di Romano Maria Levante
Nel centenario della nascita del pittore Guido Montauti, con cui condividiamo il paese natale Pietracamela, riportiamo il nostro contributo alla celebrazione, contenuto nel Catalogo della mostra tenutasi a Roseto degli Abruzzi (Te) nella Villa Paris dal 6 giugno al 6 luglio 2018, “Guido Montauti, “un percorso di creatività”. Cento opere nel centenario della mascita” dopo i contributi dei critici d’arte Paola Di Felice, direttrice della Pinacoteca di Teramo, Nerio Rosa e Bruno Corà , inseriti in questo ordine. La mostra di Roseto è la principale tra le manifestazioni celebrative svolte nell’estate 2018.
Per la celebrazione del Centenario sono state organizzate le seguenti altre manifestazioni su singole fasi dell’arte del pittore Montauti: a Ripattone (Te.) dal 13 luglio al 31 agosto 2018, “Le opere in mostra a Venezia, Milano e Parigi negli anni 40-50”, ipotesi museale nel piano nobile di palazzo Saliceti in attesa del restauro; ancora a Roseto degli Abruzzi (Te) nella Villa Paris, dal 7 luglio al 31 agosto 2018, “L’esperienza de ‘Il Pastore bianco’ e il tempo dell’isolamento, opere degli anni ’60-‘70”; a Pietracamela nelle Grotte di Segaturo, dal 10 agosto 2018, “Il recupero delle Pitture Rupestri”, opere eseguite da ‘Il Pastore bianco’ nel 1964 e travolte dalla gigantesca frana del 19 marzo 2011. In onore dell’artista anche l’annuale manifestazione a Fano Adriano (Te) dal 5 al 25 agosto 2018, “XXVIII Premio di pittura estemporanea ‘Gran Sasso d’Italia Guido Montauti”.
Introduciamo il “Ricordo di Guido Montauti” precisando che il nostro intervento orale alla manifestazione – preceduto dagli interventi dei critici d’arte citati all’inizio e seguito da quello del rappresentante della Regione Abruzzo che ha chiuso le presentazioni – ha ricevuto un commento significativo da parte del critico Nerio Rosa che è stato molto vicino all’artista in vita e ne ha sempre seguito il percorso artistico. Ci ha detto, nel rinfresco che ha chiuso la manifestazione, che “i ricordi personali non contano, conta solo la memoria collettiva”. Ne abbiamo convenuto, è una verità sacrosanta per personaggi di tale caratura.
Ma la memoria collettiva è formata dall’insieme dei ricordi personali, insostituibili testimonianze e prove realmente vissute, quando sono convergenti e collimanti. Ebbene, le attestazioni di adesione che abbiamo ricevuto dai tanti paesani presenti alla manifestazione, che come noi hanno frequentato l’artista e si sono identificati nelle nostre parole, ci hanno confermato che i nostri ricordi personali corrispondono ai loro ricordi. Questo ci dà la convinzione che tali ricordi comuni sono diventati una vera memoria collettiva. Ed ora la trascrizione della nostra presentazione in Catalogo.
Ricordo di Guido Montauti
Non è tanto dell’arte di Guido Montauti che vogliamo parlare, quanto della persona, avendolo conosciuto e condiviso con lui momenti senza dubbio autentici nell’abbraccio del paese e della montagna, spinti dal ricordo sempre vivo della sua immagine: l’uomo prima dell’artista.
Lo ricordiamo nei momenti che trascorreva a Pietracamela, in quelle lunghe estati in cui ci si ritrovava ogni anno, come per un tacito appuntamento. Abbiamo davanti agli occhi la sua figura elegante per il modo di vestire semplice ma curato e la gestualità misurata, il suo viso quasi scolpito, lo sguardo sereno pronto all’ironia, l’attenzione che prestava alle persone e alle cose.
Generoso ma anche severo quando occorreva, mai indifferente, il suo distacco era una forma di riflessione. Non possiamo dimenticare le conversazioni con lui nella piazzetta del paese, le passeggiate nei dintorni nelle quali si fermava per inquadrare con le dita strette a mo’ di cornici particolari da tradurre nelle sue composizioni montanare, le cene a Ortolano quando tracciava gli inconfondibili disegni delle case e delle rocce, e noi li conservavamo come oggetti preziosi.
