di Romano Maria Levante
Visitiamo le opere esposte nella mostra “Matisse, arabesque”, aperta al Palazzo Esposizioni dal 5 marzo al 21 giugno 2015 – oltre 100 tra dipinti, incisioni e disegni – intervallate da un’ampia selezione di tappeti e ceramiche, stampe e oggetti orientali, sulle fonti della sua ispirazione, che ne fanno rivivere il clima. Realizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo e coprodotta da MondoMostre, con circa 40 prestatori tra cui grandi musei europei ed americani, e le iniziative “Matisse doc.”, 5 documentari e “Incontri con Matisse”, 7 conversazioni. A cura di Ester Coen, che ha curato anche il Catalogo Skira.
I caratteri della sua arte già ricordati
Abbiamo delineato in precedenza alcuni dei caratteri salienti di un artista che ha saputo mantenere la “gioia di vivere” pur nei periodi turbolenti in cui è vissuto, che comprendono le due guerre mondiali del ‘900, ed esprimerla con una rivoluzione pittorica che ha sconvolto i criteri classici senza iscriversi nel solco dei contemporanei e delle avanguardie, da lui conosciuti da vicino e contrastati: considerava il Realismo una “copia della natura” e l’Impressionismo un “pullulare di sensazioni contraddittorie”, mentre con la sua pittura ricercava la “serenità attraverso la semplificazione delle idee e delle forme”.
La sua ribellione lo fa iscrivere tra i “fauvisti”, ma la sua cifra artistica è molto personale, basata su colori puri e squillanti, linee sinuose, superfici appiattite. Né la prospettiva dei classici né la scomposizione dei volumi dei cubisti, l’accostamento emotivo di linea e colore insieme al “principio di superficie” sono l’espressione stilistica di un modo di porsi rivoluzionario: non si propone di rappresentare la natura ma di dar corso alle proprie sensazioni, ponendo al centro non l’oggetto rappresentato ma la sua relazione con la personalità dell’artista, quindi la pittura stessa nella sua capacità di “organizzare sensazioni ed emozioni”, come disse lui stesso.
In questa visione lo “spazio della creazione” è la superficie piana in cui gli elementi visivi sono evidenziati forzando la linea e il colore, secondo le direttrici:del primitivismo istintivo e del cromatismo mediterraneo, del linearismo giapponese e dell’orientalismo decorativo. Le prime tre direttrici le abbiamo già delineate, è il momento dell’orientalismo decorativo che è anche la cifra distintiva dell’impostazione della mostra attuale, resa esplicita ponendo “arabesque” nel suo titolo.
Non è una semplice antologica della sua produzione, come furono ad esempio le mostre che presentarono nell’ultimo trimestre del 1991 a Roma nell’Accademia di Francia e nel primo trimestre del 1992 a Milano nel Palazzo Reale, i “Capolavori del Museo Matisse”, organizzati in 6 sezioni: dipinti e sculture, disegni, tempere intagliate e incisioni, la “Danza” e la “Cappella di Vence”. E’ una interpretazione molto precisa della sua arte pittorica tradotta in una forma espositiva coerente nella scelta delle opere e nell’affiancamento ad esse dei materiali dell’artigianato caratteristico che ne hanno alimentato l’ispirazione e orientato la forma espressiva: legata al primitivismo istintivo, al cromatismo mediterraneo e al linearismo giapponese di cui abbiamo già parlato, e soprattutto all’orientalismo decorativo cui accenniamo di seguito come premessa alla visita.
L’orientalismo decorativo, gli accostamenti e le variazioni
La centralità della decorazione, mutuata dagli arabeschi orientali, fu ispirata e alimentata dai viaggi che abbiamo citato in precedenza ricordandone la vita; e non si è risolta in un elemento ornamentale, ma ha consentito di liberare la concezione dello spazio dalle regole della prospettiva..
