di Romano Maria Levante
Si conclude la nostra visita alla mostra “Henri Cartier Bresson”, aperta nel Museo dell’Ara Pacis dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015, con 350 fotografie e 150 documenti sul percorso artistico e di vita del celebre fotografo che ha lasciato la più vasta ed efficace testimonianza per immagini dei grandi eventi come della vita quotidiana nel secolo scorso. La mostra, organizzatada Zetema e da Contrasto, editore del Catalogo, con la Fondazione Henri Cartier Bresson, è stata prodotta dal Centre Pompidou che l’ha già esposta a Parigi, e curata da Clément Chéroux, Abbiamo descritto gli aspetti principali della grande mostra che la differenziano notevolmente e la qualificano rispetto alle mostre precedenti sul grande fotografo rivolte a sottolineare l’unitarietà della sua produzione, mentre la mostra attuale presenta i diversi volti dell’artista. E questo isolandone i diversi momenti sia sul piano cronologico che su quello dei contenuti, in 9 sezioni alle quali corrispondono altrettante visioni dei soggetti evidenziati. Una accurato lavoro di ricerca e di interpretazione che ci ha dato un’immagine complessa di un testimone che diventa protagonista.
In precedenza abbiamo ripercorso la prima fase della sua vita, quella della formazione, fino alla vicinanza con i surrealisti e all’influenza che questi hanno avuto su di lui. Ma è stato solo l’inizio.
Le altre due fasi del percorso artistico e di vita
Dall’orientamento artistico in chiave surrealista, si passa all’impegno politico rivoluzionario su posizioni di sinistra, peraltro degli stessi surrealisti, per un nuovo corso anticolonialista e contro il pericolo della vittoria delle destre a livello interno e internazionale. Firma manifesti per l'”unità d’azione” delle forze di sinistra e l’esigenza della lotta rivoluzionaria, nel 1936 a Parigi partecipa all’Associazione degli scrittori e artisti rivoluzionari, lavora nella stampa comunista; nel 1934 e 1935 aveva visitato Messico e Stati Uniti in contatto con persone impegnate politicamente in senso rivoluzionario. Va in Spagna a fotografare la guerra civile tra franchisti e brigate internazionali, farà un film documentario che viene proiettato in mostra .
La sua visione ideologica rivoluzionaria lo ha portato a prediligere le folle, come incarnazione del potere popolare. Ne era stimolato fortemente, si confondeva nella moltitudine con la macchina fotografica che fissava i movimenti delle masse attraverso i volti, le espressioni, le bandiere. Nei lunghi periodi di lotte sociali e rivendicazioni popolari cercava di essere sempre presente nelle manifestazioni per fissarne i momenti più espressivi, lo farà per soddisfazione personale anche dopo aver abbandonato i reportage.
Il risvolto di questo interesse per le masse è la sua rappresentazione di quelle che vengono chiamate “icone del potere”: ritratti di dittatori o comunque esponenti di potere politico, nazionalista, religioso visti come ostentazione di un qualcosa che è disgiunto dalla realtà, e dalla vita, come fotomontaggi visivi.
Siamo negli anni ’40, milita nella resistenza francese continuando a svolgere il lavoro di fotografo, viene preso dai nazisti ma riesce a fuggire dal carcere, quando rientrerà in Francia assisterà i prigionieri evasi, alla liberazione di Parigi nel 1945 è presente con la sua macchina fotografica per immortalare quel momento glorioso.
Nel 1944 fa i primi ritratti per un editore. Sarà questo un importante settore della sua attività, su commissione di editori e riviste. Diceva: “Fare un ritratto è per me la cosa più difficile. E’ un punto interrogativo poggiato su qualcuno. Devi provare a mettere la macchina fotografica tra la pelle di una persona e la sua camicia”. E lo ha fatto con tanti grandi personaggi come quelli che abbiamo citato in precedenza. Cercava di far dimenticare la sua presenza al soggetto da ritrarre, fotografandolo a distanza e mai in primo piano, dando rilievo agli sfondi e all’ambiente. Continuerà a fare ritratti anche negli ultimi anni, dopo aver abbandonato l’attività.
Termina la guerra, dirige Le Retour, un documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati, mentre il Moma di New York vorrebbe dedicargli una mostra , credendolo morto in guerra; per mostrare le sue foto ai curatori prepara un album divenuto celebre, lo “Scrap Book”, con 346 foto. Dopo la mostra l’album fu dimenticato, molte foto deperirono finché dopo sessant’anni, nel 2007, furono restaurate e pubblicate dalla Fondazione.
