Caligola, la statua e non solo, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Al Vittoriano, lato Fori Imperiali, nella Sala del Giubileo, “Sulle tracce di Caligola. Storie di grandi recuperi della Guardia di Finanza”,  la mostra programmata dal 23 maggio al 22 giugno 2014, poi prorogata al 29 giugno  espone la grande statua dell’imperatore e altri reperti recuperati dalla Guardia di Finanza collocati stabilmente nel Museo delle Navi Romane di Nevi. Questa mostra segue l’esposizione del 2010, sempre al Vittoriano, e attraverso una serie di video documenta visivamente la meritoria azione dell’arma nella lotta contro i predatori dell’arte e dell’archeologia. Realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, responsabile del  progetto Maria Cristina Bettini. Catalogo Gangemi Editore.

I successi nell’azione di tutela della Guardia di Finanza

Iniziamo con un richiamo doveroso ai risultati dell’attività della Guardia di Finanza, che ha al suo interno un Gruppo per la tutela del patrimonio archeologico: vengono presentati periodicamente nell’annuale mostra a Castel Sant’Angelo insieme ai recuperi dell’arma dei Carabinieri e della Polizia, e nel 2010  sono stati oggetto della mostra al Vittoriano “Dal sepolcro al museo. Storie di saccheggi e recuperi. La Guardia di Finanza a tutela dell’Archeologia”, della quale quella attuale è la continuazione. E’mirata su alcuni reperti, in primis la grande statua dell’imperatore, ma nei video  scorrono le immagini che documentano le tante azioni di successo dell’arma in modo spettacolare.

L’attività di tutela nell’archeologia e dell’arte risale al 1916, nel 1922 i primi recuperi di sarcofagi fittili portati al “Museo della civiltà etrusca”, nel 1926 recuperate le  “tavole” del Perugino  trafugate a Perugia dieci anni prima; nel dopoguerra  affianca Siviero nel recupero delle opere  trafugate dagli eserciti nel conflitto mondiale, nel 1963 ci si serve anche di aerei per la sorveglianza delle aree  ad emergenza clandestina.

Nel 1971 recuperato il “Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere” di Raffaello, nel 1973 il celebre “Polittico del Padreterno” del Carpaccio,  nel 1976  “Santa Margherita” del Guercino, nel 1977 il “Reliquario” di Donatello, nel 1985 su richiesta della Polizia di Malta la Guardia di Finanza partecipa alle ricerche del Caravaggio trafugato nella cattedrale nella capitale La Valletta, nel 1990  recuperata la “Pala d’altare” di Lorenzo Lotto e il “Kouros ” di Reggio Calabria, nel 1995 i dipinti di Bellini, Gossaert e altri fiamminghi trafugati dalla Pinacoteca Vaticana. 

Siamo negli anni 2000, il “Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico” cui è affidata l’attività operativa è inquadrato nel nuovo “Comando Unità Speciali”. Nel 2000 viene recuperato il famoso “Sarcofago di Endimione” del II sec. d. C. tra Cave e Palestrina; nel 2005 un Canaletto, “Il Canal Grande da Palazzo Balbi al Ponte di Rialto”, sequestrato dopo aver smascherato la fittizia provenienza estera con la connivenza di un a casa d’aste londinese. . Nel 2007 recuperato il “Rilievo dei Gladiatori”, di età repubblicana, in un container diretto in  Svizzera, nel 2008 bloccato uno scavo clandestino nell’isola sacra che mirava al “Sarcofago delle Muse”, nel 2009 recuperato in extremis “Il rilievo di Mitria da Veio” destinato al mercato cino-giapponese; nel 2012 “Il sarcofago di Arpinmo” e la “Stipe votiva di Pantanacci”, con altri 3000 reperti destinati al mercato clandestino. Viene fatto rientrare da Londra il famoso “Sarcofago delle Quadrighe” trafugato a Frosinone venti anni prima. 

