di Romano Maria Levante
La mostra “Curiose riflessioni. Jean-Francois Niceron, le anomorfosi e la magia delle immagini”, presenta, a Palazzo Barberini, dal 7 marzo al 3 giugno 2018, alcune opere realizzate dall’artista francese con la tecnica dell’anamorfismo, su cui scrisse anche un trattato, tecnica che viene fatta conoscere nei suoi aspetti tecnici, legati alla prospettiva e alla rifrazione ottica, e negli i aspetti psicologici di “immagini riflesse che fanno riflettere”. Ma mostra, che rientra nel programma didattico per il 2018 di divulgazione didattica e scientifica sui rapporti tra Arte, Geometria e Matematica, è a cura di Maurizia Cicconi e Michele Di Monte.
La direzione delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica continua nella valorizzazione della propria sterminata collezione ponendo di volta in volta sotto i riflettori di una mostra temporanea una componente particolare, associando ad essa opere di raffronto con prestiti mirati da altri musei. Anche in questo caso ci sono 2 opere da appositi prestiti, che si aggiungono a un gruppo di opere della collezione della Galleria molto speciali.
Il trattato di Niceron sull’anamorfismo, in francese e latino
Sono le cosiddette “anamorfiche”, opere che per risultare comprensibili devono essere osservate dal solo punto di vista nella posizione corretta, oppure attraverso un apposito strumento. E’ un fenomeno che suscitò molto interesse nel 1600, con l’avvento del barocco, nell’ambito degli studi di geometria prospettiva e di ottica, dopo che nel 1500 si era dedicata speciale attenzione alla prospettiva.
Alla base dell’interesse per questa curiosità ottica oltre alla motivazione scientifica ve ne fu una culturale: nelle concezioni estetiche del ‘600 imperava il fascino dell’illusione rispetto alla realtà, l’attrazione per i contrasti fino ai paradossi, e veniva ritenuta dominante l’esperienza visiva con le sue metafore. Il tutto illustrato in un trattato del teologo e matematico francese Jean-Francois Niceron (1613-1646), pubblicato in francese a soli 25 anni, nel 1638, l’anno della prima messa sacerdotale, e dalla versione in latino uscita postuma nel 1646, pochi mesi dopo la sua morte.
Non si limitò a definirne gli aspetti teorici, come “pittore di anamorfosi”, realizzò un affresco con i canoni dell’anamorfismo a Roma, nei corridoi di un convento a Trinità dei Monti, e anamorfi circolari decrittate da uno specchio cilindrico, nonché una serie di altre opere esposte in mostra.
Sono introdotte da un esemplare del suo trattato in francese “Le Perspective curieuse, magie artificielle des effects mervelleuux de l’optique par la vision directe”,e della seconda opera, la versione in latino, Thaumaturgus opticus, seu Admiranda Optice, per radiun directum…”, esposte con un’apparecchiatura digitale che consente di sfogliarne virtualmente le pagine e vederne il testo corredato da disegni e immagini. La prospettiva lineare viene analizzata in 4 libri, dopo gli aspetti generali delle anamorfosi nel primo, nel secondo quelle piane, nel terzo le immagini catottriche e nel quarto le anamorfosi diotriche. Nell’opera in francese, in 25 tavole, disegnate da lui e incise da Jean Blanchin, si trova esemplificata la costruzione prospettica e la pratica pittorica; in apertura, un gruppo di putti, nell’incisione di Pierre Daret, impegnati negli esperimenti ottici descritti nel trattato, osservando la ricostruzione catottrica con uno specchio cilindrico, un cono a specchio e un cannocchiale prismatico. Nell’opera in latino c’è una tavola, la n. 33, in cui si ricostruisce la realizzazione della pittura murale anamorfa nel convento di Trinità dei Monti
Non è disegnato, ma esposto a disposizione dei visitatori uno strumento da lui utilizzato, il suo “Cannocchiale anamorfico”, con il quale si possono vedere immagini insolite; ma il clou della mostra sono le sue pitture anamorfiche, veramente insolite e intriganti. Ne parleremo dopo aver illustrato l’anamorfismo, la natura di tale fenomeno e la sua presenza in pittura.
