di Romano Maria Levante
Raccontiamo la nostra visita alla mostra “La dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940” aperta al Palazzo Esposizioni dal 16 ottobre 2015 al 17 gennaio 2016, con un gran numero di opere di arte applicata alla vita quotidiana, del primo quarantennio del secolo scorso, un periodo molto tormentato. Gli oggetti esposti mostrano l’evoluzione artistica tra le varie correnti e tendenze stilistiche, mentre i vincoli del regime, ben presenti, condizionavano soprattutto le arti maggiori; gli ambienti ricostruiti con cura fanno immergere nel clima dell’epoca. Realizzata con il Museo d’Orsay e de l’Orangerie, curata da Guy Cogeval, presidente delmuseo parigino che con Beatrice Avanzi ha curato anche il Catalogo Skirà.
Abbiamo descritto in precedenza i contenuti di una mostra speciale, insolita e coinvolgente, con cui si ripercorrono i primi quarant’anni del secolo scorso dei quali abbiamo evocato il clima politico e sociale. La mostra presenta molti oggetti e arredi, ambientazioni e anche dipinti che riportano ai fermenti culturali e alle aperture creative verso la modernità, nello stile di vita oltre che nell’espressione artistica, espressione di vitalità e dinamismo e anche di contraddizioni e contrasti .
Con il Liberty l’armonia della natura
Si comincia con il Liberty che si diffuse in Europa partendo dal Belgio come reazione allo stile accademico e classicheggiante. Adottò uno stile floreale, tanto che “Floreale” fu il nome iniziale in Italia finché non prese quello di “Liberty” dal nome di un commerciante londinese di oggetti orientali. In Francia si chiamò “Art noveaux”, in Gran Bretagna “Modern Style”, in Austria “Secessione” in linea con il movimento pittorico di reazione al passato.
Veniva considerata la natura come un universo armonioso da cui trarre ispirazione, in particolare i motivi vegetali, piante e rami, nervature e viticci, ambienti boschivi e forme floreali; e anche le creature animali di piccole dimensioni per la loro delicatezza, come insetti e molluschi acquatici. Tutto ciò in forme curve ed armoniose, in un linearismo decorativo elegante con riflessi orientali.
Sembrerebbe un’evasione dalla realtà nell’utopia di un ambiente bucolico, era tutt’altro, aveva una motivazione pratica: la coerenza tra forma e funzione. Così vennero usati materiali quali vetro, ferro e cemento, dando avvio a una nuova linea progettuale legata alla quotidianità definita “industrial design”. Non era isolato, si collegava al movimento filosofico legato al positivismo della ragione, quindi della scienza, nella ricerca delle leggi della natura, posta al centro dell’attenzione.
In pittura il divisionismo, con la scomposizione della luce in linee filamentose, sulla scia del neo-impressionismo, si muoveva nella stessa direzione. Si segnalarono Previati e Segantini, poi Boldini e Casorati, Chini e Zecchin, Nomellini e Benvenuti, Kiernek e Caminetti, fino ai futuristi Balla e Boccioni.
In Italia il Liberty si diffuse dopo l’Esposizione di Torino del 1902 per iniziativa di una “minoranza modernista” che, sulla scia delle affermazioni europee del nuovo stile, cercava di rompere la staticità dello stile tradizionale basato su motivi classici.
Tra i primi troviamo lo scultore torinese Leonardo Bistolfi e l’architetto Raimondo d’Aronco a Torino e Udine, per l’arredamento il milanese Carlo Bugatti, Eugenio Quarti, Carlo Zen e l’architetto Ernesto Basile che operava a Roma e a Palermo; gli architetti che progettarono in stile Liberty sono numerosi, citiamo Fenoglio e Vandone, Premoli e Gribodo, Rigotti e Betta, Gussoni e Sommaruga a Milano, Campanini e Brogi, Bossi e Michelazzi a Firenze.
