Guttuso, un uomo innamorato alla Galleria Nazionale

di Romano Maria Levante

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Sala Aldrovandi, dal 3 ottobre al 6 novembre 2017 la mostra “Renato Guttuso, un uomo innamorato”  presenta a trent’anni dalla morte  3 opere espressive di una passionalità dalla quale deriva l’energia creativa e lo slancio vitale propri della fase magica dell’innamoramento nella quale si ha un rapporto speciale con la realtà. Le  citeremo evidenziandole in grassetto per distinguerle dalle oltre opere citate in corsivo per marcare i vari periodi. La mostra è a cura di Barbara Tommasi ed è contestuale alla mostra a cura di Marcella Cossu, dedicata a “Palma Bucarelli. La collezione”, a vent’anni dal lascito della stessa alla Galleria. Un parallelismo significativo perchè anche Guttuso fece l’importante lascito testamentario alla Galleria di 11 opere tra cui la “Crocifissione”, e intrigante dati i rapporti non facili tra l’artista e la direttrice della Galleria per 35 anni che prediligeva l’arte astratta e le avanguardie piuttosto che il suo realismo.  .

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Dopo la  grande mostra antologica del Centenario al Vittoriano nel 2013 abbiamo visto la mostra al Quirinale nel 2015 che ha evidenziato il lato della sua  sensibilità riguardante lo spirito religioso tradotto in un “corpus” di opere sui valori cristiani; la mostra attuale, a trent’anni dalla sua scomparsa, intende sottolinearne lo stretto rapporto con la realtà nelle sue molteplici espressioni, sia in quelle a lui più vicine, sia nelle manifestazioni della società civile e politica da cui si sentiva direttamente investito con un coinvolgimento passionale che non poteva non riversarsi anche nell’arte.

Ma non soltanto come scelta dei soggetti, che lo vedono calamitato a denunciare con dipinti memorabili lo sfruttamento e le guerre, bensì anche come milizia artistica su un fronte, quello del realismo pittorico, che si opponeva alle avanguardie sempre più dominanti nel mondo dell’arte.

Un realismo, il suo, che non si esaurisce nella mera descrizione dei dati della realtà ma vi partecipa passionalmente penetrando oltre l’apparenza per metterne  a nudo l’essenza con un approccio quasi carnale e un’intensa condivisione umana.

E’ un processo insieme fisiologico, fisico e psichico, spirituale e intellettuale, che coinvolge l’intero essere dell’artista, per questo il parallelo con l’innamoramento è quanto mai calzante. Francesco Alberoni  definisce l’innamoramento “uno stato nascente”, con “la formazione di una nuova collettività in cui ognuno vede la possibilità di un mondo nuovo e felice”, processo che “accomuna l’innamoramento alla nascita dei movimenti collettivi”.

In questi movimenti Guttuso è stato inserito realmente e non soltanto idealmente, tanto dal lato artistico che da quello politico, coinvolto e impegnato in prima persona negli eventi storici e civili del suo tempo, da vero combattente.  E poi ha sentito molto l’influsso che gli veniva dalla sua gente di Sicilia e dalla sua terra sentita in modo carnale, calda  e passionale come il suo temperamento, e lo si vede nell’intensità delle opere che ad essa ha dedicato.

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Per questi motivi nel ripercorrere la sua esistenza si rivivono le pulsioni che lo hanno stimolato e si possono sentire le forti motivazioni che ritroviamo nelle sue opere,  quell’innamoramento per una vita nella quale fossero tutelati i diritti inalienabili che lo porta alle denunce scolpite nei suoi dipinti, e anche a esprimere la sua fede incrollabile non solo nei valori collettivi di libertà e giustizia ma anche in quelli individuali legati all’intimità più raccolta, della famiglia come della persona.

Nell’arte questo si traduce nel “realismo ideologico”  e nel “realismo esistenziale” che ne fanno “un testimone del proprio tempo, un tempo collettivo e anche politico” – sono parole di Crispolti – che vuole raccontare con immagini forti in opere di grandi dimensioni, espressioni del suo impegno. Fabio Carapezza Guttuso,l’amato figlio adottivo, ricorda che lui stesso diceva “ho sentito il bisogno di dipingere il mio tempo”, e commenta: “E’  il pittore della narrazione, si avvicina agli scrittori, Moravia, Pasolini, Ungaretti, che hanno raccontato i grandi momenti collettivi”.  E nel suo realismo esprimeva molto di più della realtà che vedeva, la scavava dentro fino all’essenza mettendo in questo tutto se stesso. Come le persone innamorate, lui lo era della realtà più viva. 