Le premesse dell’anamorfismo nel ‘500, il forte sviluppo nel ‘600 con Niceron
Queste premesse risalgono al 1500,”, allorchè l’anamorfismo fu analizzato non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico, del resto l’ambivalenza della visione della realtà deformata in base al punto di vista era molto stimolante anche sul piano filosofico. Si citano i trattati di Barbaro, Lomazzo e Danti, considerati approssimativi, ma estesi all’aspetto teorico e a quello pratico, e il dipinto anamorfico di Hans Holbein, che, risale al 1533, è un ritratto duplice di “Ambasciatori”.
Ma è nel 1600, il secolo dell’ottica, che ci fu l’escalation, nel 1638 uscì la “Dioptrique” di Cartesio, sullo sdoppiamento della luce, ma già nel 1627 il celebre pittore francese Simon Vouet realizzò la prima anamorfosi cilindrica europea, il disegno “Otto satiri che osservano uno specchio anamorfico con un elefante”, forse l’ispirazione fu orientale. Dalla sua opera Hans Trosxchel ricavò un’incisione con scritto “Format et illustrat”, cioè “realizza e spiega” forme insolite incomprensibili. Seguirono ritratti e figure anamorfiche in Italia e in Francia in rapida diffusione fino a divenire di moda.
Si può capire come in questo contesto uno dei più valenti matematici francesi del 1600 , Jean-.Francois Niceron, interessato in modo particolare alla geometria e all’ottica, potè compiere passi decisivi. Come Bartoli, che era predicatore gesuita, era un religioso, si formò presso le scuole dei Minimi di san Francesco di Paola, che era stato a lungo in Francia, come novizio studiò nei collegi di Nevers e Nigernn, ma per le sue doti soltanto dopo pochi mesi fu ammesso all’esclusivo Collegio di Place Royale ed entrò nell’ordine.
L’ingresso nel prestigioso collegio parigino fu fondamentale, per l’elevato livello culturale dell’istituto, vi insegnava padre Marin Mersenne, teologo intimo amico di Cartesio, che eccelleva nella matematica e nella filosofia ed era in stretto contatto non solo con scienziati e filosofi francesi richiamati dalla biblioteca molto fornita, ma anche con gli scienziati europei con i quali aveva rapporti epistolari. Tra i frequentatori del cenacolo parigino di Mersenne vi era anche un consigliere del re Luigi XIII, Louis Hesslin, con cui Niceron strinse amicizia e così poteva utilizzare uno dei tanti strumenti scientifici di Hesslin, uno spettrografo molto preciso, addirittura se ne servì a Roma, a Trinità dei Monti per il grande affresco anamorfico.
Nel 1630 era stato pubblicato“Perspective cylindrique et conique” , di Jean.Lous Vaulezard, che spiegava come immagini incomprensibili e deformate su una superficie piana fossero ricomposte in modo intelligibile viste riflesse su uno specchio cilindrico. su un cilindro a specchio. Non era una novità assoluta, dopo il disegno sull’anamorfosi cilindrica di Vouet nel 1627, ma diede la spinta decisiva a Niceron che l’anno dopo lo studio di Valuezard, a 18 anni, fornì il disegno per il ritratto anamorfico di Jacques d’Auzolles de Lapeyre, un matematico sessantenne che ne fece un’incisione inserita nel suo famoso trattato sulla cronologia pubblicato a Parigi nel 1638, “Mercure charitable”.
In questo stesso 1638 Niceron pubblica la sua opera teorica in francese, citata all’inizio, presentata come un “divertissement”, tanto da scrivere di voler “occuparsi delle gentilezze della prospettiva curiosa, le quali, come hanno divertito lui e diustrattolo dalla serietà degli studi teologici, potranno non essere sgradevoli ai curiosi”.