“I dipinti – osserva la curatrice Coen – si riempiono di segni che sottolineano la planarità del supporto; sono segni che alludono a motivi vegetali, al mondo della natura che penetra e si imprime a fondo intrecciandosi con figure e oggetti in un inestricabile viluppo lineare. L’ornamento, la decorazione, l’arabesco diventano lo splendido pretesto per rovesciare la visione sulla superficie e schiacciare la virtuale successione di piani alterando rapporti e proporzioni”. Non basta: “L’amore per le sinuosità, le volute, i fregi, gli elementi puramente ornamentali, cromatici o calligrafici, diviene il presupposto per una meditazione sulla ragione dell’arte”.
Disse l’artista: “La preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai i miei disegni, perché quei preziosismi e quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione. Ben collocati, suggeriscono la forma o l’accento di valori necessari alla composizione del disegno”. L’orientalismo decorativo lo porta all’allargamento della visione, al contrario dei comuni fregi ornamentali posti come mero contorno volto a limitarla alla parte centrale; infatti diventa come una spirale che si allarga invece di restringersi e determina quella libertà espressiva tipica dell’artista.
Xavier Girard, Direttore del Museo Matisse, nella presentazione delle mostre del 1991 e 1992 sopra citate, ebbe a sottolineare “i matrimoni di oggetti”, nelle parole dell’artista, definiti come fossero “invitati a partecipare allo spazio-tempo presentato dal dipinto”. Di qui “la propensione del pittore a percepire – più che gli oggetti e i modelli – le situazioni, gli accostamenti, spesso in rapporto dialettico”. Con questa conseguenza: “Tutto accade come se non ci fosse mai un tema solo, ma un’entità sempre doppia che sin dall’inizio si armonizza in un movimento che la trascinerà in una suite di variazioni, come se Matisse percepisse, di primo acchito, nella posa di un modello, la possibilità della sua variazione”.
In altre parole, l’artista vede “nel Tema la vibrazione delle ornamentazioni, in un gesto la coreografia di una serie di riflessioni. Accade così che il tema non sia un atteggiamento o una configurazione di oggetti, bensì una forza di generalizzazione, una prospettiva di espansione”, che diventa la sua “prospettiva del sentimento”, queste sono su parole.
L ‘impostazione è musicale, del resto lui stesso parla di “orchestrazione”; Girard ha aggiunto che Matisse “non cesserà di far riapparire l’esposizione del tema sotto la stretta dei disegni; non concepirà variazione se non in forma di fuga, di ripresa perpetua, come se si preoccupasse, prima di tutto, di captare l’inizio del disegno, laddove la mano, non ancora appesantita dall’immagine che ha fatto nascere, sembra agire con facilità, superare le forme della rassomiglianza, per raggiungere, come un movimento di danza, quell’altra figura che è il disegno”.
A questo punto passiamo alla galleria delle opere esposte nelle quali trovano espressione artistica al livello più elevato le ispirazioni e le forme stilistiche che abbiamo cercato di delineare.
La sfolgorante galleria espositiva
Si inizia nella 1^ sala con la spettacolare natura morta “Gigli, Iris e Mimose”, 1913, dal museo Puskin di Mosca, nella quale domina la decorazione orientale con l’accostamento del blu e del verde, che deriva dalla ceramica ottomana, come vedremo. Questi elementi sono contenuti nel precedente “Angolo dello studio”, 1912, e ancora prima nel più piccolo “Angolo di tavolo”, 1903; stesse luminose tonalità cromatiche e assonanze nel successivo “Scultura e vaso con edera”, 1916-17.
Dalle fantasie floreali si passa alle figure umane: nessun arabesco decorativo o elemento ornamentale, ma tonalità scure con il linearismo nei segni semplici di tipo geometrico e il primitivismo nel rigore espressivo evocato da maschere arcaiche e reliquari, tessuti africani e scudi esposti in mostra, provenienti dal Congo e dal Gabon, dalla Costa d’Avorio e dalla Polinesia.
Lo vediamo in quattro opere di notevole potenza visiva, il “Ritratto di Yvonne”, 1914, dal Philadelphia Museum of Arts,, che è stato paragonato al celeberrimo “Demoiselles d’Avignon” di Picasso, e la “Giovane con copricapo persiano”, 1915-16, dall’Israel Museum; , l’“Italiana”, 1916, dal Guggenheim di New York, e “Le Tre Sorelle”, dal museo parigino de L’Orangerie.
