Guttuso, la speranza e il messaggio cristiano, al Quirinale

di Romano Maria Levante

Entra nel vivo la nostra visita alla mostra “Guttuso. Inquietudine di un realismo”  che presenta nei saloni del  Palazzo del Quirinale  nella Galleria di Alessandro VII, dal 10 settembre al 9 ottobre 2016,  opere in materia religiosa, dai temi biblici a quelli evangelici, fino alla “Crocifissione”, con una serie di studi preparatori nella fase iniziale e in quella finale della vita; e opere di intensa umanità,  come “Spes contra Spem”. Organizzata dagli “Archivi Guttuso”, con “Civita”, curatori della mostra e del Catalogo di De Luca Edtori d’Arte, Fabio Carapezza Guttuso, presidente degli Archivi e   Crispino Valenziano, presidente della Accademia Teologica ‘via pulchritudinis’, autore anche del libro “Guttuso. Pathos dell’Uomo Patemi di Dio” , De Luca Editori d’Arte Libreria Editrice Vaticana, con citazioni di testi sacri, testimonianze  e parole dell’artista.

Abbiamo ripercorso la vita e l’arte di Guttuso sottolineando i valori civili e umani e abbiamo cercato di dare le prime risposte alle domande sulla componente religiosa anche seguendo le linee interpretative suggerite da Claudio Strinati, lo storico dell’arte membro del Comitato scientifico.

Seguiamolo ancora nella sua interpretazione che vede nella “Crocifissione” e in “Spes contra Spem”, due poli estremi della visione artistica ed esistenziale di Guttuso.

Nella “Crocifissione” c’è una “sconnessione caotica e disordinata che sembra fare piazza pulita di qualunque senso di armonia, di ordine, di olimpica maestà” delle Crocifissioni classiche, “per farci entrare in una sorta di laboratorio dove un sentimento ecumenico e veramente evangelico si volge alle cose e alle persone con lo stesso sguardo casto e inquieto al contempo”. 

“Spes contra Spem” rappresenta invece la liberazione dai tormenti di un impegno civile e politico sempre alle prese con ingiustizie da combattere, sofferenze da denunciare, drammi sociali divenuti ispirazione e materia della sua arte con qualche sprazzo di vita quotidiana.

“Spes contra Spem”,  una finestra aperta sul futuro

In “Spes contra Spem”,  1975, una “sacra rappresentazione” corale e nel contempo intima, è raffigurato l’artista, come nell’altro quadro dello stesso anno esposto in mostra, “L’Atelier”, nel quale si ritrae per tre volte intento a dipingere, con una giubba di colore diverso ma la stessa attenzione nel dare la pennellata, in un moltiplicarsi pirandelliano che lo accosta agli enigmi del grande drammaturgo della sua terra.

Nel maestoso dipinto intitolato alla speranza anche nell’impossibile, lui si vede seduto ed anche in piedi vicino a Mimise nel lato domestico della scena, con gli oggetti del suo lavoro di artista e i suoi libri, dominati da un teschio ammonitore, con una tela ancora da dipingere e un quadro cubista invece finito di  Picasso, nell’altro lato gli amici che discutono, “tre filosofi” uno dei quali  ha in mano un libro dalla copertina rossa come la tela. Tutto in un’immobilità rotta dal movimento di una bambina che attraversa di corsa la scena davanti  a una tartaruga, anche qui la compresenza degli estremi come nei due quadri, uno da fare e l’altro finito, e nelle età contrapposte; e come si vede nell’incombere dall’alto dei mostri decorativi di una villa di Bagheria, un inferno che minaccia la quiete meditativa della scena, con i presenti inconsapevoli e la bambina innocente.

Nel quadro, ha detto lui stesso, “hanno trovato simboli di vita e di morte, sarà anche vero; e c’è malinconia, perché c’è solitudine; e c’è il personaggio-pittore che si racchiude in se stesso, nella propria cultura, nei propri ricordi”.  Ma la speranza può vincere nonostante tutto, ed è nella finestra aperta sulla luce e sul futuro, da una giovane donna nuda come la “Moglie di Lot”, 1968, altro suo quadro esposto in mostra, che deve resistere alla tentazione di chiuderla per guardarsi indietro, se vuole sfuggire alla sorte biblica sia pure in chiave moderna.

