di Romano Maria Levante
Alla Galleria Nazionale di Arte Modena e Contemporanea di Roma,dal nuovo logo sintetico “La Galleria Nazionale”, dal 23 gennaio al 4 marzo 2018 nel Salone Centrale la mostra “Scorribanda” con cui si celebrano i 60 anni di attività della Galleria Sargentini di Fabio Sargentini, che dalla metà degli anni ’60 ha alimentato le avanguardie pittoriche e introdotto le installazioni, creando inoltre delle sinergie innovative con la danza, la musica e il teatro. Sono esposte circa 40 opere di artisti che nei 60 anni hanno dato lustro artistico alla galleria e a loro volta hanno potuto imporsi all’attenzione della critica per la prestigiosa vetrina che veniva offerta loro.
Scorribanda e non sarabanda
Una “scorribanda” che non diventa “sarabanda” alla Galleria Nazionale, a Fabio Sargentini i capelli bianchi non hanno fatto perdere la voglia di sorprendere, ma l’hanno in qualche modo addomesticata.
E’ vero che, come lui stesso dice, “c’è in ‘Scorribanda un che di piratesco, di corsaro, che mi piace”. Ma non mira a sconcertare bensì a coinvolgere, non porta a spiazzare bensì a condividere, lui stesso dice che le opere esposte “avvolgono in un abbraccio”, quasi una calamita irresistibile per l’osservatore: “Anche chi guarda percepisce questo abbraccio e non vi si sottrae, anzi le pupille sedotte si dilatano ad accogliere la visione d’insieme della lunga sequenza parietale. Un colpo d’occhio a 360 gradi che sa di accerchiamento”.
Non si potrebbe descrivere meglio l’effetto delle quattro pareti espositive del vasto Salone Centrale della Galleria Nazionale, dopo la Sala delle colonne nella quale si svolge la presentazione. Un accerchiamento tutt’altro che ostile, nel quale lo spirito inquieto di Sargentini trova una forma inedita di manifestarsi, c’è ancora “l’antico valor”, non più trasgressivo ma sempre innovativo.
I quadri, infatti, sono allineati vicinissimi l’uno all’altro, di qui la sua definizione di “sequenza parietale”, senza soluzione di continuità e senza che gli accostamenti siano dettati da omogeneità stilistica o contenutistica, ma conseguenti alla narrazione di una storia artistica movimentata nella quale la creatività si manifesta in forme espressive diverse ma sempre pittoriche, tranne due installazioni scultoree.
Proprio per questo non ci troviamo in una “sarabanda”, come è stato, ad esempio per le 16^ Quadriennale di Roma nella quale si veniva percossi da sollecitazioni continuamente mutevoli che abbracciavano una vastissima gamma di mezzi espressivi, i più diversi e a volte insoliti, anzi inusitati. Ma si trattava di un presente proiettato già nel futuro.
Nella mostra “Scorribanda”, invece, anche le opere più recenti, del 2014 e 2012, sono rigorosamente pittoriche e con le altre esposte formano quello che Sargentini definisce “un racconto senza pause”. E’ un racconto di una parte della propria storia di gallerista, ma per un effetto straordinario prende e coinvolge l’osservatore quasi avesse partecipato alla stagione irripetibile della galleria. C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico in questo racconto, perché riporta alle quadrerie nobiliari, con le pareti altrettanto foderate di dipinti che raccontavano la storia di collezionista appassionato del titolare.
“L’Attico” e Fabio Sargentini
La storia di Fabio Sargentini è legata alla galleria “L’Attico” , una storia iniziata 60 anni fa che supera il “racconto” della sua “quadreria” perché non si limita alle mostre sperimentali da lui organizzate con pittori anche sconosciuti e lanciati con preveggenza, ma va ben oltre, e lo diremo.
L’inizio sembra quanto mai scontato, affianca il padre Bruno che nel 1957 ha fondato “L’Attico” con sede in piazza di Spagna, e ospita opere di artisti noti come Capogrossi e Fontana, Magritte e Matta. Ma non resiste a lungo, vuole promuovere artisti della sua età e per questo deve rivoluzionare la galleria, può farlo perché il padre gliela lascia trasferendosi in via del Babuino.
In un primo momento vi fa mostre sperimentali con Pascali e Kounellis, Mattiacci e Pistoletto e la trasforma in una sorta di palestra con la mostra “Ginnastica mentale” in cui cerca di uscire dalla concezione contemplativa per qualcosa di più dinamico.