Vi accostiamo, all’insegna del primitivismo, i tre nudi abbozzati con forti contorni neri e forme grigie, 20-30 anni dopo: i 2 carboncini, “Nudo accovacciato”, 1936, e “Studio di nudo”, 1942, e l’olio “Nudo seduto di schiena”, 1946.
Torna l’elemento floreale e decorativo nella 3^ sala, in tonalità ancora più luminose e con un cromatismo più brillante. Più che in “Edera in fiore”, 1941, rigoroso nella disposizione del vaso con fiori, della tazza e dei frutti ben ordinati su un piano giallo, lo vediamo in “Ramo di pruno, fondo verde”, 1948: la decorazione è nel fondo verde e nei lunghi rametti di mandorlo, mentre il rosso del pavimento e della casacca della figura accentua fortemente la resa coloristica dell’insieme. L’ambientazione e l’atmosfera è giapponese, come le ceramiche che recano gli elementi floreali.
Dalla eleganza decorativa giapponese, nella 4^ sala si passa ai colori mediterranei, in 5 dipinti tutti del 1912, con altrettante figure singole, riprese sempre frontalmente: continua l’alternanza tra immagini floreali e naturali e figure umane. Anche qui con l’influsso del primitivismo ma in un clima ben più luminoso in cui il cromatismo basato sul blu e sul verde – che abbiamo visto nella 1^ sala utilizzato per le rappresentazioni floreali ed ornamentali – viene applicato al ritratto, con l’aggiunta in qualche caso di altri colori, giallo e soprattutto rosso.
In “Zorah sulla terrazza”, dal museo Puskin di Mosca, il blu è nel pavimento e nei decori della veste, il resto è verde, mentre in “La Piccola Mulatta” sul blu intenso dello sfondo spicca il rosso dell’abito decorato, il verde è quasi scomparso; la stessa struttura compositiva e la stessa posizione accovacciata la troviamo nel disegno a inchiostro dello stesso anno, “Fanciullo arabo”.
Il verde torna ad occupare l’intera figura in “Marocchino in verde”, salvo metà sfondo celeste e qualche ornamento colorato, ed è il colore della lunga veste su fondo rosso in “Zorah in piedi”; in “Zorah in giallo” è lo sfondo ad essere in tonalità verde pastello molto sfumato, mentre la veste è in una tinta neutra con la presenza di un rosso arancio.
Nella sala sono esposte maioliche di Iznik del XV-XVI secolo, espressione della cultura islamica, di matrice turca e ottomana, siriana e persiana che l’artista aveva conosciuto nei suoi viaggi, ne parleremo tra poco con riferimento a un’opera che si ispira in modo eclatante a tali prodotti di artigianato artistico pittoresco e spettacolare.
Prima si torna alle raffigurazioni della natura – l’alternanza continua – secondo la particolare concezione dell’artista, che non ha alcuna “preoccupazione di verosimiglianza” nel riprodurne l'”aspetto esteriore”, anzi non ha interesse a “copiare un oggetto”, ma intende esprimere ciò che gli ispira “la potenza che questo ha d’organizzare sensazioni ed emozioni”, sono parole sue che abbiamo già citato.
Siamo nella 5^ sala, colpiscono tre raffigurazioni arboree, due realizzate nello stesso 1912 di cui abbiamo appena descritto i 5 dipinti mediterranei della sala precedente, “La Palma”, dalla National Gallery di Washington e “Pervinche o Giardino marocchino” dal MoMA di New York, il terzo, “L’albero presso il laghetto di Trivaux”, del 1916, dal Tate di Londra.
I primi due sono legati alle atmosfere mediterranee vissute personalmente nel viaggio in Marocco, rese nell’intarsio cromatico tra il verde dominante, il rosa e il giallo che vira nell’arancio. Nel terzo, invece, il colore esclusivo è il verde nelle diverse gradazioni, con l’eccezione dei tronchi e dei rami dell’albero di colore marrone scuro che svettano formando un vero reticolo.
