di Romano Maria Levante
Al Complesso del Vittoriano, lato Fori Imperiali, dal 26 ottobre al 30 novembre 2013 la mostra “Verso il 2015. La cultura del vino in Italia”, realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, curata da Massimo Montanari, in collaborazione con Yann Grappe in particolare per la sezione territoriale e con Louis Godart per la sezione storico-archeologica. C’è stato il patrocinio del Ministero delle politiche agricole, con le Amministrazioni regionali dell’Agricoltura, e il contributo dell’Expo 2015 di Milano. Hanno partecipato il Museo di arti e tradizioni popolari e il Museo del vino di Torgiano-Fondazione Lungarotti, la Biblioteca internazionale “La Vigna” e il Comitato grandi Cru d’Italia. Mobilitata tutta la filiera del vino.
La prospettiva 2015 è d’obbligo, Roma fa da apripista alla grande esposizione internazionale di Milano dedicata all’alimentazione presentando il campione dell’enogastronomia, il vino. Il Ministro delle politiche agricole Nunzia De Girolamo ne ha sottolineato, nel presentare la mostra romana, “oltre al suo indubitabile valore economico, quel portato di saperi, di cultura e di tradizioni che lo rendono unico” anticipando che “a questo straordinario prodotto” sarà dedicato un intero padiglione all’Expo 2015. Una definizione che ci è piaciuta, tanto che ne abbiamo fatto il titolo del nostro commento.
Presentazione festosa, con visita guidata dei curatori e dei protagonisti della filiera del vino ciascuno con un proprio contributo diretto alla mostra. Così Massimo Montanari ha inquadrato la cultura del vino nel tempo e nello spazio, Yanne Grappe ha illustrato l’originale visione del vino nei territori, Maria Grazia Marchetti Lungarotti le raccolte storiche e artistiche del Museo del vino, Mario Bagnara l’eccezionale collezione dovuta alla passione di Dino Zaccaria di quanto scritto sul vino nei secoli; in primo piano la colta analisi del vino nel mondo classico di Louis Godart.
Il vino “raccontato” dalla mostra
Montanari ha riassunto la particolarità del vino nell’incrocio tra frutto della natura e lavoro umano, quindi è un prodotto naturale venendo dalla terra, e insieme artificiale per l’intervento dell’uomo, da cui viene segnato anche il paesaggio. Ha sottolineato che è la bevanda più antica, è sulla tavola da millenni e fino a due secoli fa era l’unica bevanda, unita all’acqua con un ruolo igienico e sanitario per la protezione dell’alcool rispetto alle infezioni; è stata sia a carattere popolare sia segno di distinzione e di accoglienza per qualità e prestigio. Sin dai tempi più remoti ha avuto un valore sacrale, di comunicazione con la divinità, pensiamo a Dioniso-Bacco ma anche all’eucarestia cristiana. Altra considerazione è lo stare insieme, la socialità e convivialità suscitate dal vino; per questo è stato ispiratore nel campo delle lettere e delle arti, come viene documentato dalla mostra.
Questo insieme di valori umani e religiosi, sociali e simbolici fa parlare di “cultura del vino”, che va dalle civiltà classiche esplorate e rievocate da Godart alle società mediterranee, con al centro l’Italia. “L’Italia è il paese del vino”, sono parole di Montanari; è “l’unico prodotto del Made in Italy che non può essere de localizzato, talmente è espressione del territorio, della cultura, delle genti che lo lavorano”, scrive Nicosia; e spiega che “il principio di unità nella diversità è il polo intorno al quale si sviluppa l’impostazione della mostra, attraverso il coinvolgimento dei territori, in un gioco continuo di rimandi tra particolare e generale, e quindi tra singola regione e Italia intera”.
In tal modo viene valorizzato l’elemento identitario del vino, la dialettica tra diversità e unità nell’enogastronomia come nel paesaggio così fortemente marcato dai vitigni, cosicché le diverse viti e i diversi vini sono tutt’uno con i differenti dialetti e tradizioni, usi e costumi pur nella cornice unitaria che di queste diversità si arricchisce divenendo una e centomila, mai nessuna. Anzi, è stato detto che sottolineare l’importanza della diversità locale nei vitigni e nei sapori non è solo un omaggio al glorioso passato, ma anche una garanzia per il futuro che premia le forti identità.
Tutto questo cerca di esprimere la mostra con un percorso che diventa racconto dove la storia si unisce alla geografia, la scienza dell’alimentazione agli usi e costumi, le tradizioni ai saperi, con sullo sfondo il più vasto mondo gastronomico-alimentare di cui il vino è una punta avanzata.