Le opere in stile Liberty esposte nella mostra
Molti di questi artisti sono presentati nella mostra con loro realizzazioni significative del clima e dello stile dell’epoca. Siamo all’inizio del 1900, vediamo oggetti di uso quotidiano ma di forma insolita: di Carlo Bugatti, sedia e scrivania, poltrona e paravento , panchetto con tamburo pluricorde , di forma arrotondata; anche nello scrittoio, sedia e tavolino di Eugenio Quarti troviamo le linee curve, sua è pure una “Vetrina” molto elaborata con vetri colorati e ampi vuoti. Di Ernesto Basileil “Secretaire a due ante“, 1902, con l’intervento, oltre che dell’ebanista Ducrot, dello scultore Ugo e del pittore De Maria Bergler per le finiture. E’ datato 1925 lo stipo “La notte” di Duilio Cambelotti, del quale vediamo esposte anche due coppe “La conca dei bufali”, 1910, “Coppa delle violette”, 1925, e il pastello “Campagna arata”, 1912, quasi un manifesto rurale.
Tornando ai primi del secolo, troviamo le opere in ferro battuto di Alessandro Mazzucotelli, “Le serpi” e il “Lampadario”, sobrie volute metalliche sempre con l’impronta circolare come segno di armonia; così il “Portafiori” di Alberto Gerardi, che ha un’armoniosa spinta verso l’alto, è il 1920.
Nei sei “Vasi” di Galileo Chini, tra il 1900 e il 1910 , i motivi floreali e animali vengono trasferiti sulla ceramica, insieme ad elementi geometrici sempre arrotondati, colori pastello di grande effetto; sue anche due “Formelle con putti”, 1925, quasi bassorilievi classici ma nelle forme armoniose e arrotondate del nuovo stile. Umberto Bellotto, nei suoi due “Vasi” e nel “Flacone”, 1914-22, inserisce il “vetro mosaico” in una struttura in ferro con effetti policromi molto eleganti.
Gli effetti diventano spettacolari, nello stesso periodo, nei due “Vasi” di Vittorio Zecchin, con le murrine , realizzati nella vetreria Barovier, è esposto anche il “Vaso a murrine (Compostiera)” di Benvenuto Barovier. Di Zecchin pure due coppe “Gli aironi” e “Vestali”, e una “Credenza”, intorno al 1920, sembrano la trasposizione delle sue spettacolari pitture in stile orientale, come “Le Mille e una notte”, 1914, e “I Re magi”, 1920, anch’esse esposte in mostra, che lasciano incantati per l’originalità stilistica, quasi iconica, e la forza cromatica.
Sembra in volo la conturbante “Sirena”, di Giulio Aristide Sartorio, è ancora il 1893 ma c’è già l’atmosfera e lo stile del Liberty. Aereo e più evanescente “La danza delle ore”, di Gaetano Previati, 1899, liliale e romantico “Il suono del ruscello”, di Emilio Longoni, 1904, con una sorpresa, un’opera dell’autore del celebre “Quarto Stato”, Giuseppe Pellizza da Volpedo, di lui è esposto “Tramonto”, 1904, come un reticolo quasi puntiforme.
Una scena di ambiente bucolico anche se in atteggiamenti moderni in “Le signorine” di Felice Casorati, 1912, una sorta di “dèjeuner sur l’erbe” con la figura nuda tra altre vestite, ma sono tutte donne e in piedi, a terra un gran numero di oggetti per un improbabile picnic nel bosco. Anche in “La leggenda di Orfeo”, di Luigi Bonazza, 1905, troviamo la figura nuda con alberi e a terra segni della sosta, è il terzo elemento di un trittico con scene mitologiche in chiave moderna.
Nel concludere la rassegna dell’esposizione di opere in stile Liberty non possiamo ignorare il manifesto “Cabiria” di Leopoldo Metlicovitz, le braccia tese che innalzano il leggiadro nudo femminile tra fiamme ardenti con due pugnali in primo piano è la sintesi artistica di un’epoca.