Possiamo confermare il giudizio di Nerio Rosa, che lo conosceva bene fino a chiamarlo al Liceo artistico per affidargli una docenza, ci torneremo ancora più avanti: “Montauti aveva un suo pudore e una sua privacy; era difficile farlo parlare delle cose a cui teneva di più; anzi alcuni elementi del suo carattere non facilitavano l’approfondimento dei colloqui, riservato com’era nel trattare i temi più impegnativi”. Guido Montauti,
Ma non erano questi gli argomenti di discussione nelle distensive vacanze estive. Era prezioso quello che donava con la sua presenza, le parole calibrate e il sorriso enigmatico, l’atteggiamento disincantato e la visione distaccata senza accentuare i toni, come se vivesse in un mondo non toccato dalle banalità correnti. In lui l’incarnazione dell’arte per l’arte, tanto più nel periodo anteriore al suo insegnamento nel Liceo Artistico di Teramo, quando aveva fatto la scelta coraggiosa di dedicarsi interamente alla pittura, non contraddetta neppure allorché con la docenza si impegnò nel trasferire ai giovani la sua maestria di dare corpo alla “figura” e non solo.
La sua arte, del resto, era strettamente legata alla vita in un binomio indissolubile, perché “era” la sua vita. E la vita lo riconduceva alla terra che gli aveva dato i natali, anche quando la vita cittadina e la dimensione artistica raggiunta avrebbero potuto offrirgli ben altre prospettive; perfino quando la grande Parigi gli aprì le porte riconoscendo la sua arte e tentandolo con le sue lusinghe.
Restò sempre fedele all’ispirazione che veniva dalla sua montagna ed era stata rafforzata dalla visita alle celebri grotte francesi con le pitture rupestri che divennero poi un fattore di compenetrazione della sua pittura con la natura e con quell’umanità forte e gentile della migliore gente abruzzese, che ne condivide le asprezze e le meraviglie.
Visitò le grotte francesi e ne fu folgorato da giovane militare in Francia, dove entrò nelle formazioni partigiane, i “maquis”, dopo essere evaso dalle prigioni naziste, non ne parlava mai sebbene ne qualificassero il coraggio e il valore civile.
Così prese forma un “quarto stato montanaro”, assorto e in attesa, mai chino e mai domo.
Non lo è stato neppure lui, non solo nella parentesi bellica, ma anche nella sua vita ritirata e raccolta perché non ha esitato a lanciare sfide epocali, come quella alla Biennale di Venezia e alle stravaganze moderniste della Pop Art, per un ritorno ai valori più autentici dell’arte e della vita.
E per dare maggiore visibilità alla sua visione, che si tradurrà nel “manifesto per la Rinascenza”, creò il gruppo del “Pastore Bianco”, impegnato con la sua guida in pitture su tela di grandi dimensioni, oltre che nelle “pitture rupestri” delle “Grotte di Segaturo”.
La maggior parte di quelle “pitture rupestri” è stata distrutta dal crollo del contrafforte del Grottone, dove amava rifugiarsi, ma ne sono sopravvissute tre molto significative, restaurate e rese accessibili al pubblico per il Centenario dal Comune di Pietracamela: c’è poi una sua grande tela nella Sala comunale del borgo, e nel soggiorno dell’Hotel Gran Sasso 3, possono essere parti di un “percorso Montauti” con il grande “Giudizio Universale” al culmine dello scalone nel Municipio di Teramo.
Ricordiamo la mostra del 1964 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nella Galleria d’Arte che poteva ospitare opere di dimensioni così rilevanti, come se lo richiedesse la simbiosi con la roccia che veniva esaltata. Tra loro il “Giudizio Universale” di lunghezza smisurata, un’opera monumentale in cui le sagome umane diventano filiformi in un cromatismo marrone e ocra, raffigurate in folti raggruppamenti o isolate mentre urlano disperate; ci sono le trombe del Giudizio in questo grande affresco dell’umanità dolente o compunta in attesa, veramente all’altezza di un tema così impegnativo, è il livello massimo raggiunto.
