Koivisto, Peill, le “Intersezioni”, al museo Andersen

“Intersezioni”, si intitola la mostra di Kaisu Koivisto e Claudia Peill, aperta dal 19 settembre 2014 al 19 gennaio 2014 al museo Hendrik Christian Andersen  di Roma – che fa capo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna – con Matilde Amaturo e Maria Giuseppina Di Monte  curatrici dell’esposizione e del Catalogo Palombi Editori.  E’ doppia, di due artiste, anzi tripla per la spettacolare esposizione al pianterreno di sculture neo classiche di grandi dimensioni dell’artista scandinavo Hendrik Christian Andersen che ha in comune con Hans Christian Andersen con cui condivide il cognome, la comunicazione a largo raggio: Hans Christian con le fiabe raccontate dall’arte del favoliere, poi trasformate in illustrazioni, cinema e teatro, Hendrick con un mondo arcadico fatto di gigantesche figure di stampo nordico scolpite in una classicità coinvolgente.

Il collegamento delle artiste in mostra con le opere di Hendrik

Si resta sbalorditi dinanzi a tanta magnificenza, soggiogati da un’arte che il gigantismo delle sculture rende ancora più sorprendente perché non perde di qualità e crea -ha scritto una delle due curatrici della mostra Matilde Amaturo –  “un mondo passato in cui l’identità delle figure sfugge a volte a causa del mistero che il tempo trascorso porta on sé, ma che conduce lontano attraverso viaggi, e flussi migratori alla ricerca di un linguaggio artistico unico nel suo genere”.

Ecco come viene collegato al mondo dell’artista scandinavo quello evocato dalle due artiste:

Per Kaisu Kovisto il collegamento si trova nel riferimento all'”Atlante della memoria” ricostruito da Warburg, di un mondo che “solo la mente e la memoria restituisce alla sua bellezza e conoscenza intrinseca”, come fa Hendrick con le sue sculture improntate ad una classicità spettacolare.

In relazione all’altra artista ecco come si esprime sempre la Amaturo: “Così sembra che accada al filtro creato da Claudia Peill nelle sue opere: il soggetto prescelto dalla sua arte si confronta con la realtà, ma sfuma nell’inesattezza dell’immagine rapita dallo scatto fotografico”.

Le opere delle due artiste – legate da 15 anni da un rapporto iniziato nel 1997 con la mostra a Venezia, seguita da mostre comuni a Roma e in Finlandia – trovano il collegamento tra loro e con la sede espositiva nelle “Intersezioni”, nome del progetto nato dalla loro collaborazione. Così ne parla l’altra curatrice Maria Giuseppina Di Monte: “Partendo da ipotesi e assunti equidistanti dalla poetica del norvegese sui generis, Peill e Koivisto hanno reso lo spazio del museo vitale e comunicativo, intessendo con esso una relazione che si traduce in racconto, dipanandosi attraverso le sale e creando quell’atmosfera, più misteriosa per la Peill e più provocatoria per la Koivisto, che è espressione non tanto del singolo pezzo ‘eccellente’ messo in bella mostra, quanto del contrappunto delle voci o ‘note’ che determinano la partitura”. E precisa: “Entrando a volte in  diretta conversazione/opposizione l’una con l’altra, a volte ritagliando per se stesse lo spazio fisico atto a raccontare una parte della storia”.

I reperti bellici e le figure di  animali di Kaisu Koivisto

Kaisu Koivisto ha dichiarato, nel presentare alle curatrici il progetto della mostra, di voler interagire con il museo in un discorso sulla “materia, la materialità, l’utopia e la megalomania”. L’utopia , che in Hendrik riguardava il “Piano di comunicazione mondiale”, nella Koivisto si riferisce alle fantasie liberatorie del comunismo e al rapporto uomo-natura, temi entrambi per i quali le sue opere sono dissacranti e volte a diffondere una percezione ben diversa da quella che si è voluta spacciare.