Il racconto, però, non è didascalico, si sviluppa in progressione mediante evidenze tangibili, che nella loro varietà documentano i molti campi interessati da Sua Maestà il Vino, vien fatto di dire.
La progressione si snoda attraverso sei sezioni in altrettante sale vivaci e colorate. Inizia con iIl vino tra mito e religione”, l’archeologia ha il suo spazio nelle statue di Dioniso-Bacco con grappoli d’una; poi “Alla scoperta dei territori”, le singole Regioni si presentano con un’immagine e una parola chiave il cui contenuto viene esplicitato; “Dalla terra al bicchiere” è una successione di oggetti nel tempo e nello spazio, “Vino e letteratura” espone preziosi libri d’epoca sul vino e fa ascoltare le poesie ad esso dedicate dalla voce di Paola Pitagora; “Le Eccellenze. I grandi Cru d’Italia” sono una sfilata di successi, e infine “Vino e cinema” è una selezione di sequenze bacchiche di quasi 60 film dal 1943 al 2010.
Dell’intero percorso riproponiamo dei momenti particolarmente rilevanti: la rassegna spettacolare delle diversità regionali e l’esposizione molto istruttiva di quanto prodotto dall’arte e dalla cultura.
Le diversità regionali rivelate da una parola chiave
La sala è spettacolare, tutt’intorno sulle pareti gigantografie di paesaggi vinicoli tipicizzati da particolari ambientali che evocano visivamente le diversità regionali sigillo dell’unitarietà nazionale nella valorizzazione delle rispettive identità. Una parola le qualifica con una citazione colta seguita da un’ampia motivazione. Come si trattasse di un premio o di una sentenza. E’ una formula molto originale, Yann Grappe ne ripercorre l’iter creativo e ne illustra i contenuti.
I grandi pannelli luminosi ci mostrano come possano essere diversi i vigneti, nei filari cui il lavoro dell’uomo dà le configurazioni più varie per il retaggio delle tradizioni, l’orientamento e la conformazione del suolo, la tipicità del vitigno. Spesso con il vigneto ci sono scorci ambientali, come montagne e marine di sfondo, o presenze abitative, dall’abitazione contadina al monastero.
Le definizioni non sono apodittiche, ma motivate, e la loro efficacia icastica rimanda non solo al vino ma a qualcosa di più ampio, legato al modo di essere della regione. Pertanto partiamo da queste definizioni e vediamo come e perché vi siano state collegate le singole Regioni. Abbiamo riportato in ordine alfabetico le definizioni e non le Regioni come nel Catalogo, per dare loro più risalto, mentre nella sala l’ordine è ancora diverso, con accostamenti dettati da altri criteri.
Appartenenza e confine, convivialità ed eleganza, generosità e incontro, innovazione e memoria, misura e orgoglio, passione e racconto, regalità e rigore, sacralità e scambio, schiettezza e sfida, tenacia e tipicità: diciotto premi o diciotto sentenze, comunque diciotto segni identitari.
“Appartenenza” è una qualità della regione attaccata alle proprie tradizioni, anche ancestrali, tanto che le colture arcaiche della vite sono rimaste fino all’ultimo dopoguerra: “Niente in Sardegna assomiglia a qualcos’altro”, le invasioni straniere portarono i vitigni più variegati ma le particolarità geografiche, climatiche e geologiche unite a quelle storiche e culturali li piegarono all’appartenenza. Lo ha ricordato Adriano Ravegnani citando l’arcaica vite ad alberello, restata fino al secondo dopoguerra e dicendo che “l’autentico vino sardo è quello potente e austero dei pastori”.
“Confine” fa pensare subito alle Marche, per motivi storici. Ma a questa regione viene applicato con citazioni nientemeno che di Giacomo Leopardi, il quale nello “Zibaldone” scrive che “il piacere del vino è misto di corporale e di spirituale”. E ne descrive gli effetti sulla creatività e sulla “capacità di andare ‘oltre’, al di là del confine, verso l’infinito”; anzi loda la bontà dei vini della Marca che potrebbero essere portati fuori regione. “Oltre il confine” chiosa la motivazione.
