di Romano Maria Levante
La mostra “Il Tesoro di Napoli. I Capolavori del Museo di San Gennaro” organizzata dalla Fondazione Roma al Palazzo Sciarra dal 30 ottobre 2013 al 16 febbraio 2014, in un percorso suggestivo fa rivivere la devozione popolare di Napoli per San Gennaro, che ha coinvolto anche i regnanti d’Europa, attraverso 70 preziosi oggetti sacri e ornamentali donati al santo. Paolo Jorio e Ciro Paolilo curatori della mostra e del catalogo Skirà Dopo aver indicato il significato e il contenuto della mostra e aver ricordato come nasce e come si manifesta il culto per San Gennaro, nel popolo e nei regnanti,visitiamo l’esposizione descrivendone i principali pezzi pregiati.
Il percorso nelle sale di Palazzo Sciarra ci dà la dimensione artistica ma anche quella emozionale di una devozione così forte con un allestimento che si avvale di effetti sorprendenti, come i cammei-video con i regnanti donatori dietro i pezzi preziosi da loro dedicati al santo; o le timbrature offerte al visitatore per imprimere l’immagine del santo. L’effetto d’insieme è suggestivo con la luce sugli argenti dei busti e delle sculture, lo splendore degli ori e i luccichii variopinti delle pietre preziose dalle teche che spiccano nella loro magnificenza in una semioscurità evocativa e intrigante.
L’incontro con San Gennaro: i dipinti, il Busto reliquario
Nella prima sala, dedicata alla civiltà napoletana con le sue immagini simbolo, c’è subito l’incontro con San Gennaro: accolgono il visitatore due quadri del 1600, “San Gennaro benedicente” di Francesco Solimena, 1702, ieratico dal volto scavato, e “Decollazione di san Gennaro e dei compagni nella Solfatara” del Domenichino, 1630, un acquerello su carta impressionante, una composizione con i soldati e la gente sul luogo del martirio in una sanguigna che ne fa percepire appena i contorni sfumati facendola assomigliare a una Crocifissione.
Ma soprattutto c’è il “Busto reliquario“, di cui è esposta una copia che rende la preziosità dell’originale donato da Carlo dì Angiò nel 1305, opera inamovibile che viene portata in processione. Poiché non poteva mancare nella mostra sul Tesoro di San Gennaro di cui costituisce un elemento fondamentale, è stato svolto un lavoro di altissimo artigianato per la duplicazione, altamente meritoria, con la scansione tridimensionale, lo stampo e la modellazione, la fusione in bronzo e la doratura, l’applicazione di castoni e gemme. Il risultato è di straordinaria efficacia.
Riferendoci all’originale ricordiamo che è in argento prevalentemente sbalzato, cesellato e dorato, vi erano incastonate 177 gemme, quelle cadute o asportate soprattutto nelle processioni sono state sostituite nel tempo dalle più svariate pietre preziose, dai zaffiri ai rubini, dagli smeraldi alle acquemarine, dai lapislazzuli ai coralli, dalle madreperle alle malachiti. Il volto quasi imberbe, le rughe sulla fronte e la corona di capelli ricci hanno fatto pensare a un ritratto dal vero, forse di un membro della famiglia reale o del futuro arcivescovo Ubero d’Ormont: ma per tutti è San Gennaro!
La sfilata di busti e statue d’argento dei santi patroni
Si passa poi in un corridoio ad angolo con delle grandi vetrine dedicate ai Parati sacri, vi è esposta una vasta serie di oggetti, anche in più esemplari per tipologia: candeliere e lampada votiva, putto e giara, brocca per pontificale e pisside, ampollina e calice, cartagloria e chiave, messale e crocifisso. In argento fuso, spesso dorato, cesellato e inciso da un artigianato artistico di qualità.
Proseguendo vediamo Busti in argento dell’altezza di un metro che venivano portati in processione, poi delle grandi Statue anche sui 2 metri ed oltre. L’esposizione di sculture in argento continua nei diversi ambienti della mostra, fanno corona fino alle grandi attrazioni delle ultime sezioni, quelle con la Mitria preziosa, la Collana di San Gennaro e i doni dei regnanti. Li consideriamo insieme nella loro continuità artistica, nel racconto che si dipana lungo il percorso espositivo sono una costante, quasi dei numi protettori onnipresenti nella storia del santo.
Sono dell’ultima parte del ‘600 i busti di “Sant’Eufebio vescovo” 1672, e “San Pietro martire” 1660, “Sant’Attanasio vescovo” 1672, e “San Giovanni Battista” 1695, “San Francesco Borgia” 1695, e “Santa Maria Elegiaca” 1699;. mentre “San Michele Arcangelo” 1691, è una figura alata che svetta nella sua posa trionfante. Del ‘700 “Santa Irene” 1733, e “Sant’Emidio” 1735, “Tobiolo e l’Angelo (san Raffaele)” 1797, non un busto ma una composizione. Siamo nell’800 con “Sant’Agostino confessore” 1836, “San Francesco d’Assisi” 1839-60, e “San Biagio” 1856.