Alcune di queste operazioni di successo sono documentate dalle riprese che scorrono sui video:  abbiamo citato le più eclatanti alle quali aggiungiamo ora quella che assume un valore simbolico e alla quale è dedicata la mostra attuale:  il recupero della statua dell’imperatore Caligola e di altri reperti collegati alla sua residenza a Nemi, cosa che coinvolge la storia dell’imperatore a tutti noto per la sua crudeltà e per la sua dissennatezza, ma che ha anche altri aspetti da non ignorare, e la vicenda delle due grandi navi rinvenute nel lago di Nemi.

Il recupero della grande statua

I fatti innanzitutto,  rievocati  dal  Comandante del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico   della Guardia di Finanza, Massimo Rossi, che risalgono al gennaio 2011. A conclusione di una complessa indagine fu bloccato l’espatrio in un container diretto in Svizzera, delle sezioni marmoree di una statua colossale destinata al mercato estero, in particolare sino-nipponico. L’autista del veicolo e due complici che lo scortavano furono deferiti all’autorità giudiziaria, e vennero eseguite perquisizioni domiciliari alla ricerca delle parti mancanti della statua.

E’ emersa subito l’importanza del rinvenimento, i calzari hanno fatto identificare il personaggio nell’imperatore Caligola, mentre le analisi di laboratorio sulle concrezioni e sui residui di terra hanno indicato la zona di provenienza del prezioso reperto: l’agro nemorense, in particolare la località “La Cavalleria”, nel territorio tra Nemi e Velletri, dove Caligola aveva fatto erigere sulle rive del  lago di Nemi una propria residenza e collocare  due navi-palazzo nel lago.

All’identificazione della zona di provenienza è seguito uno scavo sistematico con il rinvenimento dei resti  di una villa suburbana di età giulio-claudia con un ninfeo dove era collocata in origine la statua di Caligola, e di alcune sezioni mancanti della statua con altro materiale decorativo; la presenza di una testa  ha fatto pensare fosse quella mancante nella statua mutila, ma le dimensioni sono diverse, per cui si ritiene riguardasse una delle statue di contorno della villa.  Sulla vera testa della statua  si sono poi concentrate le indagini nell’ambiente antiquario dove veniva offerta una testa gigantesca sul mercato clandestino: acquirente interessato un ricco industriale russo tramite un intermediario ginevrino, ma la vigilanza della Guardia di Finanza ha fatto saltare la trattativa.  

L’imperatore Caligola: aberrazioni e progetti ambiziosi

Il recupero in  corrispondenza del bimillenario della nascita di Caligola, del 12 d. C., ha acuito l’interesse sul personaggio, la cui figura è stata in passato liquidata come sadica e stravagante, mentre è più complessa; infatti oltre alle aberrazioni e alle stravaganze, vanno considerate le iniziative messe in atto e quelle rimaste inattuate  data la rapida conclusione del suo impero durato  “tre anni, nove mesi e dieci giorni”, come ha scritto lo storico dell’epoca Cassio Dione.

L’impero di Caligola ebbe inizio alla morte violenta dell’imperatore  Tiberio, suo prozio che lo aveva designato erede con il cugino Tiberio Gemello, e fu ucciso dal prefetto del pretorio Macrone  con la sua partecipazione, non è chiaro se materiale o soltanto morale, cui seguì la sua ipocrita  orazione funebre nel Foro e il solenne  funerale in cui scortò il feretro al Mausoleo di Augusto.  Altre eliminazioni fisiche da lui provocate quella di Tiberio Gemello, che si suicidò, del suocero Silano e dello stesso Macrone, nel 38, dopo una misteriosa malattia che incattivì ulteriormente Caligola; quindi l’esecuzione del generale Getulico, comandante della Germania Superiore, accusato di congiurare contro l’imperatore, e di Emilio Lepido, con un clima di terrore  diffuso a Roma, anche per i suoi attacchi al Senato, accusato degli omicidi compiuti sotto Tiberio, con tanto di documenti accusatori da lui conservati  mentre dovevano essere distrutti allorché abolì il delitto di lesa maestà nelle prime misure liberalizzatrici dell’impero. 