Anche da “Convivialità” all’Emilia-Romagna il passo è breve, a stare al carattere attribuito agli abitanti da Massimo Alberini che li porta a incontrarsi sempre come i pallini da caccia fatti rotolare in fondo alla damigiana per pulirne le incrostazioni del vino. La citazione enologica non è casuale, “nel modo di fare, e non solo di bere vino” si è espresso il carattere consociativo e cooperativo”.
Lo stesso si può dire per “Eleganza”, fa pensare alla Toscana ed alla “cultura cortese” impersonata in Lorenzo il Magnifico: viene riferita al vino e al paesaggio con i filari dei vigneti ora esclusivi ma in passato promiscui e alternati ad ulivi e alberi da frutta, grano e leguminose. Dopo citazioni facete di Piovano Arlotto si conclude che “l’eleganza non è appannaggio del lusso, ma dell’eccellenza”.
“Generosità” vuol dire Puglia perché fu definita “cantina d’Europa”, e per la qualità della sua gente. C’è la testimonianza di Paolo Monelli, che cita le parole del pugliese Pietro Accolti sul vino “quasi fosse un velluto liquido”, e lo chiama “vino-alimento, è la carne che mai mangiano quei contadini, ed ha le fibre della carne sì che verrebbe voglia di tagliarlo con il coltello tanto è ricco e corposo”.
Con “Incontro” si va nell’estremo nord, al Trentino-Alto Adige, motivando la definizione con la cultura dello scambio connaturata nella regione, che viene riferita al vino anche ricordando il proclama dei consoli di Trento emesso contro “l contrabbando di “vini, vernazze & acquavite forestieri” che “fraudolentemente si introducono in città”. Addirittura si cita Mozart che dopo una sosta a Rovereto, suggerì al librettista del Don Giovanni “”Ah che piatto saporito… Versa il vino! Eccellente marzimino!”.
Nessuna sorpresa per “Innovazione” riferita alla Lombardia, la regione tradizionalmente più dinamica in campo industriale, anche se qui si tratta di vino: viene citato lo scritto di Agostino Gallo che nel 1569 indicava le novità nella fermentazione abbreviata in tino per avere vini più chiari, con questi vantaggi: “Perciochè veggono, che i vini restano con più bel colore, con miglior sapore, e con maggior bontà, & anco conservano maggiormente, che non facevano”.
Invece “Memoria” è un capolavoro di creatività, è attribuita alla Basilicata non per un carattere diffuso, ma per i ricordi di una anziana nipote di un appassionato viticultore lucano vissuto dal 1900 al 1993 che si portava anche all’osteria il proprio vino e diceva: “Non so se morire prima o dopo la vendemmia”. Concludono i “creatori” della definizione: “Tutti gli anziani sono dei libri aperti. Loro come le vigne, sono i custodi della memoria”.
“Misura“è attribuito all’Umbria con una citazione dalla “Regola” di Benedetto da Norcia in cui si riferisce al vino indicando la quantità sufficiente aumentabile in rapporto “alle condizioni del luogo, o la fatica del lavoro o l’arsura dell’estate” purché non susciti ebbrezza. “Accordiamoci di non bere fino alla sazietà, ma in modo abbastanza sobrio”. Le regole sono importanti, come quelle dei monasteri, anche per fare il vino “armonizzando le vocazioni del terreno e del vitigno con le esigenze e i desideri di chi lo berrà”.
“Orgoglio” riferito alla Calabria non sorprende, è un carattere tipico degli abitanti, ma qui viene riferito all'”orgoglio della diversità” vinicola, e al riguardo si cita Norman Douglas che In “Old Calabria” del 1915 scriveva: “Quasi ogni villaggio ha il proprio tipo di vino, e ogni famiglia che si rispetti ha un suo metodo particolare per farlo”.
Ugualmente “Passione” lo colleghiamo al carattere dei siciliani, ma il riferimento alla Sicilia è perché “il vino è passione e ama i sentimenti forti”, che si accompagnano ad una “regione assolata in cui il fuoco del vulcano accompagna da millenni la vita degli uomini”. Puntuale la citazione, si tratta delle “Poesie siciliane” del 1787 di Giovanni Meli, con un brindisi pieno di fuoco e di vitalità.
Invece “Racconto” viene riferito al Lazio seguendo le descrizioni molto dettagliate del XVI secolo di Sante Lancerio in una lettera del XVI secolo al cardinale Guido Ascanio Sforza e di Andrea Bracci nella “Storia naturale dei vini”: il primo “raccontava” tutti i vini assaggiati dal papa, il secondo descriveva la grande varietà di vini giunti a Roma dall’esterno o prodotti nel Lazio. .