“Ideologia ed utopia”, 2011, esprime questo in un murale con i missili e carri armati, cannoni e armati della guerra fredda  tra mondo comunista e occidente. Le immagini dei residuati bellici nei parchi pubblici della Lettonia sono altrettanto eloquenti: l’artista ha fotografato le bombe nel 2011, dopo averle dipinte con colori sgargianti e insieme deteriorati, dando ad esse un uso innocuo – cestini di acciaio da rifiuti – che però non cela la loro origine bellica. A queste si accostano le immagini di siti in disuso,  come gli “Hangar per missili” abbandonati nella foresta, con immagini di desolazione che non ne annullano l’inquietante origine. In questo modo il passato entra nel presente ogni volta che è dato di incontrarne le tracce, anzi i fantasmi.

Altri temi dell’artista sono quelli della globalizzazione e del viaggio. Il primo lo esprime in un’installazione del 2013, ideata per questa mostra, “Flood”:  vecchie giacche acquistate di seconda mano o recuperate dai rifiuti, con le diverse provenienze nelle etichette ad esprimere  la diffusione delle merci nel mondo in una comunicazione senza confini e gli eccessi del consumismo.

Il tema del viaggio lo troviamo, in particolare, in “Modello di aeroplano”, 2001, dove un’ala  sostituita dal corno di un’alce, quasi a visualizzare il collegamento che crea con mondi anche lontanissimi come quelli in cui vivono le alci: la natura si innesta a titolo evocativo nella tecnologia esplicitando il rapporto con il mondo naturale da parte dell’uomo in un’evoluzione continua dove l’arte si trova a dover entrare in rapporto con la tecnica.

Ma il mondo naturale è fatto soprattutto di animali, e qui l’arte della Koivisto si manifesta mediante  sculture che utilizzano corna, peli, denti e altri materiali organici, elementi “veri” inseriti in strutture visibilmente artificiali.  E’ l’azione negativa dell’uomo che trasforma la vita in un suo surrogato ingannevole che va smascherato. “I suoi oggetti, scrive la Di Monte, lungi dall’essere ‘indifferenti’, sono inquietanti e deprimenti perché attraverso un linguaggio diretto e icastico ci mostrano le miserie della nostra civiltà”.

Non si creda, comunque, che si tratti di immagini terrificanti, tutt’altro, sono apparentemente aggraziate  in un naif scultoreo in cui l’intelaiatura di ferro – nascosta o in vista – è supportata dai materiali di cui si è detto, in un insieme che rende  inquietante il contrasto tra l’immaginario infantile e la realtà che esprimono: “Immagini quasi fantastiche – scrive la Amaduro – illusioni umane, ambigui giocattoli, frammenti di un’opera industriale, pericolosi elementi di un mondo non più esistente”.  Così’ “Babience”, 2010, “In A Different Light”, 2011, “Puppy 106”, 2012, di  quest’ultima intenerisce lo sguardo indifeso del cagnolino bianco che sembra invocare protezione .

L’artista ha anche un altro modo di rappresentare la realtà del mondo animale deturpata dall’uomo, ed è l’uso delle pelli, vere o finte. Sono finte quelle della serie “Cows in New York City Reintroducing The Species”, 2000, immagini di edifici industriali di sfondo con a terra tessuti a forma del corpo dell’animale per richiamare lo svuotamento, l’opposto del mitico vello d’oro.

Ma l’opera più spettacolare è “Ghost”,  2009, una grande pelle di orso bianco polare, i denti e la lingua ben in vista nella bocca spalancata, nonostante l’espressione feroce è evidente lo svuotamento di ogni forza vitale, emblema dell’assoggettamento che l’uomo ha fatto a se stesso delle specie viventi oltre all’ambiente e alla natura: è posto all’altezza degli occhi perciò incute ancora un’iniziale soggezione, ma è evidente che le pelli consimili sono destinate a camminarci come su un tappeto, questa viene salvata dall’arte che ne fa un testimonianza e un’icona.

