di Romano Maria Levante
Torniamo sulla mostra svoltasi a Roma, a Palazzo Venezia, dal 24 giugno al 22 settembre 2011, sugli artisti della Regione Lazio selezionati per esprimere la creatività contemporanea nel primo decennio del terzo millennio, 2000-2010. Anche dopo due anni mantiene il suo valore documentario ed evocativo, trattandosi dell’iniziativa inquadrata nel Padiglione Italia all’Arsenale di Venezia, in parallelo in tutte le Regioni italiane e in tutti gli Istituti di cultura italiani all’estero: un grande “Circo Barnum” dell’arte messo in pista da Vittorio Sgarbi per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e organizzato da Arthemisia con l’apporto della Fondazione Roma Arte-Museiche ha contribuito economicamente e selezionato 14 artisti. Ne ricordiamo i contenuti originali, anzi immaginifici, e raccontiamo la visita alla mostra effettuata a suo tempo.
“Di palazzo in palazzo, la Biennale arriverà fino al Padiglione Italia nell’Arsenale di Venezia, dove tenterò il risarcimento del rapporto fra letteratura, pensiero, intelligenza del mondo e arte, chiedendo, non a critici d’arte, e neppure a me stesso, quali siano gli artisti di maggiore interesse tra il 2000 e il 2011, ma a scrittori e pensatori il cui credito è riconosciuto per qualunque riflessione essi facciano sul nostro tempo. Gli scrittori si leggono per quello che ci dicono della storia, dell’economia, del costume, della letteratura, del cinema. Perché non, o non più (come Pasolini, Sciascia, Moravia) dell’arte, della pittura, della fotografia? Perché dovremmo affidarci ai ‘curatori’ o, come si vogliono con civetteria chiamare, ‘curatori indipendenti’?”
Il Padiglione Italia di Vittorio Sgarbi
Queste le parole di Vittorio Sgarbi che riassumono l’idea innovativa alla base del Padiglione Italia di cui l’esposizione di Palazzo Venezia è stata la componente regionale laziale. L’ironia della sorte fa sì che lui stesso venga definito nei documenti ufficiali “il curatore del Padiglione Italia 2011”, segno che la sua innovazione iconoclasta ha risparmiato questa terminologia, ma non si qualifica “curatore indipendente”, per il resto un turbine di novità sin dal titolo: “L’arte non è cosa nostra”.
Sono stati esclusi dalle selezioni i critici d’arte perché a causa loro “l’arte è diventata come un ospedale, al quale hanno accesso solo i medici e i parenti dei malati. Un grande ‘sanatorio’, separato dal mondo, non frequentato se non accidentalmente dalle persone sane. E intanto la bellezza del mondo sta fuori di quelle mura ed è sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno la indichi”.
Di conseguenza l’indicazione degli artisti chiamati a rappresentare l’arte italiana contemporanea nei 150 anni dall’Unità è venuta dagli uomini di cultura e di spettacolo, un osservatorio qualificato della società civile nei suoi esponenti da tutti riconosciuti come testimoni credibili del mondo in cui viviamo che possono aprire, quindi, agli occhi di tutti, ciò che viene presentato con l’immagine dell'”ospedale”, un “ghetto” separato nel quale l’arte, secondo Sgarbi, è stata finora “esiliata”.
I “designatori” sono stati 260 costituiti in un Comitato degli intellettuali presieduto da Emmanuele F. M. Emanuele, il presidente della Fondazione Roma e, allora anche dell’Azienda speciale Expo con le Scuderie del Quirinale e il Palazzo delle Esposizioni: sono stati segnalati 3000 artisti, tra pittori, scultori, fotografi e video artisti, che costituiscono il “Fondo Sgarbi” dell’arte contemporanea italiana, tra i quali selezionati i 1200 artisti per il Padiglione Italia.
Il “Circo Barnum” dell’arte creato da Sgarbi ha anche aperto gli occhi sugli artisti italiani viventi e operanti all’estero, nell’Arsenale di Venezia un centinaio di televisori, ciascuno collegato a un Istituto di cultura italiana all’estero – ve ne erano 89 – portava le espressioni dell’arte italiana oltre i confini; anche qui le segnalazioni non erano venute dagli addetti ai lavori, i critici d’arte.
Così per le Regioni, dove l’inventario degli artisti è stato fatto con la collaborazione degli assessorati alla cultura e dei Direttori dei Musei, per l’esposizione degli artisti regionali nelle sedi più rappresentative della regione: “Ogni sede – ha precisato Sgarbi – sarà Padiglione Italia, consentendo l’esposizione di circa mille artisti in corrispondenza con l’epopea dei Mille nel 150° dell’Unità d’Italia”. Sono state valorizzate anche le venti Accademie di Belle Arti italiane, i cui direttori hanno segnalato una serie di opere degli allievi: “Quest’ultima rassegna – ha detto Emanuele – a mio parere, vale, da sola, tutto il Padiglione Italia della Biennale”.
