di Romano Maria Levante
Al Macro di Roma, in uno dei due siti, precisamente a “La Pelanda” , quartiere Testaccio, nei vasti padiglioni dell’antico Mattatoio adattati a sedi espositive – l’altra sede è nella centrale Via Nizza – la mostra “Nomachi, le vie del sacro”, espone dal 14 dicembre 2013 al 5 maggio 2014. circa 200 immagini del celebre fotografo giapponese, riportate in grandi pannelli che fanno entrare in terre remote dove alla durezza ambientale corrisponde un’intensa spiritualità. E’ promossa dall’Assessorato alla cultura di Roma Capitale, con la collaborazione dell’Associazione Italia-Giappone, realizzata da Civita che cura le mostre di Nomachi. Catalogo di National Geographic.
Era intitolato alla spiritualità il Festival curato e diretto da Pamela Villoresi che nella settimana pasquale ha offerto negli scorsi anni una serie di spettacoli che facevano sentire la sacralità dello spirito in luoghi suggestivi, dalle chiese a sedi emblematiche per diversi motivi, come la casa di correzione per “tra le sbarre la luce”.
Spiritualità emanava anche il reportage di Tiziano Terzaghi, rivolto prima a una zona del Tibet rimasta intatta come nei primordi, poi a se stesso quando decise di ritiravisi come un eremita prima del ritorno a casa al termine della vita.
Mentre le immagini di Steve McCurry della mostra alla stessa Pelanda presentavano un vasto campionario di volti e di luoghi all’insegna dell’attualità, conflitti in primo piano con l’immagine cult della “afghana girl” dai bellissimi occhi verdi in cui si specchiava l’orrore della guerra.
Altre mostre di National Geographic, dai “colori del buio” ai “colori del mondo”, dal “senso della vita” fino alla “celebrazione dei 125 anni”, hanno esplorato una serie di campi coprendo un vasto spettro visivo e non solo. Infine si è andati alla ricerca dei luoghi più remoti per fissarne la bellezza.
Le ricordiamo tutte, queste mostre, ciascuna con la sua suggestione, ma nel visitare la mostra di Nomachi abbiamo provato un’emozione nuova e diversa, restando presi dalla straordinaria bellezza delle immagini, ciascuna all’altezza di un’opera d’arte pittorica. Il sacro nella vita quotidiana, la spiritualità che dà la forza di superare l’ostilità di luoghi inospitali, sono espressi visivamente nelle immagini dai colori vellutati con chiaroscuri pittorici di incredibile forza comunicativa.
I mondi in cui ci immergiamo sono primitivi, e a questo ci prepara in qualche modo l’archeologia industriale della Pelanda, dove restano in evidenza i recinti del bestiame avviato al mattatoio e le linee di montaggio sospese dove i capi macellati venivano trasportati nelle diverse fasi di lavorazione. Mandrie di animali ci sono anche nelle immagini, quasi un collegamento ideale, del resto la mostra antologica copre l’intero periodo della vita professionale di Kazuyoshi Nomachi.
La figura di Nomachi
Appassionato fin dall’adolescenza, Nomachi ha studiato fotografia con Takashi Kijima, e ha iniziato come “free lance” in campo pubblicitario a 25 anni nel 1971, ma per poco, l’anno dopo lo ha preso il “mal d’Africa” dopo un viaggio nel Sahara che lo ha affascinato con i grandi spazi naturali in contrasto con le condizioni di vita dei suoi abitanti in lotta per sopravvivere nell’ambiente ostile, sorretti dalla forza interiore che solo il senso del sacro e la spiritualità può infondere.
Di qui è partita la ricerca in altri luoghi e in altre culture, dell’Africa e dell’Asia, dello stesso motivo interiore, ricerca protrattasi per 40 anni di intensa attività fotografica. Paesaggi e scene di massa, primi piani in interni suggestivi e in esterni spettacolari, nella stretta interazione tra bellezza ambientale e dignità umana, in una luminosità dal carattere trascendente.
