di Romano Maria Levante
Il libro-catalogo di Diego Mormorio, della mostra “Pasquale De Antonis. Fotografie astratte 1951-1957”, organizzata a Teramo nel 2003 dall’Associazione culturale “Teramo Nostra” presieduta da Piero Chiarini, ripercorre l’itinerario artistico del fotografo, dai ritratti all’astrazione fotografica, di cui diamo conto dopo molti anni, per il suo persistente carattere rivelatore che non si limita all’artista presentato, ma all’arte astratta in generale e alla fotografia astratta in particolare.
Di questi aspetti più generali abbiamo parlato in precedenza rievocando l’evoluzione che ha portato alla fotografia astratta come superamento della riproduzione più o meno meccanica della realtà visibile fissata in un attimo, che non corrisponde alla complessità e alla mutevolezza del vero reale fatto di continui cambiamenti e di contenuti non visibili, interni alle cose e soprattutto alle persone.. Ci ha particolarmente colpito il vero e proprio ossimoro consistente nella proposizione dell’astrattismo come espressione della vera realtà in contrapposizione al realismo visto come mera manifestazione parziale di un momento isolato, quindi distorcente la realtà effettiva.
La formazione, gli incontri, la prima fase a Pescara
Di De Antonis ci ha affascinato il percorso di vita che accompagna quello artistico, da Pescara a Bologna a Roma con il suo studio divenuto circolo culturale con i maggiori intellettuali e artisti, con i quali ha avuto incontri e amicizie di cui sono rimaste vive testimonianze. Come il sodalizio nato a Pescara con Ennio Flaiano, che nel racconto del 1942 “Le fotografie” parla di “un’amicizia bellissima, durata quasi cinquant’anni”; e con Mino Maccari, incontrato per la prima volta mentre passeggiava in riva al mare con Flaiano, che lo descrive in una pagina carica di humor; di Tommaso Cascella parla lo stesso De Antonis, ricordando le corse con lui in automobile attraverso l’Abruzzo e la spinta a fotografare nel 1935-36 le feste popolari predilette dal pittore.
Alcune di queste fotografie furono pubblicate nel 1941 sulla rivista “Documento”, nel numero di aprile 6 immagini della festa del “Lupo di Pretoro” e 6 della festa del “Venerdì Santo a Spoltore”, nel numero di maggio 6 della festa delle “Verginelle di Rapino”; poi le rivediamo nel 1984 in una mostra al “Museo Nazionale di Arti e Tradizioni popolari”. Sulle foto delle fanciulle biancovestite nella festa appena citata, nel catalogo della mostra l’artista scrive che “hanno di nuovo riflesso tutta la luce di quelle esperienze indimenticabili”. E, più in generale: “Penso che rimanga in queste immagini l’intenzione che avevo di fondere il ricordo lasciatomi dall’opera di Botticelli con la forza e la durezza della vita contadina”.
Mormorio ne sottolinea la semplicità e la “capacità di ricondurre all’essenziale, aprendo la porta dell’immaginazione e della riflessione” e aggiunge, in un articolo sulla mostra del 1984 intitolato “Con l’occhio a Botticelli”che “in un tempo dominato da molti fotografi senza grandezza, questa parte del lavoro di De Antonis serve a tornare alla grande fotografia: a quel sottilissimo equilibrio in cui si pongono il sogno e la realtà, dissolvendosi frequentemente l’uno nell’altra”.
Le fotografie delle feste popolari abruzzesi gli valsero nel 1936 l’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove insegnava allora Blasetti, il grande regista; seguì, nel 1939, l’apertura di uno studio a Roma, a Piazza di Spagna, era stato di uno dei maggiori fotografi italiani, Arturo Bragaglia, appena saputo che è in vendita lo acquista e vi si trasferisce subito, lasciando aperto lo studio di Pescara affidato alla sorella Anna.
