Onnis, il “V Stato”, nella mostra a Spaziottagoni

di Romano Maria Levante

Allo “Spaziottagoni” a Trastevere, la personale di Massimo Onnis, “V Stato”, presenta dal 12 aprile al 4 maggio 2014 una serie di opere imperniate su una modernità inquietante, che va dalla nuova visione del conflitto di classe alla vita dei giovanissimi esposta a lusinghe pericolose, con sullo sfondo la tragedia delle Torri Gemelle come monito da non dimenticare. Diversi “formati” artistici, pitture di forte spessore materico, qualche scultura in acciaio fino alla grande installazione del “V Stato” e a un’opera che all’arte unisce la tecnologia. Dalle inquietudini alle emozioni della bellezza in cicli di opere con gli splendidi scorci della sua Sardegna.

Siamo tornati allo “Spaziottagoni”, dove avevamo visitato nel 2012 la mostra “Teatro a muro” di Maria Pizzi, curata da Achille Bonitoliva, in cui la “fotografia dinamica” spiccava in un apparato scenico fatto di ombre. Le ombre dominano anche la mostra di Onnis, ricca di suggestioni, con opere pittoriche dal forte cromatismo in cui sono scolpiti volti e ambienti, e opere diverse in formati e materiali atti ad esprimere il mondo moderno al quale si rivolge l’artista con un tono che va dalla testimonianza alla denuncia.

La forma espressiva è posta al servizio della tematica affrontata e in qualche caso utilizza figure in un materiale di ultima generazione come il Forex di altezza umana che danno l’idea di presenze vive e inquietanti rendendo plasticamente la modernità.

Il V Stato di Massimo Onnis

Entrando nella sala espositiva, con i quadri alle pareti e sculture particolari, si è attratti dalla grande installazione nel fondo, un palcoscenico largo quattro metri, profondo sei nel quale è in atto uno spettacolo teatrale, con ombre suggestive. E’ in scena il “V Stato”, una rilettura in veste diversa del “Quarto Stato” – dipinto da Giuseppe Pellizza da Volpedo nel 1901 – per rappresentare in chiave attuale la rivendicazione di diritti da componenti della società che si mettono in marcia per riconquistare quanto loro spetta.

Il tema lo troviamo intrigante, in un artista così presentato da Teresa Francesca Giffone: “Le forme che abitano i suoi quadri sembrano immagini rupestri che vengono trattenute sulla superficie”; ebbene, definimmo “Quarto stato montanaro” le “pitture rupestri”  del Pastore Bianco che Guido Montauti con il suo gruppo creò nelle rocce della Grotta dei Segaturi a Pietracamela sul Gran Sasso: l’associazione di idee ci è venuta spontanea mentre siamo presi dalla scena in atto sul palcoscenico della nuova società.

Quelle di Onnis non sono più solo le classi sociali sfruttate dei primi del ‘900, operai con la giacca in spalla e operaie impersonate dalla donna col bambino nelle tre figure in primo piano seguite dalla moltitudine, massa d’urto per le agitazioni sindacali. L’operaio resta nell’installazione, con i guantoni e le braccia nude che esprimono fatica, ma ci sono le nuove classi oppresse fino all’impoverimento: l’imprenditore con la sua  borsa di progetti e la ragazza con la cartella di programmi, due tra le categorie più coinvolte nello sconvolgimento sociale portato dalla crisi economica, che marciano a fianco dell’operaio non più il solo antagonista.

La massa d’urto c’è ancora nello sfondo pittorico dai forti colori di una manifestazione popolare, che movimenta la scena, si vede che la composizione sociale è varia, quasi un intero popolo in marcia, con una larga partecipazione di giovani, oggi i più attivi nella protesta essendo i più colpiti dalle difficoltà economiche e dal disagio sociale. Ci sono i cartelli con gli slogan di protesta e anche un avvertimento visibile, tre arnesi agricoli piantati al suolo in primo piano, non tanto in segno di astensione dal lavoro nel solco delle tradizionali forme di lotta, quanto nel segno di arma da brandire nella protesta: sono i “forconi”.