Ha avuto prestigiosi riconoscimenti, come l'”Annual Award of the Photographic Society” del Giappone nel 1990 e nel 1997 e, nel 2009, e la “Medal of Honor with Purple Ribbon” che viene conferita dal governo giapponese per alti meriti accademici o artistici. I suoi reportage sono stati pubblicati nelle maggiori riviste, da National Geographic a Stern e Geo, e in volumi antologici.
Nel 2005 la mostra “Il pellegrinaggio del fotografo” ha inquadrato il suo viaggio tra le “preghiere” del mondo, tema che si dispiega nelle 200 immagini esposte in un allestimento suggestivo.
Allestimento e contenuto della mostra
L’allestimento è di Peter Bottazzi, con le luci di Titta Buongiorno e Volume, che si confrontano con la luce particolare delle immagini fotografiche; mentre l’ambiente creato ha dovuto confrontarsi con quello per McCurry, le “capanne nomadi”; qui i pannelli sono posti in staccionate di legno che evocano ambienti pure essi primitivi e fanno sentire la quotidianità dell’allevamento del bestiame ricollegandosi idealmente alle strutture del mattatoio.
Passando dall’una all’altra staccionata si attraversano continenti sconfinati, dall’Africa all’Asia, si superano deserti e catene montuose, oceani e pianure , in un cavalcata nel tempo e nello spazio.
Ovunque il denominatore comune della spiritualità e del senso del sacro si esprime nelle forme più diverse, con i protagonisti più diversi, ma riesce comunque a farsi sentire intensamente e profondamente. Ne siamo rimasti affascinati, increduli che si potesse mantenere un tale livello di eccellenza per quasi tutte le 200 immagini, veri capolavori pittorici assimilati a quadri d’autore.
Il viaggio che si compie visitando la mostra è suggestivo: nelle 7 sezioni in cui si articola si passa dal Sahara al Nilo eall’Etiopia, dal Tibet alle Ande, dal Gange ci si immerge nell’Islam. Africa e Asia, deserti e acque, alte montagne. Ripercorriamo l’itinerario citando qualche immagine particolare e soprattutto le parole dell’autore che descrive i luoghi e la loro storia fornendo le chiavi interpretative della sua visione.
Deserto, acqua ed eremi: il Sahara, il Nilo e l’Etiopia
Si inizia con il Sahara, la sua prima scoperta, il deserto arido e calcinato dal sole che migliaia di anni fa era invece una terra umida, come attestano i graffiti rinvenuti nelle zone montuose. Ebbene, l’obiettivo della sua fotocamera va oltre l’apparenza che lo aveva colpito nel primo viaggio, e lui stesso lo dice: “La potenza del Sahara non nasce solo dall’immensità del suo spazio. Tornandoci ho percepito la sua vera natura, poco visibile, quasi fosse nascosta dietro un velo”. Calligrafica nel giallo accecante l’immagine del ragazzo che attraversa una valle di dune a Kerzag in Algeria nel 1972, una delle prime; medesima ambientazione in “Un gregge di capre al pascolo ai piedi delle dune”, steso luogo e anno, e in “Una donna nomade cerca sterco di dromedario da usare come combustibile”, 1978, marcata dalle orme sulla sabbia; è in un profondo rosso l’immagine delle “Dune al tramonto”, Fezzan, Libia, 2009. Il Sahara non è solo sabbia, “Le pietre erose della foresta rocciosa”, Tassili n’Ajjer, Algeria, 1978, ci danno un’altra dimensione, e così “Un’oasi avvolta in una nuvola di polvere”, Kerzaz, Algeria, 1973, immagini scure e ombrose.