Erano passati quindici anni dalla prima fotografia del 1924, il campanile del Duomo di Teramo, che precede di due anni l’inizio della sua attività fotografica con una fotocamera che aveva già un millesimo di secondo, cui si aggiunse una macchina in legno di un fotografo torinese. Dopo cinque anni, nel 1931, lo troviamo a Bologna dove un amico del padre aveva uno studio fotografico, frequenta la Scuola d’arte e riceve insegnamenti sul colore e sulla forma.
Aveva realizzato nel 1933 due ritratti che furono esposti nella mostra teramana, molto diversi tra loro: “Ritratto di ‘don Donato’ De Antonis, padre del fotografo”, con effetti rinascimentali di luminosità e di colore realizzati anche artificialmente, e “Ritratto di signora pescarese”, con una purezza stilistica che punta all’essenziale; la modernità è ancora più evidente nel pur diversissimo ‘“Esposizione multipla eseguita durante uno spettacolo teatrale“, con forme e colori che si accavallano in una suggestiva sequenza quanto mai animata.
Lui stesso ha detto che colorava le fotografie “avendo come preciso riferimento gli effetti luministici della pittura cinquecentesca”, lo vediamo anche nella stampa “Mani di donna con un bocciolo di rosa”, siamo nel 1941, due anni dopo l’approdo romano, mentre nella “Signora romana”, del 1947, in bianco e nero, a distanza di sei anni, il riferimento riiguarda l’inquadratura austera e composta che ricorda i solenni ritratti nobiliari.
Lo studio a Roma, vita culturale, ritratti e fotografie del mondo della moda
A Roma prosegue l’attività avviata a Pescara di fotografo ritrattista, che non si limita all’estetica, ma usa la tecnica per andare oltre, come dice lui stesso: “Nei ritratti una continua ricerca dell’anima del soggetto, ricerca incantata da una luce morbida, nitida, senza effetti, ma legata a una fantasia di sogno”. La luce tornerà in modo molto diverso nella sua fotografia astratta, del resto ne abbiamo ricordato il ruolo cruciale nell’annullare la “distanza incolmabile” che, secondo Mormorio, esiste ad una prima osservazione tra fotografia vincolata all’oggetto e astrattismo libero senza limiti.
Nella capitale del cinema e della moda, il suo studio a Piazza di Spagna viene frequentato da artisti e intellettuali, che come lui si ritrovano fino a tarda ora anche nel Caffè Greco, come faceva ai suoi tempi D’Annunzio e come De Chirico, pure con lo studio a Piazza di Spagna. Alla chiusura del caffè alle ore 23, andava con gli amici nell’unico luogo della zona aperto tutta la notte, lo documenta l’istantanea del 1943 “Ennio Flaiano nella farmacia di piazza San Silvetro”.
Poi, nel 1946, terminata la guerra, l’incontro con Irene Brin, che ha appena aperto la “Galleria dell’Obelisco”, da lei diretta insieme al marito Gasparo del Corso, vi ambienterà il primo servizio fotografico, in cui figura “Irene Brin nella galleria dell’Obelisco”, ma dopo cercherà altri set, in particolare atelier di artisti e musei, come richiamo culturale.
Una serie di fotografie di moda a partire da quel periodo erano esposte nella mostra a Teramo e figurano nel Catalogo. Citiamo la “Fotografia di moda nello studio dello scultore Pietro Consagra”, 1947, e le due “Fotografie di moda alle Terme di Diocleziano”, 1948, la “Fotografia di moda Marella Agnelli Caracciolo a palazzo Torlonia”, 1948, e la “Fotografia di moda. Modelle all’atelier Schubert”, 1950, fino alla “Fotografia di moda alla Galleria Borghese”, dello stesso anno, con la modella nella stessa posizione della vicina statua di Canova in un parallelo ideale, e “La modella Ive Nicholson vicino al banco ottico di De Antonis”, 1955, con uno sfondo composito, una parete a riquadri argentati e una camera fotografica in legno dal grande soffietto con due rose dal gambo lungo.