“Bisogna avere il coraggio di spalancarla quella finestra” ebbe a dire l’artista mentre dipingeva il quadro. E sull’inquietudine, che ha dato anche il titolo alla mostra, precisò:”C’è differenza tra la ‘inquietudine’ e la ‘inquietudine rassegnata’; tra la insoddisfazione e la ricerca nella speranza di cogliere la realtà e il gioco dell’intelligenza che può spingersi ovunque nella convinzione della propria speranza perduta”. Fino alla confessione anch’essa rivelatrice: “Leonardo Sciascia ha creato per me una formula che riassume un po’ la mia condizione: ‘roso dalla certezza’ – in contrapposizione a se stesso ‘roso dal dubbio’ – Ma che razza di certezza potrebbe essere quella che mi rode, se non fossi roso al dubbio?”.

Entrambi i tormenti, dunque, in questa testimonianza diretta riportata da Crispino Valenziano che ha coniato per lui l’espressione “credeva di non credere” evocandone il superamento in una visione superiore; e ha dedicato alle opere religiose in mostra una riflessione quanto mai profonda e intensa, oltre che colta,  punteggiata da confidenze ricevute direttamente da Guttuso nel corso di una frequentazione personale.

Le sue riflessioni ci accompagnano mentre commentiamo le opere religiose, come ci hanno accompagnato  nel commento a “Spes contra Spem”,  insieme alle osservazioni di Strinati su quest’opera e sul suo intero percorso artistico e di vita.

I temi religiosi si inseriscono, dunque, in un itinerario, che abbiamo rievocato, punteggiato da opere all’insegna di una forte tensione sociale, ispirate da una visione del mondo coerente con la sua vita in cui ha trovato ampio spazio l’impegno civile e politico intorno ai valori più alti dell’umanità, nella sensibilità verso i poveri e i sofferenti, nella lotta contro le ingiustizie e i mali del mondo: una visione del tutto coerente con quella  cristiana per cui la sua arte risulta pervasa da un’intima religiosità. Non nei termini riduttivi di un generico afflato spirituale, ma con un’attenzione precisa e costante al mondo della cristianità, dall’Antico al Nuovo Testamento, e soprattutto alla figura di Cristo.

Su queste opere Valenziano interpreta la  sua arte nel segno dei valori cristiani che sente intensamente al pari dei valori civili che non ne sono disgiunti.  Lo seguiremo in parte, il nostro percorso inizia come il suo dalle origini, poi se ne distacca passando dalle opere su temi biblici a quelle su temi evangelici, fino alle opere ispirate alla passione e morte di Cristo con al culmine la Crocifissione.  

Il legno della Croce con la mano di Cristo,  risalendo ad Adamo e non solo  

Iniziamo con l’opera “Il legno della croce”, 1980, nel dipinto i nodosi pezzi lignei recano ancora la corteccia dell’albero da cui sono tratti, di cui sono sparse a terra le foglie, mentre in alto spiccano in un colore che richiama la parte interna del legno due mani intrecciate e la mano del Cristo trafitta da un grosso chiodo; è l’angosciosa “Mano del Crocefisso” dipinta già in  primo piano nel 1965, la vediamo da vicino come impressionante simbolo della sofferenza estrema.  

Valenziano  racconta un suggestivo retroscena,  quando un amico teologo gli parlò della curiosità  dell’artista  per la “Legenda de ‘L’albero secco” , la “pianta dispogliata, l’albero edenico del bene e del male”  seccatasi per la trasgressione del primo  Adamo, albero  che San Paolo nella Lettera ai Corinzi descrive “esposto  a rinverdire  appresso all’adempimento del nuovo Adamo” con la salvezza, “in virtù del raccordo della sua umanità con la divinità, ‘il seme d’ogni giusto'”.  E ciò per il sacrificio del Cristo, uomo e Dio,  la cui mano trafitta  emblematicamente appare nel “Legno della croce” insieme alle due mani unite nella solidarietà, dato che la Croce per i cristiani è diventata “il legno della misericordia”.

