di Romano Maria Levante
A Roma, presso l’Ufficio culturale turco in Piazza della Repubblica, dopo le mostre di ispirazione religiosa delle pittrici turche Tulai Gurses sulla mistica di Rumi tra marzo e aprile, e Ilkai Samli sui versetti del Corano tra settembre e ottobre, dal 23 ottobre al 22 novembre 2013 una mostra di 9 artisti italiani che si ispirano a sensazioni turistiche per approfondirne i motivi non transitori. “Permanenze. Appunti di viaggio e di paesaggio in Turchia” è una mostra di pitture, sculture e fotografie di Ciaccia e e Carletti, Cossu e De Filippis, Franchi e Nero Galante, Montuschi, Orlandi e Taschini. L’esposizione è curata da Angelo Andriuolo e Francesco Giulio Farachi.
Alla Turchia, paese dove il profondo misticismo si traduce nell’arte espressa dalle precedenti mostre, si collega la Turchia paese turistico che alle attrazioni paesaggistiche e storiche aggiunge quelle del paese di frontiera tra Oriente e Occidente, vicino e insieme lontano che resta nell’animo.
Le vestigia e soprattutto le memorie millenarie – che a Istanbul marcano la “nuova Roma” di Costantino – si sentono sullo sfondo di un paese moderno, giovane e vitale, che offre tanti motivi di interesse e momenti di vera emozione ai visitatori. Sono tanti e in forte crescita, nei primi 10 mesi del 2013 hanno superato i 30 milioni, con un aumento del 10% rispetto al 2012, mentre le entrate turistiche sono cresciute di oltre il 20%, dinamica che pone la Turchia al terzo posto nel mondo.
Per i 9 visitatori-artisti italiani che espongono in mostra il ricordo del viaggio turistico diventa quasi per magia una realtà immaginaria: colori e atmosfere persistenti nei ricordi personali.
La Turchia vista da 9 artisti italiani
Lo vediamo negli “appunti di viaggio e paesaggio” esposti come “permanenze” nel tempo esprimendo, come scrive il curatore Farachi, “la sintonia emozionale di un’appartenenza e affinità affettiva”. E spiega così il titolo della mostra: “”Permanenze, allora, nel senso sia del soggiorno che ciascuno di essi ha fisicamente, mentalmente e sentimentalmente svolto, e pure nel senso di quello che è meravigliosamente stabile è stato recepito, come atmosfere, circostanze, percezioni e incanti, nella loro intima visione”.
Tutto ciò viene espresso in un arco di forme d’arte che va dalla pittura alla scultura in diverse espressioni, fino alla fotografia. I contenuti sono altrettanto variegati, non è occasionalità ma riflessione, non superficialità ma intensità, non esteriorità ma introspezione. Ancora Farachi sui contenuti: “Sono luoghi e sensazioni, luci, colori, materie e forme, illusioni, effettività di un mondo scoperto e ritrovato, dialoghi da instaurare nel chiuso del proprio immaginario e da aprire al confronto con gli altri”. Andiamo a rilevarli in una rapidissima rassegna degli artisti espositori.
I “segni sulla carta” di Sabrina Carletti svelano ambienti tra il reale e l’immaginario, in una sequenza di immagini che ha il sapore della magia.E Valerio De Filippis presenta visioni accese tra il reale e l’immaginario, mentre di Massimo Franchi ricordiamo una composizione simbolica, con la mezzaluna e la testa turrita, e altre due figure. Di Pasquale Nero Galante due immagini complementari, una vasta pianura con lo specchio d’acqua e il campanile che spicca in un orizzonte sfumato dalla foschia; vi affianchiamo l’immagine di Claudio Orlandi che ci sembra dia vita a questi ambienti lontani in una prospettiva di moschee con i minareti e di abitati. Con la pittura delicata di Luca Ciaccia si entra nella dimensione personale solitaria assorta, dove tutto è fermo in attesa, l’opposto del dinamismo della danza in un’atmosfera dai forti contrasti cromatici di Giancarlo Montuschi. La scultura di Ugo Cossu incasella una serie di piccole figure come fossero riposte in comparti della memoria, ben diversa l’opera di Antonio Taschini che espone delle sagome vestite come manichini.
