di salvaguardia erano dedicate le tre sezioni della mostra, ognuna ricca di opere di valore a testimonianza dei risultati tangibili del lavoro compiuto in modo spesso oscuro ma con successi che, come si vede, possono essere eclatanti. E siamo lieti che il bene possa fare notizia!
La salvaguardia dagli eventi bellici
“Uno Schlindler tutto italiano – esordì l’allora sottosegretario ai Beni culturali Francesco Maria Giro nel presentare la mostra – Così può essere definita la figura di Pasquale Rotondi, soprintendente della regione Marche il quale, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, ebbe il merito di preservare dalla distruzione e dal saccheggio più di 10.000 opere d’arte”. Salvatore Giannella lo ha definito “salvatore dell’arte e dell’anima dell’Italia”, ed è stato giusto celebrarlo nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Nominato soprintendente della Galleria delle Marche di Urbino il 1° ottobre 1939, scelse la Rocca di Sassocorvaro come deposito per custodire quella che definì “la più grande concentrazione di opere d’arte mai messe insieme nella storia dell’umanità”, 5180 opere dai musei delle Marche, 1307 da Venezia, altre da Lagosta; nell’aprile 1943 aprì un nuovo deposito a Palazzo Carpegna per centinaia di opere da Venezia, da Roma e dal Lazio.
Non si trattò di un lavoro semplice considerando che c’erano anche molte opere di Raffaello e Piero della Francesca, Carpaccio e Giorgione, Bellini, Mantegna e Paolo Uccello, per citare i più celebri, che facevano gola agli occupanti e sarebbero andate irrimediabilmente perdute senza la sua azione efficace e coraggiosa; è rimasto il suo “Diario” a cui diede il titolo “Opere d’arte nella tempesta della guerra”, che descrive le vicende romanzesche nel libro sulla sua storia “L’Arca dell’Arte”.
Hans Memling, “Ritratto d’uomo con lettera“, 1475-80, salvata da R. Siviero,
L’attività di salvataggio a Genova vede impegnato il soprintendente Antonio Morassi, in un’azione instancabile per individuare nuovi depositi in aggiunta a quelli insufficienti e in sostituzione di quelli inutilizzabili perché colpiti dai bombardamenti, come Palazzo Bianco; azione resa difficile anche per le resistenze delle grandi famiglie a far portare via dai loro palazzi per metterle al sicuro le opere d’arte che vi erano contenute. Di tutto questo sono rimaste le lettere di Morassi al soprintendente del Piemonte, al Podestà di Genova e ad altre autorità, e le sue annotazioni nel cosiddetto “giornale degli sgomberi”: le opere “sfollate” venivano trasferite con automezzi e motobarconi anche nell’Isola Bella sul Lago Maggiore fino alla sospirata collocazione in luoghi relativamente sicuri. Per quest’ultimo salvataggio ci furono accordi di Morassi con i soprintendenti di Torino Aru e di Milano Pacchioni, sicché l’isola servì da ricovero per le opere delle tre regioni.
Il soprintendente alle gallerie della Lombardia Guglielmo Pacchioni fu tra coloro che si impegnarono maggiormente nella conservazione delle opere, cominciando dai rifugi sotterranei milanesi, in particolare sotto il Castello Sforzesco e nel caveau della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde; poi trasferendo in Umbria una serie di capolavori di Raffaello e Piero della Francesca, Caravaggio e Gentile da Fabriano, Bramante e Mantegna, Bellini e Canaletto, tra i più famosi; e anche in ville isolate lontane da rischi bellici come Villa Fenaroli a Seniga d’Oglio.