Sono statue firmate dai più rinomati argentieri e scultori delle varie epoche, tra i primi Treglia e Vinaccia alla fine del ‘600, De Angelis e Del Giudice nel ‘700; tra gli scultori Vaccaro e Fanzango a fine ‘600, Fumo e Sanmartino nel ‘700. Nell’800 gli scultori sono Capozzi, Murolo, Ferraro. Busti e statue, nelle espressioni e positure più diverse danno la sensazione che un “popolo di santi” accompagna e scorta San Gennaro nel suo incontro con il popolo di fedeli. Dal punto di vista artistico si può dire che non c’è nulla di stereotipato, sono figure vere con visi spesso tormentati e gestualità espressiva, panneggi particolarmente elaborati nelle cesellature raffinate.
Completano la serie di statue d’argento due grandi composizioni, il cui nome “Splendori” viene dalla magnificenza della fattura e dall’imponenza delle dimensioni, oltre 3 metri e mezzo di altezza, opera di Filippo del Giudice, donati da Carlo III di Borbone e Maria Amalia di Sassonia. C’è un globo terrestre con i putti e le virtù teologali – fede, speranza e carità – e tre allegorie – fortezza, mansuetudine e buon governo – donati da Carlo III di Borbone e Amalia di Sassonia.
Anche gli “Splendori”, come altre sculture argentee, sono esposti più avanti, ma abbiamo voluto completare la rassegna citandoli subito.
La “Mitria preziosa”
Ora torniamo al percorso della mostra, siamo giunti alla quarta sezione, con le opere più preziose. Al centro della sala, mentre alle pareti ci sono alcune delle statue appena citate, è esposta la “Mitria preziosa”, che ha compiuto all’apertura della mostra il 300° anno, essendo stata realizzata dall’antico Borgo Orefici su commissione della Deputazione perché fosse collocata sul Busto del santo nella processione dell’aprile del 1713, autore Matteo Treglia, figlio di Aniello, con dei collaboratori, in riconoscimento dei quali firmò “Matthaus Treglia fieri curavit” e non “fecit”.
Nella Mitria sono incastonate 3964 pietre preziose, che alla ricchezza uniscono la simbologia: i rossi rubini rappresentano il sangue, i verdi smeraldi l’unione tra sacro al livello di santità e profano al livello di potere, i diamanti risplendenti la forza della fede. Viene fornito anche il numero dei singoli gioielli: 3326 diamanti, 164 rubini, 198 smeraldi; questi ultimi provengono dalla lontana America Latina, ed è questa un rarità che dà a tali pietre un valore anche storico, perché si ricollegano agli antichi popoli sudamericani, sotto i più grandi è stata posta della seta gialla per farne risaltare meglio il colore e impedire che l’ossidazione dell’argento si trasmettesse alla pietra; altra particolarità è che i diamanti sono stati tagliati secondo le esigenze del disegno.
L’opera ha una struttura architettonica, per così dire: è formata da due valve assemblate ai bordi con due dischi d’argento in una struttura a crociera e una calotta di metallo per sostenerne il peso e poterla collocare sul Busto del santo. Segnò il superamento dei modelli francesi di riferimento fino ad allora adottati: vi furono inseriti gli spessori per una visione tridimensionale e le varietà di gioielli diversamente colorati per un cromatismo quale quello dei fiori, con un effetto estetico di tipo pittorico. Così gli artigiani del Borgo degli Orefici, dove si trovava il laboratorio dei Treglia e dove furono trasferite tutte le botteghe orafe – alla fine del 1600 ve n’erano circa 350 – divennero celebri in tutta Europa e l’oreficeria come visione artistica si avvicinò a pittura e scultura.
La “Collana gemmata” e il Reliquiario del sangue
Con negli occhi l’immagine abbacinante di tanto valore materiale, ma soprattutto artistico e devozionale, si passa alla sala successiva dove, in un’escalation di emozioni, si è subito attratti dalla teca blindata centrale con la “Collana gemmata di San Gennaro”, chiamata anche “Collare”, uno dei gioielli più preziosi esistenti al mondo, creato nel 1679, sempre per iniziativa della Deputazione, per ornare il Busto del santo, da Michele Dato e altri artigiani in pochi mesi. Furono utilizzate 13 pesanti maglie d’oro massiccio cui inizialmente appesero croci tempestate di zaffiri e smeraldi; fino al 1734 vi fu aggiunta dalla Deputazione soltanto una “ciappa, vale a dire un fermaglio, di 7 smeraldi, ma sembra che la composizione della collana fosse studiata in modo da prevedere aggiunte successive.