Le stravaganze vanno dall’elezione a console del suo cavallo Incitatus, con il significato politico di sfidare il Senato che fino ad allora era stato in diarchia con l’imperatore; alla statua d’oro che lo ritraeva e faceva vestire ogni giorno con la veste da lui indossata;  all’ordine dato alle truppe nel tentativo fallito di invadere la Britannia,  di riempire di conchiglie gli elmi e le vesti per raccogliere “le spoglie dell’oceano”. Fino alla costruzioni di due navi gigantesche per navigare in un piccolo lago come quello di Nemi, la rotta maggiore terminava al Tempio di Diana sull’altra sponda.

Fu vittima dell’ennesima congiura ordita dai tribuni dei pretoriani Cherea e Cornelio Sabino nel 41 d. C., colpito da 30 pugnalate, Cherea  fu il primo a colpirlo, poi fece uccidere anche la moglie – ne ebbe diverse nella sua vita inquieta – e la figlia Drusilla di soli quattro anni.

Nel suo quadriennio da imperatore, oltre alle stravaganze e alle violenze, troviamo atti di liberalità come il ripristino delle assemblee popolari e il richiamo degli esiliati, la riabilitazione degli scrittori  e la soppressione di alcune imposte,  l’abolizione del delitto di lesa maestà  e il ripristino delle assemblee popolari; e progetti ambiziosi, la maggior parte dei quali non portati a termine o neppure iniziati: come la costruzione del porto di Reggio con i magazzini per il grano egiziano, e il taglio dell’istmo di Corinzio,  il tempio del divo Augusto e il teatro di Pompeo, l’acquedotto Anio Novus e l’Acqua Claudia, il circo Gaianum con un obelisco egiziano e il ponte di barche di 4 km tra Pozzuoli e Baia, su cui sfilò in trionfo con la corazza di Alessandro Magno e il figlio del re dei Parti sconfitto; sue le spedizioni militari in Germania e in Britannia festeggiate con un’ “ovatio”.

La “damnatio memoriae” –  cui fu condannato dopo essere stato eliminato sanguinosamente dalla congiura del Senato – ha fatto dimenticare  quanto di buono aveva realizzato o soltanto iniziato, tra tante violenze e aberrazioni. E ha fatto sparire ogni traccia della sua figura  con la distruzione delle statue che lo raffiguravano, per cui il recupero di quella in mostra risulta ancora più prezioso. 

Caligola attribuiva un preciso significato politico alle proprie statue, cosa che ne accresce l’interesse e il valore storico. Cercava di emulare Giove facendosi raffigurare in pose statuarie come Juppiter in trono, del resto  fu la forma di autocelebrazione degli imperatori della dinastia giulio-claudia a partire da Ottaviano Augusto, come dimostra la statua di Cuma all’Hermitage di San Pietroburgo.

Voleva utilizzare una propria statua ispirata alla divinità pagana come provocazione per gli ebrei minacciando di esporta nell’inviolabile sancta sanctorum di Gerusalemme. Fu mandata a Roma addirittura una delegazione guidata da Filone di Alessandria per dissuaderlo dall’arrecare un’offesa alla religione che avrebbe potuto provocare  violente reazioni.

La statua di Caligola vista da vicino

Ed eccoci ora dinanzi alla grande statua dopo aver presentato il personaggio e ricordate le circostanze del rinvenimento. E’ in marmo  greco, lo raffigura seduto sul trono,  in dimensioni maggiori del reale: I due grossi frammenti ricomposti sono rispettivamente di cm 131 quello inferiore, con le due gambe e la base del trono, e di cm 115 quello superiore  con il busto e la spalliere, fino al collo. Altezza totale cm 210 ma con la testa mancante sarebbe di cm 240. 

