di Romano Maria Levante
Al Quirinale, nella Palazzina Gregoriana, dal 30 settembre al 13 novembre 2016, la mostra “Tesori Gotici della Slovacchia”, con la presidenza di turno slovacca del Consiglio dell’Unione Europea, presenta per la prima volta in Italia “L’arte nel Tardo Medioevo in Slovacchia” , sottotitolo della mostra, con 36 opere del XV e XVI secolo, pitture di stile nordico, sculture lignee di Pavol di Levoca, preziosi oggetti liturgici di artigianato artistico. La mostra, promossa dalle Presidenze della Repubblica italiana e slovacca, con i Ministeri degli Esteri e dei Beni culturali, è organizzata da Civita, curata da Louis Godart, Consulente della Presidenza della Repubblica italiana in materia di iniziative ed eventi culturali ed espositivi, con Maria Novotna e Alena Piatrova, curatrici dell’Arte medievale e dell’Artigianato del Museo nazionale Slovacco. Catalogo del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica Italiana e di Civita.
Un’altra presidenza del Consiglio dell’Unione Europea viene celebrata al Quirinale con una mostra in cui si presenta il Paese capofila dell’Europa comunitaria per un semestre attraverso opere d’arte che ne definiscono e rivelano l’identità: ricordiamo, tra le altre, le mostre al Quirinale sulla Grecia, in staffetta presidenziale e anche artistica con l’Italia, e su Cipro. La Slovacchia era stata già presentata artisticamente al Vittoriano un anno fa, in occasione dell’Expo, con le opere recenti di tre giovani artisti, Juraj Kollàr, Stefan Papco, Jàn Kekel, nei peculiari mezzi figurativi, pittura, scultura, fotografia.
Questa volta, più che in passato, la mostra si svolge in un momento in cui l’Unione Europea è scossa da contrasti sempre più aspri su aspetti fondamentali nei quali la coesione sarebbe quanto mai necessaria: dagli scontri sulla risposta all’epocale emergenza delle migrazioni, che vede i paesi europei divisi tra accoglienza e rifiuto, agli scontri sull’economia che li vede divisi tra il rigore dell’austerità e la flessibilità della crescita. Populismi e spinte centrifughe che ne derivano, alimentati anche dalle diverse situazioni economiche, politiche e sociali, rischiano di compromettere la stabilità dell’Unione fino a metterne in crisi la stessa esistenza.
L’appello del presidente Mattarella e il valore europeista della mostra
Per tale motivo il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ha colto anche questa occasione per perorare le ragioni dell’unità europea, ribadendo: “Abbiamo soprattutto il compito di impedire che le difficoltà, le crisi, le paure determinate da nuovi fenomeni di portata globale incidano sul tessuto di collaborazione e di impegno comune”. Vi sono ragioni di portata nazionale, “perché nella globalizzazione nessuno, neppure il più forte tra noi, può illudersi di farcela da solo, insieme, invece, esprimiamo una grande forza”; e di portata più generale, perché alimentare e far crescere l’ideale europeo è un fattore “decisivo per la pace, per un equilibrato sviluppo del mondo, per la crescita della cultura e della civiltà
fondata sulla libertà e i diritti della persona umana”.
In questo quadro si colloca l’allargamento dell’Unione verso i paesi dell’Europa centro-orientale la cui identità è “così strettamente connessa con la vocazione umanistica del nostro continente”; e la mostra evidenzia “come le radici culturali, artistiche e religiose dialoghino tra loro e sottolineino l’influenza reciproca e l’interdipendenza tra le regioni d’Europa”.
Ne ha parlato anche il presidente della Repubblica Slovacca, Andrej Kiska, per la prima volta alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, che segna non solo un impegno diretto sui grandi temi europei e mondiali ma anche una fase di riflessione su un territorio che, al di là delle vicende storiche del suo popolo, “è stato teatro di grandi spinte culturali, sociali e artistiche che hanno avuto una grande eco in tutta l’Europa”. Ne è una prova “l’unicità e bellezza” dei tesori gotici che la mostra presenta in Italia, “un paese in cui il gotico, rispetto all’arte dell’antichità o a quella tanto celebrata del Rinascimento, si è affermato solo marginalmente”. Sono i capolavori scultorei in legno di Pavol di Levoca, e gli ori e argenti dell’artigianato artistico di eccelsa qualità, pochi presi dai musei slovacchi, quasi tutti dalle chiese cristiane in cui sono collocati dall’origine, e questo rende la mostra una testimonianza viva e attuale dell’intensa spiritualità del paese.