Il Padiglione della Regione Lazio
Entrando nello specifico della sezione laziale del Padiglione Italia, va rilevato che l’impegno è stato massimo anche per l’intervento diretto della Fondazione Roma-Arte-Musei. La saletta della presentazione era piccola, a stare alle dimensioni di Palazzo Venezia, ma nelle pareti spiccavano 12 dipinti del 600-700. Alcuni di grandi dimensioni e in fondo tre sculture dorate dello stesso periodo. Una “vendetta” dell’amante di arte antica Vittorio Sgarbi sulla contemporaneità del suo Padiglione? Di fatto sopra al tavolo nel quale Emmanuele F. M. Emanuele e Francesco M. Giro, Antonia Pasqua Recchia e Massimo Voglino presentavano la mostra, scorrevano su un video immagini moderne, in una compresenza che richiamava quanto detto da Sgarbi: l’arte è tutta contemporanea perché, quale ne sia l’età, se è vera arte rivive nel presente.
La soprintendente Recchia l’ha definita “una grande, bellissima mostra che unisce alla maestria degli artisti l’accuratezza dell’apparato espositivo”. Voglino, per l’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, ne ha sottolineato la centralità nell’ambito del “Padiglione” nazionale: “La più ampia delle selezioni di artisti locali, sono 110 artisti selezionati nel territorio, anche qui non da critici di professione ma da intellettuali, persone di cultura, che esprimono più compiutamente la società”.
E proprio Emanuele, Presidente del Comitato di intellettualiche aveva selezionato le opere, ha parlato di quella particolare esperienza, tornando sul tema a lui caro della collaborazione tra pubblico e privato, ritenuta essenziale: “Quello che è stato fatto – ha affermato – è irripetibile, Sgarbi ha avuto una grande intuizione, gli va riconosciuto il coraggio di voler dimostrare che cultura, arte e paesaggio sono le grandi risorse del paese, e ha messo in evidenza la capacità di sognare, di cui si ha tanto bisogno”.
La verifica dello stato dell’arte nel paese nel decennio 2000-10 consente di coltivare “i germi dell’arte nuova” nei più diversi campi dalla pittura alla scultura, dalla ceramica ai materiali vari, dal video alla fotografia, tipica espressione della modernità: “i fotografi quando raggiungono livelli di eccellenza possono chiamarsi artisti”. Non si è adottato un approccio giovanilistico, i “vecchi vanno rispettati e se sono creativi sono più bravi dei giovani”, com’è il caso di un artista di 97 anni che è stato selezionato dallo sguardo lungo degli intellettuali.
Come presidente del Comitato, sulle scelte degli intellettuali ha detto che “il risultato è stato clamoroso, le designazioni coerenti. Il Padiglione, con la sua grande capacità di attrazione, esprime la valorizzazione degli artisti italiani contemporanei anche all’estero, e dei luoghi dell’arte, dato che molte delle sedi prescelte sono di prestigio”. Da partecipante all’organizzazione del Padiglione Lazio, con un contributo di 150 mila euro, ha definito “meravigliose, fantastiche, creative le opere esposte a Venezia, ordinate e organiche quelle esposte qui”; e si è dichiarato felice di aver partecipato a un’opera corale con intuizioni così valide dando un contributo non solo intellettuale ma anche economico come segno tangibile di piena fiducia. E riconoscendo a Sgarbi oltre alla ben nota creatività, “una grande capacità di stimolare il lavoro di squadra”.
L’allora sottosegretario ai Beni culturali Giroha parlato di “avventura intellettuale per sostenere la cultura” ricordando il patrimonio culturale e il paesaggio che ne è l’indispensabile cornice. E ha definito “indovinata” la scelta di base dell’esposizione con l’apporto della regione e dei principali comuni nel mettere insieme un vero “laboratorio della creatività contemporanea di Roma e del Lazio”. Poi ha spaziato sul Colosseo e su Castel Sant’Angelo, “un vero palinsesto di stili ed epoche diverse” per rimarcare anche lui l’importanza della collaborazione tra Stato e privati. “La Biennale di Venezia è un grande manifesto culturale fatto di grandi progetti e grandi impegni sul tema della creatività italiana che ha il prestigioso sigillo della Biennale”.