Un mantello avvolge le gambe e la spalla sinistra lasciando nudo il busto, in mano forse aveva uno scettro simbolo del potere  imperiale.  Particolare interesse presentano i calzari perché sono serviti per l’identificazione: sono aperti, la suola è bassa e il piede è le strisce di pelle avvolgono il piede,  si tratta delle “caligae speculatoriae”, scarpe leggere che Caligola era solito usare e che si trovano anche nella sua statua esposta al Louvre.  Il trono è molto elaborato ha una spalliera con un timpano su pilastrini dai capitelli corinzi a foglie lisce, ci sono alcuni rilievi tra i quali una vittoria alata di profilo in cammino, una maschera femminile tipo gorgone tra doppie volute, una figura femminile alata che sembra emergere dall’onda, che ricorda il motivo della “donna fiore”, un capitello eolico; il sedile è coperto da una stoffa che termina con una frangia.

La statua e il trono dovevano essere in origine policromi, come i troni di età macedone. Il modello statuario è quello di Zeus Verospi dei Musei Vaticani, rinvenuto sulla via Nomentana, ispirato a Giove Capitolino che aveva per modello il Zeus di Fidia del tempio di Olimpia descritto da Pausania. Era l’iconografia preferita da Alessandro Magno, quindi non sorprende che la prediligesse anche Caligola, che come si è ricordato sfilava in trionfo con la corazza di Alessandro. 

Una conferma storica della statuaria di Caligola viene proprio da Filone di Alessandria,che abbiamo ricordato capo della delegazione mandata da Gerusalemme a Roma per dissuadere l’imperatore dal collocare una propria statua nel sancta sanctorum, interdetto a chiunque tranne che al sommo sacerdote e soltanto nel giorno della riconciliazione.

Filone, che era uno storico ebreo, nel “Legatio ad Gaium”  fa un resoconto della vicenda: la missione ebbe inizialmente successo, l’imperatore li accolse con benevolenza negli Horti di Agrippa, e acconsentì, ma pochi mesi dopo reagì alla distruzione di una sua statua a Gerusalemme  ordinando al governatore della Siria Petronio di attuare l’idea iniziale, realizzare una sua statua colossale come Juppiter in trono in marmo di Sidone e farla collocare nel sancta sanctorum scortata da due delle quattro legioni della provincia.

Petronio cercò di convincere i maggiorenti ebrei a consentire questa intromissione nel luogo sacro ma invano, allora intervenne sugli artigiani di Sidone per rallentare la realizzazione della statua; e si recò a Tiberiade, la capitale della Galilea con Erode Antipa, ma essendo questi partito per Roma  scrisse a Caligola per dissuaderlo con l’argomento che gli ebrei avrebbero trascurato di coltivare i campi compromettendo i raccolti, con grave danno per Roma.

Nessun risultato,anzi Caligola lo sollecitò a far realizzare presto la statua. Intanto Erode Antipa, venuto a conoscenza a Roma di questa vicenda, condividendo le preoccupazioni di Petronio, facendo leva  sui buoni rapporti con l’imperatore, gli scrisse una lettera accorata che sembrò convincesse Caligola a rinunciare alla sua idea, in cambio dell’assicurazione che gli ebrei non avrebbero ostacolato l’introduzione del culto dell’imperatore fuori Gerusalemme. 

Questa la conclusione, l’ “happy end”? Sembra di sì, ma solo perché l’imperatore morì nella congiura di palazzo nel 41 d. C., poco dopo la missione di Filone del 39-40 d.C.; infatti mentre prometteva di desistere ordinava di realizzare in segreto la statua per portarla con sé nel primo viaggio in Oriente e collocarla di sorpresa a Gerusalemme prima della reazione degli ebrei. Giuseppina Ghini, dopo aver ripercorso l’intera vicenda, osserva come questa testimonianza conferma la riferibilità a Caligola di statue come Juppite r in trono, anche se non sono pervenute per la “damnatio memoriae”. E conclude che l’identificazione con Caligola, oltre che da questa constatazione, deriva dalla tipologia di calzature e dal luogo del rinvenimento, nel territorio di Nemi: “Potrebbe trattarsi di un’immagine celebrativa eletta quando l’imperatore era ancora in vita e innalzata all’interno della sua villa, dove era collocata in un ninfeo a forma di ventaglio, orientata in modo da volgere lo sguardo verso Anzio, città natale dell’imperatore”.