Per soddisfare quella che gli parve ben più di una curiosità, ma un interesse sincero a penetrare i misteri cristiani, gli  trasmise, da colto teologo qual è, un’approfondita  analisi  basata sulle Sacre Scritture circa gli alberi con i quali fu composto il legno della Croce che derivano  da quelli nati dalla tomba di Adamo,  fino al legno per l’Arca di Noè che ha la stessa origine.  Il teologo dinanzi all’opera dell’artista che si avvalse di queste sue dissertazioni bibliche, parla di “ispirazione reinventiva”, che va “oltre la piana inventività sino alla restituzione di verità invisibile in fondo a realtà visibile”. E’ il suo “realismo di fondo” che però trascende la stessa realtà, come l’artista stesso ha lasciato capire scrivendo: “Il pittore ha idee ma non dipinge idee, il pittore dipinge solo le cose, ma dal modo come le dipinge scaturiscono le idee. La vera questione è nel metodo o, si potrebbe dire, nell’ ‘attitudine morale’ con cui il pittore affronta il ‘regno delle apparenze”. E qui assumono rilievo e significato  “certi orientamenti”  e “certa estrazione” dell’artista e dell’uomo Guttuso che Valenziano si propone di disvelare richiamando le confidenze rivelatrici avute da lui.

Il riferimento ad Adamo non si limita al suo collegamento recondito con il “Legno della croce”, è esplicito nel rivisitare “La creazione dell’uomo” del Giudizio Universale di Michelangelo con le due opere simili ma non identiche, del 1975 e del 1980,  sulla trasmissione del soffio vitale dal dito del creatore al dito del primo uomo, nell’uno con delle varianti nel contatto delle dita, nell’altro con l’aggiunta del sole e della luna per calare nella realtà immanente la scena trascendente.

L’interesse biblico non si ferma qui, copre l’intero arco di vita artistica, è del 1939 “Caino e Abele”, con la sua scritta autografa “Caino e Abele da Tintoretto”, del 1984 il bozzetto Adamo”, un intenso primo piano del volto,  di anni intermedi “Saul e David”, 1963, e “Moglie di Lot”, 1968, esposti in mostra, “Il sogno di Giacobbe”, 1938, e “David suona la cetra davanti a Saul”, 1963, non esposti.

Gli episodi evangelici, da San Paolo alla vita di Gesù

Dall’Antico Testamento si passa al Nuovo Testamento, con gli Atti degli Apostoli e i Vangeli. 

Ispirate agli “Atti degli Apostoli” due opere a distanza di 7 anni sullo stesso tema, San Paolo folgorato sulla via di Damasco. 

Nella “Conversione di San Paolo”, 1977, 4 cavalli scalpitano, due con in sella il cavaliere, dagli altri 2 sono caduti a terra Saulo e un suo compagno in viaggio. Valenziano fa un riferimento ai 4 cavalieri dell’Apocalisse, osservando che il cavallo bianco e quello nero rifulgono della luce sfolgorante del sole e dell’azzurro del cielo, e mentre il cavaliere dalla giubba verde sembra fuggire sul suo destriero, l’altro  porge la mano a Saulo atterrito mentre il cavallo su cui è in groppa avvicina il muso dall’espressione umana alla mano protesa del folgorato il cui viso è coperto dai capelli. E’ come se il cavaliere prendesse la “grande spada” dell’Apocalisse, nelle parole della Lettera agli Efesini “Prendete la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio”; Valenziano conclude: “Da parte mia, cotesta ‘Conversione di San Paolo” io la intendo ‘Illuminazione di Saulo'”.

Il  “Particolare della conversione di Saulo”, 1984, ritrae  solo il cavallo imbizzarrito che lo ha disarcionato, e qualcuno cerca di trattenere, mentre un’altra persona soccorre Saulo disteso a terra con il viso in primo piano e le spalle rivolte al resto della scena che vede 4 figure con diverso abbigliamento sotto un cielo  nuvoloso. E’ una visione  più serena, dell’Apocalisse restano i cavalieri privati dei cavalli. 