Sempre nel 1946 Luchino Visconti, presentatogli poco tempo prima da Corrado Alvaro, lo va a trovare espressamente per chiedergli un servizio fotografico sul suo “Delitto e castigo” in programma al Teatro Eliseo a Roma, ne derivano immagini straordinarie e nuove conoscenze, come il gruppo di artisti Guerrini, Dorazio, Perilli, il quale descrive così la sua ritrattistica: “Toglieva, con sapiente lavoro di luci, rughe e tracce della vecchiaia, dando un’abile ritoccata alle cicatrici della vita. Il colore, da lui sviluppato in un laboratorio che sapeva più di alchimia che di fotografia, raggiungeva toni sapienti, quasi ad uguagliare la sapienza cromatica del quadro. Otteneva la perfezione della riproduzione, aggiungendo qualcosa di più al lavoro del pittore”.
Per il cromatismo vediamo il “Ritratto di Alexander Calder”, 1952, in cui, sempre secondo Perilli, “il volto rubizzo dello scultore eguagliava un Rubens”. Nei ritratti in bianco e nero spicca l’immagine pensosa dall’espressione particolarmente intensa di Luchino Visconti, 1950, poi di Bruno Barilli, 1953, in chiaroscuro con il papillon, di Franco Zeffirelli, 1956, proteso con lo sguardo penetrante da attor giovane, fino a Fabrizio Chierici, 1958, in piedi mentre dipinge.
Ci sono anche due “Nature morte”, del 1952 e 1953, e due “Fotografie di moda., riprese in occasione della presentazione a Roma del film 2001, Odissea nello spazio“, nel 1968. Ma con queste ultime usciamo dalla fotografia tradizionale per entrare nell’elaborazione libera data da accostamenti speciali e cromatismi molto particolari che avvolgono l’immagine.
D’altra parte, già nel 1951 inizia la sua sperimentazione della fotografia astratta, che si sviluppa fino al 1957 con una ricerca che esplora diverse vie come testimoniano le opere presentate. Nel 1970 l’artista realizza un film in VHS con le sue fotografie astratte degli anni ’50..
L’indipendenza dai gruppi contrapposti, giudizi sull’artista
Sono gli anni in cui infuria l’aspra polemica tra coloro che si definivano “formalisti e marxisti”, come i sopra citati Guerrini, Dorazio e Perilli, oltre a Consagra e Carla Accardi, Sanfilippo e Turcato, e i realisti come Renato Guttuso, nell’occhio del ciclone artistico-politico; attraverso la rivista “La Biennale di Venezia”, ricorda Mormorio. Nel 1950 Lionello Venturi aggiunge un nuovo gruppo con Afro e Birolli, Corpora e Santomaso, Moreno e Morlotti, Vedova e ancora Turcato.
De Antonis irrompe sulla scena senza aderire ad alcun gruppo nel 1951 con una mostra alla Galleria dell’Obelisco diretta, come abbiamo visto, da Irene Brin, che segue una mostra di Kandiskij presentata da Dorazio; in questa galleria nei quattro anni dall’apertura del 1946 erano state allestite mostre di altri 90 artisti, come Toulouse Lautrec e Gauguin, Cocteau e Dalì, Morandi e Vespignani, De Chirico e Savinio, Campigli e Levi, oltre ad alcuni di quelli sopra citati; e il fotografo List.
Cagli presentò la mostra sottolineando come De Antonis con la sua nuova concezione dell’arte fotografica era riuscito a superare il diaframma che la divideva dall’arte pittorica come lui la intendeva, più dei grandi fotografi come Cartier Bresson troppo vincolato dal realismo; e parlando riferendosi a lui, di “poetica di un nuovo, profondo poeta”.
Mormorio cita anche le espressioni particolarmente lusinghiere per De Antonis della scrittrice Gianna Manzini, nell’articolo intitolato “Il fotografo magico”, in cui nel 1953, nel definire i numerosi riflettori del suo studio “un piccolo firmamento a portata di mano”, esclamava: “Servirsi, come strumento, della luce, disporne graduandola, avvicinandola, dirigendola, a piacere, farne il proprio impalpabile scalpello per esaltare un oggetto, oppure per consumarlo e sbiadirlo; per renderlo massiccio e preciso o magari, invece, leggero e scorporato, che privilegi!”.