Poi gli “abitanti”, “Un capo tribù berbero”, Sahara occidentale, 1985, ha la nobiltà del volto di Sean Connery in “Il vento e il leone”, mentre si erge ieratica una figura in “I fedeli celebrano il Moussem, la festa in onore dei santi“, Boujad, Marocco, 1986. “Un’anziana donna berbera e la nipote si riposano nella loro tenda”, Alto Atlante, Marocco 1986, ci mostra i due visi affiancati con la stessa espressione sorridente, quasi una mutazione generazionale. Poi “Giovani spose partecipano alla cerimonia del ‘Matrimonio delle vergini'”, Imilchil, Marocco, 1985, e “Una donna tuareg”, Abalak, Niger, 1990, ci danno immagini di bellezza muliebre, e “Una bambina tuareg nel caldo infuocato del Sahel”, Abalak, Niger, 1975, immagini dell’infanzia. Ci sono anche immagini collettive, “Un gruppo di uomini aspetta un pullman di prima mattina”, Rabat, Marocco, sono i n città, seduti in intorno atre tavolini tondi, vestiti di bianco col turbante; ben diversa “Nomadi tuareg si riparano dai freddi venti dell’inverno“, Tamnrasset, Algeria, 1974, seduti a terra nel deserto con le pecore, ci proiettano nell’ambiente inospitale.
Si passa poi alle immagini sul “Nilo, perenne flusso d’acqua che mai si prosciuga scorrendo nell’arido Sahara”, come lo definisce lui stesso, cominciò ad esplorare il Nilo Bianco dal delta fino a un ghiacciaio dell’Uganda, nel 1980, otto anni dopo il Sahara, il primo incontro fu con una tribù di pastori a contatto con una mandria di bestiame in condizioni preistoriche, rimaste tali nel terzo millennio, hanno mantenuto anche l’abitudine a cospargersi il corpo delle ceneri dello sterco per protezione dagli insetti.
Dalla sabbia all’acqua, fino al fuoco, vediamo quattro immagini spettacolari riprese a Jonglei, Sud Sudan, 1981: il “Corso principale del Nilo Bianco”, con le anse tra il verde e “Violenti rovesci annunciano l’arrivo della stagione delle piogge”, un cielo gonfio d’acqua che impregna l’aria, poi “Un accampamento di allevatori visto dall’alto”, straordinaria panoramica con le capanne di papiro e i fumi che si levano dai roghi di sterco bovino,e “Pascoli bruciati per la ricrescita dell’erba nuova”. C’è anche “Una rigogliosa fioritura di rosa del deserto”, Kordofan meridionale, Sudan, 1980, e “Boschi di senecio gigante a 4700 metri di quota vicino alle sorgenti del Nilo”, Rowensory, Uganda, 1981.
Anche qui si passa agli abitanti, negli stessi luoghi e anni delle panoramiche ambientali. Nel Korofan le impressionanti figure dei “Lottatori Nuba” con il corpo cosparso di “ceneri sacre”, mentre a Junglei “Un giovane Dinga si è cosparsa la faccia di cenere per scacciare gli insetti”; qui le due immagini inusuali del“Ragazzo che soffia nell’utero di una mucca per stimolare la produzione di latte”.Gli animali sono protagonisti di immagini suggestive, come le “Acampamento di allevatori mentre sorge la luna piena” e “Alle prime luci dell’alba”.
In Etiopia la spiritualità dell’ambiente diventa espressione reale di religiosità praticata, aree semi desertiche circondano altipiani scoscesi, Vediamo la foto pittorica “Una carovana diretta a una salina di primo mattino”, nel deserto della Dancalia, 1981, e subito dopo “Il monastero di Abba Yohannes scavato in una falesia”, Tigrè, 1996, incastonato su una vertiginosa parete rocciosa.
Si provano le vertigini nel vedere “Un sacerdote davanti all’ingresso della chiesa di Abuna Aron, scavata nella roccia”, Tigrè, 2012, cammina su una cengia sottile sopra lo strapiombo, mentre esprime raccoglimento la foto nella stessa chiesa “Sacerdoti leggono la Bibbia” e quella in cui “Da un oculo della volta i raggi del sole scendono perpendicolari” su tre sacerdoti davanti a un messale. Jimglei, Sud Sudan, 1981. E’ un’immagine-simbolo che rende la solitudine e l’isolamento in un clima di intensa spiritualità come quella in cui “Un giovane diacono legge la Bibbia” raccolto in un anfratto roccioso con una lampada che è anche la luce della fede.
