di Romano Maria Levante
La mostra “Giorgio de Chirico – Il ritratto figura e forma”, a Montepulciano dall’8 giugno al 30 settembre 2013, propone un enigma diverso da quello consueto delle piazze metafisiche: l’enigma del ritratto, un genere che dovrebbe essere rivelatore piuttosto che misterioso, ma non in de Chirico che copre un arco quanto mai vasto di forme espressive nelle quali la mostra scava in profondità. Le opere esposte, della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, sono state selezionate dalla curatrice della mostra, Katherine Robinson, che ha curato anche il Catalogo bilinguedi Marietti Editore, con un suo saggio sul tema che rappresenta una vera e propria teoria del ritratto dechirichiano, approfondita e analitica, da meditare per cogliere appieno l’essenza della mostra.
“Autoritratto giovanile”, 1932-33
L’aspetto monografico della ritrattistica come filo conduttore dell’esposizione e motivo centrale della ricerca trova nell’allestimento un’espressione quasi didattica: il visitatore è portato dal percorso espositivo a seguire un racconto per immagini e per suggestioni, in un’escalation di sorprese e di emozioni. Dal carattere inedito di molte opere, selezionate tra il gran numero custodito dalla Fondazione, nascono le sorprese; le emozioni dalla visione legata alla ricerca culturale del ritratto nelle varie forme. Una formula da ripetere pescando nella raccolta della Fondazione le opere che evidenziano singoli aspetti analizzati con approfondimenti tematici.
Dall’enigma delle piazze al mistero dell’essere
I risultati della ricerca della Robinson, confluiti nella mostra ed esposti nell’accurata nota critica, consentono di introdurre la nostra visita alle opere esposte, che ha avuto la stessa curatrice come prestigiosa guida; ne daremo per sommi capi i contenuti salienti, per il resto cercheremo di riprodurre il “racconto per immagini” nel quale si dipana l’enigma dechirichiano del ritratto. Si muove tra due poli, il ritratto classico e quello fantastico, un’alternativa che torna ripetutamente.
Il ritratto classico presenta elementi caratteristici, con le positure tipo finestra dai contorni evocativi di spazi e prospettive, su uno sfondo cromatico omogeneo pur esso carico di significati; per poi esplodere negli autoritratti in costume, dove la classicità si fonde con la fantasia anche se sono ripresi dal vero, indossando l’artista costumi dell’Opera di Roma.
Mentre il ritratto fantastico si apre alle tante varianti della poliedricità di de Chirico, in cui la metafisica irrompe con tutti i suoi misteri. Non è la metafisica delle piazze ma quella dei manichini dalle teste ad uovo a dare il tono al ritratto fantastico, con l’ardire assolutamente inedito di cancellare gli elementi essenziali della fisionomia, cioè i segni del viso, per dare qualcosa di più e di diverso, l’universalità dell’essere umano, al di là dei caratteri individuali. Anche nelle sue impostazioni teoriche l’artista ha sottolineato questo aspetto, addirittura propugnando il ritratto di una statua rispetto a quello di un modello vivente, per non essere sviati da elementi personali transitori e potersi concentrarsi su quelli permanenti ed eterni: le teste ad uovo in questa spersonalizzazione sono perfette ma poi, evoluzione nell’evoluzione, con la neometafisica torna la carne viva ad umanizzare i freddi manichini.
I contenuti sottesi al ritratto cercano così nuove forme espressive, le stesse figure degli archeologi e di personaggi mitici, dagli argonauti ai centauri, accolgono visivamente elementi che rimandano al loro vissuto, e al vissuto dell’umanità nella sua evoluzione storica; mentre altre figure esprimono la profondità dell’ispirazione negli stessi titoli, il “Pensatore” e il “Meditatore”, il “Contempl,atore” e il “Poeta”, e se c’è in loro un’universalità non è distaccata e astratta ma viva e reale.