Tra i soprintendenti citati – Morassi per Genova, Pacchioni per Milano, Rotondi per le Marche – più Sorrentino per Bologna, vi furono accordi volti a costituire una sorta di rete di depositi e rifugi per le opere d’arte, anche di grandi dimensioni, come la pala di San Bartolomeo del Lotto trasferita da Bergamo ad Arona e il Polittico Averoldi di Tiziano all’Isola Bella. La rimozione delle principali opere d’arte dai musei e dalle chiese lombarde fu ultimata nel giugno 1943, appena in tempo perché i bombardamenti di agosto colpirono musei e chiese della regione distruggendone gran parte.
Altri nomi vanno additati alla riconoscenza nazionale per l’opera di salvataggio compiuta con spirito di abnegazione. Noemi Gabrielli, che operò tra la Liguria e il Piemonte, regioni in una prima fase con un soprintendente unico; Emilio Lavagnino che, pur non avendo incarichi ufficiali, fu determinante per il trasferimento di molte opere d’arte in Vaticano neutralizzando i tedeschi; Palma Bucarelli la quale capì come il rischio mortale per le opere d’arte si fosse aggravato dopo l’armistizio dell’8 settembre che poteva esporle al saccheggio dei tedeschi e si prodigò a Roma per scongiurarlo; Bruno Molajoli, soprintendente a Napoli che riuscì a trasferire imballate 60.000 opere da una città tra le più colpite dai bombardamenti che la distrussero per il 40%.
Armando Spadini, “La colazione”, 1911, salvata da P. Bucarelli
Dove l’azione dei soprintendenti non è riuscita ad evitare l’asportazione delle opere è intervenuta l’attività di recupero che ha avuto come ideatore e protagonista Rodolfo Siviero, un ufficiale del Servizio informazioni militari dell’esercito alla cui ispirazione di appassionato d’arte si deve la creazione nel 1943 dell’Ufficio per il recupero delle opere d’arte che alla fine del 1944 fu inquadrato nelle Forze armate italiane in fase di ricostituzione. In effetti, già con un’attenta raccolta di informazioni sugli spostamenti delle opere d’arte e sulle intenzioni dei tedeschi, Siviero riusciva a compiere salvataggi preventivi nascondendo le opere prima che fossero prelevate.
Le temute SS avevano costituito un ufficio alle dipendenze di Himmler che con il pretesto della “protezione” trasferiva al Nord Italia le opere per poi portarle in Germania. Ma l’attività informativa svolta anche attraverso l’intercettazione di messaggi, consentì di avere una mappa completa delle opere trasferite, e Siviero ottenne l’unica modifica al Trattato di pace con la sola forma di riparazione da parte della Germania: la restituzione di molte opere sottratte, avvenuta tra il 1947 e il 1953 alla missione italiana capeggiata da Siviero, e la loro attribuzione allo Stato italiano.
La sottrazione delle opere d’arte da parte degli eserciti stranieri non è nata di certo nella seconda guerra mondiale, non si possono dimenticare le razzie napoleoniche e, per restare nel periodo delle celebrazioni del 150°, quelle degli austriaci nella Grande guerra e anche prima. Il recupero di queste ultime fu dovuto all’azione sagace ed energica di Roberto Segre, generale dell’esercito che guidò la missione militare italiana a Vienna per il rispetto delle clausole dell’armistizio del 4 novembre 1918; le trattative svoltesi dal gennaio 1919, oltre alla restituzione dei prigionieri riguardarono il recupero delle opere d’arte: Segre fece un accurato inventario di tutte le opere portate via dagli austriaci e chiese con molta energia la restituzione integrale di quelle comprese nel suo lungo elenco, superando le resistenze dell’Austria sconfitta con la sua incrollabile determinazione.
Le opere esposte sono un campionario significativo dello sterminato patrimonio artistico recuperato. Vediamo tra le altre la statua di Artemide tipo Versailles del II secolo dopo Cristo, mutila ma di notevole fascino e il marmo con San Giovannino di Gregorio Di Lorenzo, la terracotta smaltata e il marmo scolpito di due Madonne col Bambino di Lorenzo Buglioli e di un anonimo scultore toscano, una Testa di Madonna in pietra e una Croce reliquario di Bottega napoletana, un Cofanetto nuziale in osso scolpito e oggetti ornamentali della necropoli di Campo Consolino.
