di Romano Maria Levante
Visitiamo la mostra “Georg Baselitz. Gli Eroi”, che dal 4 marzo al 18 giugno espone al Palazzo delle Esposizioni 70 dipinti, disegni e xilografie, realizzati nel furore creativo del biennio 1965-66, tutti raffiguranti “Eroi” o “Nuovi tipi”, con una selezione del “remake” di 35 anni dopo dei soggetti di allora. La mostra è stata organizzata da Stadel Museum in collaborazione con Azienda Speciale Palaexpo-Palazzo delle Esposizioni, Muderna Museet, Guggenheim Bilbao, curatore Max Hollein, direttore del San Francisco Museum of Fine Arts e in precedenza direttore dello Stadel Museum di Francoforte, con Daniela Lancioni, del Palazzo delle Esposizioni. Catalogo dell’editore Hirmer.
Dopo averne delineato genesi e motivazioni, passiamo a descrivere gli “Eroi” di Baselitz, ritratti monumentali a figura piena quasi a grandezza naturale, misurando in media 160 cm di altezza, che fanno sentire il visitatore delle sale come fosse al centro di piazze affollate da un’umanità dolente: c’è l'”eroe” e il “partigiano”, l'”insorto” e il “ribelle”, ma anche il “pastore” e il “pittore”.
“Si tratta di outsider, all’apparenza sperduti, osserva il curatore Max Hollein, in una condizione passivo-aggressiva. Sono malinconici ma capaci di liberarsi grazie alla forza di volontà, attivata dalla riflessione”. Quindi un doppio atteggiamento, nella compresenza di contrari tipica dell’artista, il ripiegamento dolente e nel contempo un barlume di reazione: “Immagini di una tragedia e di un conflitto ulteriore al contempo, queste figure portano in sé lo spavento, il dolore e il terrore, ma anche il pathos e la commozione necessari alla catarsi”.
I caratteri esteriori specchio dei sentimenti interiori
Consideriamo intanto, guardandoli da vicino, i caratteri esteriori comuni ai diversi ritratti, mentre esprimono i sentimenti interiori su cui ci siamo soffermati in precedenza, anche in relazione alla biografia dell’autore.
Hollein li descrive così: “Sono colossi dai capi minuti… feriti e invulnerabili, maldestri e sconvenienti. Nonostante i loro atteggiamenti marziali ancora evidenti, emanano una delicatezza sorprendente”. Le loro “uniformi, ormai lacere e misere”, ce li mostrano come succubi di un potere militarista senza la possibilità di reagire; ma nello stesso tempo “si sottraggono alle costrizioni e all’omologazione grazie alle ferite, alle esperienze, alle conoscenze derivate da ciò che hanno vissuto”, e questo dà loro la possibilità di affrancarsi ed acquisire “una nuova forza rivoluzionaria nel momento in cui le trappole, ostacoli e limitazioni di ogni sorta vengono lasciati alle spalle”.
Il messaggio dell’artista, come abbiamo già accennato, va ben oltre l’ispirazione personale nel clima postbellico segnato ancora dalla guerra fredda: “Nelle sue opere, i protagonisti non vogliono più assumere il ruolo che è stato loro affidato in un mondo i cui fondamenti e il cui ordine sono stati scossi. Catene, trappole mutilazioni gli impediscono di agire, eroi e vinti al contempo. Nei loro corpi gonfi e deformi, rinchiusi in uniformi logore, trovano espressione sia una forza innata sia una debolezza latente. Si tratta di soggetti in uniformi, di ogni tipo e classe sociale, che devono arrestarsi a riflettere e isolarsi, personificazioni singolari e curiose di un ‘Nuovo tipo’, dell‘Eroe'”. Ed è evidente che “se generalmente associamo agli eroi attributi quali valore, audacia e coraggio, e li immaginiamo affrontare con essi situazioni concrete e ammirevoli e uscirne vincitori, allora le immagini di Baselitz sono del tutto estranee alla figura dell’eroe”.
Uwe Fleckner lo sottolinea anche sotto il profilo compositivo: “Nonostante la presenza dominante della figura, quella monumentalità che è propria di tutti gli ‘Eroi’ e ‘Nuovi tipi’, non è assolutamente possibile parlare per queste figure lacere di una dimensione eroica e possente”. E lo spiega: “Ad eccezione di ‘I grandi amici’, tutte le figure sono solitarie e isolate, mutilate e senza una dimora, intrappolate… Piuttosto, a questi eroi stanche, è stata data la parvenza di sofferenti perfino di martiri; sono persi nel dipinto, senza un’impresa apparente da compiere… l’eroe non è colto in atti eroici, la storia a cui queste immagini sembrano accennare rimane priva di accadimenti”.