Lorenzo Canova sottolinea la compresenza degli opposti, “il volto e lo spettro”, cosa che gli fa ritenere come “il de Chirico sia rimasto sempre metafisico e che il suo era lo sguardo del vaticinatore che scopre realtà ignote non solo nelle cose, ma anche negli stessi esseri umani” trasformandoli “in statue e spettri” . E nel dire questo il critico cita lo stesso de Chirico che nello scritto “Riflessioni sulla pittura antica” ha sottolineato i due aspetti della realtà, “quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro lo spettrale o metafisico, che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica”.
La Robinson sottolinea a sua volta l’aspetto della fantasia, che porta l’artista alla visione propria delle cose, diversa da quella corrente. E cita le parole con cui Courbet, nel 1924, nega che fantasia sia immaginare cose non viste: “A un pittore e un artista in genere la fantasia, più che a immaginare il non visto, serve a trasformare ciò che vede” anche perché la sfera visibile confina con la banalità. Invece, conclude la Robinson, “attraverso una traiettoria temporale e plastica, fatta di figure e forme, di immagini, spazio e materia, de Chirico ci avvicina al grande mistero dell’esistenza e della creazione: la rivelazione delle idee, lo spazio come forma poetica, il mistero della fusione tra luce e materia in pittura e il forte pathos della stessa esistenza delle cose”.
“Ritratto di Isa con spalliera rossa”, 1936
Il ritratto classico e fantastico, paradigma dell’esistenza
Seguiamo idealmente il percorso ideato dalla curatrice e realizzato con un allestimento magistrale, prima di farlo praticamente nella visita alla mostra con il filo d’Arianna del suo approfondimento critico. Che è il percorso ideale dell’artista, e parte dal primo autoritratto, quando vi scrive “Et quid amabo nisi quod aenigma est?”, rivelando di essere attirato dal ritratto più che per le sembianze esteriori, per l’anima interiore, intanto la propria per poi passare all’anima universale: è del 1911, l’anno dopo l’esplosione metafisica, l’enigma diventa centrale anche nel ritratto oltre che negli esterni. E rappresentandosi nella posa di una nota foto di Nietzsche crea “un doppio ritratto di sé e del filosofo” prediletto, fornendo una chiave di lettura tutta proiettata all’introspezione.
Aver dato un messaggio di questa forza e contenuto in un autoritratto apparentemente tradizionale è un’indicazione preziosa a guardare i ritratti con spirito investigativo e di ricerca come ha fatto la Robinson, rivelando nessi reconditi tra opere diverse stilisticamente e nei contenuti, prodotte nelle varie fasi della sua vita artistica. Molto differenziato, infatti, è lo stesso ritratto classico, dal modello rinascimentale a quello barocco, dall’attenzione all’anatomia a quella alla fisionomia. E lo è ancora di più il ritratto fantastico, al quale la metafisica porta le sue innovazioni rivoluzionarie che cancellano la fisionomia per i contenuti universali, dal manichino con la testa ad uovo agli archeologi ed altri soggetti nei quali è evidenziato visivamente il vissuto della società.
In questa situazione, è quanto mai complesso ma nel contempo intrigante l’intento della curatrice: “Il problema che si presenta è quello di indagare sul ruolo che la figura umana, o umanizzata, gioca nella costruzione dell’universo iconografico e pittorico di de Chirico, e di capire quali sono i meccanismi che la sua maestria visionaria scatena sul piano sensoriale e intuitivo dell’osservatore”.
L’indagine inizia dal disegno, alla base del ritratto, secondo i principi teorici enunciati dall’artista nel “Ritorno del mestiere” del 1919: “I nostri maestri, prima di ogni altra cosa, c’insegnarono il disegno; il disegno, l’arte divina, base di ogni costruzione plastica, scheletro di ogni opera buona, legge eterna che ogni artefice deve seguire”. Mette in pratica questi dettami con i “d’aprés” iniziati nei musei romani e fiorentini nello stesso anno, che lo accompagneranno sempre: l’ultimo lavoro in cui era impegnato prima della scomparsa è un nuovo “d’après”, incompiuto, anzi appena delineato, del michelangiolesco “Tondo Doni”, riprodotto già nel 1920.