Il “Pastore bianco” era formato da lui e tre giovani pittori, Alberto Chiarini, Diego Esposito, Piero Marcattilii più il pastore Bruno Bartolomei il quale il giorno dell’inaugurazione della mostra romana del 1964 indossava il caratteristico “guardiamacchia” di vello di pecora; alla chiusura serale si andò tutti insieme al Colosseo, si scherzava con il pastore per la sua presenza soltanto folcloristica. Invece prese così sul serio la propria partecipazione che cominciò a dipingere anche da solo, fino a esporre il suo naif ingenuo e delicato in una scuola di Montorio al Vomano: fu un miracolo dell’esempio e della forza carismatica di Guido, pur nella sua semplicità disarmante.
Un altro componente del “Pastore Bianco”, Diego Esposito, divenuto poi docente a Brera oltre che artista su scala internazionale, ci ha detto di recente che il suo maggiore interesse per la partecipazione al gruppo, in cui la parte pittorica faceva capo ovviamente al Maestro, erano le conversazioni sull’arte con lui, Guido era un maestro anche in questo, un autodidatta con una straordinaria conoscenza e sensibilità artistica.
Nel nostro ricordo vogliamo soffermarci ancora su questa vicenda che abbiamo vissuto da vicino. Non si è trattato di una svolta stilistica o di contenuto – dato che “Il Pastore bianco” esprime stile e contenuti del capofila – bensì di una cesura personale ma sempre di tipo artistico: il pittore schivo e solitario, tornato a dipingere chiuso nel suo studio con la resa luminosa a lui più congeniale dopo l’ubriacatura parigina, cambia pelle. Non solo forma intorno a sé il gruppo dei tre giovani pittori e il pastore e si impegna in un’intensa attività artistica, ma esce all’aperto con le monumentali “Pitture rupestri” .
Nel nostro ricordo vogliamo soffermarci ancora su questa vicenda che abbiamo vissuto da vicino. Non si è trattato di una svolta stilistica o di contenuto – dato che “Il Pastore bianco” esprime stile e contenuti del capofila – bensì di una cesura personale ma sempre di tipo artistico: il pittore schivo e solitario, tornato a dipingere chiuso nel suo studio con la resa luminosa a lui più congeniale dopo l’ubriacatura parigina, cambia pelle. Non solo forma intorno a sé il gruppo dei tre giovani pittori e il pastore e si impegna in un’intensa attività artistica, ma esce all’aperto con le monumentali “Pitture rupestri” .
Le “Grotte di Segaturo” sono, o meglio erano, un’area costellata di rocce come tanti bivacchi appena fuori l’abitato di Pietracamela. un ambiente molto speciale divenuto anfiteatro di presenze mute, vibranti di un’umanità arroccata nella sua fortezza naturale.
Anche nei periodi precedenti, pur nell’apparente continuità, non mancava di approfondire la sua ricerca e darne conto nelle opere: con “Il Pastore bianco” le caratteristiche sagome si stagliano sullo sfondo e si accostano in forme di aggregazione sempre più elaborate fino ad avvalersi del rilievo visivo dato dalle “pitture rupestri” nelle quali la vicinanza delle varie composizioni in una sorta di “accampamento” primordiale ne accresce la forza evocativa.
Le figure non hanno contorni marcati, è il fondo roccioso dove sono collocate a modularle, per la maestria nell’accostamento cromatico di pochi colori ben netti. Si ha l’indescrivibile sensazione di presenze vive, anche al di là della rappresentazione teatrale, perché hanno il sapore inconfondibile della realtà vera. Rispetto alla loro impressionante efficacia sembra quasi riduttivo associare le “Pitture rupestri” alle forme di arte “in situ” e di “land art” che “Il Pastore bianco” ha anticipato, altro suo merito storico.
Tra le “Pitture rupestri” sopravvissute al crollo del “Grottone”, nella più appartata si possono vedere tuttora una diecina di figure quasi rintanate in un anfratto naturale, nella più spettacolare l’adunata di una ventina di forme umane bianche e celesti, nere e rosse, un cavallo con cavaliere e un altro visto dalle terga.