Ma è evidentemente riduttivo, che non si trattasse soltanto di una curiosità lo dimostrano le opere scientifiche in materia, sopra citate, a partire dalla “Dioptrique” di Cartesio, e quelle successive, sulle implicazioni psicologiche dell’anamorfismo, data la tendenza del barocco, in cui si era entrati, per le metafore e il fascino dell’illusione. Emanuele Tesauro nel 1654 scrisse “Cannocchiale aristotelico”, in chiave barocca con nel frontespizio l’immagine della pittura in un’anamorfosi cilindrica cui tre anni dopo dedicò uno scritto elogiativo dal titolo “Il cilindro” definendolo “novello ritrovo di acutissimo ingegno”. Così altri insigni personaggi e letterati, come Filippo Picinelli e Daniello Bartoli che scrisse dei trattati in materia.
Finché nel “secolo dei lumi”, 50 anni dopo la morte di Niceron, addirittura Leibnitz, dall’alto della sua sapienza scientifica e filosofica, fa rifermento all’anamorfismo sia nella sua opera del 1704, “Nouveaux Essais sur l’entendement human”, per spiegare le “idee chiare e distinte sia nell’opera del 1710, “Essais de Théodicée” e per il contrasto tra la presenza del male e la volontà di Dio, così spiegato: “Le apparenti deformità dei nostri piccoli mondi si raccolgono in bellezza nel grande e non hanno in sé nulla che si opponga all’unità di un principio universale”. Come nell’anamorfismo basta avere la visione corretta.
Ma torniamo a Niceron, lo troviamo nel 1639, l’anno dopo la pubblicazione delle “perspective curieeuse…”, a Roma come insegnante nel Collegio del suo ordine, quello del Minimi, a Trinità dei Monti. La sua caratura è tale che a 25 anni entra in quella che viene definita “la roccaforte politica e diplomatica dei reali francesi”, e riceve un’ulteriore spinta nel suo percorso anamorfico dal padre superiore Emmanuel Maignan, allora trentasettenne, specialista nella rappresentazione della volta celeste con la gnomonica, morirà nello stesso anno in cui scomparve Niceron a 33 anni, nel 1646.
Addirittura tra i due nasce una vera e propria gara nel convento a Trinità dei Monti, dove Maignan ha realizzato un “astrolabio catottrico” nel 1637. Niceron nel 1642 dipinge in un corridoio un’opera monumentale di tipo anamorfico, con cui mette in pratica le sue teorie, raffigurando “San Giovanni Evangelista che scrive l’Apocalisse nell’isola di Patmos”; nel corridoio opposto Maignan ritrae il fondatore dell’ordine, san Francesco di Paola, anch’egli in modo anamorfico.
Cos’è l’anamorfismo
Cos’è, dunque, quest’anamorfismo, di cui abbiamo dato soltanto un’indicazione sommaria? L’etimologia greca ne evoca la funzione di ricostruire la forma, partendo dalla prospettiva esplorata sin dal ‘400 da grandi architetti come Brunelleschi e da grandi pittori come Piero della Francesca. Si parla di “perspectiva artificialis”, lineare, costruita immaginando l’osservatore posto di fronte, posizione dalla quale si può vedere l’opera con le sue componenti nella giusta prospettiva. Ma se il punto di vista si sposta lateralmente e la composizione viene raffigurata in una prospettiva laterale od obliqua, si crea una “dissociazione o sdoppiamento” perché gli oggetti non saranno più riconoscibili dalla posizione frontale risultando deformati in modo più o meno vistoso.
Per averne la visione corretta, con la relativa riconoscibilità, si dovrà “ricostruire”, “riformare” l’immagine spostandosi dove è stata costruita la proiezione prospettica; e allora avviene che l’oggetto è come se uscisse dal quadro e si ponesse non nella sua profondità ma tra la superficie dipinta e l’osservatore. Una teoria della relatività pittorica, che cambia il punto di vista della realtà.
Non finisce qui, non solo può mutare il punto di vista con le conseguenze cui si è accennato, ma la stessa superficie del piano su cui è raffigurata l’immagine può essere modificata e deformata, nel qual caso si ha lo sdoppiamento dell’immagine per altra via.
A parte questa variante, quanto sopra si può verificare visivamente nel convento a Roma di Trinità dei Monti, nei quali le immagini dipinte rispettivamente da Niceron e Maignan viste da vicino percorrendo i due corridoi di cui si è detto, sono piccole figure immerse nel paesaggio, mentre ls visione d’insieme di scorcio dei 20 metri di parete del corridoio dà tutt’un’altra imamgine, tanto che Niceron ha intitolato il dipinto “L’apocalisse dell’ottica” nel senso di “rivelazione”, nel caso del significato della presenza di san Giovanni a Patmos.