“Regalità” non comporta sorprese, qualifica il Piemonte per la sua storia sabauda e il vino altrettanto regale, per questo “si dice che il Barolo è il re dei vini, e il vino dei re”, mentre “troneggiano” gli altri vini piemontesi, i fratelli, tra cui il Barbaresco. La citazione è per Mario Soldati che nel suo viaggio gastronomico del 1957-58 porta l’amico Brusa a paragonare il Barolo a una “colonna ionica, equilibrata” e il Barbaresco “a una colonna dorica, forte, semplice”.
Il“Rigore” viene attribuito al Friuli per “la grafica rigorosa dei filari tra pianure e colline, tra il mare e la montagna”, impronta data dal lavoro che dunque “nasce dalla necessità e dalla passione”.. Si cita al riguardo la Relazione del 1620 in cui Costantino Zorzi, provveditore a Cividale per la Repubblica di Venezia, descrive l'”incessabile fatica” dei friulani per coltivare la vite in ambienti inospitali come “quei gioghi dove ben spesso le capre precipitando non arrivano”.
Dopo la regalità, ecco la “Sacralità”, riferita alla Campania seguendo la leggenda secondo cui il nome “lacrima Christi” di un rinomato vino campano viene dal pianto di Dio quando vide nel golfo di Napoli il brandello di cielo strappato da Lucifero nel precipitare agli inferi; lo scrittore francese Valery aveva scritto che Chiabrera, vissuto tra il XVI e XVII secolo, sulla “‘lacrima Christi’ trovava così impropriamente chiamato con il nome del dolore, mentre invece fa i cuori felici”.
Con riferimento ai traffici internazionali vinicoli della Repubblica veneta, al Veneto viene collegato lo “Scambio”: si trattava di vini aromatici provenienti dall’Oriente, vernacce e moscati, moscatelli e “vini greci’, che il Veneto decise di produrre in proprio coltivando i vitigni orientali nel proprio territorio. Il “Dialogo” in un’osteria veneta, di Sicco Polenton, del 1419, è eloquente, riferito in particolare alla malvasia : “E’ il vino a tenere in vita l’uomo. Dio non ha creato niente che sia meglio del vino”
La “Schiettezza” è riferita all’Abruzzo, in coerenza con l’appellativo di “forte e gentile”. Il vino è “schietto, sincero, diretto” è mezzo di socialità e solidarietà, semplicità e rispetto. Questo atteggiamento è alla base della cura crescente per vigna e cantina con grande attenzione a non essere invadenti e non distorcere il rapporto tra vitigni e territorio. Le parole del 1955 di Ignazio Silone in “Vino e pane” sono eloquenti: “Il pane di grano bagnato nel vino rosso, non c’è nulla di meglio. Ma bisogna avere il cuore in pace”. E’ schiettezza anche questa.
Sembra incomprensibile “Sfida” applicato alla Valle d’Aosta, ma lo si spiega pensando alla orografia di un ambiente inadatto i vitigni, eppure il lavoro degli aostani ha sviluppato nei secoli una fiorente viticultura, pur in condizioni estreme nel suolo e nel clima. I vitigni autoctoni si sono adattati all’ambiente e la natura si è piegata. La sfida è stata vinta, lo si legge nella Relazione del 1635 in cui Francesco Agostino Della Chiesa afferma che sulle vigne “che producono buonissimi vini rossi, bianche e chiarelli” si direbbe “a forza di martello esser state piantate”.
Per vincere le sfide ci vuole “Tenacia”, viene attribuita alla Liguria, richiamandosi a quanto scrivevano sulla regione Cicerone, secondo cui “non dà nessun prodotto se non a prezzo di un’intensa coltivazione e di molto sudore”, e Diodoro Siculo secondo cui “in Liguria né olivo, né vite ma foreste. Terra inaccessibile a Cerere e Bacco”. Poi, con il lavoro mediante i terrazzamenti si è vinta la natura, ci sono vitigni di gran pregio e un’uva di cui parla anche Boccaccio. Giovanni Boine, in “La crisi degli ulivi in Liguria” sulla “Voce”, nel 1911 descriveva il tremendo lavoro per i muri a secco “come templi ciclopici”, che rendono possibili tali colture in terre impervie e ingrate.
