di Romano Maria Levante
L’estate “pretarola” si è riscaldata, per così dire, ad agosto inoltrato con la mostra “Lo sposalizio di una volta”, che ha ricostruito attraverso cimeli e fotografie i costumi di un tempo lontano ma non remoto in tre momenti fondamentali della vita: i primi incontri, il fidanzamento, lo sposalizio. Si è svolta dal 10 al 20 agosto, poi il 16 e 17 agosto la manifestazione “Pietracamela per l’arte”, imperniata sulla mostra di due pittori e un poeta, su fotografie e arte varia, fino alla performance teatrale conclusiva; e il 18 agosto la presentazione della ristampa anastatica del libro del 1930 “Il Corno piccolo”, di Ernesto Sivitilli, Accademico del CAI, fondatore del gruppo alpinistico di Pietracamela “Aquilotti del Gran Sasso”, il primo nel tempo anche rispetto alle Alpi. Della mostra “Lo sposalizio di una volta” daremo conto prossimamente, ora parliamo delle altre due manifestazioni.
Il paese, colpito dal terremoto del 2009 e dalla frana che un anno dopo, nel 2010, ha arrecato nuove ferite, attende il rilancio dopo i lavori di ripristino ambientale e logistico nell’area investita dalla frana e la ricostruzione delle abitazioni dissestate dal sisma. Lentezze burocratiche e difficoltà nell’erogazione dei fondi pur decisi o stanziati da tempo hanno impedito finora di effettuare le opere necessarie, a parte la pronta realizzazione degli appartamenti per i residenti con le abitazioni inagibili. A questo si è aggiunta la crisi che ha investito l’Abruzzo come la nazione.
Il sindaco Antonio Di Giustino ci ha detto comunque che i lavori per la frana inizieranno presto e anche per quelli relativi ai danni provocati dal sisma si sono fatti importanti passi avanti.
Nella situazione di attesa e di disagio, tuttavia, il paese ha mostrato vitalità nell’organizzare le manifestazioni sopra citate in un agosto che per questo motivo sarà ricordato come stimolante sul piano artistico e culturale. Mentre “Lo sposalizio di una volta” ha rievocato usi e costumi tradizionali, “Pietracamela per l’arte” ha presentato artisti abruzzesi immersi nella contemporaneità. E’ stata promossa dall’Amministrazione separata beni uso civico Pietracamela, il cui presidente Sergio Marchegiani ha messo la sua passione nell’affrontare i problemi organizzativi, mentre la direzione e cura è stata affidata alla competenza di Paolo di Giosia.
La mostra “Pietracamela per l’arte”
Si è svolta all’aperto, nel centro storico, con le opere pittoriche appese ai muri esterni di antichi edifici ed esposte nel belvedere panoramico intitolato al pittore Guido Montauti; oppure sul selciato dei vicoli che salgono o scendono nella conformazione molto particolare del borgo, la sera con la luce dei ceri a terra. Anche la performance teatrale finale è stata all’aperto, l’attore ha recitato i monologhi sulla scala della chiesetta di san Giovanni.
Due pittori molto diversi: Paolo Foglia ispirato a Modigliani, e in collegamento con un poeta, Francesco Barnabei; in “Versi su tela”; con loro Ennio Marini impegnato nella contemporaneità più avanzata.
Cominciamo dal binomio pittore-poeta, che abbiamo già conosciuto dal sodalizio tra il pittore Vincenzo Maugeri e il poeta Italo Benedetti, presenti insieme in mostre nelle quali ad alcuni quadri erano abbinate le poesie che li avevano ispirati. Anche qui ad ogni quadro era affiancata una poesia, a caratteri ingranditi, quindi facilmente leggibili, in un cartiglio inserito in una originale cassetta da frutta; ma non si riscontrava alcun rapporto diretto tra le due opere. La “location” è il Belvedere Guido Montauti, c’è il muro scrostato e soprattutto lo scorcio panoramico del paese.
L’abbinamento ci ha incuriosito, e ne abbiamo parlato con gli interessati che nel confermare l’evidente autonomia delle rispettive creazioni – pittorica e poetica – hanno sottolineato la comunanza di inquietudini e di speranze che ha scandito il loro sodalizio culturale. Come a suo tempo abbiamo cercato di esplorare il binomio Maugeri-Benedetti così abbiamo fatto nella nuova circostanza analizzando le loro opere.