Con un accostamento molto appropriato nella stessa sala vediamo esposti una serie di disegni a matita su carta, “Studi per il poema di Mallarmé ‘L’Aprèe Midi d’un faune'”,uno di essi addirittura riproduce lo stesso reticolo arboreo ora citato, sebbene questi fossero del 1932, 16 anni dopo l’albero del “laghetto di Triveaux”. Meno sottile e stilizzato l’impianto dello “Studio per l’Ulisse di Joice”, ugualmente a matita su carta, del 1940. In queste illustrazioni, l’artista diceva di aver risolto il problema dell’equilibrio tra il bianco dell’acquaforte e lo scuro della scrittura tipografica, “modificando il mio arabesco in modo che l’attenzione di chi guarda sia attirata allo stesso modo dal foglio bianco e dalla promessa di lettura del testo”.
Ed eccoci alla 6^ sala, si torna alle figure umane in un’atmosfera ancora più orientale, da Mille e una notte. Siamo nello studio di Matisse, dove tra tessuti arabescati e vasi istoriati che entrano nella composizione l’artista dipingeva le modelle, discinte in un’atmosfera diafana come l‘”Odalisca blu”, 1921-23, o vestite distese tra tende, anfora e scacchiera in un intenso cromatismo, come “Due modelle in riposo”, 1928, dal Philadelphia Museum of Art.
Insieme ai dipinti sono esposti disegni a matita su carta delicati e raffinati realizzati in un quindicennio, con figure femminili finemente delineate riprese sedute o abbandonate in atteggiamenti languidi: si tratta di “Donna seduta” e “Donna in riposo”, entrambi del 1919, di “Odalisca in una sedia moresca”, 1928, “Abito di lamé”, 1932, “Donna con velo orientale”, 1934. A inchiostro su carta velina “Odalisca distesa , pantalone turco”, 1920-21, fa entrare ancora di più nell’atmosfera orientale, con gli elementi ornamentali, dalla parete istoriata al cuscino e l’abbigliamento, dalla cuffia alla camicia che lascia scoperto il petto, fino al pantalone caratteristico.
Non è il massimo di orientalismo rilevabile nelle opere di questo periodo. Il massimo lo troviamo nel dipinto “Il paravento moresco”, 1921, dal Philadelphia Museum of Arts, almeno come ricchezza decorativa e intensità cromatica. Ci sono due figure femminili al centro che conversano, vestite da lunghi abiti bianchi che lasciano scoperte le braccia, una è seduta in una poltrona, l’altra in piedi con il gomito destro appoggiato a una mensola, poi soprammobili, vasi, il pavimento coperto da due tappeti, una parete decorata e soprattutto il paravento viola con i due archi in stile moresco che dà il titolo all’opera.
A questo paravento possiamo accostare la ricca esposizione di materiali di alto artigianato orientale, c’è addirittura una “Grata per finestra” dal Marocco, precisamente da Fez, come il “Modellino architettonico di un arco”, dalla Spagna, Alhambra Granada, fino al “Prospetto di un muro moresco” del XIX secolo dalla Gran Bretagna; e una “Mattonella con decorazione a stampo a forma di mihrab” del 1305, dall’Iran, la forma è molto vicina al paravento moresco. Poi tende e tessuti marocchini,da Fez e Rabat, Rif e Tétouan, del XIX secolo, stoffe dall’India, Uzbekistan e Iran; fino al “Pettorale di armatura in acciaio” con simboli islamici intarsiati in oro del XVIII-XIX sec.
Particolarmente spettacolare l’esposizione di pannelli e mattonelle con decori policromi, da Iznik, risalenti al XVI secolo, sono arabeschi di grande eleganza e raffinatezza con la celebre dominante blu, gli intarsi di verde, e in qualche caso, rosso e arancio; ai motivi ornamentali si aggiungono spesso riproduzioni floreali vere e proprie. Non solo ceramiche turche, anche iraniane e siriane, per lo più blu con motivi floreali verdi; e poi pannelli di ceramica in terracotta smaltata spagnoli. Concludono l’esposizione di artigianato islamico una serie di piatti in ceramica invetriata con decorazione policroma, da Iznik, XVI secolo, delle coppe iraniane, e 2 ciotole coreane.