Poi “l’artista doppio, triplo, quadruplo, il de Chirico multidimensionale”, viene esplorato dalla curatrice nella “pluridirezionalità” della sua opera, sottolineando come il ritratto affianchi la sua produzione di esterni e interni metafisici con un evidente parallelismo. Infatti alla figura umana si affianca quella universale senza lineamenti né identità, altrettanto inquietante, spesso anche nel titolo, delle lunghe ombre negli spazi assolati tra solitudine e attesa.
“Il pittore di cavalli”, 1974
L’esplorazione si addentra nel ritratto classico, e mostra la passione con cui l’artista vi si dedica attraverso una serie di “d’apres” nei quali recepisce le scelte stilistiche e di contenuto di grandi del passato quasi identificandosi in loro ma sempre con il proprio segno personale, in una vera simbiosi.
A questo riguardo Victoria Noel Johnson si chiede “quale obiettivo si prefiggeva l’artista” e se riuscì a raggiungerlo; e cerca di indagare se si concentrasse sempre su un elemento – tra stile e tecnica, disegno e colore, composizione e soggetto – oppure se avesse “di volta in volta priorità diverse”. Trova la risposta nel fatto che le priorità variavano in relazione con la sua visione metafisica del momento, tenendo conto che i grandi da lui prediletti erano uniti dal genere del ritratto, e dal suo “obiettivo tradizionale: rendere visibile l’essenza universale delle cose”. E questa si esprime nella metafisica che vuole evocare “ciò che esiste oltre questa sfera, al di là dei limiti di tempo e spazio”; quali che siano i contenuti, “sono sostanzialmente sospesi nello spazio e nel tempo. La loro essenza è elevata a un punto di animazione perpetua, inalterata da fattori cronologici o fisiologici”. Anche la sua “ritrattistica storica” può rientrare in questa visione.
Ma è il ritratto fantastico la sua rivoluzione, che parte dalla prima fase metafisica, dagli anni ’10 – in mostra opere dalla metà degli anni ’20 – e riprende nella neometafisica fino al 1976, due anni prima della morte. E’ forse la fase più coinvolgente, l’artista ha ottant’anni e riprende i suoi soggetti dai Manichini agli Archeologi, dalle Muse ai Gladiatori: con una minore inquietudine rispetto alle opere della prima metafisica, le luci sono più intense, i colori più vivi, e questo rende l’atmosfera più serena.
La galleria della ritrattistica di de Chirico è molto ricca: da soggetti familiari, soprattutto la moglie Isa, ad altri personaggi, ma soprattutto si alimenta di una vasta serie di autoritratti che, commenta Lorenzo Canova, sono “legati al mascheramento, al doppio, all’epigrafica comunicazione di messaggi”. Il volto, secondo il critico, “scomparirà e riapparirà”, assumerà tante sembianze, anche di figure marmoree e di ruderi antichi, con “una costante comune: quell’aspetto spettrale delle persone e delle cose che, secondo de Chirico, solo l’artista metafisico col dono della profezia è capace di cogliere”.
“Gladiatori dopo il combattimento”, 1968
Perché a Montepulciano: l’invitante cornice della mostra
Una domanda ci siamo posti prima di visitare la mostra entrando nella storica Fortezza: perché a Montepulciano? Dalle parole della curatrice ci è parso di capire che è stata un’iniziativa locale, ha visto come promotori personalità appassionate che hanno spinto Rotary Club e Comune a proporre la mostra alla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico;l’accettazione è stata entusiasta, con l’idea di imperniarla sul ritratto, figura e forma. In fase operativa si è aggiunta la locale Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte.