Il campionario di pitture presenta grandi nomi: lo spettacolare ovale di Tiepolo con il Trasporto della Santa Casa di Nazareth a Loreto e Luca Signorelli con Flagellazione, Federico Barocci con San Girolamoe Berardo Cavallino con Santa Cecilia in estasi. Poi ecco due Ritratti femminili, uno di Bernardino Licinio, l’altro già attribuito a Raffaello, le ricche composizioni Betsabea al bagno di Jacopo Zucchi e il Giudizio Universale di Palma il Giovane. Fino a tre dipinti accomunati dalla tecnica dello “sfuocato”nei contorni, come un “non finito”: “Una processione a Ponte Sant’Angelo” di Federico Faruffini, “Lo studio” di Antonio Mancini e “La colazione” di Armando Spadini, con effetti impressionistici.
Giovanni Boldini, “Il pianto (Ritratto di giovane donna)”, 2011, recuperata dai Carabinieri del Nucleo T.P.C.
Il recupero delle forze dell’ordine
L’altro fronte contro il nemico del patrimonio artistico è quello del trafugamento da parte della criminalità. Il contrasto delle forze dell’ordine, Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza, ottiene risultati spettacolari con il ritrovamento delle opere trafugate anche all’estero e la consegna alla giustizia degli autori dei furti. E’ un fenomeno di vasta portata, se si pensa al colpo avvenuto negli scorsi anni a Parigi con l’asportazione di parecchie importanti opere; che va indietro nel tempo, se pensiamo alla spoliazione delle tombe egizie, oltre alle normali necropoli; nei tempi moderni basta rifarsi al trafugamento della “Gioconda”, poi recuperata come molte delle opere sottratte.
Se n’è parlato in occasione di precedenti mostre a Castel Sant’Angelo dedicate proprio ai ritrovamenti, con l’esposizione del celeberrimo Vaso di Eufronio e anche della ceramica con la “Madonna di Pompei” trafugata a Castelli e ritrovata dopo molti anni allorché una vecchietta del paese che guardava in televisione un servizio sulle aste di Christie’s, la riconobbe, così si misero in moto i Carabinieri e riuscirono ad ottenerne la restituzione; e quando si sono avuti importanti ritrovamenti da parte del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, come i due paesaggi romani di Van Wittel e tante altre opere d’arte e reperti archeologici, successi documentati dalla relazione annuale sull’attività del nucleo suddetto.
E’ un’attività preventiva e repressiva, d’investigazione e di intervento diretto, di azione poliziesca e diplomatica, che s’innesca con la segnalazione dell’opera da chi l’ha scoperta: allora inizia il delicato lavoro del recupero presso gli effettivi possessori che cercano di resistere a oltranza.
Le opere esposte erano state selezionati nel repertorio vastissimo dei ritrovamenti in una sequenza che inizia con la “Statua di Giove”, del I secolo dopo Cristo in due versioni: in marmo dal torso nudo acefalo e il mantello dal morbido panneggio; in bronzo, ben conservata a parte la mutilazione del braccio destro e della mano; poi la “Statua della Fortuna”, un tronco acefalo e mutilo. Chiudevano la serie due “Crocifissi” , uno del XII secolo in stile arcaico, l’altro del XVI-XIX.
La pittura è sempre la regina delle arti: nelle opere esposte spiccavano tre “Madonne con Bambino”su tavola, due a tempera di Giovan Battista Cima e Jacopo Spinolotto, una a olio alla maniera di Giovanni Bellini. E tre trittici, due su tavola, uno di pittore di scuola centro-meridionale con l’icona della maternità nel pannello centrale del tabernacolo, e nei due sportelli laterali immagini della Crocifissione e di sette santi; l’altro, del Borgognone, con tre imponenti figure di sante. Il terzo trittico, a olio, di un allievo del Maratta, forse Chiari, era stato smembrato dai trafugatori per commerciarlo più facilmente, in tre dipinti esposti affiancati, la Madonna con Bambino al centro, quattro santi nelle due parti laterali.