I doni dei sovrani, spesso in coincidenza con eventi per loro felici, iniziarono con Carlo III di Borbone, entrato vittorioso a Napoli passando per Porta Capuana alle 10,30 del maggio 1934; alle 14,30 da Re delle due Sicilie si presenta sul cavallo bianco alla porta del Duomo, accolto dal Cardinale Pignatelli, entra nella Cappella del Tesoro e consegna il suo dono al tesoriere: una Croce con 130 diamanti perché fosse aggiunta alla Collana, del valore di 6750 ducati; nel 1738, due mesi dopo le nozze con Maria Amalia di Sassonia, il 2 luglio donò una Croce con bottone di 63 diamanti, del valore di 2400 ducati.
La strada era aperta per i doni di altri regnanti e non solo. Nel 1775 è il turno di Maria Carolina d’Austria, un’altra Croce in brillanti e zaffiri, questa volta è un ringraziamento per la nascita del figlio maschio Carlo Tito duca di Calabria. Con il nuovo secolo una nuova Croce di smeraldo e diamanti si aggiunge alla Collana, è donata nel 1806 da Giuseppe Bonaparte, su consiglio del fratello Napoleone che lo ha nominato Re di Napoli. Circostanza straordinaria, considerando che Napoleone era solito asportare le opere d’arte dalle terre conquistate, mentre in questo caso oltre a rispettare il Tesoro di San Gennaro lo fa incrementare con il dono da lui consigliato.
Quasi 20 anni dopo, nel 1825 il nuovo dono di Francesco I di Borbone, figlio di Maria Carolina, nell’ascesa al trono, una Spilla con tre smeraldi di forma diversa contornati da diamanti, valore 2890 ducati.
Poi è il turno dei Savoia, a partire da Maria Cristina, devota di San Gennaro e molto amata a Napoli fino ad essere chiamata “la regina santa”: nel 1832 donò un a Sevigné di smeraldi e diamanti di intensa luminosità. Segue Vittorio Emanuele II nel 1862 con una Croce a spilla di diamanti e crisoliti offerta dopo la liquefazione del sangue; l’anno dopo fu incoronato re d’Italia. L’ultimo dono dei Savoia è stato occasionale ma significativo: nel 1933 Maria José, moglie di Umberto di Savoia, mentre visitava il Tesoro, fu così colpita dalla preziosità della Collana da sfilarsi l’anello e infilarlo in una maglia, ripetendo il gesto di una devota che cinquant’anni prima si era tolta anello e orecchini con diamanti e perle per aggiungerlo alla Collana.
Finora con Mitria e Collana abbiamo fatto la conoscenza dei preziosi ornamenti rituali del Busto del santo. Adesso, con la quinta sezione, siamo al clou devozionale, il “Reliquiario del sangue”dove ci sono le sacre ampolle. E’ stato realizzato nella prima parte del XIV secolo, con trasformazioni tra il 1643 e il 1676, in argento dorato di manifattura angioina, opera di Gian Domenico Vinaccia. E’ difficile descriverlo, nella parte inferiore la piccola statua del santo benedicente assiso in posa ieratica con il bastone da vescovo e la mitra, sopra una trabeazione e sopra ancora l’ampolla dentro una raggiera, contornata da rami e piante, una straordinaria leggerezza e armonia dell’insieme. Seguono preziosi Paliotti, di autore ignoto o di manifattura napoletana, per l’altare maggiore, in tonalità verde e rossa, così siamo di nuovo entrati nell’atmosfera del culto.
Gli oggetti sacri, d’oro e pietre preziose, dono dei sovrani
Nella sezione finale dedicata ai doni dei sovrani torna e rifulgere il bagliore dell’oro. Esposti nelle piccole teche al centro sono calici d’oro, pissidi ed altri oggetti sacri, preziosi per il materiale e artistici per la fattura: l’allestimento li valorizza con l’immagine a colori e animata del donatore che spicca sulla parete in un video dal carattere evocativo di notevole interesse sia dal punto di vista visivo che da quello storico. Sembra che siano lì a porgere o presentare il loro dono, abbiamo già citato alcuni donatori per la Collana, qui vi sono gli altri doni sempre per San Gennaro.
Vediamo il Calice in oro e brillanti, rubini e smeraldi del 1791 donato da Ferdinando di Borbone e l’Ostensorio in oro, argento e rubini del 1808 di Gioacchino Murat, sempre su suggerimento di Napoleone; la Pisside in oro con rubini e zaffiri, smeraldi e brillanti del 1831 di Ferdinando II e l’Ostensorio in oro e pietre preziose, smalti e perline del 1837 che Maria Teresa d’Austria donò in occasione delle proprie nozze con Ferdinando II. Pochi mesi dopo Ferdinando II donò il Baldacchino d’argento sostenuto da due angeli anch’essi in argento con una porticina per collocarvi durante le processioni l’Ostensorio donato da Maria Teresa.