Ci siamo soffermati sul Liberty, lo stile floreale ispirato alla natura come portatrice della magia dell’universo con le sue volute armoniose e delicate ornate di leggiadre figure vegetali e animali in un clima orientale di grande fascino. E abbiamo descritto i numerosi oggetti esposti nella sezione della mostra dedicata a questo stile, dal mobilio al vssellame, fino alle pitture. L’ultimo dipinto, “Ritmo plastico del 14 luglio”, 1913, di Gino Severini, è l’ideale apertura della sezione dedicata alle opere ispirate al Futurismo che si inseriscono nella spinta alla “ricostruzione futurista dell’universo”, velleitaria quanto si vuole, ma dalla forza prorompente, che ha investito gli aspetti del vivere quotidiano oltre che di forma e contenuto in ogni campo dell’arte.
Il Futurismo negli oggetti quotidiani, dagli arredi al vasellame
Con le opere del Futurismo si compie un viaggio nell’immaginario, si è trascinati in un turbine creativo che sembra quasi incredibile, pensando che si tratta di oggetti della vita quotidiana di un secolo fa.
In questi oggetti, tradizionalmente artigianali, irrompono gli artisti in base alla “progettazione globale” e alla caduta delle barriere tra le arti; ma non nel senso dato dall’ “Art noveaux” che vi vedeva uno stile per la nuova borgesia facoltosa, bensì come espressione individuale di artisti, che realizzavano le opere per proprio uso, per amici o per venderle, in ogni caso sempre pezzi unici.
L’arte veniva concepita come azione, gli artisti davano l’esempio nell’applicazione dei dettami del Futurismo: dalle opere ispirate al mito del movimento e della velocità, con l’automobile in primo piano seguita dall’aeroplano nell’ “aerofuturismo”, al radicale rinnovamento nei comportamenti e negli atteggiamenti, nonché nell’abbigliamento e negli arredi, fino all’arruolamento da volontari nel conflitto mondiale, dopo aver definito la “guerra igiene del mondo”.
Alla declamazione teorica seguì, dunque, l’applicazione pratica nei campi più diversi della vita e dell’arte: per la vita basta ricordare l’appartamento di Giacomo Balla, trasformato in “Casa d’Arte futurista” dove qualunque oggetto quotidiano è trasfigurato nella forma e nel cromatismo brillante; per l’arte, le scenografie di Fortunato Depero per “Le Chant du rossignol” di Stravinski. Di questi due artisti il maggior numero di opere esposte nella mostra.
I “Particolari della sala da pranzo” di Giacomo Balla, un tavolo, due sedie e una credenza, del 1919, colpiscono per il verde acceso mentre nel “Servizio da caffè”, 1929, spiccano le colorazioni intense di motivi geometrici molto particolari. Stesso effetto cromatico e decorativo nella “Brocca futurista”, “Tazza con piattino” e “Versatoio ‘Fobia anti-imitativa’”, dello stesso anno, di Tullio d’Albisola, con in più allusioni come quella del titolo. Mentre nessun cromatismo né decorazione nel “Servizio da te”, 1930, di Nicolai Diulgheroff, solo il colore del cotto, l’artista si rifà, per così dire, nel “Vaso”, 1932, con linee, forme geometriche e cromatismi delicati, in stile d’epoca.
Tornando a Balla, vediamo il “Panciotto futurista”, 1924-25, che con il “Panciotto per Fedele Azari”, di Fortunato Depero, 1923, ci fa pensare alla mostra contemporanea di Renzo Arbore al “Macro Testaccio” , sempre a Roma, con un’intera parete di veri panciotti ancora più futuristi di quelli autenticamente tali dei due artisti. Di Balla non potevano mancare dipinti futuristi, come “Linee-forza del pugno di Boccioni”, 1915, e “Linea forza di paesaggio + sensazione”, 1918, il secondo con qualche rotondità che poi prevale in “Primaverilis”, 1919, di tono quasi liberty.
Ma è Depero a sorprenderci maggiormente con due opere in legno del 1925, “Il gobbo e la sua ombra”, e “Pupazzo Campari”, una pubblicità quasi irridente cui accostiamo il “Manifesto pubblicitario per il Mandorlato” e il collage su carta colorata “Doppio ritratto di Marinetti”, 1923, gustoso e graffiante come un disegno satirico di Mario Sironi, che l’anno prima aveva iniziato a collaborare come vignettista al “Popolo d’Italia”. Troviamo dello humor anche nelle due tarsie di panni colorati, sempre di Depero, “Quattro serpenti” e “Cavalieri”, dello stesso periodo.