Altri temi religiosi in opere dalle prestigiose attribuzioni: “Cena in Emmaus” alla scuola di Dirk Von Baburen, “Noli me tangere” a Pietro da Cortona, e “San Sebastiano curato dalle pie donne” a Francesco Rustici. Concludiamo questa rassegna con dei temi profani: “Atteone scopre Diana” di Ippolito Scarsella, dalla Collezione del Castello di Lanciano, e due raffigurazioni a mezzo busto, “Ritratto di Innocenzo IX” della bottega di Giovanni Maria Moranti e “Il pianto (Ritratto di giovane donna)” di Giovanni Boldini, un’immagine luminosa.
Erano esposti anche altri recuperi: la “Bandiera di guerra” della Brigata “Calabria” e cinque puntali in bronzo dorato, un prezioso Calice e una caratteristica scultura di Botero, “Gatto”.
Ogni opera era illustrata da un cartellino con indicata la forza dell’ordine che l’aveva recuperata, ne abbiamo contato 13 dei Carabinieri, 7 della Guardia di Finanza, 3 della Polizia di Stato.
Guercino, “San Francesco riceve le stimmate”, 1633, recuperata dai Carabinieri del Nucleo T.P.C., restaurata dell’ISCR
La salvaguardia con il restauro
La sezione dedicata alla salvaguardia attraverso il restauro illustrava quest’attività meritoria svolta, insieme all’Opificio delle pietre dure fiorentino, dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro fondato nel 1939 su progetto di Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi per dare basi scientifiche e metodologie unificate agli interventi conservativi sulle opere d’arte.
Carlo Emilio Gadda nel 1942 parlò di “chirurgia dei quadri”, una chirurgia conservativa senza interventi “ricostruttivi” e tanto meno le “addizioni” che invece furono la regola nei metodi di altre epoche, come si è visto nella mostra della Fondazione Roma su “Roma antica nella visione del ‘700”. L’attività formativa svolta nell’Istituto garantisce elevati livelli di qualificazione e rigoroso rispetto delle metodiche.
Per sottolineare l’importanza di quest’attività erano esposte soprattutto opere restaurate nell’ambito della didattica, evidenziando la versatilità oltre all’alta professionalità degli interventi su materiali molto diversi, illustrati anche nelle diverse fasi e nel confronto prima e dopo la “cura”.
Si andava dalla “ceramica archeologica figurata” del “Cratere attico a figure nere” del 530 a. C. al vetro istoriato del “Contenitore in vetro con decorazioni applicate serpentiformi” del III secolo d. C.; dal marmo bianco della scultura, seconda metà dell’‘800, di Giuseppe Lazzerini, “Allegoria della Morte” allegno scolpito di due “Madonne con Bambino” del XIV secolo, da quello istoriato di “Lanzichenecco che brinda”, XVI-XVII secolo, a quello inciso e punzonato del “Cassone nuziale” del XV secolo, dall’acciaio forgiato e laccato dell’“Elmo Suji Bachi Kabuto”, stessa epoca, al bronzo della scultura “Acquamanile con cavallo e cavaliere” del XIII secolo; dal cuoio della “Portiera in cuoio dorato e dipinto” del XVI secolo a quello conciato al vegetale dei “Sandali pontificali” del XIII. Tra tante opere anonime la terracotta invetriata del XV secolo, “Testa di giovinetto”, spiccava per il suo autore, nientemeno che Luca della Robbia, e per la splendida fattura, dalla fisionomia realistica all’intensa caratterizzazione psicologica.