La galleria di sigilli regionali si chiude con la “Tipicità” del Molise, che ne sottolinea la varietà nei vitigni e nei vini prodotti “lontano da Campobasso”, viene precisato. Mario Soldati, nel suo “Vino al vino”, del terzo viaggio del 1975, li cita con le rispettive località ricordando che “le vecchie vigne sono ad alberello”, “come singole colonne”, scomparse ma testimoni della notevole diversità che viene perseguita con il rilancio dell’uva autoctona ora rilanciata dopo aver rischiato l’estinzione. La chiusura vale anche in generale per una rassegna in cui la varietà e specificità sono denominatore comune: “Riscoprire e valorizzare le proprie differenze ha anche un vantaggio: piace”.
Oggettistica e arte grafica, ceramica e arte contemporanea
Dopo i paesaggi vinicoli delle regioni italiane accompagnati dalla parola chiave e relative motivazioni passiamo alle espressioni popolari e artistiche dedicate al vino esposte nelle altre sezioni della mostra, oltre alle spettacolari statue antiche che la aprono, come si è ricordato.
L’oggettistica è di particolare interesse, la selezione della raccolta esistente nel Museo di Arti e Tradizioni Popolari riflette l’Italia rurale scomparsa nella vita reale ma viva nella memoria. Si va dai bigonci ai bariletti, dai tini ai barili, dalle coppe ai boccali, dalle misure da vino in latta o vetro alle bottiglie decorate, dalle borracce alle fiasche nelle forme più diverse, fino alla “fiasca a libro” del 1901 in terracotta con il disegno di un tavolino, sopra una bottiglia e due bicchieri, a lati due sedie vuote, in un cromatismo molto sobrio.
Si entra nell’arte sin dall’epoca antica con le brocche di argilla e di ceramica a figure nere e a figure rosse, che risalgono al IV. V secolo avanti Cristo; c’è anche un frammento di scultura simbolico e spettacolare, una mano di marmo che afferra un grappolo d’uva.
Dell’arte grafica è presente una ricca esposizione di illustrazioni in tema vinario del Museo del Vino di Torgiano, tra cui opere in bulino come “Baccanale con Sileno” di Andrea Mantegna e “Sileno ebbro (Tazza Farnese)” di Annibale Carraccci, “Bacco disteso” visto di fronte e di spalle da Rugendas, con un tralcio di vite nei capelli e nella mano destra. E acqueforti come “Trionfo di Bacco” di Pietro Aquila, “Sarcofago con corteo bacchico” di Pietro Sante Bartoli, “Statua di Sileno con in braccio Bacco” e altre di Francesco Piranesi., inoltre la litografia “Nascita di Bacco” di Michele Danesi. Infine sorprendenti incisioni sulle Sacre Scritture, che vanno dall’“Ebrezza di Noè”di tre artisti dal secolo XVI al XIX, Adrian Collaert, Carlo Lasinio e Eugenio Damele; a “Lot e le figlie” di tre incisori, tedesco, inglese e francese fino a episodi evangelici come “Acqua mutata in vino da Cristo nelle nozze di Cana” e “Cena di Emmaus” di Pietro Monaco del secolo XVIII:.
All’arte grafica associamo, con nostra libera scelta – in mostra è una sezione a sé stante – l’esposizione della opere sul vino, la vasta Raccolta letteraria della Biblioteca internazionale “La Vigna” perché i frontespizi sono incisioni e grafiche artistiche. La vetrina che contiene le pubblicazioni più rare colpisce per la grafica dei titoli e delle immagini. Al centro le uniche immagini a colori di due tralci d’uva prese dall’“Ampelografia italiana” del Ministero d’agricoltura e commercio, del 1870-90, un volume di grandi tavole su tutti i vitigni nazionali riprodotti con l’indicazione del vino derivato. A quest’edizione moderna fanno corona preziose “cinque centine”, edizioni seicentesche e settecentesche, fino al ‘900; si pensi che all’istituzione della Biblioteca che raccoglieva la collezione del benemerito Demetrio Zaccaria i volumi erano 12 mila, ora sono 50 mila, le acquisizioni continuano, con orgoglio è stato annunciato che la mostra coincide con l’acquisto di una rara “cinquecentina”. Incisioni sottili non solo nei frontespizi illustrati ma anche nei semplici titoli, la cui grafica riporta agli stili delle varie epoche e il contenuto esplora i tanti aspetti con “Trattati della viticoltura” e “Trattati della vinificazione”, ma ci sono anche dei ditirambi dell’800 come “Il Bacco in Romagna” di Giuseppe Piolanti e “El vin friulano de Bagnoli” di Lodovico Pastò. Dopo questa escursione torniamo al Museo del Vino
Spettacolare l’esposizione di ceramiche medioevali del secolo XIII-XIV, tardogotiche e barocche del XV-XVIII secolo, fino a quelle artigianali del XIX e XX sec. Si tratta di panate e boccali, brocche e bottiglie, coppe e fiaschi, piatti e vasi di Faenza e Deruta, Orvieto e altre località di Lazio e Toscana variamente istoriate a seconda del periodo di produzione. Interessanti per la loro particolarità la “Bottiglia antropomorfa” e la “Bottiglia con tappo a vite” del sec. XVI, la “Coppa a inganno ‘Bevi se puoi'” del XVII sec. e il “Boccale amatorio ‘Bevi se puoi’ del XIX sec., il “Piatto con donna ebbra” e l'”Assaggiavino” del XVII sec., la “Fiasca ittiforme” e la “Fiasca anulare” del XIX sec., le “Fiasche antropomorfe” di Seminara del XX sec.