La mostra presenta anche alcune fotografie dell’artista ripreso nel suo studio mentre dipinge, davanti a un quadro o con visitatori quali Gassman e Pasolini con Ninetto Davoli; inoltre il video “Incontri con Indro Montanelli; Renato Guttuso”  in cui appare l’impegno civile, sociale e politico alla base della propria arte.

Il primo amore la Sicilia, poi Roma, l’impegno intellettuale  e militante

La Sicilia, in particolare Bagheria, dove era nato il 26 dicembre 1911, è il primo amore di un uomo perennemente innamorato, nell’amato paese natio gli restano ben impresse le immagini realistiche molto colorate, che vedeva dipingere sui carretti siciliani da un pittore di cui frequentava lo studio; il suo sarà sempre un cromatismo intenso, anche violento.

Il nuovo amore diventerà Roma, dopo il viaggio iniziale nel 1924 a 13 anni, la prima mostra collettiva a 17 anni, la prima Quadriennale nella capitale nel 1931 a 19 anni. Con il suo animo polemico e combattivo si impegna in una tenzone artistica contro le tendenze “novecentiste”, e lo fa nella “Scuola romana” cui aderisce aperto ai movimenti collettivi, l’opposto dell’artista nella sua torre d’avorio.

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Essere passato da Bagheria a Roma non gli basta, a Milano per il servizio militare nel 1934 vi resta  fino al 1937  tutto preso dai contatti che ha stretto non solo con artisti come lo scultore Manzù, i pittori Birolli e Sassu, ma anche con scrittori come Gatto e Quasimodo e critici d’arte; questa tendenza a socializzare lo accompagnerà sempre, il suo studio sarà sede di intensi sodalizi culturali, ci sembra di vedere anche qui  l’innamoramento come condivisione di sentimenti di cui parla Alberoni.

Nel 1937 aprì il suo  primo studio romano in un quartiere popolare,  lì inizia l’escalation con la prima mostra personale nel 1938 alla “Galleria della Cometa” dove si radunano artisti quali Afro, Cagli e Savinio e scrittori come Moravia, Vittorini e non solo, tra i 23 dipinti esposti in mostra c’è “Ritratto di Eugenio Montale” del 1938. Fu un vero cenacolo che però ebbe vita breve perché le leggi razziali del 1938  fecero chiudere la Galleria, i proprietari Pecci Blunt e  Cagli ripararono negli Stati Uniti. E’ la fase in cui un artista come Guttuso così aperto al mondo si rinchiuse nel suo studio sfogandosi a dipingere oggetti e paesaggi, oltre a evasioni erotico-sentimentali nei nudi di donne. Vediamo esposto “Figura di donna” del 1939.

Ma non mancano fiammate di ribellione in cui raggiunge il diapason, come appare nel dipinto “La fucilazione in campagna” del 1939, che evoca l’esecuzione di Garcia Lorca, c’è  il disprezzo per i franchisti della guerra civile spagnola e insieme l’ammirata commozione per l’eroismo del poeta martire, del dipinto è esposto anche uno “Studio” preparatorio.

Dello stesso anno “Figure al balcone”  e poco dopo, intorno al 1940, con “La fuga dall’Etna”  la sua vicinanza e condivisione delle grandi tragedie sociali, in un impressionante  affresco di umanità dolente e disperata, è esposto anche il “Bozzetto”; ma anche “Ragazze a Palermo”, una raffigurazione inquieta coni 4 nudi scomposti.  Invece “Ritratto della madre”, dello stesso anno, è  diverso da tutti i ritratti perchè è ripresa nella quotidianità, seduta dietro un tavolino con una candela e due uova, la testa poggiata sulla mano sinistra, serena e in posizione di riposo dopo il lavoro domestico.  