Invece sono state perdute le altre, per alcune delle quali l’impatto era accresciuto dalla posizione acrobatica su rocce sospese o da altre peculiarità visive. Sono forme primitive, quasi primordiali in un contesto che resta grandioso anche se sono rimaste le uniche e non c’è più l’effetto derivante dalla disseminazione di figure evocative nel comprensorio.
Abbiamo ricordato la mostra del 1964 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, seguirono nel 1966 mostre a Teramo, Pescara e L’Aquila, i tre principali capoluoghi dell’Abruzzo che è la terra dei componenti del Gruppo e la fonte dell’ispirazione artistica.
Ma non basta, sempre con “Il Pastore bianco” lancia una sfida che crea scalpore alla Biennale di Venezia all’insegna dell'”Avanguardia della Rinascenza”.
Nel 1967 la solenne dichiarazione “I giovani artisti di tutti i paesi del mondo hanno raccolto il messaggio del Pastore bianco”, che ne segna il culmine e la fine, era avvenuto quanto si proponeva, il mondo dell’arte era stato scosso dalla sua sollecitazione, missione compiuta. Guido Montauti.
C’è un’altra svolta nella vita di Guido Montauti di cui vogliamo parlare, non inerente in modo diretto ma collegata all’arte, le persone a lui vicine l’hanno vissuta direttamente. Ha compiuto cinquant’anni, e inizia un’esperienza nuova per lui che finora si è dedicato anima e corpo alla pittura, nel 1969 diventa docente di “Figura Disegnata” al Liceo Artistico Statale di Teramo, incarico offertogli da Nerio Rosa appena nominato Direttore per il rilancio dell’Istituto con un docente d iprestigio. Guido Montauti,
Lo svolgerà per nove anni fino alla scomparsa, per questo gli è stato intitolato e ne conserva la memoria, si chiama oggi “Liceo Artistico Guido Montauti”.
Nerio Rosa racconta che quando glielo propose ebbe un primo rifiuto, perché non voleva togliere tempo alla pittura né si sentiva di entrare in un ruolo che non sentiva suo – la moglie invece era professoressa di Storia dell’arte, è stata pure nostra insegnante liceale e si avvicina felicemente al proprio centenario di vita – d’altra parte la sua era stata una scelta solitaria.
Anche qui, come per “Il Pastore bianco”, non manca di sorprendere, alle insistenze del Direttore accetta di partecipare al concorso per l’inserimento stabile ma solo dopo la nomina in via provvisoria di un mese, stratagemma ideato dal commissario Assunta Formisani.
In quel breve periodo superò ogni remora, e stabilì subito un intenso rapporto umano con gli allievi. I suoi interventi didattici, sostenuti da una profonda conoscenza anche dell’arte contemporanea, avvenivano sempre “nel rispetto della personalità dell’allievo”, come amava dire, e anche i colloqui con le famiglie li svolgeva con impegno e convinzione e senza risparmiarsi, sebbene per altri versi fosse di poche parole.
“Non pensavo che la scuola mi interessasse tanto, invece mi interessa e mi piace”, disse alla metà del primo anno scolastico entrando nella Presidenza, e Nerio confida: “Tirai un sospiro di sollievo, era fatta.
Solo la morte ce lo avrebbe tolto nove anni dopo”; sui rapporti con gli alunni diceva: “Ci vivo bene” dando a queste parole un significato esistenziale molto ampio e positivo.
Il Direttore di allora conclude così: “Ma soprattutto mi corre l’obbligo di testimoniare che mai nella scuola egli ha fatto pesare agli altri la sua grande esperienza di artista, avendo per tutti sempre un atteggiamento di pacata benevolenza”.
Vogliamo sottolineare che venendo meno alla sua decisione iniziale di dedicarsi esclusivamente alla pittura non si è contraddetto, ha cercato di passare il testimone alle nuove generazioni trasmettendo loro il cospicuo patrimonio artistico che aveva accumulato.