Allora come può evolvere la storia di tali figure, curate le ferite e dismesse le uniformi lacere? “Non è chiaro – afferma Hollein – se poi esse faranno effettivamente qualcosa, avanzeranno combattive, prenderanno in mano qualche attrezzo, pennello, per creare con la loro forza un mondo migliore e meno ambiguo, o s invece torneranno a sprofondare letargiche in un ambiente fatale” Come “immagini di una tragedia e di un conflitto interiore al contempo, queste figure portano con sé lo spavento, il dolore e il terrore, ma anche il pathos e la commozione necessaria alla catarsi”.
Questa ambivalenza rende intrigante il loro messaggio, e crea un forte impatto sull’osservatore portato a riflettere e a dare una propria risposta all’interrogativo su cosa faranno dopo aver superato la depressione e l’isolamento seguiti alla sconfitta subita, il loro “eroismo” sta nella ripresa volitiva.
Dal punto di vista pittorico si nota subito un cromatismo aspro e cupo pur nelle tonalità calde, si tratta dell’ennesimo contrasto, un groviglio di segni contorti che delimitano e anche compongono la figura e gli elementi posti a complemento per contestualizzarla, dando un’evidenza visiva al tormento interiore non riservata ai volti pur se stravolti o assorti e attoniti, ma espressa dall’intera figura, con un linguaggio del corpo anch’esso evidente addirittura in modo provocatorio per certe esibizioni anatomiche impudiche. Gli sfondi cambiano, dai toni pastello al tutto nero o tutto bianco.
Sugli elementi posti a complemento si sofferma Eva Mongi-Vollmer, dopo aver sottolineato anch’essa la deformazione dei corpi soprattutto nelle proporzioni, evidenziando i particolari di contorno della figura dell'”Eroe” o “Nuovo tipo” che possono sfuggire all’osservatore preso dall’immagine dominante: “Il paesaggio desolato sullo sfondo mostra – analogamente al corpo – devastazioni di ogni tipo: case in fiamme, alberi e cespugli senza foglie, terra smossa appaiono in varie dimensioni, Strumenti di tutti i tipi occupano la superficie: attrezzi agricoli,come aratri ed erpici, molto di frequente una carriola, … l’equipaggiamento di un vagabondo, ossia zaino militare e calzature, tavolozze e pennelli, da pittore, e spesso anche trappole, gli strumenti del martirio in cui rimangono incastrati piedi, mani e perfino il capo. Bandiere afflosciate o dismesse opprimono il protagonista, invece di dargli un appoggio. Alcuni animali, spesso anatre, lo accompagnano lungo il cammino o lo incrociano. Fuochi più o meno grandi cancellano i resti di case e oggetti”.
Questa descrizione ci fa entrare, per così dire, nei dipinti, è dunque il momento di raccontarli. Segnaliamo che nel Catalogo la galleria delle opere è accompagnata da rievocazioni storiche che fanno rivivere tanti momenti emozionanti richiamati in qualche modo dalla visione artistica.
I principali personaggi
Nella nostra rassegna dei “personaggi” di Baselitz cominciamo naturalmente da “L’eroe”, il braccio sinistro proteso, ma con la mano destra indica la ferita, quasi protestando, poi l’eroe è nudo, dalla cintola in giù, e questo concorre a togliergli ogni tono celebrativo ed enfasi eroica.
“Il pastore” lo vediamo in 3 dipinti: nel primo è quasi imprigionato in una nicchia, in mano e intorno minuscoli strumenti di lavoro, quasi a evocarne l’esistenza ma non l’utilizzazione da parte del lavoratore attonito e bloccato; nel secondo è quasi accasciato su un ammasso informe, colpito al capo da una croce misteriosa che piove dal cielo, ma non sembra toccato dalla grazia quanto percosso e quasi tramortito; nel terzo sembra invece in ripresa volitiva, in piedi, casacca chiara e pantaloni scuri con la gamba destra nuda, domina l’ambiente e gli oggetti che vi sono sparsi..
E il “Partigiano”? Anche qui nulla di epico, ha le braccia abbassate, potrebbe sembrare un gesto di rassegnazione, il viso però esprime ancora energia e decisione. In un piccolo disegno le braccia sono aperte, l’apparente rassegnazione è contemperata da un certo dinamismo dell’immagine.