“I valori della Classicità, della Cristianità e dell’Illuminismo hanno fatto grande l’Europa capace di mettere al servizio dell’Uomo le conquiste e gli insegnamenti dei popoli che la compongono”, afferma Louis Godart, – che ha curato la mostra con le due curatrici dei settori interessati nel Museo Nazionale Slovacco – aggiungendo: “L’arte che non conosce ‘confini geografici’ e rappresenta il primo e più efficace degli elementi di unificazione dell’Europa, ha saputo interpretare questi valori e tradurli in capolavori”.
Perchè ha tratto ispirazione e committenze dalla Chiesa, che era “il vero collante dei popoli”, e divenne, alla crisi dell’Europa carolingia con la morte di Carlo Magno, “l’unico punto di riferimento culturale e morale” dell’Occidente. I popoli europei erano costituiti di “uomini e donne che si sentivano più cristiani che figli di una determinata entità territoriale chiamata ‘patria’”, e quindi “i paesi occidentali erano ben poca cosa di fronte alla grande patria ecumenica rappresentata dalla Cristianità”; a sua volta percorsa da grandi correnti spirituali, come quelle legate a San Benedetto e San Francesco, che assunsero carattere europeo.
“E’ questa stessa azione del Cristianesimo – osserva ancora Godart – che promuovendo costantemente l’arte e le grandi correnti di pensiero in grado di scavalcare le frontiere spesso mal definite dei regni, ha contribuito a dotare gli occidentali di una coscienza che si è lentamente laicizzata ed è divenuta coscienza europea”. Sono queste le incontestabili “radici cristiane” dell’Europa, che furono tanto evocate e dibattute nella travagliata preparazione della Costituzione europea.
La mostra testimonia questo percorso, dato che “l’arte gotica, nata su impulso della Chiesa trionfante del XIII e XIV secolo, è una delle più alte espressioni della cultura europea”.
Godart conclude citando l’affermazione di Jean-Jacques Rousseau, “non vi sono più oggi francesi, Tedeschi, Spagnoli, perfino Inglesi; vi sono soltanto cittadini europei”, il pensatore francese non ha nominato i tanti altri popoli dell’Unione Europea, la realtà è andata ben oltre la sua riflessione di valore profetico.
La diffusione e le caratteristiche del Gotico slovacco nel tardo Medioevo
La mostra, che abbiamo avuto l’opportunità di visitare con la guida sapiente e prestigiosa quanto appassionata dello stesso Godart, testimonia il respiro europeo coniugato con l’identità nazionale, in una fase storica e artistica in cui – come ricorda Gabriela Poduselova, vice direttrice generale del Museo Nazionale Slovacco – “il Medioevo cominciava ad essere avvicendato da correnti di pensiero e filosofiche provenienti dal sud e portatrici dei messaggi dell’Umanesimo e del Rinascimento”.
Siamo, infatti, nel “tardo Medioevo”, l’attuale Slovacchia, “affermatasi politicamente come popolo solo nella seconda metà del XX secolo” – lo ha ricordato il suo presidente Kiska – ebbe tre sovrani ungheresi, il cui “mecenatismo artistico” presentava notevoli differenze, mentre fiorivano i lasciti di privati alle chiese per la salvezza delle proprie anime, nonché di committenze di arte sacra da parte di singoli e di fondazioni.
“Le chiese di rappresentanza – precisa Jan Lukacka a conclusione di un’accurata analisi delle condizioni storico-sociali della Slovacchia nel tardo Medioevo – testimoniavano lo sviluppo delle comunità urbane e diventavano i simboli della loro forza e prosperità economica”, di qui l’interesse dell’aristocrazia e della borghesia emergente nel finanziarne la costruzione e l’arredo interno con opere d’arte e di alto artigianato.