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Il suo innamoramento, però, non ha soltanto queste espressioni collettive, nel 1938 è nato il grande amore per “Mimise, la donna della sua vita”, anche lei è oggetto della sua pittura dopo il rifugio nelle immagini di quotidianità con le fiammate dei quadri di denuncia e ribellione. Delle  numerose raffigurazioni vediamo esposto il “Ritratto di Mimise” del 1947, lo stesso rosso in un volto su cui si aprono occhi che ricordano quelli del suo “Autoritratto” di quattro anni prima,  anch’esso esposto.

Dopo il sodalizio bruscamente interrotto per la chiusura della  “Galleria della Cometa”, il cenacolo si riapre nel 1940 nel nuovo  studio di via Pompeo Magno con il ritorno di Moravia e Vittorini, cui si aggiungono Alicata, Amendola e Trobadori, l’impegno da intellettuale diventa politico con una vera  e propria milizia antifascista. Il  ripiegamento artistico si rivolge alle persone dopo le cose, e alle scenografie teatrali per il Teatro delle Arti, tra i suoi allestimenti quello di “Histoire du Soldat”, coreografo Aurel Milos. L’amore per il teatro non lo abbandonerà nemmeno nelle fasi successive.

Non viene meno l’impegno militante nell’arte, con quello clandestino di tipo politico, collabora alla nuova rivista  “Primato Lettere e Arti d’Italia” e sfida la critica più conservatrice, ma soprattutto Chiesa e regime con una “Crocifissione”  ritenuta così trasgressiva da far chiudere in anticipo la mostra e segnare la fine del Premio Bergamo nel quale si era piazzato al secondo posto.

E’ il 1942, non solo la lotta sul fronte artistico, sul fronte politico crescono i rischi, si moltiplicano le perquisizioni negli studi degli artisti, Sassu viene arrestato e condannato, Carlo Levi inviato al confino, il cerchio si stringe intorno a lui, Alicata fa appena in tempo, prima di essere arrestato con Trombadori, a consigliarlo di lasciare subito Roma avveertendolo che è entrato nel mirino della polizia politica.

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Guttuso approda a Quarto, anche qui  il suo impegno artistico si fonde con  l’impegno civile e politico, e ne enuncia i contenuti nell’articolo “Pensieri della pittura”, dove la scelta del realismo militante contro il disimpegno astrattista è motivata dalla necessità che l’artista “agisca, nel dipingere, come agisce chi fa una guerra o una rivoluzione”. Spiega  che all’artista non si chiede di impegnarsi direttamente nella lotta politica né nella milizia rivoluzionaria; ma questo, aggiungiamo, non riguarda un temperamento come il suo, una vitalità come la sua, una forza morale come la sua.

Con la fine del fascismo dall’impegno clandestino passa alla milizia diretta, da Quarto non va al Volturno ma rientra a Roma e fa parte del Comitato di accoglienza degli antifascisti espatriati, incarcerati o al confino, liberi di tornare. E’ soltanto l’inizio, non può bastargli neppure questo, ed eccolo il 10 settembre 1943 a Porta San Paolo contro i tedeschi occupanti, è con lui Trombadori, e poi milita attivamente nella resistenza curando i collegamenti tra il CLN e i partigiani della Marsica.

Tra il 1942 e il 1943 dipinge “Battaglia e cavalli feriti“, ben più di una metafora della grave situazione in quei corpi a terra, e “Trionfo della morte” con una incontenibile carica di drammaticità e disperazione nei due corpi avvinghiati.  Nell'”Autoritratto”, dello stesso periodo, si ritrae con il viso e le braccia di un rosso intenso.

Anche l’arte diventa un’arma da usare in questa lotta o comunque un’irrefrenabile sfogo personale: così crea le 24 tavole di disegni della serie intitolata “Gott mit Uns”,  le tragiche violenze naziste sui prigionieri politici  che si coprono in modo blasfemo col nome di Dio marcano l’abisso sul piano umano tra la brutalità dei torturatori e la dignità delle vittime. Scene agghiaccianti nelle quali si sente la straordinaria forza evocativa del realismo che mette a nudo le aberrazioni disumane.

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La lotta sul fronte dell’arte, realismo contro astrattismo e formalismo

Un’arte così militante deve liberare tutte le sue potenzialità rimossi i vincoli del regime, e lui non aspetta la fine della guerra per manifestare le proprie idee scrivendo sul “Cosmopolita” che da un lato “l’arte non è un’accademia”, dall’altro che “un rinnovamento non può procedere da una ‘tabula rasa’”  ma deve operare “combattendo il vecchio mondo ed aiutando ad edificare il nuovo”.