E il poeta Leonardo Siningalli nella presentazione a una mostra del 1957, cui ne seguì un’altra a Teramo nel 1961, scrisse che “De Antonis si è creato il suo passatempo dentro la sua fatica, l’hobby dentro il job”. Mormorio osserva che “egli ha sempre fotografato con diletto, anche quando si trattava di riprendere cose nelle quali altri avrebbero visto soltanto un lavoro ordinario”. Ciò gli ha consentito di infondere in tutte le s ue fotografie il fascino della bellezza. La Bellezza era per De Antonis l’inizio e la fine di tutto. Un provenienza e una destinazione che accompagnavano ogni suo gesto”.
Per questa mostra Alfredo Mezio scrisse sul “Mondo” una descrizione quanto mai efficace delle immagini da lui create: “Le fotografie astrattiste di De Antonis possono evocare delle galassie, delle cristallizzazioni e un’infinità di altre cose sconosciute; tuttavia il loro scopo non è quello di forzare l’immaginazione con analogie o somiglianze. Sono delle combinazioni gratuite, disinteressate, chiuse in se stesse” E allora come interpretarle? Non seguendo l’invito di Leonardo a usare l’immaginazione nel guardare le macchie di umidità sui muri, ma l’altra sua definizione della pittura “come ricettacolo di tutte le forme esistenti in natura e che non hanno ancora un nome”.
I 4 gruppi di fotografie astratte, con diversi effetti di luce
Ed ora guardiamole queste fotografie astratte, sono 51 contrassegnate soltanto da un numero romano progressivo, da I a LI, e l’anno – 21 del 1951, 26 del 1957, solo 3 del 1956 e 1 senza data – con la tecnica utilizzata, stampate in bromuro d’argento direttamente o da negativo, poche su carta invertibile. Sono raggruppate in quattro gruppi in base ai loro caratteri distintivi.
Il primo gruppo presenta “Luci in movimento con sfuocature”, sono 18 fotografie ottenute con la tecnica del fuori-fuoco utilizzando diverse luci e un obiettivo con minima profondità di campo in modo che venissero sfumate le parti meno vicine a quelle messe a fuoco. Fotografando piccole lampadine o altri soggetti luminosi e muovendo la macchina o gli oggetti, otteneva strisce più o meno intense secondo l’esposizione, e l’utilizzo di un foglio di carta invece della pellicola. Sono immagini soffuse e delicate, come ectoplasmi, dove le ombre e le luci coesistono, in una continuità visiva dalle forme sfuggenti e in fieri, come nebulose astrali.
Quanto mai nitide, invece, le “Immagini dei liquidi oleosi in sospensione”, un secondo gruppo con 19 fotografie , in copia unica utilizzando una lastra di vetro illuminata dal basso sopra cui spargeva dei liquidi sovrastati da una lampada, in modo che le due illuminazioni si mescolassero producendo trasparenze ed ombre, per alcune aggiungeva nello sviluppo una solarizzazione. L’effetto è molto variegato, sembrano piccoli corpi vaganti dalle forme diverse simili a macchie che si propagano.
“Ritagli di carta bianca” fotografati a colori su un fondo bianco costituiscono il terzo gruppo di 3 fotografie, per le quali usava due diversi procedimenti: o la pellicola negativa a colori per luce artificiale con due sorgenti luminose che davano effetti rosastri e bluastri per la diversa temperatura delle luci, una naturale calda e l’altra artificiale fredda, rispetto al materiale fotosensibile usato; oppure la carta invertibile, quindi in copia unica, e due luci, una rossa e una blu (cui aggiungeva delle volte una luce gialla) con le quali illuminava ritagli di carta fotografica lucida su foglio bianco cosicché la luce formava un’ombra blu e una rossa sui due lati estremi.Sembrano degli arabeschi colorati a larghe volute, sfumati e nel contempo ben definiti, un bell’effetto.
