Unità e regioni, 1. Scenario, Costituzione, Stato e Chiesa, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Il  convegno “Le ragioni dello stare insieme: le istituzioni, le politiche, le regole dell’unità nazionale”  svoltosi a Roma al Vittoriano il 23 giugno 2011 e aperto dall’allora  ministro Raffaele Fitto e da Ernesto  Longobardi del Ministero per i rapporti con le Regioni che lo ha promosso e curato, ha avuto come relatori Giuliano Amato per “La Carta Costituzionale”, Francesco Margiotta Broglio  per “I rapporti tra Stato e Chiesa”, Vincenzo Cerulli Irelli per “La Pubblica amministrazione”, Paolo La Rosa  per “Le Forze armate” e Paolo Peluffo per “La lingua italiana”. Realizzato da “Comunicare organizzando” di Alessandro Nicosia, già  impegnato nelle mostre celebrative, come l’esposizione “Regioni e Testimonianze d’Italia”, e nelle esposizioni permanenti “Museo centrale del Risorgimento di Roma” e  “Museo dell’Emigrazione”,  tutte al Vittoriano; oltre a convegni come  “Il  Viaggio in Italia, 150 anni di emozioni” a metà giugnoe la conversazione di Lucio Villari all’inizio di luglio 2011.

Al microfono il ministro Raffaele Fitto 

Il denso programma di celebrazioni spaziava nei diversi campi delle tradizioni e della cultura, si è espresso in mostre di artisti dell’epoca in “Pittori del Risorgimento” alle Scuderie del Quirinale e di grandi del ‘400 nel Palazzo presidenziale con le “Madonne Rinascimentali al Quirinale”. Nel Vittoriano e in altri siti monumentali c’è stata la mostra “Regioni e testimonianze d’Italia”, una vasta esposizione delle tradizioni e delle eccellenze nei territori del Paese. A Palazzo Venezia l’esposizione laziale del “Padiglione Italia”, l’innovativa  ricognizione di Vittorio Sgarbi sull’arte contemporanea con un centinaio di opere di artisti locali del primo decennio del 2000. Oltre al nuovo allestimento e ampliamento della mostra del “Museo centrale del Risorgimento”.

Il convegno – ha detto l’allora ministro Raffaele Fitto – ha voluto dare il senso dell’unità raggiunta in un lungo processo storico valorizzando le diversità regionali come fattore di forza e non di divisione.  Lo ha promosso il suo Ministero – curatore  Ernesto Longobardi – che ha cambiato più volte  denominazione aggiungendo nel 2010 la “coesione territoriale” ai “Rapporti con le regioni”.

Lo sviluppo delle autonomie nello spirito unitario è un sentimento diffuso nella gente prima che nelle istituzioni; nelle quali le Regioni non sono state presenti dal 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione, ma un ventennio più tardi. Otto secoli di divisione politica e territoriale e il carattere tardivo dell’Unità potevano scoraggiare l’articolazione regionale anche se ne erano un  presupposto.

Ma già al primo cinquantenario, nel 1911, le regioni furono rappresentate in un concerto unitario; anche nel 1961, al centenario svoltosi in un a fase di crescita ma con la spaccatura tra Nord e Sud e con la polemica sulla mancata attuazione della Carta costituzionale, la prevalenza del carattere aggregativo sulla divisione regionale derivò dall’antica cultura unitaria. “Il sentimento che ha costruito istituzioni e regole anche nelle autonomie è stato unitario  – ha concluso la premessa il ministro Fitto –  e viene espresso abbinando i rapporti con le Regioni alla coesione territoriale”.

Lo scenario unitario di un processo faticoso

Ernesto Longobardi ha parlato di un esame di coscienza collettivo nella ricerca della verità storica senza enfasi apologetiche, come ha auspicato il presidente Giorgio Napolitano, e ha sottolineato come le celebrazioni superavano le attese con tanti momenti di approfondimento, e “uno sguardo più profondo al passato”. Entrando nello specifico ha richiamato due aspetti del dibattito in corso.

Il primo tema è stato il federalismo, nelle aspettative di coloro che avevano aderito ai moti unitari;  poi prevalse l’accentramento, e c’è chi sostiene che si poteva percorrere una strada diversa senza l’accelerazione del 1861: “unione doganale e poi federazione”, cioè gli Stati esistenti che si mettono insieme senza perdere la propria identità. Perché non si è costituito sin da allora lo Stato federale? Con Lucio Villari  ha sostenuto che non era possibile, c’era la debolezza istituzionale di alcuni Stati troppo piccoli, quindi senza una forte coesione unitaria sarebbero prevalse le forze centrifughe.