E’ stato fatto un restauro molto accurato con il quale si sono eliminate  le incrostazioni e ricomposta l’unitarietà dei vari pezzi in cui era smembrata la statua, compresi i frammenti recuperati a parte.

Gli altri reperti in mostra

Altri reperti  sono esposti   nella vasta sala del Vittoriano dove spiccano i video che trasmettono ininterrottamente i filmati delle spettacolari  operazioni di recupero della Guardia di Finanza. Sono stati recuperati anch’essi dal Gruppo per la tutela del patrimonio archeologico.

Il primo è una “Testa femminile”, del I sec. d. C., recuperata nel 2007 nel mercato antiquario romano, proveniente da uno scavo clandestino, di marmo con superficie porosa, richiama l’iconografia di Agrippina minore nell’acconciatura e di Agrippina maggiore nel viso.

E’ l’unica testa visibile nella mostra essendo acefala sia la grande statua di Caligola sia  la “Statua di Apollo da Genzano”, del II sec. d. C., un torso in marmo bianco di Aphrodisia o Paros,  mutila anche negli arti, eccetto l’inizio delle braccia all’attaccatura della spalla; nonostante ciò si può ricostruire che poggiava sulla gamba sinistra, una gamba era tesa, l’altra flessa.

La  “Sima con amorini”, seconda metà I sec. a. C., in terracotta,  reca il motivo degli eroti che reggono un festone  tipico dell’area romano-laziale in età augustea, si trova anche nell'”Ara pacis”, l’immagine in rilievo è molto nitida. Ancora più spetta colare il “Cratere marmoreo con corsa di amorini su biche”, recentissimo recupero della Guardia di Finanza nel gennaio 2014, di marmo bianco italico con la rappresentazione tipica dei sarcofagi per i bambini, di una corsa con tre carri all’interno di un circo che potrebbe essere il Circo Massimo; dinamismo e grazia nelle figure in uno sfondo architettonico con colonne e frontone triangolare, in una raffigurazione altamente simbolica.

Ben diversi i sottili rilievi nelle “Lastre del santuario di Diana Nemorense”, della fine del II sec. d.C., rappresentano  un repertorio di armi barbariche sovrapposte come trofei per simboleggiare le virtù militari che hanno fatto strappare al nemico le armi offerte alla divinità.

Con queste lastre torniamo a Caligola, cui si riferiscono direttamente  gli ultimi due reperti esposti:  la “Mano apotropaica dalle navi di Caligola” e la “Parte di fistula recante il nome di Caligola”,che si riferiscono alle “navi di Caligola”  e sono conservate, insieme agli altri reperti citati, nel “Museo delle navi” di Nemi,  del quale la mostra rievoca per immagini la lunga storia.

Le navi di Nemi e il Museo

Ripercorriamo  rapidamente  questa storia, ne sono protagoniste  le due navi che Caligola  fece costruire  e utilizzò nel lago di Nemi.

La prima nave era un vero palazzo  galleggiante di cinque ambienti, corridoi, stanze per gli ospiti, una terrazza,  fu utilizzata anche da Claudio e Nerone, il quale aggiunse un edificio centrale rettangolare, i pavimenti e le pareti erano rivestiti di “opus sectile”, intorno correva una balaustra in bronzo. Aveva timoni, ancora e argani, e veniva trainata da altre imbarcazioni.

Un vero complesso templare galleggiante la seconda nave, un tempio tetrastilo con un  peristilio di colonne corinzie e una facciata a prua di tipo teatrale, anche qui pavimenti e pareti in “opus sectile” con riquadri marmorei, tegole in rame dorato sul tempio di Iside. A differenza della prima nave il movimento era assicurato da 24 remi per lato, manovrati da due rematori ciascuno su appositi seggi.