La devozione collettiva è espressa plasticamente da “Pellegrini in coda fuori da una chiesa rupestre per celebrare il Natale”, in fila scalzi, poi “I pellegrini ascoltano un sermone nel cortile” della stessa chiesa, una panoramica dall’alto ammassati con le vesti e i turbanti bianchi; sembrano due immagini in sequenza, mentre sono state scattate a 30 anni di distanza, 1882 e 1912.
Del 1982 la foto-documento “La danza dei preti per celebrare la nascita di Cristo nella chiesa di Bet Mariam”,il tempio al centro, i fedeli assiepati tutt’intorno assistono al rito. Vediamo anche “Una donna fa un bagno rituale propiziatorio per la fertilità nella vasca di una chiesa”.
La spiritualità di massa: l’Islam e il Gange
Abbiamo visto la devozione collettiva e i pellegrinaggi in Etiopia. Ora si passa all’Asia, siamo alla fine degli anni ’80, le manifestazioni esteriori della fede si ingigantiscono.
Dopo il Cristianesimo l’Islam, la fede è resa da straordinarie immagini di massa intorno alla Pietra Nera della Mecca, è “La funzione della Notte del Destino il 27° giorno del Ramadan”, Mecca, 2008, nella parte centrale il mare di schiene prostrate con il movimento diventa un vortice, è un’immensità indescrivibile. Poi “La Preghiera del Maghrib nel cortile del Sacro Tempio dell’ImanReza”, a Mashhad, Iran 2006, , l’immagine è nitida, un mare di schiene bianche genuflesse piegate a terra, converge dinanzi ai portici del tempio. In una terza immagine di massa “Un’enorme folla di pellegrini lascia Arafat per raggiungere Muzdalifah”, 1998, sembra il rettilineo di una gigantesca autostrada dove si pigia una immensa massa di pellegrini tutti in bianco.
Ci sono anche immagini ravvicinate, come “Un gruppo di pellegrine provenienti dall’Indonesia”, La Mecca, 1996, e “Donne in attesa dell’inizio della preghiera collettiva nel sacro tempio dell’Iman Reza”, “Pellegrini alla Mecca con l’hiram composto da due teli bianchi”,e “Ragazzi che leggono il Corano in una madrasa, una scuola coranica”, Medina , 1995. Perfino il primissimo piano del “Contatto diretto con la Pietra Nera sacra agli islamici “, al centro del vortice dei pellegrini, uno di loro tocca con la mano la preziosa reliquia, sarebbe la roccia che Adamo portò con sé quando fu scacciato dalle’Eden. Si dice che sia un meteorite.
Vediamo anche immagini di ambienti molto diversi, come il “Cortile della Moschea dell’Iman”, Isfahan, Iran, 2006, uno strepitoso ricamo azzurro, e “Ombre di donne mussulmane sulla Porta delle Nazioni costruita da Serse”, Persepoli,Iran, 2006, rovine spettacolari, ma restiamo presi dalle immagini straordinarie del più grande evento religioso di massa che ci viene presentato. L’eccezionale reportage è stato possibile per l’invito di un editore saudita, i pellegrinaggi di massa alla Mecca rispondono all’obbligo del Corano di visitarla una volta nella vita, la Notte del destino celebra quella in cui avvenne la rivelazione del Corano al Profeta.
Altri luoghi della spiritualità vengono immortalati, quando dal clou dell’Islamismo alla Mecca si passa all’Induismo del Gange– “Le sue acque – scriver Nomachi – legate al culto di Shiva, lavano i peccati di chi vi s’immerge e aiutano a rinascere nel cielo, liberando dalla sofferenza della reincarnazione di chi vi fa spargere le ceneri”. Per questo “i luoghi sacri si susseguono lungo le sue rive, ininterrottamente gremite di pellegrini.