Tanti altri sono i ricordi personali, rivediamo una visita con lui a una mostra a L’Aquila all’inizio degli anni ‘60, lui scherzava sui generali alla berlina di Baj, uno degli artisti espositori, fu una giornata indimenticabile trascorsa insieme.
Rivediamo come fosse avvenuta ieri la nostra visita al suo studio, con i tanti quadri ordinati in gruppi omogenei che ci presentava quasi con timidezza, ne scegliemmo tre quasi in successione, con il caratteristico gruppo di figure intorno alla roccia ripreso prima da lontano, poi più da vicino, fino a un primo piano, in una visione cinematografica di assoluta modernità che ci colpì, sempre nell’aplomb arcaico delle sue sagome umane.
Volle aggiungere come suo omaggio un quadretto con l’estrema sintesi dei suoi contenuti di allora, la roccia e la persona; poi ci fece avere il suo pensiero augurale in un momento importante, il sigillo della nostra terra attraverso la sua arte che volle donare a noi e nostro fratello in occasione delle nostre nozze.
Abbiamo limitato la celebrazione della sua figura ai ricordi personali, anche se lo spessore dell’artista è tale da collocarlo ben al di sopra dell’immagine che prevale nella memoria di chi lo ha conosciuto: il Centenario è l’occasione per rievocare le due dimensioni, quelle della vita e dell’arte.
L’intero suo percorso di vita è fatto di riservatezza e ricerca di isolamento piuttosto che di ostentazione e apertura narcisistica, ma è movimentato da improvvise fiammate, di cui abbiamo parlato, nel suo anelito di libertà e nel culto dell’arte, quella che sentiva autentica e minacciata per cui doveva essere difesa dalle tante profanazioni.
Il suo itinerario artistico è rievocato dalla mostra con una antologica particolarmente curata delle varie fasi di un quarantennio di pittura, nel quale all’interno di una continuità stilistica e di contenuti si nota un’evoluzione altrettanto evidente, frutto di una maturazione cosciente senza alcuna adesione alle tante avanguardie incontrate lungo il cammino.
L’intreccio dei due percorsi lo ha portato a un affinamento ideale quasi impensabile per uno come lui che aveva posto come componenti della propria pittura archetipi naturali, come le rocce e le sagome umane, sigillo inconfondibile della sua arte.
Tutto ciò è sublimato da una proiezione interiore che si è tradotta nell’approdo finale, come per Mondrian che, nella radicale diversità di forma e contenuto, era andato alla ricerca della “perfetta armonia” raggiunta nelle celebri griglie cromatiche neoplasticiste; Guido Montauti vi si è avvicinato sempre più nell’ultima fase per raggiungerla alfine sull’orlo della vita.
A tale riguardo, nello spirito forse paesano che cerca e trova segni inequivocabili di qualcosa che va “oltre”, vogliamo concludere questa nostra rievocazione con due memorie molto personali che potranno far sorridere: ma noi, lo assicuriamo, non abbiamo sorriso bensì abbiamo meditato.
La prima riguarda la mostra fotografica del 2012 a Pietracamela dedicata alle immagini di Guido Montauti riprese dall’amico paesano Aligi Bonaduce e ritrovate casualmente dal figlio Flavio trent’anni dopo.
Il “reportage” fotografico mostra il pittore nella parte del “Grottone”, dove chiese ad Aligi di essere fotografato, proprio nella grotta che molto tempo dopo gli scatti, nel 2011, sarebbe crollata, con parte del contrafforte, come abbiamo ricordato, travolgendo a valle le pitture da lui dipinte con il gruppo del “Pastore Bianco” sulle rocce della “Grotta di Segaturo”.
Ebbene, lo stesso giorno di apertura della mostra, il 13 agosto 2012, veniva firmato l’avvio dell’iter del provvedimento per la messa in sicurezza della zona, concluso con un decreto comunicato al Comune l’11 settembre 2012, una settimana dopo la pubblicazione del servizio sulla mostra.
Sono eventi del tutto indipendenti, chiaramente, una mera coincidenza, ci mancherebbe altro, ma vedere la sua immagine sulla sommità della vallata ci fa pensare a una presenza ammonitrice, come un nume tutelare, comunque ci ha fatto sentire il sapore della favola, una favola montanara ricca di significati.