Questo prima di visitare Montepulciano. Dopo aver percorso il paese e averne ammirato i tesori possiamo dire che è stata una felice intuizione, la “location” è quanto mai adatta a un artista come il grande de Chirico, che nella storia e nella configurazione della sua Valos ha trovato tanti motivi di ispirazione. Di lì gli argonauti e le altre figure mitologiche, la classicità e anche tanti spunti metafisici. Lorenzo Canova con il suo ” Nelle ombre lucenti di de Chirico” del 2010, addirittura ha voluto rivivere di persona nella realtà quegli scenari e quegli ambienti descrivendone la suggestione che ha portato alla naturale trasposizione nelle opere dell’artista. Ora Roberto Longi in occasione della mostra ha compiuto un’operazione diversa ma per certi versi speculare, ha descritto una visita immaginaria di de Chirico a Montepulciano, come “un enigma, un po’ dechirichiano'”.
E allora vediamo come l’ambiente calzi a pennello, per usare un modo di dire evocativo: dalle “panoramiche uscite prospettiche, che guardano all’infinito”, con gli sfondi del paesaggio collinare toscano visibili negli squarci tra i palazzi rinascimentali che fanno quasi da quinta teatrale, alla straordinaria Piazza Grande, dove si avverte un’atmosfera di sospensione, “quel senso di estraniamento che egli riporterà con sublime acutezza nelle tante vedute delle sue Piazze d’Italia”; dallo “spazio urbano di radice storica particolarmente amato e fonte di ispirazione per buoe della poetica dechirichiana” alle raccolte museali che avrebbero fatto sentire a casa propria un appassionato come lui, che frequentava i musei di Roma e Firenze per dipingere i “d’aprés” dall’originale, tanto più per la mostra con riferimento alla ricca ritrattistica della raccolta Crociani.
A questi spunti che Longi propone “tra realtà e ipotesi” vogliamo aggiungerne uno del tutto personale, una scoperta che forse sarebbe piaciuta anche a de Chirico ma che è certamente preziosa per il visitatore: le Cantine storiche dove sono stipate ordinatamente le botti del “vino nobile di Montepulciano” denominazione che risale al 1787, e ha avuto i massimi sigilli di qualità dei DOCG, “denominazione d’origine controllata e garantita”.
Ebbene, l’appassionante circuito delle cantine storiche l’abbiamo iniziato dalla sconfinata Cantina Contucci a Piazza Grande, sotto il palazzo cinquecentesco di Antonio da Sangallo, nel cui salone c’è un grande affresco, insolito in un edificio privato. Siamo scesi nelle viscere del palazzo in una inattesa statuaria vinicola, fatta di botti di ogni dimensione, fino a quasi 40 ettolitri, allineate sui piedistalli come in una foresta pietrificata, ce ne sono più di 100 nel piano visibile, sotto ci si dice vi sono altri tre piani sotterranei dove si procede anche alla vinificazione: che, è un vero miracolo, avviene nel cuore del centro storico. E uno spettacolo offerto ai visitatori, insieme alle degustazioni e al contatto con la produzione vinicola di eccellenza; un omaggio a Bacco che consolò l’Arianna malinconica delle piazze metafisiche.
Scendendo lungo il Corso, tra la casa natale di Angelo Poliziano, il teatro a lui intitolato e altri antichi edifici, c’è una vera e propria teoria di cantine che invitano alla visita, i sotterranei sono più piccoli e limitati, le botti degradano fino ai 2 ettolitri, gli ambienti sempre caratteristici ma più vicini all’immagine di pur grandi cantine tradizionali che a quella di Contucci che evoca, non nelle proporzioni ma nell’immaginario, la “Cisterna Basilica” di Istanbul: la foresta pietrificata di colonne che si ergono sull’acqua, qui ci è piaciuto immaginare il mare di vino con le colonne trasmutate nelle botti lignee.
Il titolare dell’Azienda Contucci ha una posizione di rilievo nel Rotary Club promotore della mostra: Alamanno Contucci ne è un attivo consigliere, e dal prossimo luglio sarà anche assistente del Governatore per l’area toscana; con il socio Marcello Berna ha coadiuvato nell’organizzarla l’ideatore Gianluigi Matturri. E la Fortezza, sede della mostra, è da anni sede dell'”Anteprima del Vino Nobile”, manifestazione dei produttori locali che hanno dato un contributo decisivo al restauro costato 2, 5 milioni di euro. Nello storico edificio vengono concentrate le molteplici attività “enoculturali” di Montepulciano e dal 2014 vi andranno gli uffici del Consorzio del Vino Nobile con una enoliteca consortile, “La Casa del Vino Nobile”.