Di un futurista altrettanto noto, Enrico Prampolini, vediamo un “Tavolino per la casa dell’artista”, 1925, dove al normale piano rotondo aggiunge due larghe basi di sostegno, una delle quali supera il livello del piano, e il dipinto “Analogie cosmiche”, con la comparazione di forme umane e volumi spaziali, è già il 1932.
Altre sorprese della mostra: un “Tavolo in legno dipinto”, 1920-25, di Julius Evola,l’ideologo di estrema destra stende sul piano di un tavolinetto nero dalla foggia moderna giochi cromatici e forme molto vivaci; il dipinto “Vite orizzontale”, 1923, di Tullio Crati, in realtà evoca l’opposto, la verticalità di un volo sulla città di cui si vedono i caseggiati in una visione da aerofuturismo; e il “Profilo continuo Duce”, 1935, di Renato Bertelli, sembra un vaso al tornio mentre gira per essere modellato, si ispira a Giano bifronte ma ha l’impostazione avveniristica della cronofotografia, fu riprodotto in varie forme e approvato da Mussolini sebbene fosse assente il senso apologetico che invece appariva nella scultura di Adolfo Wildt di dodici anni prima, un’icona del potere del Duce.
Concludono questa sezione un inatteso “Vaso veronese”, 1921, di Vittorio Zecchin, e due oggetti molto particolari di Thayaht (Ernesto Michahelles), “Scrivania blu”, 1923, e “Lampada-tavolo futurista”, 1930.
La parentesi metafisica
La sbornia futurista vive una seconda stagione ma alcuni suoi protagonisti se ne distaccano per riscoprire i valori della tradizione, in un “Ritorno all’ordine”; intanto c’è stata l’intensa ventata della Metafisica di Giorgio de Chirico, alla quale la mostra dedica un’apposita sezione.
Il senso del mistero si unisce a una visione della realtà molto particolare, creando atmosfere di straordinaria suggestione.
Ci sono le piazze, immerse in un clima sospeso e indefinibile, con l’abbagliante solarità unita alle lunghe ombre penetranti che con le architetture e le arcate accentuano la solitudine delle minuscole figure umane, mentre un monumento o un treno all’orizzonte completano la magia della composizione, quasi un miraggio.
E gli archeologi, con il patrimonio di classicità interiorizzato visibilmente nel loro stesso corpo, le enigmatiche figure dalle teste ad uovo che popolano i suoi dipinti insieme a squadre e ad altri oggetti inusitati, come i biscotti ferraresi, creano rapporti inconsueti e associazioni inattese tra oggetti tra i quali non esistono relazioni evidenti. Ma è il senso nascosto delle cose, l’approfondimento di ciò che si può intravedere al di là della realtà ad alimentare la ricerca dell’artista il cui compito è rivelare tutto questo.
Lo ha scritto lo stesso De Chirico: “L’arte è la rete fatale che coglie a volo, come farfalloni misteriosi, questi strani momenti, sfuggenti all’innocenza e alla distrazione degli uomini comuni”.
Oltre a De Chirico, Alberto Savinio si è mosso seguendo il richiamo alla classicità, i due fratelli sono chiamti i “dioscuri” della pittura italiana per le assonanze stilistiche e ideali, pur nella diversità che fa di Giorgio de Chirico un “unicum” nella pittura metafisica, cui aderirono inizialmente nel 1910 anche De Pisis e Carrà, poi per un breve periodo Giorgio Morandi.
Il primo dipinto di Giorgio de Chirico è il suggestivo “Mèlanconie d’un après midi”, 1913, seguono “Autoritratto con busto di Euripide”, 1923,e “Gli Archeologi”, 1927, originali omaggi alla classicità dopo la furia iconoclasta del futurismo; c’è anche la modernità di “Mobili nella valle”, 1927.