I giovani, dunque, ai quali togliendo il lavoro e i relativi diritti viene sottratta la vita e il futuro, nell’ottuso e cieco autolesionismo che non considera come il loro futuro sia il futuro di tutti: la nuova classe dirigente è costretta ad emigrare depauperando il paese di risorse preziose aggiungendo all’impoverimento economico la rinuncia definitiva ad ogni speranza di ripresa e rilancio. E quando si assiste allo spettacolo vergognoso dei privilegi che si è autoassegnata la casta avida e corrotta di politici e finanzieri, alti burocrati di ogni risma non solo pubblica, si identifica il nemico verso il quale muove lo schieramento popolare del “V Stato” di Onnis, e come sia urgente rimuovere i privilegi perché non si prenda mano ai “forconi” facendo crescere di livello e di pericolosità l’esasperazione.

I “forconi” sono così non solo un simbolo del collegamento tra le lotte dei padri e dei nonni e quelle dei giovani di oggi, ma un monito nella loro bivalenza tra strumento di lavoro e arma di offesa.

I giovani di Onnis, tra malessere e pericolose lusinghe

L’artista non si tira indietro quando c’è da esprimere sentimenti forti e lanciare avvertimenti scomodi che ai più piace rimuovere, anche se questo lo espone a critiche e polemiche. Questo è avvenuto in particolare per un’opera collocata nel lato opposto del “V Stato” in cui viene raffigurato un altro aspetto non meno rilevante della questione giovanile: il rischio di cedere alle lusinghe per scorciatoie ingannevoli. Sono due sagome di ragazze – raffigurate ad altezza naturale con gli ornamenti delle giovani d’oggi – che per l’ultimo “smarthphone” o il capo di abbigliamento firmato sono pronte a squallide prestazioni in giovanissima età, come le minorenni dei Parioli le quali hanno riempito le cronache con i convegni mercenari che hanno sfregiato la loro età dei giochi: il titolo è “La verità è là fuori”.

Espressioni intense in “Woman” e “Girl”, mentre “Al concerto” e “Dopo la manifestazione” fanno entrare in altri momenti in cui si sfoga la vitalità giovanile, il primo riesce a rendere l’atmosfera con gli sprazzi di luce che irrompono nel buio, il secondo mostra altrettanta maestria. “Dopo il lifting” presenta una tendenza non certo rassicurante, non c’è la condanna di “La verità è là fuori”  ma un avvertimento a non trascurare questi sintomi di una società decadente.

Si può fuggire “Alla ricerca di un nuovo mondo”, lo esprime un dipinto con figure scure e un fondale in dissolvenza di grattacieli. Una folgore rossa in “Deep Red”, mentre per “Pensieri lontani”  c’è la forma circolare che l’artista utilizzata in segno di perfezione.

Due sculture in metallo, “Vela” e “Figure abbracciate” confermano la poliedricità dell’autore che si avvale delle più varie forme espressive. La seconda, in cui si può trovare la ricerca di protezione, ci piace vederla vicina a “Ground zero”, perché un’altra opera pittorica, “Giovani”, non in mostra, tra quelle dedicate alla tragedia, li raffigura sul punto di abbracciarsi.

La tragedia di “Ground Zero” in pittura

Cos’è  “Ground Zero” per l’artista? In mostra vediamo l’opera intitolata “Ground Zero. Disperazione”, figure dolenti su strati non sovrapposti in successione verso l’alto: è solo una memoria che ha voluto presentare della tragedia dalla quale è stato preso al punto da trarne ispirazione per un ciclo di opere e una monografia uscita nel decennale del terribile evento introdotta da parole eloquenti: “In queste pagine ho voluto sintetizzare in un piccolo percorso pittorico ‘fatto di sole immagini’ quel che provai allora”.

Guardiamo queste immagini riprodotte nella monografia, le figure sono per lo più nere e appena abbozzate, spiccano per il cromatismo che le isola ponendole in rilievo. Lo vediamo nel bianco accecante intorno alle sagome “In fuga”, come nel giallo intenso intorno alla “Donna”; nella luminosità che avvolge “Giovani” e le figure  che si muovono in “Una luce di speranza”; diventano rosse le sagome umane “Dentro il bistrot” avvolte ancora da un bianco accecante.