E’ una molteplicità di impressioni trasformate dagli artisti in espressioni spesso enigmatiche che Farachi spiega con il fascino straordinario della Turchia: “Una terra in cui, chi arriva e sosta, conquista una visione unitamente di oggettività e di magia che poi rimane dentro, che si trasforma in una visione densa, sicura persistente. Il ricordo diventa cristallo allora nel fascino sottile di un’atmosfera respirata”. Per questo gli appunti di viaggio e paesaggio diventano “permanenze”.
Dopo aver accennato in modo forzatamente sommario alle “permanenze” della Turchia vista in viaggi rapidi o prolungati che sedimentano nella memoria degli artisti, parliamo di un’altra permanenza, fatta di stile e di contenuti.. Lo facciamo considerando due artisti dei nove della mostra, che più diversi non potrebbero essere, per questo rappresentativi dell’intera gamma: Sabrina Carletti dal segno profondo, e Luca Caccia dalla leggerezza metafisica, entrambi romani.
L’organico inorganico di Sabrina Carletti
Sabrina Carletti ha una vasta cultura artistica e storica, è impegnata nella didattica per l’arte, ispirata in particolare dalla metodologia di Bruno Munari, e per promuoverla tra adulti e bambini ha fondato l’Associazione Laborans; dopo un corso nella Libera Accademia Belle Arti di Roma nel 2006 si è espressa artisticamente nella forma dell’incisione, ha partecipato, tra le tante mostre, alla IX e X Biennale Internazionale per l’Incisione. Ha avuto premi nel 2007-08-09-10.
E’ esposto in mostra un trittico di segni profondi e scuri alternati a segni chiari che delinea scene di ambienti dall’informale al ben definito, quasi si trattasse dell’iter formativo, dell’atto creativo. Questo processo è ancora più esplicito in altre opere che vanno sotto il nome di “organico inorganico” per esprimere il rapporto stretto tra tutte le componenti naturali. In esse anche il corpo umano diviene materia perché nel processo creativo tutto è omologato nel segno della natura. Il corpo è esplorato in una serie di opere: dal feto di “Incubazione” alla figura nuda a sedere nelle fasi con singole parti del corpo, come i piedi, – le serie “St”, “St 0” e “St 00” e “12 pollici” -.
Natura è genesi e apocalisse, nascita e morte, in un ciclo per il quale la vita si riproduce di continuo. “In tal senso -. scrive Ida Mitrano – ogni oggetto raffigurato nei suoi lavori esprime se stesso in quanto tale ma anche la stretta connessione con il tutto”.
Come si collocano le “permanenze” legate agli appunti di viaggio in Turchia in questi processi evolutivi? Si spiegano con la particolare capacità della memoria di incasellare immagini e sensazioni, fermarle nel tempo e nello spazio, e farle riemergere al di fuori del fluire della vita.
La leggerezza metafisica di Luca Ciaccia
Luca Ciaccia si è formato all’Antica Scuola delle Arti Ornamentali, con il maestro Vincenzo Ottone Petrillo, ha seguito i “Corsi per la tecnica ‘a fresco’” con il maestro Uliano Vecci all’accademia pittorica della celebre “Scuola romana” e . il “Corso libero di nudo” all”Accademia delle Belle Arti di Roma. Ha partecipato a molte mostre personali e collettive, è presente in collezioni d’arte anche all’estero. In mostra espone due opere di un cromatismo tenue e delicato, sul celeste e bianco, una delle quali con una sedia vuota in una terrazza altrettanto deserta aperta sul mare: il titolo è “Solitudo”, il collegamento con le “Permanenze” degli appunti di viaggio in Turchia va ricondotto alla sensazione che torna viva nella memoria, qui è un senso di assenza.
Assenza umana ma presenza naturale, dato che la natura è protagonista nella sua pittura, anche quando ci sono delle figure umane. Massimo Rossi Ruben ne fa un’attenta analisi ricordando che “naturalismo” è per l’artista un modo di interpretare la realtà circostante in una propria visione che non si limita a riprodurne forme e colori ma la rende con la personale sensibilità. Il naturalismo di Ciaccia si esprime nella “sospensione di plaghe e vedute, sembianti di una trasalita consapevolezza onirica in rapporto alle sollecitazioni emotive”. Come avviene questo? “Egli, con sereno distacco, circoscrive lo spazio della propria ispirazione al paesaggio ancorandolo – occasionalmente – alla realtà muta e fisionomica di talune presenze che raccontano un assorto e composto abbandono”.