Questo richiede la stretta aderenza alla realtà che si vuole denunciare o trasformare, una realtà concretamente  impersonata negli uomini ed espressa nella storia. Per affermare questa missione non gli basta enunciarla, lo spirito associativo lo porta a raccogliere altri artisti intorno alle sue idee.  Birolli e Carlo Levi,  Cassinari e Pizzinato, Santomaso e Turcato, Vedova e Viani costituiscono con lui la “Nuova Secessione Artistica Italiana” e firmano il relativo manifesto programmatico.

Non ha perso tempo, siamo nell’ottobre 1946, un anno e mezzo dopo la liberazione del 25 aprile 1945; si bruciano ancora le tappe,  tre mesi dopo, nel gennaio 1947,  il gruppo si trasforma nel  “Fronte Nuovo delle Arti”, con gli artisti romani in maggioranza:  dalla “Secessione” al “Fronte nuovo”, l’impegno è sempre più militante. Conosce  Picasso a Parigi e firma nello stesso mese il “Manifesto del neocubismo” come nuova visione della realtà, ma non rinuncia al realismo pittorico.

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E’ una fase molto inquieta, le avanguardie aggressive, l’astrattismo è sempre più attrattivo al punto che tornato a Roma dopo un breve viaggio a Parigi soltanto due mesi dopo, nel marzo 1947,  trova che artisti del suo gruppo come Turcato, o assidui frequentatori del suo studio come  Ugo e Carla Accardi, Dorazio e Consagra, Guerrini,  Perilli, e  Sanfilippo   hanno aperto la rivista “Forma”  dove definiscono il “realismo spento e conformista” incompatibile con chi è “formalista e marxista”. Di quest’anno così agitato vediamo una testimonianza nell’opera esposta “Il merlo”, l’uccello nero si alza in volo come liberandosi da un viluppo dal cromatismo particolarmente acceso, che caratterizza un’opera dello stesso anno, “Paesaggio di Villa Massimo”, dove aveva lo studio. Caratteristiche analoghe troviamo nella “Natura morta” del 1948.   Naturalmente,  un combattente come Guttuso non rinuncia a replicare con forza a quello che considera un tradimento, ribadisce di essere “antiastratto, antidecorativo, antiformalista”, precisa che l’adesione al neocubismo è “in senso realistico mai in senso astrattista”. La polemica infuria, il  “Fronte Nuovo delle Arti” non si contrappone alle deviazioni formaliste e astrattiste, anzi è spaccato al suo interno in una sorta di guerra civile artistica combattuta da artisti spalleggiati da critici schierati sulle due posizioni, come nei giornali e le riviste, nelle gallerie e nei luoghi di incontro, addirittura a Piazza del Popolo dove  si trasferisce nei due principali caffè, al caffè Rosati gli astrattisti, al Canova i realisti, come ricorda con una nota gustosa Fabio Carapezza Guttuso. 

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Ma non solo,  si estende al piano politico, con l’adesione al fronte del realismo di Palmiro Togliatti in visita alla Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea del 1948 a Bologna; quasi quindici anni dopo  Krushev assumerà una posizione analoga  nel corso di una visita a una mostra di Mosca nel 1962 con il nuovo “stile severo”, ben diverso dal  “realismo socialista” celebrativo del regime. Il “Fronte nuovo delle Arti”  si scioglie nel marzo 1950, mentre si moltiplicano i gruppi di avanguardie. Lui reagisce con grandi opere, tra il 1949 e il 1951, di forte impatto visivo e intensità espressiva sui temi cruciali del realismo: la visione ambientale con “La pesca del pesce spada” e “Agrumeto sullo stretto di Messina”, una spettacolare quinta arborea con il mare sullo sfondo, l’impegno socialecon “Occupazione delle terre incolte in Sicilia”, una sorta di “Quarto stato” in marcia, e l’affresco storico con “Battaglia di ponte dell’Ammiraglio”  vera e propria pietra miiliare

Tra la dimensione quotidiana, la denuncia sociale e l’impegno politico

Guttuso è sempre in prima fila nella difesa intemerata dalle sopraffazioni e dallo sfruttamento. Contro la sopraffazione aiuta  Pablo Neruda esule dal Cile giunto alla Stazione Termini a evitare l’espulsione della polizia, con lui accorrono in sua difesa Trombadori, Moravia e la Morante; il poeta poi è testimone alle sue nozze con Mimise, e gli dedica la bella poesia “A Gutusso de Italia”.