Dopo la guerra soggiorna negli Stati Uniti, impegnato in servizi fotografici per Harper’s Bazar, nel 1947 con gli amici Seymor e Robert Capa, George Rodger e William Vandivert fonda l’Agenzia Magnum e inizia un lunga serie di viaggi per il mondo, dal Canada al Messico, dall’India alla Cina, dal Giappone all’Unione Sovietica nei quali farà reportage che gli daranno una grande celebrità, in Urss fu il primo occidentale a fotografare liberamente. Viene anche in Italia, la prima volta nel 1951, e in Sardegna come inviato di Vogue nel 1962,
Fotografa anche la danza, dopo aver sposato la ballerina giavanese Carolina Jeanne de Souza- Like, in occidente danzava con il nome di Ratna Mohini; ritrae nel 1949 le danzatrici di Bali e nel 1954 pubblica le immagini nel libro “Danses a Bali”, nella cui introduzione Antonin Artaud definisce il ballerino un “geroglifico animato”. Farà fotografie definite di “scrittura corporea”, che esaltano il carattere ideografico del corpo in movimento; poi applicherà tale formula alla sua visione delle città, ritraendo nello spazio urbano sagome viste come segni associati, come frasi scritte.
Tornato in Francia, nel 1950 trova un altro mondo, l’ “American way of Life” ha dato avvio alla società dei consumi, diviene il suo tema fisso, lo rende con immagini che rivelano il desiderio dei consumatori attraverso i loro occhi non solo in Francia ma anche in altri paesi dove fotografa i compratori nei grandi magazzini. Ne nasce una galleria cosmopolita del consumismo nei volti di tante nazionalità.
Ma non è solo il consumismo che lo attira, anche il mondo del lavoro nel momento in cui è in atto la ristrutturazione dell’industria europea. Data la sua posizione ideologica e il suo impegno politico si potrebbe pensare che ha voluto denunciare lo sfruttamento del lavoratore nelle catene di montaggio sempre più esasperate; non è così, lo interessava il rapporto fisico tra uomo e macchina, con l’operaio che ne diventa parte. Riflette le posizioni sociologiche sul predominio dell’uno o dell’altra che portavano i dadaisti e i costruttivisti a immagini fantasiose di ibridi con il rapporto di dominio biunivoco tra i due soggetti.
Diventa celebre a livello mondiale, ma ha l’interesse sempre concentrato sul suo paese, come si vede nel famoso reportage sulla sei giorni ciclistica di Parigi del 1957; e anche sull’Europa, come dimostrano le inchieste fotografiche in Germania e Italia, Inghilterra, Svezia e Svizzera, particolarmente studiate nelle inquadrature e nelle luci; si aggiungono a quelle più eclatanti in India, Cina, Unione Sovietica.
Nel 1963 si trova a Cuba per la rivista “Life”, c’è la crisi dei missili che ha portato sull’orlo della guerra mondiale, le sue immagini rendono il clima di tensione e militarismo con i soldati armati nelle strade, la propaganda da un lato, le bellezze dell’isola dall’altro.
Un lungo soggiorno in Giappone nel 1965 lo porta ad una calma contemplativa che si vede nel suo stile di ripresa, tempi più lunghi, non ricerca come in passato l’istante da non perdere, le immagini potrebbero essere state riprese prima o dopo, non c’è più\ il momento decisivo. Si avvicina al buddhismo e lo Zen diventa per lui filosofia di vita e modo di concepire la fotografia e l’arte.
Negli anni ’70 lascia il reportage, che ha la concitazione della attualità e lo obbliga a temi e situazioni prefissate, per dedicarsi a foto contemplative che rispondono sempre più a una propria esigenza interiore. Riduce progressivamente l’impegno nella fotografia per tornare alla pittura, continuerà però a fare ritratti fino al 1980 e oltre, forse perché è una realtà che ancora lo interessa. Dice infatti: “La fotografia di per sé non mi interessa proprio; l’unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà”.
Riprende la passione dell’infanzia, il disegno, con schizzi realizzati dal vero, aderenti alla realtà ma senza colore. Addirittura al Louvre copia i capolavori e al Museo di storia naturale i reperti preistorici, ama soffermarsi alla finestra e allo specchio nel rimirare le rughe del suo viso. . Espone i disegni da soli o in occasione di mostre fotografiche .dando alle due forme espressive queste definizioni: “La fotografia è per me l’impulso spontaneo di una attenzione visiva perpetua che coglie istante ed eternità. Il disegno con la sua grafologia elabora quello che la nostra coscienza ha colto di quell’istante. La fotografia è un gesto immediato, il disegno una meditazione”..
Si ritira dall’agenzia Magnum, ritenendo che si fosse allontanata dallo spirito iniziale, in realtà è lui stesso ad aver mutato atteggiamento. Ha sempre la Leica per scelte personali, situazioni contemplative, per il resto si dedica all’organizzazione del suo sterminato archivio, di mostre e libri; anche, e soprattutto, a visitare musei e mostre d-arte dove si impegna assiduamente nel disegno.