La seconda memoria personale riguarda la nostra visita alla mostra di Firenze del 2002, nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio. Ebbene, una serie di fatti che è eufemistico definire non comuni, tanto straordinari da tenerli per noi, ci fece tornare una seconda volta nella tarda mattinata, quando abbiamo potuto vedere in modo diverso le opere dell’ultimo periodo.
Non entriamo nella valutazione artistica, che in questa sede non ci compete, intendiamo solo esprimere la percezione stimolata in noi dai fatti che abbiamo definito “non comuni”.
Li ho fissati nel registro dei visitatori alla mostra – parlo ora in prima persona dato il carattere molto personale di ciò che ito per dire – – – nell’immediatezza del loro accadimento, ed ora li inserisco qui in aggiunta (in corsivo) al testo del Catalogo nel quale non sono entrato in un tema, ripeto, così personale Era una domenica mattina e dopo aver visitato la mostra sono andatio alla ricerca di una chiesa per la Messa, fatto inconsueto perchè nelle trasferte non era mai avvenuto, ma c’è stata una spinta interiore. Nel Vangelo mi ha colpito che veniva citato il brano di Giovanni scolpito sulla lapide dei miei genitori, e allora al termine della funzione religiosa ho sentito il bisogno interiore di tornare alla mostra preso da un’ispirazione. La lapide dei miei genitori ricorda su un fondo blu-azzurro un cielo punteggiato dalle formazioni celesti, a parte il colore vi ho associato in modo istintivo un quadro della mostra, per questo ci sono tornato. Era l’ultimo quadro del pittore, realizzato “sull’orlo della vita”, con l’estrema rarefazione in un pulviscolo arcano che mi ha richiamato quello della lapide, vi ho visto l’Empireo, come per i miei genitori. Nel registro dei visitatori scrissi tutto questo.
E allora la nostra interpretazione dell’evoluzione finale è stata guidata da un’illuminazione, abbiamo guardato il “periodo bianco” con occhi ispirati.
Abbiamo visto le bande oblique assottigliarsi e diventare elementi filiformi in volo verso l’alto; poi un pulviscolo bianco segnare il raggiungimento della massima rarefazione, come se si fosse liberato dai fardelli terreni per approdare a una dimensione spirituale di natura eterea, che appare superiore, forse soprannaturale, anzi suprema. Questo ci ha fatto sentire una sublimazione scandita nella pittura da un ritmo musicale, marcata con il sigillo evocativo delle sue rocce, in queste ultime opere come una firma.
Guido Montauti al “Grottone”, 8^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce
Il nostro artista sa già che la fine si avvicina, è consapevole del male inesorabile che lo porterà via il 14 marzo 1979, a poco più di sessant’anni, l’intensità che avvertiamo nell’approdo della sua ricerca testimonia l’elevazione in atto in lui, espressa in modo straordinario nella sua pittura. Si solleva nell’Empireo senza abbandonare la matrice terrena.
La vediamo nell’opera del 1977 intitolata “Uomini di Pietracamela”, un’umanità che aveva sempre rappresentato senza volto, e ora che la sua pittura è protesa verso la rarefazione fino all’astrazione, raffigura su fondo nero con le figure e i volti in bianco, per la prima volta dando loro dei tratti fisiognomici quasi per marcarne le individualità, e non più soltanto l’identità: una sorta di estremo saluto rivolto a ciascuno come individuo, distinto dal gruppo come indistinta identità collettiva.
E l’anno successivo, il 1978, pochi mesi prima della morte, abbiamo “Lettera”, grossi caratteri sullo stesso fondo nero di “Uomini” dove spiccavano i volti, due composizioni parallele che fanno pensare a un testamento pittorico: si intravedono delle lettere, ma è indecifrabile, si percepisce l’anelito di una ricerca interiore sempre più ansiosa, che segna un ulteriore passo avanti in “Paesaggio modulare”, composto di lettere ingrossate che occupano l’intera superficie. Sembra voglia dire qualcosa in un estremo messaggio.