Anche il “Ribelle” presenta una figura apparentemente dimessa, le braccia abbassate, la mano sinistra nella tasca di una sorta di tuta, su fondo nero, come se emergesse dal buio; molto simile un disegno a carboncino, quasi uno studio preparatorio, mentre in un altro disegno su fondo chiaro le due braccia sono ugualmente abbassate ma le mani stringono due piccoli oggetti.
Il “Pittore moderno”, invece, in entrambi i dipinti che lo raffigurano è seduto ma esprime una certa energia e decisione nel volto, il corpo è tormentato da segni: in un dipinto la mano destra impugna qualcosa, non è un fucile ma l’atteggiamento è quello di chi ha un’arma, nell’altro dipinto invece le mani si immergono nella terra, quasi alla ricerca delle proprie radici.
C’è anche il “Pittore bloccato”, in piedi, davanti a un albero e appoggiato a un bastone, nella mano sinistra pennello e tavolozza, mentre il braccio destro è abbassato con la mano aperta. La Fleckner vi vede “l’allegoria di una pittura, della sua pittura, che… genera l’immagine di una situazione senza uscita. Il pittore, amputato e stigmatizzato, sta a ridosso di un albero spoglio, in claustrofobica vicinanza, a margine di un’isola cromatica rosso sangue; dietro di lui un oggetto che giace a terra di traverso delimita il motivo e rimanda fatalmente alla tipica architettura del Muro di Berlino, e quindi alla divisione della Germania e alla situazione personale dell’artista, tra Ovest ed Est (‘Sventurata la terra che ha bisogno di eroi’)”; ma della sua biografia abbiamo detto in precedenza.
Non è bloccato soltanto il pittore, in “Uno bloccato” forse la qualifica si riferisce al fatto che con le due mani impugna una sorta di spada arrossata che non può usare, altrimenti l’atteggiamento sembra determinato, gli occhi guardano lontano.
Arrossato è l’intero dipinto, “Senza titolo”, degli schizzi rossi, chissà se indicano il sangue, sprizzano intorno alla figura, eccezionalmente ridotta a quasi metà della composizione invasa del tutto dagli schizzi, li asociamo ai segni rossi pur molto diversi ma ugualmente invasivi, dei disegni di Pablo Echaurren nella fase politiczzata dalla ribellione e contestazione del suo multiforme impegno artistico: chissà se il nostro collegamento è troppo ardito o si è ispirato proprio a questo motivo.
Il “nuovo tipo” e i ritratti personali
Nella galleria di ritratti spicca il “Nuovo tipo”, vediamo diversi dipinti con questo titolo, in uno di essi e in diversi disegni è rappresentato con le braccia larghe, anche qui in apparente rassegnazione, in altri le braccia sono distese lungo il corpo, persino con la sinistra curiosamente piegata ad angolo e con le braccia in alto in un disegno, che potrebbero essere in segno di resa o di slancio. Fino all’immagine che riteniamo espressiva ed enigmatica insieme, la sciarpa rossa al vento, il modo con cui la figura spicca senza zavorre, il braccio destro abbassato come il sinistro ma con un gesto volitivo nel reggere una borsa lo mostra quasi in viaggio verso il futuro, mentre il membro rigido e gigantesco sembra un segno volitivo di trasgressione ribelle, ricordando anche i guai che aveva passato per la sua arte considerata all’inizio “indecente” per questi vistosi particolari anatomici.
Altri ritratti nei numerosi “Senza titolo”, con le braccia nella varie positure, quasi studi preparatori delle identificazioni nei diversi tipi di “eroi”. E soltanto 2 personalizzazioni, “Bonjour monsieur Courbet”, il raro ritratto in cui la figura non è ferma ma in cammino verso destra, rappresentata con grande dignità e compostezza, il passo deciso e senza incertezze, e “Ralf”. una testa in primo piano che per la posizione di profilo sembra un ingrandimento di quella di Courbet; ci sono anche 3 grandi “Teste” contrassegnate da un numero progressivo, delineate con segni chiari su fondo nero, i visi sono normali, come quello di “Fondo nero”, senza le deformazioni dei ritratti degli “eroi”.
Le figure spezzate e l’albero protagonista
Vediamo esposti anche dipinti in cui la figura è spezzata in due, appartengono alla serie dei “quadri fratturati”: il “Nuovo tipo. pittore con il cappotto” nel secondo quadro è spezzato in tre parti, come lo è la “Grande notte in bianco. Patria”, mentre è spezzato in due anche “L’eroe diviso” e l’uomo comune, “Ricciuto”.
Un vero protagonista è “L’albero“, lo vediamo rappresentato da solo in 3 dipinti, sempre tormentato nei rami contorti e in ciò che ha intorno e sulla corteccia; non è l’albero della vita di certe enfatizzazioni ma viene umanizzato facendone discendono dei semi a fecondare la terra.