L’excursus sui materiali riconduce alle chiese con la terracotta smaltata della “Figura di angelo genuflesso”, inizi XVI secolo, e le lamine d’argento decorate a motivi vegetali e araldici della “Stauroteca in argento dorato e cristallo di rocca”, XIII-XIV secolo;, il prezioso taffetas laminato-broccato della “Pianeta” e ricamato con seta delle “Mitrie”, tutti del XVIII secolo, fino alla maglia rasata delle “Coppie di guanti” del XVI-XVIII secolo.
Materiali preziosi come argento e oro, coralli e perle si trovavano insieme a legno e vetro, cristallo di rocca e tessuto di seta nel “Reliquario della testa di San Giovanni Battista”, fine XIV sec., alto quasi un metro e mezzo e largo 50 cm, una reliquia con corone, teche e un reliquario con pilastri e statuine, archetti e piccole cariatidi, nicchie e smalti con le storie del santo; un restauro didattico che è stato un cesello. Ben diverso il legno intagliato e dipinto insieme al tessuto degli abiti di 5 statuette di 30-50 cm del “Presepio” di Imperia, della bottega di Anton Maria Maragliano .
Il loro effetto pittorico introduce ai due dipinti che chiudono questa carrellata: la tempera su tavola fondo oro “San Jacopo Maggiore in trono” di Lorenzo Monaco, XIV secolo , e l’olio su tela “San Francesco riceve le stimmate”, del 1633, spettacolare nelle sue dimensioni, circa metri 2, 60 per 1,80 e nell’intensità del santo in ginocchio a braccia aperte verso un cielo corrusco, a terra un frate dormiente e un libro aperto, il “Cantico delle Creature”.
Ci è sembrata la più bella immagine di chiusura di una cavalcata nell’arte recuperata, salvata e restaurata che la bella mostra di Castel Sant’Angelo ci ha offerto nel 150° dell’Unità d’Italia. E anche la migliore premessa per la visita – e, da parte nostra, per il commento che faremo prossimamente – alla mostra nella stessa sede fino a novembre sui “Capolavori dell’archeologia”.
Info
Catalogo: “Arte forza dell’Unità. Unità forza dell’Arte”, con il sottotitolo “Gesta e opere dei grandi salvatori dell’arte raccontati in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia”, De Luca Editori d’arte, 2011, pp. 224, formato 24×28, euro 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per la mostre citate nel testo cfr. i nostri servizi: in “cultura.abruzzoworld.com” per la mostra del 2009 a Castel Sant’Angelo “I tesori invisibili” dello stesso Centro Europeo per il Turismo,il 10 luglio 2009; in “notizie.antika.it” per la mostra “Roma e l’antico. Arte e visione nel ‘700” della Fondazione Roma il 3,4,5 marzo 2011, sito nel quale ci sono anche i nostri servizi sui recuperi delle forze dell’ordine, in particolare del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, il 12, 15 febbraio e 9 maggio 2010, il 12, 21 gennaio e 12 giugno 2012.
Foto
Le immagini sono state riprese alla presentazione della mostra o fornite dall’organizzazione, il Centro Europeo per il Turismo, che si ringrazia, con i titolari dei diritti. In apertura Luca Signorelli, “Flagellazione”, XV-XVI secolo, salvata da P. Rotondi; seguono Hans Memling, “Ritratto d’uomo con lettera“, 1475-80, salvata da R. Siviero, e Armando Spadini, “La colazione”, 1911, salvata da P. Bucarelli, poi Giovanni Boldini, “Il pianto (Ritratto di giovane donna)”, 2011, recuperata dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, e Guercino, “San Francesco riceve le stimmate”, 1633, recuperata dai Carabinieri del Nucleo e restaurata dell’ISCR; in chiusura Giambattista Tiepolo, “Trasporto della Santa Casa di Nazareth a Loreto”, XVIII secolo, salvata da P. Rotondi.
Giambattista Tiepolo, “Trasporto della Santa Casa di Nazareth a Loreto”, XVIII sec., salvata da P. Rotondi