Il quarto e ultimo gruppo, “Vetri e plastiche trasparenti“, comprende due diverse tipologie: la prima, del 1951, con 3 immagini presentate, utilizza oggetti in vetro su cui proietta luci di vari colori con il fuori fuoco; la seconda, del 1957, con 6 immagini, si serve invece di plastiche trasparenti e vetri su un piano illuminato da una luce polarizzata mentre un filtro polarizzatore è posto dinanzi all’obiettivo per avere una notevole varietà di effetti proiettati sul negativo a colori, tecnica che adotterà anche per il film astratto in VHS. Sono molto diverse, nel primo tipo si distingue la materialità translucida degli oggetti, nel secondo tipo si ha una mappatura di pezze dal cromatismo diverso ma senza forti contrasti, con un gradevole effetto sfumato.
Tutto realizzato con la macchina fotografica senza le manipolazioni chimiche in camera oscura delle esperienze precedenti, quindi essenzialmente lavoro di ripresa da fotografo d’arte e non da alchimista. Alla base di ciò la sua concezione che poneva al centro la struttura della macchina fotografica per cui ogni fotografia doveva passare attraverso l’obiettivo senza deviazioni. Non seguiva nessuna corrente, i metodi adottati erano frutto della sua ricerca e della sua inventiva.
Così conclude Mormorio: “Nelle sue fotografie astratte non vi è mai nulla di casuale. La sua straordinaria capacità di controllare la luce gli consentiva di conoscere in anticipo il risultato finae, De Antonis non lasciava alcun posto al caso”.
Del resto la luce come soggetto dell’immagine è l’essenza stessa dell’astrattismo fotografico; e data la sua natura incorporea e nel contempo visibile può dare la capacità di cogliere la realtà più nascosta. Nella luce si trova l’essenza di ogni cosa.
Il cerchio si chiude con il ritorno alle origini di tutto, al “fiat lux” biblico che si coniuga alla modernità senza vincoli e confini dell’astrattismo fotografico di cui De Antonis è stato un esponente altamente rappresentativo in una forma d’arte difficile che va compresa e meditata.
Info
Mostra “Pasquale De Antonis. Fotografie astratte 1951-1957”, svolta a Teramo nel 2003, pomossa da Regione Abruzzo, Provincia e Comune di Teramo e Bacino Imbrifero Montorio al Vomano-Tordino, organizzata da “Associazione Culturale Teramo Nostra” presieduta da Piero Chiarini. Catalogo: Diego Mormorio, “Pasquale De Antonis. Fotografie astratte 1951-1957”, Teramo Nostra, 2003, pp. 120, formato 21 x 27, dal catalogo sono tratte le citazioni del testo; il catalogo ha avuto a suo tempo il Premio internazionale che viene conferito a Orvieto. Il primo articolo è ucito in questo sito il 19 dicembre u. s..
Foto
Le immagini sono state tratte dal Catalogo, si ringrazia “Teramo Nostra” con il presidente PIero Chiarini e i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Le prime 7 immagini rigiuardano la ritrattistica, le 5 seguenti la fotografia astratta alla quale sono dedicate tutte le 12 immagini inseite nel primo articolo riguardante la fotografia astratta in generale. In apertura, “Ritratto di signora pescarese”, 1933; seguono, “Rapino. Festa delle Verginelle”, 1935, e “Fotografia di moda alle Terme di Diocleziano”, 1948; poi, un’altra “Fotografia di moda alle Terme di Diocleziano”, 1948, e una “Fotografia di moda nella Galleria Borghese”, 1950, quindi “La modella Ive Nicholson vicino al banco ottico di De Antonis“, 1955, e “Fotografia di moda ripresa in occasione della presentazione a Roma del film ‘2001. Odissea nello spazio'”, 1968; inoltre, foto astratte, gruppo I, “XVI” , 1951, Stampa da diapositiva, e gruppo II, “X”, 1957, Fotografia diretta su carta bromuro d’argento”; infine, ancora gruppo II, “XI”, 1957, Fotografia diretta su carta bromuro d’argento, e gruppo III, “XX “, 1957, Stampa da negativo; in chiusura, gruppo IV, “XXIII”, 1957, Stampa da negativo”.