La fotografia ritoccata dalla pittura di Claudia Peill

Claudia Peill utilizza fotografia  e pittura in un doppio in cui il passato e il presente sono commisti o sovrapposti: la commistione e la sovrapposizione riguardano tempo e spazio, mondo materiale e immateriale, senza alcun addolcimento virtuosistico della realtà né da un punto di vista della rappresentazione né da quello dei contenuti: non ci si rifugia nell’illusione o nel sogno.

Vi è la trasposizione del mondo reale ripreso dalla macchina fotografica verso un mondo misterioso tutto da scoprire e interpretare, ed è quasi come se volesse occultare la realtà esplorata, in modo speculare rispetto alla Koivisto che invece va a cercare la realtà per esporla come denuncia.

Come occultare ciò che viene fissato nell’obiettivo? Lo fa con la ricerca progressiva dei particolari, siano essi parti del corpo di un’immagine di persona o di singoli in immagini di massa, e con la consapevolezza che anche se è irripetibile il momento fissato nella foto, l’artista lo può trascendere rielaborando l’immagine fino a farne pittura, ed è così che manipola le immagini, in un lavoro di tagli e impaginazioni, sfocature e dissolvenze  da cui si ricava un senso ben diverso dall’originale.

E’ un procedimento che ha analogie e differenze con quello pittorico nel quale anche l’opera nasce dai frammenti di realtà rimasti nelle mente e nella memoria e che l’immaginazione ripresenta per essere poi composti nella creazione artistica; qui i frammenti di realtà sono nelle fotografie che restano tali e devono essere manipolate e trasformate, non trasposte in modo speculare.  In questo la fotografia è concepita come un “medium”  da cui nasce una forma diversa, altra, non riprodotta com’era o come la memoria propone all’artMolte immagini sono collocate in sequenza, in un discorso unitario che nel riprodurre la realtà la supera, togliendola dal proprio contesto: “Claudia Peill – scrive la Di Monte – non è interessata a verificare la realtà attraverso la fotografia, ma  a liberare la fotografia dalla sua funzione convenzionale, documentaria, per potenziarne al contrario il carattere espressivo ed estetico”.  Quindi la realtà che riprende è soltanto la base per una libera ricostruzione senza vincoli “come farebbe uno scrittore che dopo aver preso appunti su appunti, una volta tornato a casa li rileggesse e riordinasse per intessere intorno ad essi la sua trama”.

Consideriamo le varie sequenze esposte per verificare queste  interpretazioni. “Rosa/rosae” e “Giallo limone” presentano due frammenti accostati della stessa immagine, mentre “Onde” è una lunga successione di immagini di particolari di volti, con tatuaggi e percing, cui si alternano parti mono cromatiche con un effetto di divisione della parete in due settori quasi fosse un fregio moderno.  Nelle sue fotografie-pitture sono stati visti rimandi a iconografie, e perfino a capolavori come la “Dama con l’ermellino” di Leonardo.  Non c’è una gerarchia tra struttura compositiva e particolari ornamentali, questi ultimi hanno pari dignità come nelle primitive decorazioni corporee, si afferma che il dipingersi il volto da parte ad esempio degli antichi Maori, voleva dire ricrearlo.

Ci sono anche serie fotografiche che abbinano motivi personali a richiami al passato, come in “Città delle ombre bianche”, 1906, con elementi architettonici e colonne ripresi in Libia dai resti di Leptis Magna, un legame tra passato e presente che si succedono nella continuità.

Nelle ultime opere del 2013 quando si concentra sugli elementi strutturali  sceglie quelli apparentemente  insignificanti, come nel caso degli ornamenti, il cui ruolo invece risulta fondamentale come “cerniera”.  La Di Monte al riguardo cita il “Grande Vetro” di Duchamp, l’artista del ready made attirato anch’egli dagli aspetti meccanici e fisici legati alla realtà nelle sue espressioni apparentemente banali: come banali in chiave artistica sarebbero le viti, i bulloni e i tubi di alcune opere della Peill. Lo vediamo in “Extratererstre” e  “Pianeta solitario”, forme spaziali in una tinta neutra che crea un’atmosfera  misteriosa, “Orizzontale/verticale” e “Contro il cielo”, intelaiature quasi monocromatiche;  “Blinky” e “Radius”, “Cobalto” e  “Minio”, “Nido d’ape” e “Piramide”, campiture monocromatiche e leggere elaborazioni modulari.