Contro lo sfruttamento anche minorile dipinge “La zolfatorello ferito” nel 1952, cinque anni dopo il quadro “L’occupazione delle terre”, allora la ribellione vittoriosa, ora invece il trattamento disumano, lo vediamo nel corpo scheletrito che si china sulla cesta in un ambiente livido e inospitale. Seguirà l’anno dopo“La zolfara“, una scena agghiacciante, da girone infernale, non esposta, mentre c’è in mostra “Capra” del 1952, l’eco della sua terra in questo animale ripreso di lato in primo piano. 

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Ma il suo realismo non chiude gli occhi dinanzi alla quotidianità, è la fase tanto attesa della ripresa dopo le distruzioni con i momenti di respiro collettivo, dimensione da lui curata anche negli aspetti positivi, non solo nelle opere di denuncia e di impegno politico, lo ha manifestato già nel 1945 con “Ballo popolare”. Negli anni ’50 “Boogie Woogie” nel 1953 , ballo scatenato ma visi stravolti,   “La Spiaggia” nel 1955, tante figure in costume da bagno, poca voglia di divertirsi,  fino a  “Ragazzi  in vespa”  nel 1958, dopo il film “Vacanze romane”  del 1953 nel quale il giro in scooter per Roma da parte dei protagonisti iniziava dall’edificio di Via Margutta dove lui aveva lo studio, le due figure non sorridono come Gregory Peck e Audrey Hepburn, sono immerse in un rosso intenso.E’ uno dei tanti atelier che si susseguono, ricordiamo quello a  Villa Massimo, poi a via  Santa Maria Maggiore nel 1956 e a via Cavour nel 1960, la dimensione quotidiana entra nell’arte con i “Tetti di via Leonina” e “Tetti di Roma”. Mentre la dimensione politica, dopo la lacerazione creata dalla repressione della rivolta d’Ungheria del 1956 con la quale il comunismo cui aveva aderito aveva schiacciato i moti di libertà, si manifesta nell’album di disegni “Erano veramente colpevoli? Restano solo i morti” in cui esprime la sua profonda inquietudine . Nel 1960 in “Discussione”  rappresenta il confronto democratico con figuire di compagni che discutono in modo concitato.   Ma non mancano temi non politici, come vediamo nelle tavole con cui illustra la “Divina Commedia”.

La dimensione personale si fa sempre più evidente con il trasferimento dalla piccola abitazione alla Suburra alla grande residenza del Palazzo del Grillo, nella quale l’imponenza monumentale data da statue e stucchi viene addolcita dagli oggetti familiari che assiepa nello studio e raffigura in nature morte molto particolari, ricordiamo nel 1959 “Damigiane e  bottaccino”, nel 1961 “Natura morta con fornello elettrico”. Esplicita questo aspetto del suo realismo con le parole: “A me interessa trarre da ciò che vivo giornalmente l’elemento per dire qualcosa sulla realtà nella quale vivo, che mi circonda”; e precisa così il suo imperativo: “Dipingi quello che hai davanti,  con cui sei in intimità, che conosci bene perché ci stai insieme. Negli oggetti, nelle persone, nelle cose, si riflette quello che è il movimento generale della realtà”.    