“Vita silente metafisica con busto di Minerva”, 1973
Di de Chirico c’è una raffigurazione enogastronomica in mostra, con l’uva bianca e nera della “natura morta”, anzi “vita silente metafisica” del quadro che reca la testa di Minerva. Nessun “Bacco” né “Bacchino malato” caravaggesco, ma molte Arianne, poste al centro delle sue piazze metafisiche come simbolo della malinconia esistenziale; un tema in lui ricorrente, vi identificava la malinconia italiana, considerata “carattere predominante della nostra razza”. Dieci anni fa c’è stata a Londra una mostra sulle Arianne abbandonate.
Ma se nella pittura si ferma a questo punto del mito, nelle scene e costumi per il teatro celebrò l’intero mito di “Bacco e Arianna”, il dio del vino che intervenne con tutta la sua vitalità per consolare Arianna lasciata da Teseo dopo che il suo filo lo aveva fattouscire dal labirinto. Per questo collegamento con Bacco, e per il suo ben noto interesse agli aspetti mercantili dell’arte alimentati dalla cultura, il gemellaggio con il mondo del vino nobile non gli dispiacerebbe.
E, di certo, l’eccellenza vinicola e le altre meraviglie del delizioso centro toscano con i suoi ipogei di “vita silente”, sono ulteriori motivi in più per visitare la mostra anche venendo da lontano. Le meraviglie delle opere di de Chirico le descriveremo prossimamente, raccontando la visita alla mostra dopo che ne abbiamo delineato i contenuti alla luce della ricerca svolta dalla curatrice Robinson, per noi una guida preziosa lungo tutto il percorso espositivo.
Provare per credere, noi lo abbiamo fatto venendo a Montepulciano, e ci piace renderne partecipi i nostri lettori.
Info
Fortezza di Montepulciano. Lunedì ore 16,00-20,00; da martedì a domenica 10.00-22,00 (ultimo ingresso ore 21,15). Ingresso intero 7 euro, under 25 ridotto 5 euro, under 12 gratuito. On line su circuito prevendita http://www.vivaticket.it/, tel. 0578. 757007. Catalogo bilingue, italiano e inglese: “Giorgio de Chirico. Il Ritratto, figura e forma”, a cura di Katherine Robinson, Maretti Editore, giugno 2013, pp. 192, formato 23×28, euro 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I successivi due articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il 26 giugno e 1° luglio 2013, con altre 6 immagini ciascuno. Per alcune mostre precedenti su de Chirico cfr. i nostri servizi in “cultura.abruzzoworld.com”: nel 2009 “I disegni di de Chirico e la magia della linea” il 27 agosto, “A Teramo de Chirico” ed altri grandi artisti italiani del ‘900 il 23 settembre, “De Chirico e il Museo, il lato nascosto dell’artista incompreso” il 22 dicembre; nel 2010 “De Chirico e la natura. O l’esistenza?”, tre articoli l’8, il 10 e l’11 luglio. Per la citazione della Cisterna Basilica cfr. i nostri 3 articoli sul “Viaggio a Istanbul”, in questo sito il 10, 13 e 15 marzo 2013.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Fortezza di Montepulciano alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione con i titolari dei diritti, in particolare la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, per l’opportunità offerta. In apertura “Autoritratto giovanile”, 1932-33; seguono “Ritratto di Isa con spalliera rossa”, 1936, e “Il pittore di cavalli”, 1974, poi “Gladiatori dopo il combattimento”, 1968, e “Vita silente metafisica con busto di Minerva”, 1973; in chiusura l’ingresso della Fortezza di Montepulciano, a sin. in alto sopra il portale è visibile il manifesto della mostra.
L’ingresso della Fortezza di Montepulciano, a sin. in alto sopra il portale il manifesto della mostra.