Quando ci sono queste presenze sono per lo più piccole figure che proiettano lunghe ombre, tra i titoli “L’attesa” e “Il distacco”, “L’assenza” e “L’oasi”; se non ci sono, come avviene spesso, la natura si dispiega nella sua magnificenza, come in “Marina” e “Pioggia su golfo”, “L’aratura” e “Paesaggio”. In tutti il clima è di sospensione, un’atmosfera metafisica che rispetto a quella dechirichiana non nasce dalle piazze assolate con lunghe ombre di arcate e monumenti, bensì da composizioni diafane e sfumate, sul grigio e il celeste, così descritte da Viviana Vannucci: “Protagonista è una luminosità abbagliante che avvolge le forme, stemperandone i contorni. Sulla superficie si estendono ampie campiture cromatiche che compongono una trama pittorica cangiante e variegata da cui emergono decisi contrasti chiaroscurali risolti in un’ armonia tonale”.
Non si tratta di aspetti solo stilistici o meramente estetici, la Vannucci parla di “luoghi dell’anima”, ed effettivamente ci si sente presi da ambienti naturali molto particolari la cui vastità rende il senso dell’isolamento anche quando non vi sono le piccole figure che lo rendono esplicito. E’ sempre “solitudo” anche quando i titoli sono diversi e non c’è la sedia vuota del dipinto esposto in mostra.
Due considerazioni finali
Al termine della mostra possiamo dire che le “Permanenze” rimaste in noi non sono soltanto quelle degli artisti che hanno tradotto in dipinti o sculture i loro ricordi di viaggi in Turchia; ma anche quelle personali, i nostri ricordi altrettanto “permanenti” tradotti a suo tempo in quello che un cronista può produrre, appunti di viaggio scritti. La galleria di opere esposte ha messo in moto la memoria e questo è stato per noi un momento emozionante come lo era stato il nostro viaggio.
Un’altra considerazione ci sentiamo di fare: la mostra oltre ai ricordi della Turchia ci ha fatto incontrare dei giovani artisti italiani che si esprimono in forme diverse con genuinità e autenticità. Ne abbiamo considerati in particolare due, Sabrina Carletti e Luca Ciaccia, di cui abbiamo visto altre opere oltre quelle in mostra, sono meritevoli come gli altri di essere seguiti ancora.
Anche questa volta dallo spazio espositivo dell’Istituto turco di cultura e informazione è venuta una bella sorpresa. L’arte non è unita al misticismo e alla religiosità come nella due precedenti mostre; ma a un qualcosa di laico ugualmente capace di muovere lo spirito. E non è poco.
Info
Ufficio cultura e informazione della Turchia, Piazza della Repubblica 55-56, Roma, pressi Stazione Termini. Dal lunedì al venerdì ore 9,00-17,00, sabato e domenica chiuso. Ingresso gratuito. Tel. 06.4871190-1393; http://www.turchia.it/; turchia@turchia.it. Per le due mostre precedenti citate nel testo cfr., in questo sito, l’articolo del 21 marzo 2013 sulla mostra di Tulay Gurses ispirata alla mistica di Rumi e l’articolo del 2 ottobre 2013 sulla mostra di Ilkay Samli ispirata ai versetti del Corano. Per gli “appunti di viaggio” personali in Turchia, evocati nel testo cfr., sempre in questo sito, i nostri 3 articoli, il primo intitolato “Istanbul, la nuova Roma”, il 10, 13, 15 marzo 2013. Ciascuno degli articoli citati è illustrato da 6 immagini. I dati sui risultati del turismo turco nei primi 10 mesi del 2013 sono stati cortesemente forniti da Silvia Gambarotta dell’Ufficio cultura e informazione.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra nell’Istituto culturale della Turchia, si ringrazia l’organizzazione con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura un’opera di Luca Ciaccia, seguono un trittico di Sabrina Carletti e un’opera di Ugo Cossu, una di Valerio De Filippis e tre opere di Massimo Franchi, poi due opere di Pasquale Nero Galante , una di Giancarlo Montuschi e una di Claudio Orlandi; in chiusura un’opera di Antonio Taschini.