Con l’arte contemporanea, spiccano per originalità la “Bottiglia mamma” di Gio Ponti, la bottiglia-madre incorpora la bottiglia-figlia come in un marsupio, e “La donna cantina” di Riccardo Biavati, in una statua di donna stilizzata di 50 cm sono ricavati 15 comparti con bottiglie; “Baccante” di Nino Caruso è una figura femminile contorta su una colonna, altezza 175 cm, e la “Coppa antropomorfa” di Aldo Rontini delinea appena un volto umano. Tutte dopo il 1990.
Il poker d’assi conclusivo e il nostro sigillo
Il poker d’assi di artisti moderni in mostra comprende “Pan” di Vincenzo Gemito, una testa in bronzo molto espressiva e “Piatto con satiro” di Jean Cocteau, un profilo stilizzato su fondo giallo arancio, “Bacco” di Renato Guttuso con la sua figura un’acquatinta a colori intensi, e “Baccanale” di Pablo Picasso, linoleografia in nero con suonatore e danzatore, un volatile e un quadrupede.
Una conclusione in bellezza, cui ci permettiamo di aggiungere, nel terminare il racconto della mostra che ha raccontato il vino, il nostro personale sigillo: un’opera di Giorgio de Chirico, il “Ritratto di Peikov”, che non figura nell’esposizione. Lo riportiamo in chiusura, il bicchiere di vino rosso in mano è anche un modo di rievocare il festoso finale della presentazione della mostra: i brindisi nella spettacolare terrazza del Vittoriano sopra i tetti e i monumenti della Roma antica tra voli di gabbiani e sciami di turisti.
Info
Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere, lato Fori Imperiali, Ala Brasini – Salone Centrale. Tutti i giorni compresi domenica e lunedì: dal lunedì al giovedì ore 9,30-19,30 – venerdì, sabato e domenica ore 9,30-20,30; ingresso gratuito, consentito fino a 45 minuti prima della chiusura. Catalogo: “Verso il 2015. La cultura del vino in Italia”, a cura di Massimo Montanari, Skirà-Expo, ottobre 2013, pp. 176, formato 16×24.
Foto
Le immagini, esclusa quella di chiusura, sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nel Vittoriano, si ringrazia “”Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura “Bacco”, di Andrea di Michelangelo Ferrucci, I decennio del XVII secolo, dalla raccolta della Fondazione Santarelli; seguono un angolo della sala con le Litografie e uno scorcio della sala con i Pannelli luminosi regionali, poi due tavole dell’“Ampelografia italiana”, 1879-90, e alcune Ceramiche dei sec. XV-XVIII, quindi “Baccante” di Nino Caruso, 1995, e “Baccanale” di Pablo Picasso, 1959. In chiusura “Ritratto di Peikov” di Giorgio de Chirico, 1945, immagine tratta dal Catalogo della mostra: “Giorgio de Chirico. Il Ritratto, figura e forma”, Maretti Editore 2013, pp.192, formato 23×28, si ringraziano i titolari dei diritti. Su tale mostra, a Montepulciano dall’8 giugno al 30 settembre 2013, prorogata al 3 novembre, cfr. i nostri 3 articoli in questo sito sui “Ritratti classici” e i “Ritratti fantastici” il 20, 28 giugno e 1° luglio 2013. Per la Collezione Santarelli, da cui proviene la scultura posta in apertura, cfr. il nostro articolo in questo sito il 15 ottobre 2012 dal titolo “Zeri Santarelli, collezionisti al Palazzo Sciarra”.