E allora ecco il garage di via Beccaria con i cavalli vivi di Kounellis, e mostre con giovani artisti tra cui Metz e Mattiacci, Le Witt e De Dominicis; ecco lo sconfinamento in altre forme d’arte con Festival di musica e di danza cui partecipano musicisti e danzatori americani, “performance” che si concluderanno nel 1976 con la performance delle performance, l’inondazione del garage con 50 mila litri di acqua che per tra giorni lo trasformeranno in un “lago incantato” offerto al pubblico.
Non si trattava di rivivere i fasti acquatici di Piazza Navona, ma ci si andava vicino. Da quattro anni aveva preso,comunque, uno spazio ben diverso in via del Paradiso, dalle nude pareti del garage è passato ai soffitti con affreschi, i pavimenti di marmo, le porte dorate. Un ardito sincretismo, tra due approcci opposti mentre, dal lato artistico, il sincretismo si manifesta nell’affiancare all’arte figurativa l’attività teatrale come nel garage, lancia in Italia il teatro concettuale.
Nell’arte figurativa agli artisti della sua scuderia, per così dire, Pascali e Nagasawa, Leoncillo e Uncini, si aggiungono i nuovi da lui scoperti, come Limoni e Luzzi, Nunzio e Palmieri, Pizzi Cannella e Tirelli, siamo nel 1983. Per il teatro, che alterna all’attività della galleria, l’impegno va avanti fino ai giorni nostri, con “Toga e spada”, del 2017, che segue “Ti regalo un anello”, del 2016, dopo una serie di opere sperimentali di cui con lui è autrice Elsa Agalbato.
Per la sua storia artistica variegata e movimentata, la “scorribanda” ci è parsa alquanto addomesticata rispetto alle performance trasgressive che si potrebbero immaginare. Anche se per il “finissage” è stato annunciato un evento di tipo musicale, in nome del sincretismo tra generi.
A parte tutto questo, possiamo convenire che “Scorribanda va considerata un’installazione”, per l’effetto d’insieme che rende le quaranta opere un tutt’uno nell’abbracciare l’osservatore; ma nel contempo mantengono la loro individualità proprio perché la “sequenza parietale” crea l’effetto ottico del coinvolgimento globale senza ridurre l’interesse specifico verso ciascuna. Lo stesso Sargentini lo fa notare: “Altrettanto emozionante è l’osservazione da vicino,la messa a fuoco nelle sue sfaccettature di una storia artistica che dura ininterrotta da sessant’anni”. Perché guardando le singole opere si ripercorrono i tanti momenti di questa storia, come altrettante tessere che nel loro insieme compongono il mosaico della galleria, c riportano a una fervida temperie artistica.
Ne ha parlato lo stesso Sargentini nella presentazione, non ha detto “formidabili quegli anni” – come Mario Capanna ha intitolato un suo libro sul ’68, l’anno della contestazione oggetto di una celebrazione alla Galleria Nazionale con la mostra nello stesso Salone Centrale chiusa una settimana prima dell’apertura di quella attuale e un “giornale” rievocativo” – ma ne ha sottolineato il fervore artistico, le avanguardie sentivano che altrove, e soprattutto in America, si correva, e non volevano restare indietro.
Dopo il 1965, con Pascali e Kounellis, si passa dalla contiguità con la Pop Art al suo superamento, nel 1967 con le mostre “Acqua terra” prima e “Arte povera” poi furono poste le basi di una nuova corrente artistica. Seguì la tragica fine di Pascali e l’idea rivoluzionaria del Garage di cui abbiamo detto all’inizio, uno spazio oltremodo innovativo con il sincretismo delle arti.
Negli anni ’80, lo ha ricordato espressamente, torna centrale la pittura, che resta tale anche in seguito, oltre al teatro e alle performance. L’attività della galleria ha avuto l’evoluzione dallo “spazio negozio” allo “spazio garage” allo “spazio appartamento”, viene rievocata con la “sequenza parietale” delle opere selezionate che diventa essa stessa una vera e propria installazione.
E ha concluso: “Speriamo che Roma risorga e torni ai fasti di allora, è stata molto importante sulla scena artistica soprattutto negli anni ’60 e ‘70”.
Le opere espressive di questo periodo sono esposte in una sequenza parietale nelle 4 pareti del salone, come un’antica “quadreria” soltanto con opere moderne.
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