Un secondo tema è stato il nesso tra unificazione e modernità, secondo studi di storia economica che misurano il benessere con indicatori diversi dallo sviluppo del PIL; come lo stato della sanità e il livello dei consumi. All’indomani dell’Unità la speranza di vita alla nascita era di 30 anni – che non si riscontra neppure nei paesi più poveri – mentre oggi è tra le più alte; la mortalità infantile di 200 su 1000, l’analfabetismo al Sud toccava l’84 per cento. Il processo di crescita è stato discontinuo e disuguale, con il divario Nord-Sud, ma si è diffuso  nel territorio in senso unitario.

E’ vasto lo scenario nel quale si sono inseriti i singoli aspetti di questo processo, a  prescindere dal dato strettamente  economico. Li ha citati anche come curatore del Convegno per il Ministero: la Costituzione e la Pubblica amministrazione, Stato e Chiesa e le Forze armate, la Lingua. Ha evocato l’espressione “fatta l’Italia si devono fare gli italiani”. L’azione delle istituzioni in  campi diversi ma convergenti è stata rivolta proprio a questo, se ci è riuscita è un giudizio storico che va posto al centro delle riflessioni e degli approfondimenti di una celebrazione non retorica.

La Carta Costituzionale, la parola a Giuliano Amato

Politico di lungo corso nelle posizioni di più alta responsabilità ed esperto costituzionalista, uomo di cultura ebrillante conferenziere, Giuliano Amato, Presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ha iniziato rilevando che “siamo capaci più di eccitarci per le ragioni del non stare insieme che dello stare insieme. Lo consideriamo retorica patriottica, lontana dalla realtà dove contano le diversità, le cui  ragioni risalgono nella storia”. E lo ha spiegato con il senso di inferiorità  rispetto ad altri paesi dal sentimento nazionale più antico: “Quando vinciamo siamo sorpresi al punto di esaltarci oltre misura di strappare un primato che davamo agli altri”.

Siamo un paese in cui “la classe dirigente ha sempre assunto la modernizzazione come il mezzo per colmare il divario rispetto agli altri e raggiungerli. Ci ha permesso di crescere il concetto unitario di storia comune della quale fanno parte le diversità, come la capacità di tradurle in unità.” Artusi ha presentato le tante cucine regionali come varianti della cucina italiana; come Dante promosse l’unificazione linguistica dalla molteplicità dei dialetti. “Insistiamo sulle diversità come se fossero più forti dell’unità”, del resto l’Economist nel servizio dedicato al nostro Risorgimento ha sostenuto che sull’unità hanno prevalso le diversità regionali; nel Regno Unito le tensioni regionali sono più forti “ma non mettono in discussione la loro identità nazionale, la Britishness”.

Come si colloca in tutto questo la nostra Costituzione? La Carta Costituzionale interviene come esempio di capacità di mettere insieme le prospettive diverse in un orizzonte comune, “è  la carta dello stare insieme”. In un storia unitaria così difficile, come ha detto Villari, “la Costituzione dovette essere centralista altrimenti non ci sarebbe stata per le forze centrifughe, aveva ragione Mazzini e non Gioberti”; la questione meridionale è dovuta anche a questo. I padri costituenti, politicamente divisi ma uniti dalla lotta comune pur se con prospettive diverse, “cercavano di capire la posizione dell’altro per trovare una sintesi, oggi si va nell’opposta direzione della delegittimazione reciproca”.

L’articolo 1 che fonda la Repubblica “sul lavoro” si deve all’insistenza di Mortati che volle legare la legittimazione all’attività lavorativa  e non allo status, vennero di conseguenza i Cavalierati del lavoro al posto dei titoli nobiliari aboliti dalla disposizione transitoria.

“Con l’articolo 7 non è stato costituzionalizzato il Concordato, ma si è istituzionalizzato il principio concordatario”, cioè i rapporti tra Stato e Chiesa regolati bilateralmente: per modificarli occorre una norma costituzionale, principio esteso alle altre confessioni dopo la revisione del 1984. L’iniziativa economica è riferita ai programmi nel senso di Einaudi e non a criteri di pianificazione.