Ispirato ai Vangeli il  “Bozzetto per la fuga in Egitto, realizzato nel 1983 in preparazione del grande murale per il Santuario del Sacromonte di Varese commissionatogli da don Macchi, segretario di Paolo VI, che realizzò in pubblico, apportando diverse varianti al bozzetto esposto in mostra, in particolare  nel paesaggio desertico, in cui inserì un cactus, e nella sacca dell’asinello. E’ una scena molto nitida, l’asinello che porta in groppa la Sacra Famiglia, con a lato una capretta,  calca una landa desolata con in fondo delle formazioni rocciose e al centro una piccola oasi di verde con un gruppo di palme sopra le quali vola una colomba, molto simile alla “Colomba della pace” che aveva tratteggiato in un’acquaforte del 1972.  

L’artista lo definì “una Sacra Famiglia di oggi”, dando questa spiegazione: “L’esodo,  la migrazione obbligatoria,  l’Uomo, la Donna, il Bambino, costretti ad abbandonare la casa, la città, il lavoro, a causa di un ‘eterno Erode’ che li minaccia nelle persone e nelle cose”. Non vi si può non vedere una premonizione per le migrazioni del nostro tempo, anche se oggi sono fenomeni di massa e non isolati come quello rappresentato. Ma c’erano anche allora, tanto che nella composizione della scena si ispirò alla fotografia di una famiglia palestinese costretta a lasciare la propria terra. Questo avveniva dopo la guerra dei sei giorni del giugno 1967 tra Israele da una parte, l’Egitto e altri stati arabi dall’altra,  il cui ricordo suscitato da quella fotografia lo colpì al punto da realizzare un’altra opera, intitolata “Esodo di arabi” e datata 14.07. 1967.  E’ a inchiostro di china, molto diverso dalla “Fuga in Egitto” , colorato,  lineare e preciso nelle sue scarne figure, il solo collegamento sembra la donna in primo piano urlante con il velo simile a quello della Madonna, peraltro comune alle altre donne  disperate; richiama invece, nelle figure concitate che si addensano nella composizione,  lo “Studio per la Fuga dall’Etna”, 1938, esposto in mostra, tra il motivo politico-sociale e quello religioso e i relativi valori.

Direttamente dal testo evangelico “La cena di Emmaus”, 1981, in cui l’episodio dell’incontro con gli apostoli che lo riconobbero soltanto dopo che ebbe spezzato il pane, prima che si dileguasse, viene evocato con la visione delle sole mani di Cristo, e non del suo volto, mani straordinarie come altre da lui dipinte, che ritroviamo due anni dopo nel dipinto “Le mani, 1983, non esposto in mostra, nel quale le stesse mani della “cena” sono raffigurate in alto a sinistra a dominare un affollarsi di mani con le sole braccia, mentre in alto si intravede in parte il busto dell’artista. Nella “Cena” la composizione è tagliata per non riprendere il viso di Cristo, in primo piano la pagnotta di pane spezzato su una tovaglia raggrinzita, una sorta di sindone, il tavolo si vede appena.

E’ precedente di tre anni “Il Pane”, 1978, che, secondo Valenziano, “Guttuso è riuscito a dipingere con bellezza che ‘percepisce l’infinito in pura contemplazione'”, una bellezza di cui l’artista parla così: “Essa deve arrivare all’anima attraverso i sensi e ad essa solo deve parlare, e troverà nell’anima dell’artista quel tanto di soprannaturale capace di coglierla e di esprimerla”.

“Ingresso in Gerusalemme”, altro importante momento evangelico, è di interesse particolare perché espressivo dell’ultimo periodo, è del 1985,  l’artista morirà nel gennaio 1987; fu realizzato per l’Evangeliario delle Chiese d’Italia, su richiesta dello stesso Valenziano d’intesa con il  cardinale Pappalardo per un progetto che ha coinvolto 18 grandi artisti, ognuno su un tema evangelico.  L’intero Evangeliario fu presentato a Paolo VI nel marzo 1987, due mesi dopo la morte di Guttuso.  

La sua opera ha un fascino particolare, esprime la premonizione del sacrificio mediante la composizione a forma di croce dei corpi della donna in primo piano a braccia alzate, di Cristo e dell’asino in groppa al quale entra nella città andando incontro al martirio. A parte il bianco che forma la croce, le figure sono molto colorate, con i rami di palma levati in alto, tante mani in vista tra cui – racconta Valenziano che gli fu confidato dall’artista – quelle dello stesso Guttuso.