Sono esposte immagini, tutte riorese in India, dei “Pellegrini che si mettono in viaggioper Pancha Kosh”, Varanasi, 2005, in barca si recano a visitare i 5 templi a Khiva, “Il bagno prima dell’alba durante la celebrazione del Kumbh Mela”, Allahabad, 2007, e “I pellegrini spargono lumi votivi sull’acqua a Siva”, Hardlawar, 2008. La luce che rompe l’oscurità ha riflessi caravaggeschi, sono veramente suggestive, trasmettono spiritualità interiore pur se sono scene di massa.
Il “Bagno sacro nella nebbia mattutina”, Allahabad 2007, ne dà la dimensione individuale, in un primo piano della donna che con i piedi nel fiume sacro raccoglie l’acqua con le mani e la lascia cadere, in fondo si muovono figure in dissolvenza. Altrettanto “Un anziano sacerdote indù accende lanterne nel tempio di Shiva”, Varanasi, 2008, a torso nudo, con la barba bianca e il lume in mano sembra Diogene; e “All’alba una ragazzina vende lumini votivi sulle sponde del Gange”, Varanasi, 2005, deliziosa immagine con fiori e lumini dai colori squillanti e il suo profilo scuro con il velo
Sui monti più alti: il Tibet e le Ande
Con il Tibet un altro passaggio, dall’Induismo al Buddhismo nella versione tibetana, permeata di maggiore ottimismo e incentrata sull’uguaglianza degli uomini, in una terra montagnosa sul tetto del mondo, abitata da una popolazione che vive in condizioni estreme, riprese da Tiziano Terzani in modo suggestivo cogliendo un angolo rimasto incontaminato.
Nomachi lo ha visitato alla fine degli anni ’80, dieci anni dopo il Nilo e 20 anni dopo il Sahara. Dalle acque del Gange agli immensi altipiani rocciosi. “Un gruppo di pellegrini cammina intorno al Monte Kailash”, 1990, non sono più ammassati, avanzano in fila sperduti tra i monti, come è isolato “Il monastro di Lamayuru”, 2009, su un lago preistorico prosciugato.“Durante la celebrazione del Lhabab Duchen, i pellegrini camminano intorno a una collina con una stupa”, 1991, non domina più il bianco, gli abiti sono colorati e caratteristici, sembra una festa paesana. Mentre le dimensioni si dilatano a dismisura nella foto panoramica di un avallata gremita: “Un enorme thangka esposto nel Monastero di Labrang per la festa della Grande Preghiera del Capodanno tibetano”, 1989, ma c’è anche l’immagine singola di “Un ragazzo in pellegrinaggio verso il Monastero di Labrang”, 1989, intabarrato per il freddo.
Altrettanto dilatata la dimensione di un vastissimo altipiano tra la rada vegetazione dei 4700 metri, ma c’è anche la dimensione singola, nella panoramica si vedono due piccoli volti sorridenti, sono “Due nomadi in pellegrinaggio per il Lhabab Duchen”, 1991, che si svegliano dopo una notte all’addiaccio, a dieci gradi sotto zero; sorridente anche “Un giovane monaco dello Zanskar”, 2009.
Nella dimensione singola spiccano “Pellegrini si prostrano completamente a terra sulla strada per Lhasa, città sacra ai buddhisti tibetani“, 1989, e “Una ragazza nomade con il volto cosparso di un a sostanza protettiva durante un pellegrinaggio sul Monte Kailash”, 1990, è la foto-simbolo della mostra, entrambe danno il senso di una identità forte e coraggiosa nel tetto del mondo.
Dal Tibet alle Ande, ritroviamo il Cristianesimo nei popoli andini, convertiti dopo la scoperta di Cristoforo Colombo ma mantenendo elementi della loro fede tradizionale. Vediamo “Un gruppo di pellegrini, detti Ukuku, si arrampica fino a una croce eretta su un ghiacciaio a 5.000 metri”, Qoyllur Rit’i, Perù, 2004, è il luogo di un’apparizione di Cristo. E’ una vera sequenza, ecco le fasi successive. “Un gruppo di giovani pellegrini affronta un rito di passaggio, resistere con le mani nella neve”, poi “Pellegrini inginocchiati davanti alla roccia sacra” e “I fedeli rivolgono le loro preghiere all’icona del Cristo”, ci sono due immagini singole, un toccante “Una donna per la prima volta dinanzi all’immagine di Gesù” in commosso raccoglimento, l’altra misteriosa, “Un uomo in preghiera con una maschera sulla testa”.