Sgarbi nel suo fluviale intervento, come al solito brillante e polemico, ha difeso l’idea di base dell’esposizione e i criteri di scelta degli artisti, sottolineando l’importanza di una ricognizione così accurata alla riscoperta della creatività italiana anche all’estero, compresi i luoghi dell’arte, primi tra essi le Accademie, nelle quali la scelta è stata compiuta tra i diplomati dell’ultimo decennio. Ha insistito sulla maggiore legittimazione di personaggi di cultura rispetto a critici autoreferenziali nel segnalare gli artisti che meritano piena visibilità. Ma di questi temi abbiamo detto all’inizio, è giunto il momento di parlare delle opere esposte in mostra.
Le opere del Padiglione a Palazzo Venezia
Da una prima visione d’insieme ci ha colpito la varietà di forme espressive, stili e motivi, è stato come partecipare a una festa popolare dove ciascuno sciorina ciò che crede più adatto alla manifestazione, sebbene non si possa parlare di folklore ma di arte e di sperimentazione nelle forme, contenuti e materiali; anche l’arte fotografica è stata rappresentata, e non mancavano le espressioni trasgressive.
L’arte contemporanea, spesso incomprensibile, riesce a suscitare emozioni ma secondo molti non si può descrivere. Noi cercheremo di raccontarla, anche perché il Padiglione Italia allestito da Sgarbi a Palazzo Venezia ben si prestava rispetto a certi eccessi di una trasgressione spesso indecifrabile.
L’ingresso alla mostra era spettacolare, nel suggestivo ambulacro di Palazzo Venezia spiccava una altissima piramide nel vano della maestosa scalinata che sale verso le sale dell’esposizione: il “Monumento al caos” di Piero Fantastichini, in realtà rigoroso nella sua forma di solido geometrico, in cima un globo caudato, con piccole figurazioni sparse lungo le facce che non davano una vera sensazione di caos. Un paradosso voluto il contrasto, almeno apparente, tra titolo e forma-contenuto? L’interrogativo accompagnava mentre si saliva verso le sale dell’esposizione al piano nobile: quelle storiche, come la “Sala del Mappamondo”, con divisori interni a segnare il percorso.Una installazione tipo colata lavica in miniatura accoglieva all’ingresso, la “Metalchemica” di Fabrizio Di Nardo e Pietro Orlando, di “Officina Materica”, con il motto “Idea nasci! Forza trasforma!Arte sublima! Io sono metalchemica”. Dopo questa “ouverture”, nella prima sala attiravano l’attenzione due forme scultoree di tipo arcaico, l’inquietante totem “Senza titolo” di Marco Barina con i denti minacciosi di una sega sopra la testa, e la “Chimera” di Patrick Alò,il cui atteggiamento aggressivo ci ha ricordato una scultura di Venanzo Crocetti. E due quadri di puro colore, celeste l’olio e matita su tela di Antonello Viola, “Cobalto deep lake” e nera l’acquaforte puntasecca di Guido Strazza, “Trama quadrangolare” accompagnato da un calligrafico “Segni”.
Quindi la visione cubista in una suggestiva penombra, “Convergenze” di Corrado Banicatti, contrastata dal giallo squillante su fondo arancio di“Via Giolitti” di Marco Raggi, vicino alla quale c’era “La culla della pace” di Tito Rossini, un interno tranquillo che, pur se disabitato, ci ha ricordato nella forma e nel colpo d’occhio la barchetta nella camera del famoso dipinto di de Chirico.
Paolo Angelosanto ha presentato il motto gattopardesco “Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi” su un tricolore sbiadito, dalla trama di broccato, “Senza titolo”, nella serie “Made in Italy”.
Si passava poi a un settore molto colorato al centro del quale c’era un grande gommone bianco con tanto di motore fuoribordo, Un “ready-made” dadaista? No, aveva sopra un obelisco, del tipo di quello sull’Elefante alla Minerva o, per restare nel contemporaneo, sul rinoceronte nella ceramica di Pablo Echaurren; se possono reggerlo questi possenti animali, può farlo anche un solido gommone!
I colori dei dipinti alle pareti ne contrastavano il biancore. Abbiamo notato, in particolare, “Augmented Reality” di Mimmo Nobile, enigmatico nelle due figure nere capovolte; e“Road Movie” di Solveig Cogliani, con nei riquadri nella metà sinistra il formicolio delle finestre di un edificio che sembrava sfaldarsi sulla strada a destra, mentre in “Il pensiero nel corpo” di Ennio Calabria il colore affidato a forme corporee confuse, forse com’è il pensiero stesso.