Ma torniamo ai dipinti, nella 7^sala prosegue la galleria di figure femminili, in un ampio arco temporale: si va dalla “Spagnola con tamburello”, 1909, dal museo Puskin, a “Katia in abito giallo”, 1951, dalla Fondazione Matisse di New York. Sono opere molto diverse, la prima dai dettagli figurativi con intensi colori che, pur nella dominante scura, esprimono un forte cromatismo; la seconda dalla forma semplificata, quasi metafisica, il corpo abbozzato in giallo, su sfondo verde-azzurro con ornamenti blu; tra i due poniamo “Donna seduta con blusa rumena con motivi ricamati”, 1938, carboncino su carta più schematico del primo, più figurativo del secondo.
C’è anche una serie di nudi, a partire dal dipinto “Nudo in poltrona, pianta verde”, 1937, un corpo mollemente abbandonato sovrastato dalla pianta con la parete di fondo che nel rosa e verde reitera i colori dei soggetti centrali della composizione. Nella stessa posizione il “Nudo seduto”, 1944, matita e carboncino dai contorni netti con un chiaroscuro intenso, stessa cifra stilistica del precedente “Donna senza volto”, 1942, dove ritroviamo il primitivismo totemico con le forme abbozzate di “Nudo disteso di schiena”, e degli altri citati all’inizio.
Ma ci sono figure femminili molto diverse, in uno stile ben diverso da quello ora descritto, disegni calligrafici a inchiostro su carta estremamente raffinati e delicati: solo contorni dal segno sottilissimo, nessun chiaroscuro né ombreggiatura, gli stessi temi espressi in modo del tutto originale nel decennio 1928-38: Si tratta dei due disegni “Donna in riposo”, 1935-36, dei ritratti di volti con gli occhi in basso di “La blusa rumena” e “Figura che guarda da sopra la spalla”, 1938-39; di “Le tre amiche”, 1928, e “Due donne”, 1938.
E’ uno stile che, nella delicatezza delle linee e nella foggia ornamentale delle forme richiama la raffinatezza giapponese evocata nella mostra da alcune preziose xilografie di Hiroshige. A questo sono collegati i costumi che Matisse disegnò nel 1920 per il “Chant du Rossignol”, e furono utilizzati nel balletto coreografico di Léonide Massine, in una sinergia tra ballo, musica e pittura .
Siamo nell’8^ sala, sono presentati i piccolissimi disegni dei bozzetti per il Guerriero e il Ministro, l’Usignolo, la Morte e i Dolenti. Ma soprattutto c’è l’esposizione spettacolare dei costumi realizzati, le preziose stoffe confezionate dipinte a mano, con applicazioni: in seta, feltro e perfino ottone per il Guerriero, in tessuto giallo squillante per il Mandarino, in fondo chiaro translucido con applicazioni per Cortigiano e Cortigiana, caratteristiche presenti anche nel costume per il Ciambellano, che invece delle decorazioni ha per motivi una serie di fregi lineari rossi e gialli; fino al costume per il Dolente, in bianco con motivi geometrici neri. E’ una galleria teatrale spettacolare che anima la grande sala.
Dalla scenografia teatrale, ravvivata dal video con le scene del balletto in cui sono ripresi dal vivo della rappresentazione i costumi esposti, si passa nella 9^ sala alla dimensione raccolta, anzi intima, di “Interno a Etrat”, 1920, e “Interno con fonografo”, 1934: il primo dalla dominante verde rappresenta l’interno di una cameretta dove una fanciulla dorme nel suo letto, una finestra apre la visuale su una marina con delle barche sulla riva; anche nel secondo c’è una finestra, aperta su un panorama urbano, ma è molto diverso, il cromatismo è variopinto, un vassoio con frutta è al centro, quasi una natura morta nel quadro, poi un tendaggio con motivi orientali.
Questo ci porta alla 10^ e ultima sala, con il rutilante “I pesci rossi”, un dipinto di grandi dimensioni dal museo Puskin , che pur essendo del 1912 è visto come culmine pittorico, per il suo forte cromatismo in una composizione che riassume i motivi floreali e decorativi della sua arte.