Poiil ritorno, vediamo che “Una lunga fila di fedeli scende dalla montagna”, non sono i cammelli nel deserto della Dancalia, ma è ugualmente calligrafica con le piccole figure in fila nel biancore della neve sotto la grande montagna; e non basta, “Un gruppo di pellegrini si ripara dalla tempesta di neve sulla via del ritorno”, si stringono intorno a una roccia.
La dimensione collettiva si dilata anche qui in una panoramica della vallata, sono grandi numeri: “Le celebrazioni del Qoyllur Rit’i richiamano, nella valle a 4’700 metri d’altezza, una folla di 100.000 pellegrini”. Non è più l’Islam, il richiamo questa volta è Gesù Cristo.
Dall’Islamismo, al Buddhismo al Cristianesimo, dall’Africa all’Asia, dai deserti alle montagne fino al tetto del mondo: sono “le vie del sacro” di Nomachi che la mostra ci fa percorrere.
La qualità delle immagini è tale da farne altrettanti quadri d’autore, si è affascinati dallo spettacolo di arte fotografica e genio pittorico che riesce a creare una magica atmosfera di intensa spiritualità. Possiamo dirlo con sincerità, si è quasi increduli dinanzi a tanta bellezza, si resta senza fiato.
Info
Macro, Museo d’Arte Contemporanea, La Pelanda, Roma, Piazza Orazio Giustiniani 4, Testaccio. Da martedì a venerdì ore 16,00-22,00; sabato e domenica ore 11,00-22,00, ingresso fino alle ore 21,00, lunedì chiuso, e anche il 1° maggio. Ingresso: intero euro 10, ridotto euro 8 per minori di 18 anni e maggiori di 65 anni, gruppi oltre15 persone, universitari e convenzionati, euro 4 per gruppi di scolari e studenti, gratuito per minori di 6 anni, disabili e accompagnatore Tel. 06 0608/ 06 671070400; e mail: macro@comune.roma.it; http://www.mostranomachi.it. Catalogo: “Kazuyoshi Nomachi, Le vie del sacro“, National Geographic. 2014, pp. 160. Formato 22,5×25,00.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra nel Macro a La Pelanda, si ringrazia Civita, con i titolari dei diritti, in particolare National Geographic e l’autore, per l’opportunità offerta. In apertura, “Nilo, Contadini tornano a casa guadando il fiume Atbara, guadabile solo nella stagione secca, quando il livello dell’acqua è più basso”, Sudan 1960; seguono, “Etiopia, un giovane diacono legge la Bibbia“, Lalibela, 1982, e “Islam, I pellegrini partecipano alla funzione della Notte del Destino il 27° giorno del Ramadan. La celebrazione comemmora la rivelazione del Corano al Profeta”, Mecca, Saudi Arabia, 1995; poi, “Gange, Un anziano sacerdote indù accende lanterne in un tempio di Siva”, Varanasi, India, 2008, e “Tibet, Una ragazza nomade con il volto cosparso di una sostanza protettiva durante un pellegrinaggio sul Monte Kailash”, Tibet, Cina, 1990; quindi, “Tibet, pellegrini si prostrano completamente a terra sulla strada per Lhasa, città sacra ai buddhisti tibetani”, Sichuan, Cina, 1989, e “Ande, Una lunga fila di fedeli scende dalla montagna di ritorno dal pellegrinaggio al ghiacciaio”, Qoyllur Rit’i, Perù, 2004; in chiusura, “Ande, La processione del ‘Cristo nero’, protettore di Cusco, in occasione della settimana santa”, Cusco, Perù, 2003.
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