Maria Novotna, curatrice dell’Arte Medievale del Museo Nazionale Slovacco, nel rievocare queste vicende, osserva che “le fondazioni direttamente o indirettamente coinvolte con la nascita delle opere d’arte e gestite dalle famiglie andavano ad abbellire non solo le chiese e i conventi dei dintorni (o le cappelle di famiglia), ma si spingevano anche oltre le frontiere di quella che attualmente è la Slovacchia”, addirittura giungendo fino a Roma, per il tabernacolo della Basilica di Santo Stefano Rotondo e addirittura contribuendo alla Basilica di San Pietro.
Ci fu un vero “boom artistico”, essenzialmente di opere sacre, prima pale d’altare, poi polittici con pannelli mobili ornati di dipinti e rilievi, che nella chiusura e apertura davano loro un aspetto mutevole. “Predelle” alla base, “cimase” con un “bosco” di pinnacoli gotici, e “scrigni” per accogliere le statue, rendevano ancora più elaborata la composizione che richiedeva l’opera di maestranze e di artisti impegnati fin dai 12-13 anni in un percorso formativo nella pittura, scultura od oreficeria, al termine del quale potevano diventare “maestri”.
Il Gotico diffuso nel territorio che si identifica con l’odierna Slovacchia nella prima metà del XV secolo era collegato allo stile sviluppato nella corte di Parigi ma con i tratti specifici acquisiti nella corte ungherese di Praga; nella seconda metà del secolo ci fu l’influenza di Vienna e Norimberga, Cracovia e Breslavia.
Si diffondono grandi polittici a pannelli multipli recanti storie di santi, in particolare Sant’Elisabetta d’Ungheria, e sculture inserite in apposite nicchie; si sviluppano anche gli oggetti di oro e argento a carattere liturgico, molto elaborati e raffinati, come i codici dipinti, le monete e medaglie.La mostra presenta una selezione di queste opere, provenienti soprattutto dalle chiese in cui sono tuttora collocate, qualcuna dai Musei: alcuni dipinti inseriti in origine in pale composite, capolavori scultorei in legno di Pavol di Levoca, autore del più grande altare ligneo gotico del mondo di 18,62 metri, nella Basilica di San Giacomo a Levoca, con un’umanità sofferta tradotta nel sacro; oggetti liturgici di oreficeria ad alto artigianato artistico, che con l’originalità e creatività della fattura, di elevatissimo pregio, rappresentano un fattore identitario di grande valore.
I dipinti su temi cristiani di artisti slovacchi del ‘500
Sono tutti in tempera su tavola di legno di tiglio i Dipinti esposti, risalgono alla prima metà del XVI secolo. Entriamo subito nel clima del tardo Medioevo in territorio slovacco con “Sant’Anna ll(Metterza) di Roznava”, 1513, di autore ignoto, per la cattedrale dell’Assunzione, è un quadro di cm 184 x 140.Vediamo Sant’Anna, la Madonna col Bambino, e in alto Dio Padre con un globo nelle mani e la colomba dello Spirito Santo, dietro di loro un albero sui cui rami quattro angeli nudi suonano ciascuno uno strumento diverso, in un paesaggio montuoso con molte figure intente ai lavori dell’attività mineraria, rappresentate con precisione di dettagli, dai rilevamenti ai pozzi all’escavazione fino all’estrazione e al trasporto, collegando il sacro molto sentito dalla popolazione con il profano del settore minerario particolarmente sviluppato nel paese. La composizione si presta a una serie di interpretazioni, dal modo di rappresentare la figura di Sant’Anna Metterza al suo rapporto con i minatori, come patrona, all’albero con gli Angeli e a Dio Padre e lo Spirito Santo, tanti temi che è inconsueto
trovare riuniti nello stesso dipinto.