Questo motivo è riflesso nelle opere, ugualmente esposte, di Alberto Savinio, “Objects abandonnès dans le forét”, 1928, e “Paesaggio con giocattoli”, 1929; di Savinio vediamo anche “Bataille de Centuries”, e “I genitori”, 1930-31, visioni altrettanto dechirichiane.
L’atmosfera al di fuori del tempo, che avrà influenza anche su Felice Casorati, dà alla quotidianità, resa in un silenzio assorto, il fascino del mistero. E’ tornata l’ispirazione classica, e anche quando la parabola metafisica sarà esaurita, “lascia in eredità alle nuove ricerche figurative – scrive Beatrice Avanzi – la sua poetica di enigmatica inquietudine e di visionaria percezione della realtà”.
Nel primo dopoguerra nasce il Realismo magico”, che per De Chirico doveva rendere “il senso di melanconia dei segni”, per Massimo Bontempelli doveva avere “precisione realistica di contorni, solidità di materia ben appoggiata sul suolo; e intorno un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”. Vi aderisce anche Casorati.
Il racconto della mostra continuerà prossimamente con il nuovo classicismo di “Novecento”, e si concluderà con la modernità del “design” italiano.
Info
Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Da martedì a domenica ore 10,00-20,00, chiusura prolungata alle ore 22,30 venerdì e sabato, lunedì chiuso. La biglietteria chiude 45 minuti prima della chiuusura serale. Ingresso intero euro 12,50, ridotto euro 10,00, che permette di visitare tutte le mostre in corso al Palazzo Esposizioni, in particolare oltre a “Dolce vita?”” anche “Russia on the Road” e “Impressionisti e Moderni”. Catalogo “Dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940”, a cura di Guy Cogeval e Beatrice Avanzi, con Irene de Guttry Maria Paola Maino, Skira, ottobre 2015, pp. 252, formato 22 x 28,5, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo è uscito in questo sito il 1° novembre, il terzo e ultimo uscirà il 23 novembre p.v., ci sono altre 12 immagini ciascuno. Per i movimenti e gli artisti citati, cfr. i nostri articoli, in questo sito sui futuristi Dottori 2 marzo 2014, Marinetti 2 marzo 2013,sull’aerofuturista Tato 19 febbraio 2015, su De Chirico 1° marzo 2015, e 20, 26 giugno, 1° luglio 2013. In “cultura.inabruzzo.it” su “Futurismo” 30 aprile 2009 esu “Aerofuturismo” 1° settembre 2009, su De Chirico 27 agosto, 23 settembre, 22 dicembre 2009, 8, 10, 11 luglio 2010 (sito non più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Palazzo Esposizioni alla presentazione della mostra, si ringrazia l’Azienda Speciale Expo con i titolari dei diritti, dal Museo d’Orsay ai singoli artisti, per l’opportunità offerta. In questo secondo articolo sono riportate le immagini della 2^ e 3^ Sezione della mostra, quelle della 1^ sezione, qui commentate, sono nel primo articolo. In apertura, Fortunato Depero, “Cavalieri”, 1925-27; seguono, Giacomo Balla, “Sala da pranzo, credenza e sedie”, 1918, e “Primaverilis”, 1918; poi Fortunato Depero, “Panciotto futurista”, 1923, a sin., Giacomo Balla, “Panciotto per Fedele Azari”, 1923, a dx, e “Linea forza di paesaggio + sensazione di ametista“, 1918; quindi, Fortunato Depero, “Manifesto pubblicitario per il Mandorlato ‘Vido'”, 1924, e “Pupazzo Campari”, 1925; inoltre, Julius Evola, “Tavolino in legno dipinto“, 1920-25, ed Enrico Prampolini, “Analogie cosmiche”, 1932; infine, Giorgio de Chirico, “Mobili nella valle”, 1927, e Alberto Savinio, “Bataille des Centaures”, 1930, “I genitori, 1931; ; in chiusura, Giorgio de Chirico, “Gli archeologi”, 1927, a sin. e Alberto Savinio, “Paesaggio con giocattoli”, 1929, a dx.
,