Le opere sulla passione  di Cristo

Dopo l’ingresso in Gerusalemme, nella vita di Cristo c’è la passione, che ha ispirato all’artista una serie di opere nelle quali il senso religioso si unisce all’afflato sociale. “Cristo deriso”, 1938, con l’affollamento di corpi  informi intorno alla sua figura  e il dileggio della fiaccola accesa sul suo volto bendato, che vediamo in mostra, è stato seguito due anni dopo da “Cristo coronato di spine”, 1940, anno della “Crocifissione” , non esposto, dove la brutalità della tortura è nell’aguzzino che gli  copre il volto davanti a una finestra. La colonna della flagellazione, che manca in questo dipinto, la troviamo un quarto di secolo dopo  nello “Studio dal Cristo alla colonna di Caravaggio”, 1966, con il corpo contorto e il volto assimilato a quello di ogni persona sofferente.

Al culmine della Passione di Cristo c’è la Crocifissione anche nell’opera di Guttuso. Una prima interpretazione  precede “Cristo deriso”, risale al 1936: è uno “Studio per la Crocifissione nel quale, per sua stessa affermazione, l’artista si è basato “sulle fotografie di un linciaggio”, sono gli anni della “Fucilazione in campagna” e della “Fuga dall’Etna”, l’impegno dell’artista contro le violenze dell’uomo e della natura sulla gente inerme è totale, e il sacrificio di Cristo ne è un simbolo.  “La Crocifissione la pensai subito come un supplizio”, ha aggiunto,  “il supplizio di un uomo giusto” , nello Studio sono tre i torturatori in un ambiente chiuso. L’idea della “Crocifissione in una stanza”, il primo dipinto del 1940 sul tema, rispondeva all’intenzione di ambientare la scena “in un interno, così come avvengono i supplizi oggi”, ma era soltanto la preparazione del dipinto definitivo, tanto che nel retro reca la scritta “Bozzetto per la Crocifissione 1940”; quest’opera, fosca e angosciosa,  sono le sue parole, “può essere considerata una prima versione dell’opera da fare”.

Siamo entrati, così, nel tema della crocifissione, citando i primi approcci dell’artista. Proseguiremo prossimamente con gli altri suoi studi preparatori fino alla grande “Crocifissione” del 1940 -41 con la quale chiuderemo la nostra visita a una mostra che muove i sentimenti più  profondi  sul piano religioso, umano e civile, oltre a riproporre i valori universali dell’arte nell’opera del grande artista del ‘900  Renato Guttuso.

Info

Palazzo del Quirinale, piazza del Quirinale, Roma, Galleria di Alessandro VII. Martedì-mercoledì, da venerdì a domenica, chiuso lunedì e giovedì, ore 10-16, ultima entrata ore 15, ingresso gratuito su prenotazione al sito del Quirinale. Catalogo “Guttuso. Inquietudine di un realismo”, a cura di Fabio Carapezza Guttuso e Crispino Valenziano, De Luca Editori d’Arte, Roma, agosto 2016, pp. 72, formato 21 x 23. Insieme è stato pubblicato il libro di  Crispino Valenziano, “Guttuso. Pathos dell’Uomo Patemi di Dio”, De Luca Editori d’Arte e Libreria Editrice Vaticana, Roma, agosto 2016, pp. 150.  Da questo libro e dal Catalogo sono state tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 27 settembre, il terzo e ultimo uscirà il 4 ottobre 2016.  Sulla mostra al Vittoriano nel centenario della nascita dell’artista cfr., in questo sito,  i nostri 2 articoli il 25 e 30 gennaio 2013.

Foto

Le immagini sono tratte dal Catalogo, tranne “Le Mani”  preso dal libro di Valenziano, testi fornitici cortesemente da Fabio Carapezza Guttuso che ringraziamo. In apertura, “Spes contra Spem”, 1982; seguono, “Studio per la fuga dall’Etna”, 1938, ed “Esodo di arabi”, 1967; poi, ” Il pane”, 1978, e “Cena da Emmaus”, 1981; quindi, “Le Mani”, 1983, e “Bozzetto per la fuga in Egitto”, 1983;L inoltre, “Ingresso in Gerusalemme”, 1980, e “Studio del Cristo alla colonna dal Caravaggio”, 1966; in chiusura, “Colomba della pace”, 1972.