Un quadro della stessa lunghezza, 182 cm, ma alto un terzo, 45 cm, del maestro Hans T., dedicato all'”Adorazione dei Magi”, 1510, della basilica di san Giacomo di Levoca, faceva parte della “predella” di una composizione che comprendeva anche lo “scrigno” con le statue di quattro santi e le “pale” con Cristo, la Madonna Addolorata e altri due santi. Si tratta di una vasta panoramica con al centro la scena tradizionale della Natività davanti a un’abitazione modesta inserita in un paesaggio lussureggiante con il verde e, in lontananza, le acque; sulla sinistra è raffigurato l’arrivo dei cavalieri, sulla destra la solenne consegna dei doni e l’adorazione, una suggestiva visione cinematografica delle fasi dell’evento favorita dalla forma del dipinto, una striscia lunga e stretta, come nel dipanarsi dei fotogrammi.
La terza opera pittorica esposta è costituita dalle “Tavole dell’altare principale di Lipany”, 1526, del “monogrammista H.I.E.R.”, della chiesa parrocchiale di san Martino: è una coppia di “portelle” fisse e mobili che, come il dipinto precedente, erano inserite in una composizione con statue di santi; si tratta di 8 dipinti su due file orizzontali, nelle quali è rappresentata la Passione di Cristo, nelle due portelle fisse centrali la veglia sul Monte degli Ulivi e il bacio di Giuda, la salita sul Calvario e la Crocifissione, nelle due mobili laterali altre scene anche non canoniche come Cristo che si congeda dalla Madre e la morte di Maria, fino alla Deposizione dalla Croce, non c’è la Resurrezione. Il pittore si è ispirato alle xilografie di Durher sullo stesso tema del 1497-1510, era collaboratore di Pavol di Levoca.
I capolavori scultorei del grande Pavol di Levoca con Cristo al centro
Ci avviciniamo ancora di più al grande scultore slovacco – del quale sono esposti 4 capolavori, Statue e gruppi statuari – con le due portelle dell’“Altare della Vergine Maria”, 1521, dipinte dal Maestro WE per la chiesa parrocchiale della natività della Vergine Maria di Spisské Podhradie. Raffigurano 8 sante ritratte in ricchi abiti con oggetti identificativi, che hanno subito il martirio per proteggere la loro fede: le 4 sante nel lato anteriore della portella, raffigurate con un paesaggio sullo sfondo, dai pagani persecutori, le 4 nel lato posteriore dalle tentazioni, tradimenti e incomprensione dei propri cari. Le sante sul lato anteriore hanno un fregio dorato nella fascia superiore che richiama quello, ancora più decorativo, nella zona centrale del trittico di cui le portelle sono la parte laterale.
Al centro, dentro una nicchia dorata, la “Statua della Vergine Maria (in origine Santa Caterina)”, 1520, scultura policroma in legno: una figura ieratica con una pesante veste dorata mossa da pieghe, nella destra uno scettro, nella sinistra un libro, con il viso malinconico, la fronte alta e il mento rotondo, gli occhi a mandorla distanti e le mani lunghe con le dita affusolate. Sono i segni inequivocabili dell’arte inconfondibile di Pavol di Levoca, che ha lasciato una forte impronta.
Nelle sue sculture lignee esposte ritroviamo la Vergine, che abbiamo visto celebrata nella sua maestà, nelle situazioni estreme: l’umiltà contemplativa nella nascita di Cristo, il dolore composto dinanzi al Crocifisso, l’angoscioso abbraccio dopo la Deposizione.
Le 7 statue dell’“Altare della Natività” , 1506, della basilica di Levoca presentano la Madonna con il volto che si è descritto, ha le mani giunte,, l’espressione assorta, il mantello dorato come le vesti degli altri soggetti rappresentati ciascuno in un diverso atteggiamento, dallo stupore di san Giuseppe e del Pastore all’esultanza del piccolo Angelo con le mani rivolte al cielo, ognuno solo con se stesso. Il ritrovamento nel 1698 delle statue murate nel municipio fece gridare al miracolo.