I quadri del pittore, una quindicina, presentavano due volti maschili tesi e scavati da un’inquietudine profonda; due immagini di cariatidi, tema originale coltivato dall’autore che in uno dei due quadri pone il proprio volto a confronto con la mitica figura, gli altri dipinti visi e molti nudi femminili, come si è detto alla Modigliani, quasi in attesa con un’offerta di sé.
La donna con sullo sfondo l’inquietudine, dunque, sembra essere il tema e il motivo primario dei dipinti del pittore, che si dispiega in tele dal cromatismo discreto ma netto e definito. Cerchiamo di capire i motivi degli scritti del poeta che hanno indotto a intitolare la mostra “Versi su tela”.
Dai carrtigli esposti come altrettanti quadretti, incorniciati da cassette per la frutta, abbiamo colto alcuni versi che ci hanno colpito per la loro intensità. Eccone un campionario fior da fiore: L’inquietudine: “Diveniamo bersagli malinconici, adottiamo lettere mai scritte” e”Possiedo parole antiche, semplici lettere dimenticate”, poi “Guardavo avanti e non vedevo niente” e”Sospeso tra il dire e un fare, resto nascosto come una goccia che tarda a venire via”. Irrompe la donna, un miraggio salvifico: “Mi giro per cercare la parte che manca di te, ma sono solo, indosso il vestito di questo andare inquieto” e “Cercavo riparo all’ombra del tuo seno, rischiavo di sbandare tra le curve della carne tentatrice, sapevo benissimo dove volevo arrivare, abbandonarmi al vizio mutando le parole”, quindi “Vorrei inseguirti, abbracciami un momento, stancami ancora ma lasciti portare”, fino a “Poi mi diede un bacio come si svela un segreto, non avevo più un segreto da svelare ne avevo uno da custodire…”.
Dunque l’inquietudine, dunque la donna, nei versi di Barnabei; ma non erano i motivi che abbiamo colto nella pittura di Foglia? Qui forse è l’inquietudine in primo piano, con la donna sulla sfondo. Si potrebbe osservare che sono motivi che ricorrono nell’arte come nella vita, quindi è normale riscontrarli nella pittura e nella poesia che di arte e vita sono espressione diretta. Ci sembra, tuttavia, che la loro consonanza dia al binomio una valenza speciale, facendo intravedere reciproci influssi in grado di alimentare le rispettive ispirazioni. Non occorre che i versi siano tradotti in immagini corrispondenti, è già molto la consonanza di fondo delle ispirazioni e delle sensibilità.
Non richiede analogo approfondimento l’opera dell’altro pittore in mostra, Ennio Marini, immerso nella contemporaneità con la sua “Tecnica mista”: intesa sul piano materico, dato che si avvale di ferro, vetro e altri materiali, e sul piano pittorico con le sue composizioni volte all’astrazione. Un suo quadro è stato collocato tra quelli di Foglia, quasi come una “sentinella” in postazione avanzata, gli altri, in tutto quasi una ventina”, nei vicoli del centro storico.
Esempi materici quelli con cerchietti metallici o altro e la corona di spine, mentre la parte pittorica va da un cromatismo intenso con linee che si incrociano, a segni monocromatici e paralleli.
C’erano anche i lavori di Barbara Probo, di cui conoscevamo fini dipinti di fiori, dal titolo “Tappi”, grandi riproduzioni circolari con il marchio e i colori, in un gigantismo volto forse a sottolinearne l’invadenza ormai dominante. Vicino all’esposizione di tappi giganti, quella dei “Gioielli” d’uncinettodi Adele Altieri, la mostra di “crochet”, come espressione di quanto la gente d’Abruzzo ha saputo e sa produrre in un artigianato raffinato che confina con l’arte.
La mostra fotografica, intitolata in modo significativo “Pezzi di paese”, è stata curata direttamene da Paolo di Giosa. Composizioni di cartoline fotografiche e gruppi di fotografie per evidenziare alcuni spaccati di vita paesana, come le tre fotografie dei puntelli, sostegni e transenne nei vicoli, con due persone riprese di spalle che si muovono con circospezione, l’autrice è Elenora Mori che si esprime in un bianco e nero molto contrastato; il contrario di Cristina Di Saverio, le cui fotografie sembrano incisioni antiche, tanto sono chiare. C’è il paese visto dall’alto, una madonnella e l’acqua che scende, fino a un gruppo di frecce direzionali del Parco nazionale del Gran Sasso, peccato che nella realtà all’indicatore non corrisponde il sentiero percorribile e il tempo di percorrenza dato che è inagibile perché invaso da erbacce e arbusti, il Parco dovrebbe ripristinarlo e non solo segnalarlo con la freccia. Valeria De Remigis ha esposto due maschere-di volti totemici, altre interpretazioni del tema, il paese, da parte di Maria Caldarola e Fabio Ciardelli, Angela Orsoli e Antonio Pigliacelli.