La lunghezza, di 70-73 metri è leggermente inferiore alla nave porta obelischi dello stesso periodo (39-45 d. C.) di 80 metri, la larghezza per la prima  è simile, per la seconda  maggiore, 24 metri rispetto a 19, le grandi navi di epoca più antica, la “Syracosia” e la “Thalamegos” del 235-219 a: C.   erano più lunghe (86-88 metri) ma molto più strette (13,5 metri). Ebbene, per le navi di Caligola, non si è trattato di una ricostruzione  astratta e virtuale di archeologia navale: sono state rinvenute nel fondo del lago di Nemi,  nelle acque trasparenti era visibile la presenza di relitti, con la struttura relativamente conservata: e hanno rappresentato per secoli, oltre all’occasione di depredamenti, una sfida costante per il recupero.

Il primo tentativo di riportarle in superficie risale a Leon Battista Alberti nel 1446 incaricato dal cardinale Prospero Colonna, che aveva un  castello e terreni sulle rive del lago; l’impresa non ebbe successo, è andato perduto il trattato “Navis”  in cui era descritta. Ulteriori tentativi di Francesco De Marchi nel 1535 e di Annesio Fusconi nel 1827  che recuperò con una campana alcuni materiali; altri bronzi furono recuperati nel 1895 da Eliseo Borghi, che ebbe il merito di accertare la presenza di due scafi e non uno, distanti 200 metri, e di sollevare un a discussione culminata nella relazione del 1905 “Le navi romane del lago di Nemi” che concludeva proponendo il parziale prosciugamento del lago per riportarle in superficie.

Vent’anni dopo, nel 1926, il Ministro nella Pubblica Istruzione Pietro Fedele istituì  una Commissione presieduta da Corrado Ricci, allora impegnato a far riemergere i Fori imperiali, che prese in seria considerazione la proposta del prosciugamento, da realizzarsi ripristinando l’antico emissario ostruito; a tale fine fu costituito il Comitato industriale per lo scoprimento delle navi nemorensi, fu disostruito l’emissario e con l’aiuto di potenti idrovore in meno di un anno, dal 20 ottobre 1928 al 3 settembre 1929 fu riportato alla luce il primo scafo che si trovava ad 11,28 metri.; ci vollero altri tre anni per far rimergere anche la seconda nave nell’ottobre 1932.

Direttore dell’impresa l’ing. Guido Uccelli, per la società Riva di Milano, e al riguardo Giuseppina Ghini, alla quale dobbiamo la minuziosa ricostruzione della storia delle navi di Nemi, osserva: “Uno dei primi esempi fruttuosi di collaborazione pubblico-privato e di sponsorizzazione”. E ricorda che “tutte le operazioni vennero accuratamente documentate con un filmato realizzato dall’Istituto Luce (recentemente restaurato) e accompagnate da indagini geologiche, fisiche, botaniche, chimiche e idrogeologiche”, la cui documentazione si trova nella pubblicazione del Poligrafico dello Stato “Le Navi di Nemi”, edita nel 1940, poi nel 1950 e poi ristampata.

La bella storia continua con la costruzione del Museo in cui collocare le navi, fu ultimata il 15 ottobre 1935, a parte la facciata da completare dopo l’immissione degli scafi; fu progettato dall’architetto Morpurgo, lo stesso della teca dell’Ara Pacis  purtroppo  sostituita dalla devastante megastruttura dell’archistar Meyer, in cui l’Ara Pacis si perde mentre viene soffocata l‘antica chiesa adiacente. La prima nave vi fu immessa un mese dopo, il 18 novembre, e la seconda  trascorsi altri due mesi il 20 gennaio 1936. Vi furono collocati anche  un battellino dei predatorio antichi  e due piroghe protostoriche, le ancore e i macchinari con un ricco corredo documentario.

Finisce qui la parte positiva, il 31 gennaio 1944, alla vigilia della liberazione di Roma, un incendio notturno,  di origine dolosa appiccato dall’interno, distrugge l’intero contenuto del Museo, quindi le preziose navi di Nemi e gli altri reperti, si salvarono quelli portati bell’agosto 1943 nel Museo Nazionale Romano, i bronzi e la balaustra, i condotti e i pavimenti in “opus sectile”.