Ci sono anche doni tutti italiani. Ecco il dono che Pio IX fece nel 1849 per ringraziare il santo dell’ospitalità dei napoletani in occasione dei moti mazziniani che lo avevano fatto allontanare da Roma, un Calice in oro zecchino realizzato a Roma con impresso lo stemma del proprio casato “Mastai Ferretti”, dall’orafo Valadier, è una delle poche opere non napoletane.
Ammiriamo poi i doni dei Savoia, la spettacolare Croce episcopale in oro, smeraldi e brillanti di Re Umberto I e Margherita di Savoia quando salirono al trono nel 1878: il dono seguì l’attentato di un anarchico che cercò di pugnalare il Re mentre attraversava la città in carrozza dopo l’incoronazione tra la folla festante, gli fece scudo con il suo corpo Benedetto Cairoli che fu ferito, il prezioso dono di ringraziamento a San Gennaro per essersi salvato fu una logica conseguenza.
Non ringraziamento ma intento propiziatorio all’origine del dono di Umberto II di Savoia all’atto di trasferirsi a Napoli nel 1931 lasciando Torino dove l’ambiente era diventato meno favorevole; Mussolini lo accolse in Piazza Plebiscito, ma la visita alla Cappella di San Gennaro era d’obbligo, avvenne il 5 novembre alla presenza del cardinale Alessio Ascalesi, il dono che vediamo fu una Pisside di corallo e malachite con un effetto di contrasto tra l’argento e l’arancione, opera dei migliori argentieri con la famiglia Alcione di Torre del Greco, patria del corallo..
Ricchezza e povertà alla luce della devozione
Si esce dalla mostra con negli occhi tanta ricchezza che sembra stridere con le condizioni della gente napoletana la cui devozione ha alimentato nei secoli il culto del santo, soprattutto nell’ottica francescana della povertà della chiesa. Ma la ricchezza non stride con la passione corale per il santo che è stata sempre massima e spiega come da parte dei sovrani e anche del popolo si sia voluto esprimerla nelle forme caratteristiche dei vari momenti storici. I doni dei regnanti come le creazioni preziose della Deputazione a nome del popolo ne sono i segni tangibili, quasi un volersi avvicinare a quanto di più prezioso nel trascendente con quanto di più prezioso nell’immanente. Lo stesso può dirsi per le grandi cattedrali dove la devozione si esprime nelle forme architettoniche più eccelse.
Torniamo ai tempi nostri, e alla chiesa povera di papa Francesco, non la sentiamo in contrasto con quanto abbiamo ammirato nel Tesoro di San Gennaro che resta un giacimento culturale di incalcolabile valore sul piano artistico e storico e anche sul piano devozionale. Comunque lo si voglia considerare, tra gli estremi della religiosità e della superstizione, è lo spirito popolare direttamente o indirettamente che ha mosso l’arte, attraverso le donazioni e le committenze, per rendere omaggio al santo mediante opere preziose che restano impresse negli occhi e nella mente..
Info
Museo Fondazione Roma, Palazzo Sciarra, Roma, via Marco Minghetti 22, traversa del Corso, aperto tutti i giorni: Lunedì ore 15,00-20, 00, dal martedì al giovedì e domenica 10,00-20,00, venerdì e sabato 10,00-21,00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero 10 euro, ridotto 8 euro (fino a 26 anni e oltre 65 anni, più universitari e docenti facoltà artistiche, dipendenti MiBAC, adulto con minore, gruppi e convenzioni), scuole 5 euro ad alunno, omaggi particolari per categorie e giorni determinati. Catalogo: “Il tesoro di Napoli. I Capolavori del Museo di San Gennaro”, a cura di Paolo Jorio e Ciro Paolillo, Skira Editore, ottobre 2013, pp. 232, formato 24×28. Per i contenuti della mostra e la storia del culto di San Gennaro cfr. in questo sito il nostro precedente articolo “San Gennaro, il Tesoro con la sua storia alla Fondazione Roma” del 17 gennaio 2014.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Palazzo Sciarra, si ringrazia la Fondazione Roma con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura la “Mitria preziosa”, seguono “San Gennaro benedicente”, 1702, di Francesco Solimena, e “Sant’Agostino confessore”, 1836, di Capozzi, poi un prezioso “parato sacro” e un “Calice d’oro” dono di un sovrano nel video sul fondo; in chiusura un angolo della mostra con un busto d’argento nella nicchia e un colossale candelabro .