Dalle mostre al teatro, in forma di monologo, con Antonio Crocetta, autore e interprete unico, la sera del 17 agosto della “performance” teatrale dal titolo “Storie di santi,d’amore e di briganti”. Gestualità e mimica prorompente, una recitazione esilarante con passaggi da “grammelot”, i toni declamatori alternati ai confidenziali. Testo e recitazione di qualità, il tutto già presentato a Roma.
“Pietracamela per l’arte” si è chiusa così la sera del 17 agosto. Ma il pomeriggio del giorno successivo si è riaperta su un altro versante, è il caso di dirlo. Sul proscenio, questa volta al chiuso nella Sala consiliare del Municipio il 18 agosto è stata presentata la ristampa anastatica del libro di Ernesto Sivitilli, “Corno piccolo”, che era stato pubblicato nel 1930 per il CAI dell’Aquila.
Il libro di Ernesto Sivitilli: Corno Piccolo, 1930
E’ stato un evento, alla presentazione del prestigioso libro d’epoca si è aggiunta una celebrazione: a Lino D’Angelo, guida emerita del paese che ha oltrepassata la soglia dei 90 anni, il sindaco di Pietracamela ha conferito un trofeo in segno di riconoscimento e gratitudine.
D’Angelo a sua volta ha trasmesso alla più giovane generazione, impersonata dalla guida Claudio Intini, un simbolico cimelio: il gagliardetto degli Aquilotti con piccozza e martello che la madre di Cambi, uno dei due alpinisti romani sopraffatti dalla tormenta nel 1929, aveva dato in memoria del figlio e del compagno ad Ernesto Sivitilli, la cui famiglia lo aveva conservato 40 anni per poi trasmetterlo a Lino D’Angelo che a sua volta lo ha tenuto per 42 anni. Un momento di commozione che ha fatto sentire il fascino di una nobile tradizione a lungo protratta nel tempo.
La presentazione del libro, introdotta dal sindaco Antonio Di Giustino –– è stata un’occasione per rivisitare le origini delle ascensioni alpinistiche dei montanari spinti dallo spirito di conoscenza e conquista, dopo che nella fase iniziale erano gli appassionati della città a promuoverle mentre i locali praticavano la montagna solo per le attività professionali e il lavoro legato alle sue risorse.
Sono stati sottolineati dagli intervenuti, e in particolare dal presidente del CAI dell’Aquila, Salvatore Perinetti, gli stretti legami tra i due versanti, quello aquilano e quello teramano del territorio di Pietracamela, sin da epoca remota quando i pretaroli rotolavano dall’alto del passo della Portella le balle di lana carfagna prodotta per poi lasciarsi scivolare seduti in fila indiana in numero variabile ma ben precisato,come dei bob umani fino alla frenata finale con bastoni e altro. Il presidente ha citato la testimonianza scritta del 1573 di De Marchi, il primo conquistatore del Gran Sasso, e le pubblicazioni e iniziative anche recentissime del CAI, e ha sottolineato come con il sindaco Di Giustino i rapporti tra le rispettive istituzioni si sono ulteriormente rafforzati.
Dopo il presidente aquilano, il docente dell’Università di Teramo Federico Roggiero ha ribadito gli stretti rapporti, soffermandosi su quelli tra il gruppo aquilano del CAI e quello pretarolo degli “Aquilotti del Gran Sasso” creato da Sivitilli, il primo in Italia. E ha compiuto un’accurata analisi di contenuti e significato del libro del pioniere dell’alpinismo organizzato, non solo in Abruzzo: con il gruppo degli “Aquilotti”, infatti, rovesciava lo schema delle ascensioni promosse dai forestieri che aggregavano i locali, ora i montanari prendevano in modo autonomo l’iniziativa.