Poi le espressioni dolenti e disperate della Vergine: nel “Calvario di Bardejov”, 1520-30, della basilica di tale città, la vediamo alla sinistra del crocifisso, con la testa piegata nel dolore che traspare dal viso in modo sommesso, mentre alla destra san Giovanni alza le braccia, questa volta il gesto è segno di sconforto; nel “Compianto sul Cristo morto dell’altare dei Santi Giovanni”, 1520, dalla basilica di san Giacomo in Levoca, è al centro della composizione scultorea dorata mentre abbraccia, con la disperazione in volto, il corpo di Cristo disteso a terra su un telo, circondato dagli altri testimoni della tragedia con gesti drammatici, san Giovanni che la sorregge mentre si china, e san Giuseppe d’Arimatea che sostiene il capo di Cristo morto, la Maddalena che gli asciuga i piedi con i propri capelli e Nicodemo con in mano il balsamo e un telo bianco; poi le altre figure allineate in alto, san Giacomo fratello di Giovanni, la loro madre Salome e Maria di Cleofa.
Cristo crocifisso al centro dell’opera ora descritta non è l’unico esposto. Vediamo anche il “Crocifisso di Spisské Vlachy”, 1500, dalla chiesa parrocchiale di san Giovanni Battista, la doratura caratteristica delle altre opere dell’artistala ritroviamo nel panno annodato alla vita con pieghe e svolazzi; è l’unico elemento idealizzato, per il resto c’è una visione naturalistica con forte realismo nel corpo martoriato e nel volto straziato dal dolore dell’agonia mentre esala l’ultimo respiro.
Un panno dorato annodato alla vita anche nella “Meditatio Christi di Presov”, 1520, dalla chiesa parrocchiale di san Nicola, un’immagine prima di essere crocifisso in cui Cristo seduto su una pietra con la testa appoggiata alla mano destra sembra riflettere sul sacrificio che sta per compiere per la salvezza dell’umanità. Il Cristo in meditazione fu introdotto dalle xilografie di Duhrer sulla passione, copiate da un italiano e al centro di un contenzioso risolto dal governo di Venezia. Esprime le riflessioni sul peccato e la colpa, la redenzione e la provvisorietà della vita terrena.
I preziosi oggetti di culto, Croci e Pianete, Bacili e Calici, fino al Turibolo
I Crocifissi di Pavol di Levoca sono opere scultoree di elevato livello artistico, veri capolavori. Ma anche gli oggetti di culto in argento e oro esposti rivelano un artigianato assimilabile all’arte. Sono sbalzati con grande maestria, recano rilievi di varia natura fino a piccole statue incorporate.
Le due “Croci d’altare”, attribuite al Maestro Anton di Kosice, in argento parzialmente dorato, sono molto diverse: la prima, del 1518, con Reliquario, alta 50 cm, presenta solo i simboli del sole e della luna nei bracci della croce, nella simbologia medioevale la natura divina e umana di Cristo e la redenzione permanente come l’alternarsi nel giorno e nella notte; la seconda, del 1520, alta 72 cm., più lavorata con fiori sbalzati e la base a forma di bocciolo con rilievi floreali.
Un Crocifisso è al centro della “Pianeta con scene della Passione”, di fine XVI, si tratta di una croce dorsale ricamata, che prende interamente il tessuto di seta a righe orizzontali blu e bianche alto 1 metro al centro del quale è applicata, in alto si vede la Crocifissione, in basso la Deposizione e il Compianto del Cristo morto. Gli altri tre tessuti esposti, “Lino di Bardejov – bakacina”, del XV sec., presentano decori blu su fondo bianco: piccoli disegni geometrici e di uccelli e pavoni nel primo, agnelli di Dio uno di fronte all’altro nel secondo, il giglio d’Angiò e piccoli fiori nel terzo.
Vediamo anche vari oggetti usati nei riti, in particolare “Bacili” e “Calici”, prima degli ostensori.
I 2 “Bacili battesimali”, degli inizi del XVI sec., forse provenienti da Norimberga, sono in ottone sbalzato, bulinato, punzonato. Il primo con Adamo ed Eva, ai lati dell’albero stilizzato a cui è avvinto il serpente simbolo del peccato, intorno i fiori anch’essi stilizzati, il giglio simbolo d’innocenza e il cardo simbolo di condanna. Il secondo bacile reca al centro un cervo simbolo del battesimo perché cerca una fonte di acqua viva per placare la sete, intorno una fascia con piccole foglie.