Quattro opere di forma circolare completano questa piccola galleria del “Ground Zero” che abbiamo voluto ripercorrere: “Per la strada” e “Tra la gente”, “Impressioni” e “Nelle ali della felicità”, in quest’ultima le figure aprono le braccia in una crocifissione che diventa volo senza fine.

“11 settembre 2001 iniziò tutto come una bella giornata di fine estate, poi improvvisamente tutto divenne buio”, questo abbiamo visto rappresentato in questi dipinti. L’artista aggiunge “Tutto si distrugge, tutto si ricostruisce”, è il nome del movimento da lui creato, e lo fa in pratica affiancando ai dipinti tragici quelli vitali.

Le “Impressioni” non hanno più i grattacieli di sfondo come quelle del “Ground Zero”, le “Emozioni” e le “Atmosfere” hanno un cromatismo intenso, si liberano “Frammenti di colore”, finché “Tra forme e colori” è un’esplosione di calore in un mosaico variopinto.

Una cavalcata di immagini da “Tra ombre e persone” a “Tra case e persone”, da “Ricordi di un’estate passata” a “Pensieri di una sposa”, da “Forme preziose” a “Cavalli al galoppo”, da “Frammenti di storia” a “Storia e tradizione”. Ci avviciniamo alla sua terra come fonte di ispirazione, il “Ground Zero” si allontana, ma restano scolpite le tre quartine dedicate da Ungaretti a San Martino del Carso citate dall’artista: “Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro./ Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto./ Me nel cuore nessuna croce manca. E’ il mio cuore il paese più straziato”.

Il romanticismo paesaggistico delle marine

La sua terra di Sardegna è un caleidoscopio di immagini, il nero quasi scompare, diviene prevalente l’azzurro del cielo e il blu del mare, con i rossi dei fiori e i verdi della vegetazione. Il trionfo della natura rigogliosa è reso in dipinti spettacolari.

Protagoniste le barche in “Marina con natura morta” e “Prima della partenza”, “Barca in riva” e “Tra le onde”, “A tarda sera sul mare” e “Luci in porto”; e per le località come “Bonifacio in barca a vela” e “Alghero”. E poi “Mattanza” e “Sulla spiaggia” dove le barche si intravedono appena.

Mentre lo spettacolo della natura trionfa in “Marina di Tavolara” e “Marina di san Pietro a mare”, “Tra spiaggia e mare”  e nella ampia serie di “Paesaggi”,  con colori, fiori e luci. Mare, fiume  e prati in fiore danno inesauribili spunti, non mancano gli “Orizzonti lontani”. Troviamo opere circolari, ispirate dagli stessi motivi nella chiave di perfezione insita nel formato.

Le “Nature morte” e le opere ispirate alla tradizione, come “Maschere del nuorese”, “Bosa e il suo carnevale” e “Figure nuragiche”, completano questo rapido excursus su opere fuori dalla mostra ma che rivelano altre facce dell’espressione poliedrica  dell’artista percorsa da una vibrante vitalità.

“Una pittura stratificata – ha scritto la Giffone – come si evince dall’uso del pigmento e che si irradia in colori solari e caldi come un prisma che si scompone”. E aggiunge: “Un grande amore per le cose semplici ma che rappresentano valori insostituibili. Quello che scorre continuamente davanti ai suoi occhi viene catturato e la tela diventa una ragnatela dove tali impressioni, sogni, ricordi e tutto quello che ama sono visibili per tutti. Amore che si manifesta nel messaggio armonioso che esprime per i suoi luoghi”. In questo modo “dona allo spettatore una ricca dote di tradizioni e sensazioni che ci fanno scoprire una terra antica e lontana”.

E’ la terra sarda, è nato a Villacidro, vive e opera a Nuoro; da lì è partito per le maggiori Biennali del mondo, da Venezia a Palermo, da Parigi a Londra, da Mosca a New York, da Izimir a Dubai, oltre che per mostre personali e collettive e concorsi nazionali e internazionali, sostenuto dai consensi del pubblico e di critici qualificati, ne abbiamo contati una trentina.