Nel 1979 grande mostra celebrativa a New York, nel 2000 con moglie e figlia crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, per raccogliere la sua sterminata produzione e fornire uno spazio espositivo ad altri artisti; avrà nel 2002 il riconoscimento dello Stato come ente di pubblica utilità. La tutela della proprietà intellettuale delle sue opere per evitarne l’incontrollato sfruttamento commerciale ha portato la Fondazione a non autorizzare più nuove stampe salvo autenticare quelle di sicura origine.
La sua arte fotografica è descritta da lui stesso nel 1952 nel libro The Decisive Moment (Il momento decisivo), pubblicato a New York, nella traduzione francese è intitolato Images à la sauvette. In particolare analizza il reportage fotografico e la scelta del soggetto, la composizione e il colore, la tecnica e i clienti.
Il suo pensiero sulla fotografia e sulla vita
Dopo aver visto le 350 immagini e scorso gli altri 150 documenti il desiderio di saperne di più cresce, la ricerca di ciò che c’è dietro quella rappresentazione della realtà così spontanea e immediata ma nello stesso tempo specchio di una personalità creativa e motivata.
Per questo siamo andati a cercare le sue dichiarazioni, che compongono un mosaico dell’artista nello stesso modo in cui le sue fotografie hanno composto un mosaico del secolo.
Cominciamo con quelle di carattere pratico, semplici ma non banali : “Il mestiere di reporter ha solo trent’anni, si è perfezionato grazie alle macchine piccole e maneggevoli, agli obiettivi molto luminosi e alle pellicole a grana fine molto sensibili realizzate per soddisfare l’esigenza del cinema. L’apparecchio è per noi uno strumento, non un giocattolino meccanico”. Di qui una preziosa indicazione: “ È sufficiente trovarsi bene con l’apparecchio più adatto a quello che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi ecc, devono diventare un riflesso, come cambiare marcia in automobile. In realtà la fotografia di reportage ha bisogno di un occhio, un dito, due gambe».
Poi un commento: “La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità. E un precisazione:“Ho scoperto la Leica; è diventata il prolungamento del mio occhio e non mi lascia più”, che ribadisce più volte: “La mia Leica mi ha detto che la vita è immediata e folgorante. Non ho mai abbondato la Leica, qualunque altro tentativo mi ha sempre fatto tornare da lei. Per me è LA macchina fotografica
Ma come definisce la fotografia? Abbiamo già riportato la sua definizione rapportata al disegno, aggiungiamo che per lui “la fotografia è il riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato di un evento” e “ho capito all’improvviso che la fotografia poteva fissare l’eternità in un attimo; le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento“. E aggiunge: ” Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio è catturare quel minuto, parte della realtà”.
Entra nel momento decisivo: “Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale”.
Non è una mera improvvisazione, qualcosa di più e di diverso: ” Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”. Alla base di tutto una visione poetica: “Si muore tutte le sere, si rinasce tutte le mattine: è così. E tra le due cose c’è il mondo dei sogni”..
C’è la ricerca di una qualità quasi di tipo pittorico, pur nella spontaneità: “A volte c’è un’unica immagine la cui struttura compositiva ha un tale vigore e una tale ricchezza e il cui contenuto irradia a tal punto al di fuori di essa che questa singola immagine è in sé un’intera narrazione”.
Le sue parole ci sembrano la migliore conclusione del racconto di una storia straordinaria: quella di un artista della fotografia testimone e interprete di un secolo travagliato i cui eventi grandi e piccoli fissati dal suo obiettivo, restano nitidamente scolpiti nella nostra mente e nei nostri cuori.
Info
Museo dell’Ara Pacis, Nuovo spazio espositivo Ara Pacis, Via Ripetta, Roma. Da martedì a domenica ore 9.00-19.00, lunedì chiuso; la biglietteria chiude un’ora prima; il venerdì e sabato per l’intera durata della mostra, prolungamento dell’orario di apertura, del solo spazio espositivo (Via di Ripetta), fino alle 22.00 (ultimo ingresso ore 21.00). Ingresso solo mostra “Henri Cartier-Bresson” (ingresso da Via di Ripetta) Intero € 11,00, ridotto € 9,00 (meno di 26 anni e oltre 65 anni e particolari categorie). Per le mostre citate di grandi fotografi cfr. i nostri articoli in questo sito e in http://www.visualia.it
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’Ara pacis all’inaugurazionbe della mostra, si ringraziano gli organizzatori con il Center Pompidou e i titolari dei diritti, in particolare la Fondazione Henri Cartier Bresson per l’opportunità offerta. Sono immagini di vita quotidiana e anche immagini insolite, in chiusura una fotografia della serie eventi con una carrellata di ritratti di personaggi, in primo piano un ritratto di Breznev.