L’albero sta dietro alla figura oltre che in “Pittore bloccato”, come abbiamo visto, in “Vento in poppa”, quasi a voler spingere la figura dalle braccia larghe e nuda dalla cintola in giù con quel che segue, per sottolinearne lo spirito tutt’altro che rassegnato; ci sono due alberi in “Trappola”, come se impedissero alla figura seduta di alzarsi, anche se l’atteggiamento è tranquillo, le mani a terra.
Altri temi fino ai “grandi amici”
Altre rappresentazioni tematiche e non più personali, “Immagine per i padri” ed “Economia”, “Con bandiera rossa” e “Il rossoverde”, “Segni diversi”, “Uno rosso” e “Uno verde”, con la figura in cammino verso sinistra ma con le spalle incurvate, la testa reclinata, l’atteggiamento dolente, ben diverso da quello che abbiamo visto in “Courbet”, mentre in “Bianco nero” una figura simile, però in cammino verso destra, sembra invece determinata.
Come sono opposti gli atteggiamenti della figura in piedi in “Fondo nero”, delineata solo da tratti cromatici ma molto espressiva, il viso composto, la mano sinistra in alto per ammonire, forse l’immagine più positiva tanto più costruita sul buio; e della figura distesa bocconi – non ne abbiamo visto altre così – in “A terra”, sarebbe la definitiva sconfitta senza possibilità di ripresa ma è un piccolo disegno non tradotto in dipinto forse perché l’artista non si riconosce nella resa definitiva con il suo spirito di ribellione e di lotta.
Ci piace concludere la galleria con “Gli amici”, 2 ritratti sempre a figura intera come tutti, tranne le poche “Teste”: sono ripresi in diversi atteggiamenti, uno sereno, l’altro malinconico; mentre “I grandi amici”, l’unico con figura doppia e dimensione doppia, 2,5 per 3 metri, su fondo nero, le braccia abbassate la prima, la seconda con il braccio sinistro ad angolo e la sciarpa al vento, immagine positiva già vista in “Un nuovo tipo”: i grandi amici sono le nuove figure umane.
Dopo questa emozionante immersione che lascia senza fiato tra figure sconvolgenti e insieme enigmatiche lasciamo ancora la parola Hollein per una considerazione finale: “Con queste figure in equilibrio precario, all’artista interessa in particolare riacquisire e stabilire un contegno, sviluppare e mantenere una posizione anticonformistica e profondamente individuale, al di fuori dei sistemi. Solo l’artista autonomo, in qualità di individuo che si muove si margini della società e sa superare le avversità, è in grado di creare qualcosa di nuovo, al di là di ordini sociali contrastanti, ideologie distruttive e dubbi diktat stilistici”.
Sulla difficile traduzione del messaggio trasmesso vale quanto evocato da Shiff il quale, nel ricordare che “la traduzione ‘sblocca’ il percorso che permette allo spettatore di giungere al messaggio codificato” riporta l’eloquente citazione del critico americano Leo Steinberg: “Chi avrebbe bisogno di quadri se fossero così traducibili?”.
E che si abbia un grande bisogno dei quadri di Baselitz lo dimostrano le 4 grandi mostre paneuropee dopo mezzo secolo dalla loro creazione allorché sono tornati ad essere quanto mai vivi e attuali.
Info
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari. da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00. Catalogo “Georg Baselitz. Gli Eroi“, Editore Hirmer, pp. 168. formato 24 x 30, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra à uscito in questo sito il 23 maggio u.s. con altre 10 immagini. Cfr. inoltre i nostri articoli: in questo sito su Echaurren, citato nel testo, 27 febbraio, 4 marzo 2016 per le opere di impegno politico, 23, 30 novembre, 14 dicembre 2012 per l’intera produzione artistica; in cultura.inabruzzo.it sulla mostra “100 capolavori dello Stadel Museum”, dove si trovano le opere di Baselitz esposte nell’attuale mostra, 3 articoli il 13 luglio 2010 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione nel Palazzo Esposizioni, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti,per l’opportunità offerta. Sono tutti dipinti di Baselitz del 1965-66. In apertura, “Vento in poppa”; seguono, “Pittore bloccato” e “Trappola”; poi, “Il rossoverde” e “Ribelle”; quindi, “Senza Titolo” e “Albero”; inoltre, “Il nuovo tipo”” e “Senza Titolo”; in chiusura, “Bonjour Monsieur Coutbet”.