E’ una stilizzazione che troviamo in forma ben più evidente e spettacolare nei “Calici” esposti, della fine del XV-inizi
XVI sec., alti circa 20 cm, in argento dorato fuso, per lo più sbalzato e filigranato, bulinato e smaltato. Sono 14, hanno in comune la parte superiore naturalmente liscia e il piede con sei lobi lavorati per lo più con ornamenti di fogliame e fiori; nel “Calice con monete antiche”, delle 18 monete d’oro romane e bizantine poste su tre file, 6 sono nel piede contornate da motivi di foglie. Ad eccezione del “Calice di Bojnice”, sobrio e liscio in ogni sua parte, gli altri sono carichi di fregi con motivi vegetali e anche figure animali: dalla coppa, al di sotto della parte liscia, allo stelo, al nodo, e negli anelli di congiunzione, fino al piede, è tutto un susseguirsi di intrecci e motivi a sbalzo, trafori e cesellature, indicati spesso nel titolo. Vediamo il “Calice con rilievi”, e il “Calice con granati”, il “Calice con filigrana e granulazione” e il “Calice con smalto e filigrana”, il “Calice del conte Hanns” e il “Calice con lo stemma del prevosto Pethge”, il “Calice di Telegdi” e il “Calice di Komàrmo”, fino al “Calice con nodo architettonico”, a forma di edicola esagonale con archi ogivali, pinnacoli e delle statuette di santi nelle nicchie.
Ancora più architettonica la parte superiore del “Turibolo di Komàrmo”, il coperchio su una coppa a forma di sfera e la parte inferiore come il piede a calice a sei lobi: si tratta di un puntale turricolato in stile gotico a pinnacoli a due piani, di pianta esagonale con finestre bifore adornate da trafori con scudo e figurine musicanti. Motivi che ritroviamo negli ostensori.
Il Gotico più ardito negli spettacolari Ostensori
Chiudiamo la visita con gli “Ostensori”, la più straordinaria espressione visiva del Gotico della mostra. Sono 4 ostensori, del 1500 circa, in argento dorato, sbalzato, fuso, bulinato, con i piedi a lobi di diverse dimensioni, lo stelo e il nodo a forma di edicola dalla conformazione molto diversa, in comune lo slancio della verticalità gotica con pinnacoli, ogive e trafori.
Il meno alto, 110 cm, è l’ “Ostensorio di Poprad-Vel’kà”, dalla chiesa di san Giovanni Evangelista, a forma triangolare, la miniatura architettonica di una cattedrale al lato della custodia circolare cinta di raggi.
I due intermedi sono alti cm 116, l’“Ostensorio di Prievidza”, dalla chiesa parrocchiale di san Bartolomeo, è di forma triangolare ancora più acuta, quindi con una verticalità accentuata, su due piani con pinnacoli e motivi vegetali, e le statuette dei santi; l’ “Ostensorio di Bojnice”, dalla chiesa di san Martino, ha invece la teca a forma di rettangolo che si innalza con pinnacoli ed elementi vegetali stilizzati, mentre ai lati della custodia vi sono le statuette dei 4 evangelisti.
Il più alto, anche se leggermente, tra quelli conosciuti in Slovacchia, 117 cm, è l’ “Ostensorio di Spisskà Novà Ves“, dalla chiesa dell’Assunzione della Vergine Maria, la maggiore imponenza viene data soprattutto dalla forma rettangolare per le tre torri di due piani affiancate, con pilastrini, alette intricate e statue della Madonna e dei santi patroni, che culminano nei tre pinnacoli, quello centrale è sovrastato dalla croce. E’ veramente spettacolare, nella sua armoniosa composizione.
Ripensiamo alle guglie del Duomo di Milano o di Colonia, alla verticalità che si protende verso l’alto, tendendo all’assoluto e come il diapason del suono fa sentire il culmine della spiritualità. Anche questo è un merito della mostra: un’altra spiritualità, diretta ed immediata, dopo quella tutta da decifrare delle opere religiose di Renato Guttuso esposte di recente sempre al Quirinale.
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