Ma vogliamo concludere l’affascinante galleria della mostra di Matisse con dei veri e propri Studi sulla vegetazione nelle sue varie forme, sono disegni calligrafici in inchiostro su carta: vediamo “Mazzo di fiori” e “Studio di fiore”, “Studio di motivi floreali” e “Studio di foglie e fiori”, “Fiori e foglie d’acanto” e “Cinque fiori”; si passa alle foglie con “Fiori e foglie d’acanto in un vaso di peltro” e “Due studi di rami in un vaso”, e “Due figure addossate a un platano”; fino ai più compiuti e definiti “Studio per platano”, “L’arbusto” e “Albero”. Una ricerca progressiva continua, soprattutto negli anni ’40.
Anche qui non s’è solo l’osservazione della natura, anche l’influsso di materiali tradizionali, vediamo esposti tessuti con riprodotte piante e arbusti, dal Giappone e dall’India e dallo Sri Lanka e dall’Asia Centrale. Nella serie di disegni si ricostruisce la progressione della sua “scoperta” di come rappresentare le foglie dell’albero. Mondrian trovò nella schematizzazione progressiva dei rami una chiave per la sua ricerca dell’essenza per raggiungere la “perfetta armonia”; anche Matisse ha svolto la sua ricerca su u n sogegtto simile,m rami, foglie, alberi.
Dall’essenza dell’albero e delle foglie alla forma più essenziale: il disegno a inchiostro “Arabesque”, 1944-47; una forma pura di cui sono sottilmente delineati solo i contorni con un segno ornamentale, già ripetuta innumerevoli volte in “Studio di fiori decorativi”, 1943. . All’interno nulla, ma possiamo vederci tutto il suo mondo che si colora e si anima, mantenendo sempre la sua forma decorativa, espressione di quella che è stata la sua cifra peculiare; la “gioia di vivere”, che non è solo il titolo del suo dipinto, ma il messaggio che ci trasmette con le sue opere.
La mostra è riuscita a rendere tutto ciò con un allestimento che riflette l’accurata ricerca compiuta e il grande lavoro svolto per radunare le opere che ne fossero la più fedele ed autentica espressione.
Info
Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì 10,00 – 20,00, venerdì e sabato 10,00 – 22,30, nessuna chiusura settimanale, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 12,00, ridotto euro 9,50. Tel. 06.39967500, www.scuderiedelquirinale.it Catalogo “Matisse, arabesque”, a cura di Ester Coen, Skira, pp. 628, formato 24 x 28, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo, tranne quelle prese dal catalogo della mostra citata del 1991-92 “Capolavori del Museo Matisse di Nizza”, United Technologies Corporation, 1991, pp. 222, formato 25 x 33. Il primo articolo è stato pubblicato in questo sito il 23 maggio u.s., con altre 11 immagini delle opere esposte. Per gli artisti citati, cfr. i nostri articoli sulle rispettive mostre, in questo sito sui cubisti 16 maggio 2013, su Mondrian 13 e 18 novembre 2012, in “cultura.inabruzzo.it” su Picasso 6 febbraio 2009.
Foto
Le immagini delle opere di Matisse, riportate in ordine cronologico tranne l’apertura, sono state riprese da Romano Maria Levante nelle Scuderie del Quirinale alla presentazione della mostra, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, “Due modelle in riposo”, 1928; seguono, “Scultura e vaso con edera”, 1916-17, e “Le tre sorelle”, 1916-17; poi “Interno a Etretat”, 1920, e “Nudo in poltrona, pianta verde”, 1937; quindi, “Edera in fiore”, 1941, e “Nudo disteso di schiena”, circa 1946; inoltre, “Ramo di pruno, fondo verde”, 1948, e “Katia in abito giallo”, 1951; infine, “Studio per platano”, 1950 e, in chiusura, “Pannello per la lunetta di una finestra” al centro con una serie di “Mattonelle e piatti in pasta islamica” policromi, da Iznik, Turchia, 1550-1600 circa, tra le fonti di ispirazione del suo orientalismo decorativo .