Tutto da interpretare nel suo enigmatico ermetismo, alla luce dell’impostazione cui si è accennato.

Le sculture giganti di Henrik Christian Andersen

Uscendo dalla mostra non ci si può non affacciare al salone del  pianterreno con le grandi statue in gesso e marmo, terracotta e bronzo,  di Henrik Christian Andersen, riunite nell’utopistica  idea del Centro Mondiale di Comunicazioni: figure mitiche e leggendarie, storiche o della vita quotidiana, dei primi del ‘900..

Si staglia la statua di “Washington e La Fayette” a fianco di quella di persone che frequentavano l’artista, poi la rappresentazione decolla verso figurazioni altamente simboliche; dalle raffigurazioni religiose della “Sacra famiglia” e “La Pietà”,  “San Giorgio e il drago” e  “L’Angelo e la vita”, a  quelle della “Gioia di vivere” e della “Sirenetta”,  poi “Preghiera” e “Maternità”, “Famiglia” e “Fratellanza”, a quelle sull’amore, dalla dea ” Venere” ad “Amore e Psiche”, fino al “Bacio” in varie espressioni calde e sensuali.

C’è anche l’“Onda”, titolo che la Peill – come abbiamo visto – ha dato a una propria sequenza fotografica, qui fissata in una grande creazione scultorea.

E’ un’onda di emozioni, in effetti, quella che ci accompagna all’esterno, sulla via Flaminia. Il tram, uno dei pochi rimasti nella Capitale, ci fa sentire ancora ai primi del ‘900, restiamo legati alle immagini scultoree di Hendrik che ci hanno catturato con la loro imponenza, mentre il pensiero torna anche alle sequenze delle Peill ed alle composizioni della Koivasto in un sovrapporsi di passato e presente. Nel tram del Flaminio questa compresenza si manifesta materialmente, ci saliamo come fossimo ancora nel mondo dai lampioni a gas che non c’è più ma rivive in noi. E’ la forza dell’arte che aiuta la memoria a ricordare, la mente a pensare, il cuore a immedesimarsi.

Info

Museo Hendrik Christiasn Andersen, Roma, via Pasquale Stanislao Mancini, 20, pressi di piazzale Flaminio. Dal martedì al venerdì ore 9,30-18,30, ultimo ingresso ore 18,00; sabato e  domenica ore 9,30-19,30, ultimo ingresso ore 19,00;  lunedì chiuso. s-nam.museoandersen@beniculturali.it. Tel. 06.3219089. Catalogo: Kaisu Kovisto/Claudia Peill, “Intersezioni”, a cura di Matilde Amaturo e Giuseppina Di  Monte, Palombi Editori, settembre 2013, pp.144, da cui sono tratte le citazioni del testo. Bilingue italiano-inglese. Formato  21×26.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante  nel Museo Henrik Christian Andersen all’inaugurazione della mostra, si ringraziano gli organizzatori, la Gnam e i  titolari dei diritti per l’opportunità offerta, in particolare le due artiste Koivisto e Peill che hanno accettato di farsi riprendere da noi davanti alle loro opere. In apertura, di Kaisu Koivosto, “Ghost”, 2009, in fondo dopo gli archi, di Claudia Peill, a sin. “Pianeta solitario”, a dx  “Extraterrestre”,  2013; seguono la Koivisto tra “Bambience”, 2010, alla sua dx, e “Starry Eyes”, 2012, alla sua sin, e il suo “Bombé”, 2011-12, poi la stessa Koivisto con “Puppy 106”, 2012; quindi Claudia Peill con “Blinky”, 2012, e il suo “Orizzontale/verticale”, 2013, poi la stessa Peill con il suo “Nido d’ape”, 2012; in chiusura una veduta parziale delle imponenti opere scultoree di Herik Christian Andersen nel museo al pianterreno.