La “ricostruzione” dell’immagine, oltre che mutando punto di vista e assumendo quello corretto, può avvenire utilizzando appositi strumenti, come il cono ma soprattutto il cilindro anamorfico di cui Niceron perfezionò l’utilizzazione. Si tratta della cosiddetta “catroptica”, per la quale si può vedere correttamente l’immagine, altrimenti indecifrabile se si guarda sulla superficie in cui è raffigurata, soltanto riflessa sulla superficie di uno specchio curvo, a forma conica o cilindrica, la cui “deformazione” compensa e corregge quella dell’immagine dipinta rendendola riconoscibile.
Così si conclude la presentazione: La morale ‘anamorfica’, che pure non sfuggiva agli autori del Seicento, è che, talvolta,una doppia deviazione della verità è necessaria per ricondurci inaspettatamente alla verità stessa, se non a una verità ulteriore. Le anamorfi catoptriche non sono solo immagini riflesse, sono anche immagini che dovrebbero far riflettere”.
Le opere ad “anamorfosi catottrica” presenti in mostra
Guardiamo in pratica queste immagini, che fanno parte delle 4 opere delle Gallerie Nazionaili di Arte Antica, raramente esposte per le difficoltà di presentarle in modo adeguato, sono ritratti del 1635, quando l’artista aveva 22 anni, acquistate dal Ministero dell’Educazione Nazionale nel 1937 appositamente per le collezioni.
Sono tutte ad “anamorfosi catottrica”, due ritraggono il Re di Francia: la prima il “Ritratto di re Luigi XIII“, a mezzo busto, con l’armatura, sopra la tunica da cui emerge un colletto. L’altra “Re Luigi XIII davanti al crocifisso”, è inginocchiato con in testa la corona e sulle spalle la cappa con i gigli reali francesi, sopra un tavolo a fianco a lui un piccolo crocifisso di ebano con il Cristo in avorio, un angelo ha nella sinistra una tromba, nella destra due stemmi, lo scudo araldico dei Navarra, catene dorate su fondo rosso, e di Francia, gigli dorati in campo azzurro, molto deteriorato.
La terza opera è dedicata al santo fondatore dell’ordine dei Minimi a cui l’autore appartiene, “San Francesco di Paola”, forse l’immagine è ispirata a un’opera di Simon Vouet che lo conosceva e stimava, Niceron lo considerava un’autorità nell’applicare alla pittura i dettami dell’ottica, di Vouet il frontespizio dell’opera in latino del nostro artista. . L’opera esposta sembra fosse destinata al Collegio dei Minimi di Palace Royale dove Niceron era stato ammesso per i suoi meriti. Il modo con cui ha raffigurato in modo anamorfico il santo, seguendo un procedimento semplificato, è descritto nel trattato in francese, “Perspective curieuse… “, pubblicato tre anni dopo questa e le altre 3 opere.
La quarta e ultima opera esposta di Niceron, “Coppia di amanti”, è piuttosto intima, l’uomo giarda la donna e cerca di accarezzarle la gamba nuda sotto la veste, mentre vicino a loro una donna cerca di ascoltare ciò che si dicono; il massimo studioso dell’anamorfosi, Jurgis Baitrusitis, proprio per l’erotismo alquanto lascivo ha messo in dubbio il riferimento a Niceron, per la sua spiritualità. Ma potrebbe essere, invece, il rifugio nell’anamorfosi per una rappresentazione erotica da nascondere.