Ben definita la bellezza muliebre in due nudi scultorei a figura intera ed eretta collocati ai vertici opposti della sala:“Lei, vede non vede o altrove guarda”, di Alba Gonzales, la donna dai tanti volti e dalla statuaria avvenenza, con le braccia aperte a reggere due piatti e i piedi imprigionati da sbarre: rappresentazione della Giustizia che “non può essere giusta”; trattasi di una fusione a cera persa, l’altra statua in resina e ferro, totemica, dal titolo “Sospensione”, di Francesca Tulli.
Accostiamo a queste sculture due immagini femminili con la stessa verticalità della figura, il nudo fotografico “Ascension”di Andrea Simoncini e la ragazza della porta accanto di Gianmarco Chieregato: capelli arruffati, camicia bianca e pantaloni neri, il titolo è “Xenia Rappaport”. A lato due fotografie molto lineari orizzontali, “Horos” e “Dromos” di Andrea Lelario, di fronte la liliale immagine di due corolle blu e celesti che si librano nell’aria, è “Per quel che ricordo” di Coralla Maiuri. Colorate e intense per sfumature e sfondi oscuri le sei stampe di Elisabetta Catalano, cinque “Ritratti d’artista” e un “Ritratto di scrittore”, tutti fotografati con maestria e sentimento.
Emilio Farina ci ha presentato il suo “Punto di vista”, un grande cerchio di legno con terre colorate spezzato in due, mentre di Franco Mulas era esposto “Notturno”, un olio con forti sciabolate di luci e colori.
Da un settore all’altro tra le tante “enclaves” ricavate con pareti mobili: ricordiamo l’ambiente con al centro il busto candido in marmo di Benedetto XVI sorridente, dal titolo “Tu”, guardato da terra da una grande testa verde con occhiali a specchio dal titolo “Io”, autore Jacopo Cardillo.
Nella parete retrostante tre piani di scaffalatura con assi da cantina di quasi otto metri su cui erano posti 54 contenitori trasparenti, ciascuno recante un vero volume dell'”Enciclopedia Italiana”, c’erano tutti, compresi gli aggiornamenti fino al 2000, con il titolo è Treccani sott’olio”: che alludesse alla conservazione di un qualcosa di prezioso ma ormai in disuso, relegato in cantina da Internet ma pur sempre meritevole di essere tenuto per ogni evenienza? Autore Benedetto Marcucci.Di fronte la statua in ottone, rame e bronzo, il “Mimo” scattante di Mario De Luca,
Fabriano Parisi ci ha portato ad una realtà enigmatica con “Il mondo che non vedo”, titolo di due dipinti quasi figurativi di vasti ambienti per il pubblico deserti, dove le sedie e le suppellettili abbattute alludevano a una fuga precipitosa, quasi fossero stati abbandonati in preda al panico. l fumo era evocato da Alessandro Cannistràcon due immagini molto sfumate, nel cui titolo prima di “Fumo solo 1 e 2” si leggeva “Andrò ad eseguire”; invece immagini nette con un rosso violento nello sfondo al cavallo bianco da Vidal con grande scritta al neon Assente di Enrico Manera e il cuore pulsante di Marco Tamburro in “Battito metropolitano”. Coloratissimi il floreale “Dal cuore della terra” di Fiamma Zagara e “Come in un rebus” di Sergio Ceccotti: da una terrazza sul mare un treno moderno, una nave traghetto e un aereo da sfondo alla partita a scacchi di due persone sedute in primo piano, alla madonnella e al serpente colpito con il bastone.
Dopo tanto colore i bianconeri “Ora X” di Stefania Fabrizi, 5 replicanti di una figura con occhiali neri che scrutava l’orologio e “Una finestra” di Francesco Cervelli, su una notte nera come la pece.
“Ecce mater dulcissima” di Ernesto Lamagna si faceva ammirare al centro della sezione, una sorta di pietà sconsolata in una scultura formato naturale in bronzo fuso a cera persa. E qui termina la prima parte della visita, con il raccoglimento che ispira l’immagine dopo opere scultoree così diverse come quelle commentate o che incontreremo. Riprenderemo presto il racconto, c’è ancora tanto da ricordare della fiera immaginifica sulla creatività contemporanea a cura di Vittorio Sgarbi.
Info
L’articolo conclusivo sulla mostra sarà pubblicato in questo sito il 9 ottobre 2013, con altre 10 immagini.
Foto
Le immagini sono state riprese alla presentazione della mostra da Romano Maria Levante o fornite dall’organizzazione, si ringraziano Arthemisia e la Fondazione Roma, con i titolari dei diritti. In apertura, Vittorio Sgarbi, alla presentazione del Padiglione Italia; segue una selezione delle opere esposte senza citazione degli autori per dare ad essa un carattere rappresentativo dell’intera mostra; in chiusura, Vittorio Sgarbi mentre sistema un quadro dopo la presentazione.