Una perdita gravissima, e a poco è valsa la ricostruzione dell’edificio, ormai fuori misura con i ballatoi con le scale a chiocciola per osservare dall’alto le due grandi navi che sono state sostituite da due modelli in scala 1:5, nel vasto ambiente fatto per dimensioni quintuple del Museo riaperto il 25 novembre 1953, nel tentativo di dare una funzione didattica; poi dieci anni dopo chiusura venticinquennale e riapertura il 16 dicembre 1988 ma senza i reperti collegati alle navi e al tempio di Diana salvati dalla distruzione. Finché questi reperti nel 1912 sono stati restituiti al Museo dalla Soprintendenza per i beni archeologici di Roma e nel 2013 si è inaugurato il nuovo allestimento.

Con la grande sorpresa della statua di Caligola: recuperata nel 2011 dalla Guardia di Finanza nel bimillenario dalla nascita dell’imperatore, e in quanto proveniente dall’area nemorense  diventa la “star” del Museo, al quale le moderne tecnologie di ricostruzione virtuale offrono i mezzi per sopperire alla perdita fisica dei grandi scafi, finché non sarà possibile riprodurli in dimensioni naturali.  Tutto questo evoca la mostra al Vittoriano, e per questo ha un valore che supera quello normalmente attribuito alle esposizioni, è  la risposta positiva ad un evento quanto mai deprecabile, tanto più che è stata la mano dell’uomo a distruggere reperti così preziosi: l’operazione della Guardia di Finanza ha recuperato la statua di chi quelle navi aveva realizzato e utilizzato, così l’imperatore Caligola è tornato nella sua Nemi assiso in trono come a sfidare il tempo e la sorte.

Info

Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere, lato Fori Imperiali, Sala del Giubileo. Aperto tutti i giorni, da lunedì a giovedì ore 9,30-19,30,  da venerdì  a domenica ore 9,30-20,30, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso gratuito. Tel. 06.6780664; Guardia di Finanza 06.46682653;  http://www.comunicareorganizzando.it/. Catalogo: “Sulle tracce di Caligola. Storie di grandi recuperi della Guardia di Finanza al lago di Nemi”, Gangemi Editore, maggio 2014, pp. 128, formato 24×28.  Per le mostre del 2013 sui recuperi delle forze dell’ordine cfr. i nostri articoli  in questo sito “Arte salvata, la mostra nel 150° dell’Unità d’Italia” il  1° giugno, “Urne etrusche, 24 recuperate con 3000  altri reperti” il 21 luglio,  e “Archeologia, capolavori recuperati a Castel Sant’Angelo” il 22 luglio; per mostre precedenti cfr. in “cultura.inabruzzo.it”  “I tesori invisibili” 10 luglio 2009. Inoltre in http://www.antika.it/  il nostro articolo “Roma. Recuperate 24 urne etrusche dal Comando tutela”  luglio 2013; nello stesso sito i nostri servizi sui recuperi del Comando Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri il 12, 15 febbraio e 9 maggio 2010, il 12, 21 gennaio e 12 giugno 2012.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Sala del Giubileo del Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia e la Guardia di Finanza con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura la “Statua maschile su trono” identificata nell’imperatore Caligola, I sec. d. C., seguono “Statua di Apollo da Genzano“, II sec. d. C. e “Cratere marmoreo con corsa di amorini su bighe”, tarda età antonina, poi “Testa femminile”, 40-50 d. C., e vaso, quindi “Sima con amorini”, seconda metà I sec. a. C. e “Parte di fistula recante il nome di  Caligola”  37-41 d. C., , quindi “Mano apotropaica dalle navi di Caligola” e la seconda nave di Nemi nel Museo prima dell’incendio distruttivo del 1944 (foto d’archivio tratta dal Catalogo);  in chiusura uno scorcio della sala con i video illustrativi, in primo piano il Cratere marmoreo con corsa di amorini su bighe”.