Il “Ritratto di Jean-Louis Niceron” di Michel Lasne, rinomato illustratore francese, allievo di Rubens e Van Dyck, incisore ufficiale del re Luigi XIII dal 1633, autore di molti ritratti della famiglia reale. L’opera, prestata dall’Istituto Centrale per la Grafica, è l’unica raffigurazione di cui si dispone del nostro artista: un’immagine ascetica che lo ritrae in piedi, giovanissimo, nel saio dell’ordine religioso dei Minimi, e insieme simbolica, tiene con la destra una tavola indicata da un compasso, è la n. 13 di quelle dell’opera in latino recante il prospetto di una sfera con piramidi a base quadrata, un nuovo tema rispetto all’edizione in francese, che può far pensare all’intenzione di ampliarla, vanificata dalla morte; altro riferimento simbolico, o il convento di Trinità dei Monti del suo soggiorno romano che si vede sotto un drappo sollevato. Questo ritratto è anch’esso inserito nell’opera latina della quale, ripetiamo, riproduce una delle tavola in essa contenuta, con una iscrizione che reca la data della sua morte e la giovane del soggiorno romano del 1642, e le parole celebrative: “Egregiis animi dotibus et singulari” e “theseos peritia celebris”,
Le cinque opere sopra descritte vanno viste in una determinata prospettiva e angolazione per poterne ben decifrare le figure in esse rappresentate. A tale riguardo ci si può sbizzarrire con il “Gioco ottico”, una ricostruzione effettuata nel 20018 dell’anamorfosi diottrica realizzata da Niceron nel 1642, prestata dal Museo Galileo di Storia e Scienza di Firenze. Si tratta di un dipinto con alcune teste di turchi che circondano un trofeo con tante bandiere, posto in verticale su una tavola orizzontale su cui è appoggiato un cannocchiale e lente poliedrica; guardando il dipinto con il cannocchiale, la lente attraverso rifrazioni multiple ricompone tanti frammenti in una figura unitaria al posto delle tante teste, è il ritratto del granduca di Toscana Ferdinando II de’ Medici vissuto dal 1610 al 1670, Come per il ritratto di re Luigi XIII, il procedimento è spiegato ed illustrato in 3 tavole dell’edizione in francese del trattato di Niceron, la 23, 24 e 25. In particolare, viene descritta la sfaccettatura delle lenti necessarie e si producono due esempi di ricomposizione di diverse immagini frammentate in un’unica immagine unitaria: la figura di re Luigi XIII si forma con la fusione di 12 ritratti di regnanti turchi,la figura di papa Urbano VIII Barberini con la ricomposizione diottrica di 14 busti di pontefici e padri della chiesa intorno al busto di Cristo.
Sono immagini non solo riflesse, ma che fanno riflettere, abbiamo ricordato in precedenza. A questo punto possiamo concludere che le vie dell’anamorfosi sono infinite, come le vie del Signore. Oltre a far riflettere sui tanti volti della realtà e dell’illusione che ne rappresenta il risvolto, fa pensare ai tanti modi per l’esaltazione celebrativa, la fusione di tanti re o pontefici nell’immagine del re e del papa la cui potenza appare assommare tutte le altre. E’ proprio vero che non si tratta soltanto di un fatto tecnico ma ha forti componenti psicologiche e non solo.
E’ merito della direzione delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica aver fatto conoscere e toccare con mano, è il caso di dirlo, una forma d’arte così singolare, dopo aver portato a Roma i rari dipinti di Arciboldo con le figure reversibili che rappresentano un sorta di anamorfismo, pur molto diverso.
Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie: scolaresche, studenti di determinate scuole letterarie e artistiche, membri ICOM, guide e interpreti turistici, persone con handicap, giornalisti. www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org.
Foto
Le immagini sono state tratte dai siti web ” lasinodoro.it” per l’anamorfismo a Trinità dei Monti, mentre per le installazioni della mostra, e la riproduzione di chiusura dell’opera di Simon Vouet: Eight Satyrs Admiring the Amnamorphesam, soprattutto da “arttribune.it”, photo di Alberto Novelli, inoltre “europejournal.eu” e “GDS.it”, “orizzontecultura.com” e “twitter.com”. Si ringraziano i titolari dei siti e i proprietari dei diritti per l’opportunità offerta, precisando che l’intento è meramente illustrativo senza la pur minima finalità economica nè pubblicitaria, pertanto siamo pronti a eliminarle subito, dietro semplice richiesta, se i titolari non ne gradissero la pubblicazione a corredo del nostro articolo sulla mostra.