Il libro è una preziosa documentazione di tutti gli itinerari alpinistici “scoperti” – di scoperte per lui si trattava – sul Gran Sasso fino al 1939, accompagnata da fotografie delle pareti e da schizzi schematici dei percorsi. La bibliografia di Sivitilli collocata in apertura attesta che nulla era improvvisato, sono elencati specificamente i suoi 50 scritti pubblicati per lo più sul Bollettino del CAI, all’inizio per la sezione di Teramo, poi per la sezione dell’Aquila dal 1927 al 1930. C’è la consapevolezza che l’alpinismo sarebbe andato ben oltre, ma proprio per questo era importante cristallizzare l’esperienza fino ad allora acquisita da non disperdere.
All’inizio sono riportati consigli pratici, e vengono fornite notizie sulla situazione ambientale e le caratteristiche geologiche, con un excursus sulla storia alpinistica. Poi le vie d’attacco,il percorso e i tempi di percorrenza, da Pietracamela e dai rifugi alle pareti del massiccio: parete meridionale e orientale, parete settentrionale e creste; “giro del Corno Piccolo”, accesso da Isola del Gran Sasso.
I singoli itinerari vengono descritti con cura – sono solo una ventina, quelli fino ad allora praticati – illustrati con fotografie e schizzi; il percorso viene indicato in dettaglio, per fornire una guida pratica agli appassionati. Quindi il libro non è limitato alla tecnica della scalata, entra nella storia alpinistica e nel quadro ambientale con notizie anche di biologia e la geografia, in modo da fornire una conoscenza ben più ampia dei luoghi e del territorio, che diventa il vero protagonista.
Termina nella breve descrizione di “Corno Piccolo d’inverno” con la prima ascensione invernale per la via normale di Abbate e Accitelli, con la citazione della traversata di Cambi e Cichetti del 22 aprile 1927 seguita dalle note che i due alpinisti scrissero nel registro del Rifugio Garibaldi dalle quali emergono le condizioni metereologiche e ambientali proibitive che ne stroncarono la resistenza nella tremenda bufera di neve del 9 febbraio del 1929 in cui perirono.
Si astiene da ogni commento sul tentativo “dei due grandi amici, troppo valenti alpinisti” che avevano di certo valutato “le difficoltà da vincere e gli ostacoli da superare”, e ne trae questo ammaestramento: “Non arrestarsi mai, ma salire sempre, su tutte le vette, per tutte le vie, con l’audacia mai disgiunta e sempre temperata dalla prudenza. Le vie del progresso dell’Alpinismo sono cosparse di croci, come tutte le cose grandi”; e dopo il doveroso raccoglimento occorre “riprendere la via, fatti più esperti e sicuri, verso l’alto”.
Questo perché aveva una visione che superava la stessa passione alpinistica: oltre all’attenzione per il territorio si inseriva in una concezione della vita ispirata dai valori della conquista e dell’eroismo, nella quale “la montagna era il terreno di elezione per formare la gioventù”, e lo metteva in pratica nel gruppo degli “Aquilotti del Gran Sasso”.
Il suo era un atto d’amore per “quel meraviglioso gioiello d’architettura naturale che è il Corno Piccolo”, e un atto “di fede per lo sviluppo dell’Alpinismo su di esso”. Parla del suo”fascino speciale, stregante, che spinge a tornarci dopo esserci stati una volta”, non si dimentica “tanto perfetta architettura di forma e così precisa e artistica conformazione di linea!”.
Non è solo ammirazione per l’aspetto esteriore del massiccio, c’è molto di più. La curatrice del volume Lina Ranalli è entrata nel personaggio, anche attraverso le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto ed ha rintracciato e incontrato. Nella sua interpretazione Sivitilli si muoveva “secondo una concezione spirituale come ultima gioia di perenne bellezza”: la bellezza della natura non come fatto estetico, ma “colta nella sua essenza secondo una visione panica”.
Viene citata dalla curatrice l'”anima del mondo”del “Timeo” di Platone per inquadrare questa visione di Sivitilli: “Nello Spirito della montagna egli rinnova il suo e si perde tuttavia dinanzi all’infinito, al mistero che, pur presente, non si identifica”. La Ranalli va oltre, attinge alle poesie del personaggio – anche poeta, oltre che alpinista e medico generoso, considerato per questo il “medico dei poveri” – che parlano degli “spiriti del cielo”, in “un pullulare di stelle” al quale rivolge l’invocazione di “intonare un canto all’anima dell’uomo. Cantate alla mia anima, ansiosa di luce la musica eterna dell’universo”.