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Ma si riflette altresì nella memoria e nella storia, anche personale, come negli eventi, con la sua intensa partecipazione emotiva. Ne sono testimonianza quanto mai efficace le opere del 1966,  quali  “Autobiografia” e “Il Padre agrimensore”, “Incendio alla cancelleria apostolica”  e “Paracadutista”, fino a  “Il trionfo della guerra”; dove tra le teste allucinate di cavalli imbizzarriti simili a coccodrilli,  tra gli elmetti bianchi dei nazisti aguzzini spicca la figura inerme del bambino ebreo con le braccia alzate in segno di resa nel calpo di sterminio, ripresa dalla ben nota imamgine fotografica;  le opere del 1968 come “Giornale Murale. Maggio 1968”, un’impressionante accozzaglia di scudi contro le barricate,e  le grandi composizioni degli anni ’70.  Ricordiamo i “Funerali di Togliatti”  del  1972, rappresentati a diversi anni dall’evento con un’attenta ricostruzione dei ritratti contenuti nel grande affresco tra il fiume di bandiere rosse, dopo una ricerca molto accurata che è stata documentata negli interventi di presentazione dell’attuale mostra alla Galleria Nazionale; e“Convivio” del 1973, una variante della “Discussione” in clima conviviale, dove l’aspetto personale prevale. Poi  “Caffè Greco”  del 1976, si riconosce De Chirico frequentatore come lui dalla vicina abitazione di Piazza di Spagna con altre figure, tra cui Buffalo Bill; e la “Vucciria”  del 1974, un grande affresco del mercato palermitano nel quale  venditori e compratori sono circondati dalla merce pittoresca in un’esposizione spettacolare che occupa l’intero dipinto,  ne vediamo esposto un “Bozzetto” particolarmente espressivo. .

Potrebbe sembrare un approdo, ma la sua passione di innamorato della vita e dei suoi valori lo fa penetrare ancora di più nella politica: dalla adesione ideologica alla milizia nel Partito Comunista con il quale entra nelle istituzioni, prima locali come consigliere comunale a Palermo nel 1974, poi nazionali, come senatore in due legislature dopo le elezioni del 1976 e del 1979.  Anche questo suo amore si riflette nell’arte, lo vediamo in particolare nel dipinto “Comizio di quartiere”  del 1975, mentre “Il Muro di Erice” del 1976, l’anno della prima elezione, ci riporta alla sua Sicilia, con le pietre compatte della costruzione senza finestre e una piccola porticina; sole finestre con i relativi balconcini, invece, in “Vecchie case a Palerrmo” del 1978.

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L’epilogo, tra la malinconia e sprazzi di indomita vitalità

I  notevoli impegni su tanti fronti, artistico e sociale, politico e intellettuale, continuano, come prosegue il suo sodalizio con artisti e scrittori quali Trombadori, Bufalini e Sapegno,  incontra anche personaggi ben diversi come Andreotti e il vescovo Angelini.  Nella  sua vita privata a Palazzo del Grillo è impegnato senza sosta nello scrivere la mattina, nel dipingere e disegnare nel pomeriggio.

Non può evitare la malinconia, Fabio Carapezza Guttuso la definisce  “una linfa sotterranea” che ispira le sue letture, il ritorno sugli antichi maestri, e le opere dell’ultimo Guttuso. Lo si riscontra in  “Allegorie” e “Il sonno” del 1979-80, nelle opere cariche di mistero come “La visita della sera” conla tigre che entra nel suo giardino mentre scendono le ombre, e “Sera a Velate” entrambe del 1980; e nelle nature morte allegoriche del 1984, come “Bucranio”, “Mandibola di pescecane”, “Drappo nero contro il cielo”, fino ai nudi “Ginecei” e “Due donne sdraiate” .  Vediamo anche “Garofani” del 1981. 

Del 1985 è esposto il “Ritratto di Sarah Bernhardt”,  raffigurò amici e personaggi fino all’ultimo,; sono di pochi  anni prima il “Ritratto di Giorgio Amendola” del 1979 e il “Ritratto di Moravia” del 1982,  entrambi ripresi a sedere, il primo austero, il secondo pensoso; andando indietro nel tempo, il “Ritratto di Anna Magnani” del 1960, scura e aggrondata com’era, e il “Ritratto di Mario Alicata” del 1955, visto di profilo, fino al già citato “Ritratto di Eugenio Montale” del 1938.

Ma  l’innamorato della vita di cui ha voluto esprimere, con il suo realismo appassionato, tanti aspetti unendo alla narrazione l’indignazione e la denuncia o la pietà e la condivisione, non si arrende alla malinconia. Lo si riscontra nella allegoria in cui la speranza vince la propria stanchezza di “Spes contra spem”  del 1982 e, sull’orlo della vita, in opere come “Angurie” del 1986, un’esplosione di colori, nel sussulto di vitalità di un combattente che non rinuncia alla lotta.   