Dall’arte e poesia di “Vibrazioni”, all’arte e tecnologia di “Appesi a un filo”

Ci ha colpito in modo particolare nel suo approccio artistico il suo ricorso alla poesia. Lo troviamo nel riferimento a Ungaretti già citato per la tragedia, ma che torna per lo spettacolo del mare: “Voce d’una grandezza libera”, con “le sue blandizie accidiose” resta  “intatto in mezzo a rantoli infiniti”, è “innocenza nemica nei ricordi, rapido a cancellare le ombre dolci d’un pensiero fedele”. “Vibrazioni sul mare” è collegato a una poesia che inizia con le parole “Il mare divide, il mare unisce, è un ponte tra civiltà”, e termina con l’esaltazione di “chi vive sul mare”. Dove “il lavoro, la vita, la fatica, la speranza sono intrecciati tra loro in maniera forse indissolubile. ‘I marinai valgono più delle navi, le vite umane valgono più del benessere'”. E aggiunge “le opere d’arte valgono più degli artisti”, del resto superano la sfida del tempo.

Questa visione romantica che lega l’arte alla poesia, con il fascino della sua terra e i ricordi del mare, si aggiunge all’impegno sociale e civile nella sua pittura di denuncia cui è dedicata la mostra. E non è tutto, in lui si sposano anche arte e tecnologia, lo vediamo nell’opera “Appesi a un filo”, un acrilico su tela con 100 lampade Led illuminate da un pannello fotovoltaico. E’ in mostra, rappresenta un’abitazione in cima a un poggio immerso nel buio, con un imponente traliccio che con un fascio di cavi elettrici vi porta l’energia, i fili sono percorsi da luci intermittenti, l’insieme è suggestivo, non diciamo spettacolare perché l’atmosfera è piuttosto intimista: le ombre cupe danno il senso della solitudine e dell’isolamento e l’energia che si trasmette è il cordone ombelicale che collega alla civiltà, quindi alla vita. E’ un’idea che merita ulteriori applicazioni, nulla vi è degli eccessi che accompagnano spesso l’uso della tecnologia nell’arte, il dipinto tradizionale è percorso da impulsi luminosi che ne completano e vivificano la raffigurazione.

Dal “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo al “V Stato”  di Massimo Onnis: non c’è solo denuncia sociale e impegno civile, e sarebbe già tanto; abbiamo visto anche la rievocazione di una tragedia e un caldo romanticismo paesaggistico, fino a un uso innovativo della tecnologia che immette energia vitale nel buio della lontananza e dell”isolamento. Così la Giffone definisce il suo intento volto a ricostruire quello che è stato distrutto: “Raggiungere il grado zero, un punto di equilibrio significante per se stesso”. Se non lo ha raggiunto crediamo possa considerarsi sulla buona strada.

Info

“Spaziottagoni”, via Goffredo Mameli, 7, Trastevere, vicino al Ministero della Pubblica Istruzione. Aperto tutti i giorni, compresa la domenica, dalle ore 16,00 alle 21,00. Ingresso gratuito. http://www.spaziottagoni.com/: http://www.massimoonnis.com/. La monografia citata è Massimo Onnis, “GroundZero, Tutto si distrugge, tutto si ricostruisce”, Nuoro, 2011, pp.32, formato 20,5 x 29,5. Per mostra citata all’inizio, cfr. il nostro articolo in www.fotografarefacile.it“Roma. ‘Teatro a muro’ di Maria Pizzi con la fotografia dinamica”, il 27 marzo 2012; per la citazione delle “pitture rupestri” di Guido Montauti cfr. i nostri articoli in “cultura.inabruzzo.it” su “Pietracamela. Fotografie e pitture rupestri nel crollo del ‘Grottone'”,3 settembre 2013, e “Pietracamela, parte la messa in sicurezza del ‘Grottone'”, 14 settembre 2013.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nello “Spaziottagoni” all’inaugurazione della mostra, tranne l’ultima fornita da Caterina Falomo di “Pennarossa presslab”, che si ringrazia con  l’organizzazione e i titolari dei diritti, in particolare l’artista Massimo Onnis. In apertura “V Stato”, particolare della grande installazione;seguono “Woman” con “Girl” “Concerto”, poi  “Alla ricerca di un nuovo mondo”  e Ground Zero, disperazione”, quindi “Figure abbracciate”, scultura; in chiusura “Studio” con l’artista Massimo Onnis.

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