Rivolgendosi al Monte Corno Sivitilli esclama: “Tu porti sulle tue cime l’ansia degli uomini, porti il tormento della mia anima lanciata verso la più alta conquista”. E aggiunge: “Per me tu sei più augusto di un tempio. Con te appresi lo Spirito arcano della Montagna, il primo aspetto dello Spirito divino”. Si rivolge anche allo Spirito della montagna con questi versi: “Quando cammino per i tuoi sentieri sento che esisti. Invidio le tue costruzioni solenni come templi di una religione eterna”, e sente “questo bisogno di Paradiso che grida nella nostra anima insaziata di eternità”.
La sua è una “montagna adorabile”, rappresenta “il tempio in cui si custodisce qualcosa del segreto universale”. Ma per la sua visione poetica è ancora di più: “Tu sei la mia guida a ritrovare Dio più volte smarrito nelle strade custodite dagli uomini”.
Il finale è premonitore: “Taccio e ascolto, Montagna. Sì, tu sei la prima creatura del Signore, le tue cime mi accompagneranno verso la sua impenetrabile dimora”. Morirà a soli 38 anni l’11 aprile del 1940 a Teramo, dopo essere stato medico condotto a Colonnella, il paese in provincia di Teramo al confine con le Marche.
La sua “spinta emotiva e ideale” non andò dispersa. Nel 1925 aveva costituito il gruppo degli “Aquilotti”, “giovanissimi arrampicatori e rocciatori che presto divennero i veri ‘padroni’ del Gran Sasso”, e a loro diede una “smisurata fiducia” – sono parole della Ranalli – con l’ insegnamento e l’esempio che “l’alpinismo è arte, è scienza, è gloria, è fede… è virtù”; queste ultime sono parole di Sivitilli tratte da un inedito fornito alla curatrice dal sindaco Di Giustino. “Di lui – scrive ancora la Ranalli – ci restano la storia, la scienza e una eredità spirituale fatta di gocce d’anima”.
Sono state lette alcune delle sue poesie e la presentazione è stata accompagnata da pezzi sinfonici interpretati da un duo musicale di flauto e chitarra, che ha creato un’atmosfera suggestiva, in carattere con l’aura poetica.
Abbiamo dato conto all’inizio della conclusione con il passaggio del gagliardetto degli Aquilotti donato dalla madre di Cambi a Sivitilli, dalla guida emerita Lino D’Angelo, premiato nella circostanza dal Sindaco, al suo successore la guida Claudio Intini.
E’ stata un’altra emozione, anzi un’altra commozione in una giornata veramente speciale che marca l’identità della gente di quel “paese nella roccia” che è Pietracamela, dal 2005 nel Club Anci dei “Borghi più belli d’Italia” – Borgo dell’anno 2007 – entrato due mesi fa tra i 400 “Borghi più belli del mondo”. Lo Spirito della montagna evocato da Sivitilli si fa sentire ancora!
Info
Ernesto Sivitilli, “Il Corno piccolo”, a cura di Lina Ranalli, edito da “Ricerche & Redazioni” per il Club Alpino Italiano Sezione dell’Aquila, giugno 2013, pp. 90, euro 15. Ristampa con procedimento anastatico del libro pubblicato nel 1930, sempre dal CAI aquilano, stampato dalle Officine Grafiche Vecchioni, il cui esemplare è conservato presso la Biblioteca provinciale “Melchiorre Delfico” di Teramo.
Foto
Le immagini dei due avvenimenti sono state riprese da Romano Maria Levante, si ringraziano le rispettive organizzazioni con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura, della mostra alcuni dipinti di Paolo Foglia, seguono dipinti di Ennio Marini, e fotografie di Eleonora Mori; poi, della manifestazione la Copertina del libro di Sivitilli, e l’intervento del presidente del CAI dell’Aquila Salvatore Perinetti; alla sua destra la curatrice del volume Lina Ranalli, alla sua sinistra il docente dell’Università di Teramo Federico Roggiero e il sindaco di Pietracamela Antonio Di Giustino; in chiusura,, la consegna del gagliardetto degli Aquilotti da parte della guida emerita Lino D’Angelo (in piedi a destra) alla guida Claudio Intini (in piedi a sinistra).