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“Angurie” è del 1986, il 5 ottobre scompare l’amata Mimise, lui sfoga il suo dolore con la famiglia Carapezza scrivendo:  “Mimise non fu solo mia compagna. Fu una cosa della mia vita, parte della mia carne, della mia mente”, e “della mia cultura”.  L’uomo innamorato cui è dedicata la mostra se ne va, dopo aver espresso tanto amore per la vita, tre mesi e mezzo dopo, il 18 gennaio 1987.

Nelle esequie, le diverse dimensioni del suo impegno artistico, politico e civile vengono celebrate nelle orazioni funebri degli amici intellettuali Carlo Bo e Moravia, e dei vertici del Partito Comunista;  la dimensione religiosa, espressa nella serie di opere su temi della cristianità, dopo  la maturazione spirituale dell’ultimo periodo è riflessa nell’omelia dell’amico cardinale Angelini il quale disse: “L’eternità della sua arte è anch’essa momento e segno dello spirito che accomuna tutti gli uomini e che li predispone al mistero”.

Un riconoscimento per così dire postumo da parte della “Galleria Nazionale”, per tanto tempo scettica verso il realismo, nelle parole del soprintendente Eraldo Gaudioso all’accoglimento del lascito di 11 opere dell’artista: “La presenza di Guttuso in Galleria, finora limitata a dipinti di certo notevolissimi, ma cronologicamente scalati in uno stretto giro di anni, si dilata a tutto l’arco dell’attività dell’artista ed assume un peso pari al reale valore che Guttuso ha avuto nellel vicende dell’arte italiana contemporanea”.  Questo solenne riconoscimento del “valore reale” suona anche come doverosa autocritica.

Ripercorrere la sua esistenza ci è sembrato il miglior modo di inquadrare le opere esposte nella mostra, e le altre citate come riferimenti particolarmente significativi, calandole  nel realismo vitale e non solo artistico di un combattente che si è cimentato in tanti campi quanto mai impegnativi; e lo ha fatto sempre con l’impeto appassionato dell’uomo innamorato della vita nei suoi valori personali e collettivi per i quali vale la pena di mobilitare tutte le forze nel nome dell’umanità.

“Se bruciasse la città, da te, da te, da te io correrei…”, canta una nota canzone esprimendo il massimo di dedizione dell’innamorato. Ebbene, è quello che ha fatto “Renato Guttuso. Un uomo innamorato”: è corso dove “bruciava la città”, cioè dove erano minacciati i valori individuali e soprattutto collettivi nel suo  amore sconfinato per la vita vera e giusta, fino a lottare con l’impeto e la passionalità della migliore indole siciliana, forte della sua arte e della sua indomita personalità.

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Info

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, viale delle Belle Arti, 131, Roma,  tel. 06.32298221. Orari  di apertura, dal martedì alla domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso, intero euro 10,00, ridotto euro 5,00, gratuito per gli under 18, ridotto con il biglietto del MAXXI e i soci del programma CartaFreccia  di Trenitalia.  Il nostro articolo sulla mostra parallela “Palma Bucarelli. La sua Collezione”  uscirà in questo sito il 22 ottobre p. v.   Per le mostre citate nel testo, cfr. i nostri articoli: in questo sito, per le precedenti mostre di Guttuso,  sulla mostra al Vittoriano 25 e 30 gennaio 2013, sulla mostra al Quirinale 27 settembre, 2, 4 ottobre 2016; per i cubisti 16 maggio 2013, secessione 12, 21 gennaio 2015, astrattisti  6 novembre 2012, per il “Realismo socialista” nel massimo esponente, Deineka, 26 novembre, 1, 14 dicembre 2012;  in “culturainabruzzo.it” per i “Realismi socialisti” tre articoli tutti il 31 dicembre 2011 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Galleria Nazionale alla presentazione della mostra, si ringrazia la  direzione della Galleria Nazionale, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura,   “Autoritratto” 1943; seguono, “Fucilazione in campagna” 1939, e “Fuga dall’Etna” 1940; poi, “Ragazze a Palermo” 1940, e Battaglie e cavalli feriti” 1942-43; quindi, “Agrumeto sullo stretto di Messina” 1950, e “Trionfo della morte” 1943; inoltre, “Il merlo” 1947, e “Ritratto di Mimise”  1947; ancora, “Zolfatorello ferito” 1952, e “Il muro di Erice” 1976; infine, “La visita della sera”  1980, e “Capra” 1952; in chiusura, “Ritratto della madre” 1939-40.

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