Nella Costituzione, l’unità e indivisibilità della Repubblica viene sancita solennemente insieme a un regionalismo dotato di potere legislativo; il federalismo di Cattaneo non metteva in discussione l’italianità, nel 1848 nel Consiglio milanese tutti i provvedimenti furono presi in nome dell’Italia, e Amato ha citato “L’alfabeto italiano”, il volume da lui presentato. Al primo posto le libertà individuali, poi famiglia e scuola, quindi economia e infine politica e organizzazione dello Stato: la sequenza, basata su un’idea di Moro, fu adottata con un lavoro animato da  comprensione e condivisione spontanea pur nella guerra fredda e poco dopo l’esclusione dal governo della sinistra. “Se ignoriamo la forza della coesione e sopravvalutiamo le differenze – ha concluso Amato – siamo noi a creare un problema che  non c’è, essendo prevalente nel Paese il sentimento unitario”.

Stato e Chiesa, i due ordini sovrani che devono dialogare

Con Francesco Margiotta Broglio, docente all’Università di Firenze, sono si è entrati nei rapporti tra Stato e Chiesa come componente della vicenda postunitaria: iniziano dal conflitto con il Papa, che era sovrano temporale di uno Stato da debellare, e hanno trovato lo sbocco nella soluzione concordataria e poi nelle intese regionali su temi di interesse comune come i beni culturali. Dopo il 1848 si è accentuato il dissidio tra la Chiesa come società perfetta e lo Stato liberale che voleva acquisire competenze che fino ad allora le erano attribuite. Di qui una carrellata sulla separazione Stato-Chiesa e la  secolarizzare delle società religiose; il mantenimento del Concordato dopo la caduta del fascismo per non riaprire la questione romana, l’influenza della Chiesa attraverso il partito cattolico superiore per tanti versi al vecchio potere temporale, l’indebolimento del ruolo politico dopo la sconfitta nei referendum su divorzio e aborto, la fine dell’unità politica dei cattolici con la seconda Repubblica.

Scorrevano nelle sue parole i 150 anni dalla monarchia di Vittorio Emanuele II, da Cavour e Giolitti a Mussolini, poi a De Gasperi e al primo centrosinistra, fino ai tempi d’oggi con il bipolarismo destra-sinistra, il comunista D’Alema alla presidenza del Consiglio e l’italiano Prodi al vertice della Commissione europea. Dieci pontefici fino al primo papa non italiano dopo oltre quattro secoli, Giovanni Paolo II,  seguito da un altro papa straniero, Benedetto XVI, ancora non c’era Papa Francesco.

Nel corso di questa complessa vicenda storica si è posto il problema di armonizzare l’intero sistema di rapporti con i principi costituzionali: le relazioni tra i due ordini, Stato e Chiesa, autonomi e sovrani, sono disciplinate da regole conformi a tali principi, tra i quali la libertà nei riguardi della società civile. Dal Concordato con lo stato totalitario si è passati dopo il 1984  a forme di collaborazione anche a livello regionale per equilibri e interessi reciproci. Il dialogo ecumenico anche con le altre religioni e la missione pastorale hanno  sostituito i precedenti arroccamenti della Chiesa. La commemorazione comune dei caduti di entrambe le parti il 20 settembre 2010  a Porta Pia – che è il simbolo della fine del potere temporale – da parte delle autorità dello Stato e della  Chiesa, al livello di Segretario di Stato, è stato un momento molto significativo. Come lo era stata la rinuncia nel 1984 al carattere “sacro” di Roma, divenuto carattere ” particolare”; che di recente ha assunto altri aspetti con il riconoscimento di “Roma Capitale” sul piano istituzionale.

Dai temi più generali della Costituzione e dei rapporti tra Stato e Chiesa – l’architettura dello Stato unitario – il Convegno è  entrato negli argomenti più specifici nell’ottica dell’Unità del Paese: la Pubblica amministrazione e le Forze armate, fino a La lingua fattore di unificazione: ne parleremo prossimamente. La mattinata si è conclusa sulla terrazza del Vittoriano con la vista mozzafiato dello skyline della Capitale, a coronare e stimolare la riflessione  per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

Info

Il secondo e ultimo articolo sul Convegno al Vittoriano uscirà, in questo sito, il 28 giugno 2013, con il titolo “L’Unità nazionale nella diversità regionale: amministrazione, forze armate, lingua”.

Foto

L’immagine in apertura è stata ripresa da Romano Maria Levante al Vittoriano, parla il ministro Raffaele Fitto, al centro.