E l’anno successivo, il 1978, pochi mesi prima della morte, abbiamo “Lettera”, grossi caratteri sullo stesso fondo nero di “Uomini” dove spiccavano i volti, due composizioni parallele che fanno pensare a un testamento pittorico.
.Si intravedono delle lettere, ma è indecifrabile, si percepisce l’anelito di una ricerca interiore sempre più ansiosa, che segna un ulteriore passo avanti in “Paesaggio modulare”, composto di lettere ingrossate che occupano l’intera superficie. Sembra voglia dire qualcosa in un estremo messaggio.
Un approdo magico, nel quale la sua spiritualità lo mette in contatto con il mondo che sa di dover raggiungere presto, mentre la sua pittura divenuta eterea sa rendere in modo miracoloso pulsioni interiori così struggenti. E ci fa raggiungere l’iperuranio altrimenti inaccessibile nel
“Paesaggio con complessità ritmiche” che abbiamo ribattezzato “L’Empireo”. Perché questo abbiamo sentito nella seconda visita alla mostra di Firenze, sollecitati da un richiamo interiore.
Non è facile sentimentalismo rilevare nel Centenario nella nascita, a quasi quarant’anni dalla morte, come lo spirito di Guido Montauti continui a permeare la sua terra, che ha tanto amato fino a portare sempre con sé, anche nella sublimazione iperurania delle ultime opere, il sigillo delle sue rocce, come un talismano.
Ebbene, il crollo del contrafforte del Grottone che abbiamo ricordato, se ha sbriciolato la gran parte delle “Pitture rupestri” del “Pastore bianco” – che costituivano la massima compenetrazione della sua pittura con l’ambente – le ha integrate definitivamente in un territorio che porta adesso nel suo stesso corpo naturale la sua impronta, in una ideale reincarnazione.
Non è facile sentimentalismo rilevare nel Centenario nella nascita, a quasi quarant’anni dalla morte, come lo spirito di Guido Montauti continui a permeare la sua terra, che ha tanto amato fino a portare sempre con sé, anche nella sublimazione iperurania delle ultime opere, il sigillo delle sue rocce, come un talismano.
Alle tre “Pitture rupestri” superstiti della “Grotta di Segaturo” del 1964 – incancellabile testimonianza sulla pietra di una stagione segnata dalla sua arte – si è aggiunta, più in basso, in una roccia al lato del sentiero che porta al vecchio mulino, la nuova “Pittura rupestre” di Jorg Gurnert, che ha vinto nel 1964 il “Premio Internazionale Pittura rupestre Guido Montauti“ a lui intitolato.
Il passaggio del testimone anche nella “pittura rupestre”, dunque, come quando, per altri versi, aveva accettato di dedicarsi all’insegnamento dell’arte nel Liceo artistico a cinquant’anni.
Con la nuova “Pittura rupestre” questo si è ulteriormente concretizzato, un miracolo dell’artista che lo fa sentire sempre presente tra le rocce e la gente della sua Pietracamela. Mentre la sua arte lo ha portato molto lontano, come testimoniano i riconoscimenti ricevuti da grandi critici italiani e internazionali.
Sono riconoscimenti da ricordare e rinnovare nel Centenario in cui si celebra l’artista e si onora la memoria dell’uomo. A questa abbiamo dedicato i nostri ricordi appassionati.
Info
Roseto degli Abruzzi (Te), Villa Paris. Catalogo “Guido Montauti.’ Un percorso di creatività’. Cento opere nel centenario della nascita”, EditPress srl per conto dell’Associazione Ambasciatori del Centro Italia, maggio 2018, pp. 136, formato 24 x 26. Nel Catalogo, contributi critici di Paola Di Felice“Guido Montauti, un maestro abruzzese del Novecento”, Nerio Rosa, “Per Guido Montauti”, Bruno Corà “Guido Montauti: Paesaggi e figure dell’interiorità”, Romano Maria Levante “Ricordo di Guido Montauti”. Cataloghi delle due mostre precedenti:“Guido Montauti, Omaggio all’artista del suo paese natale”, luglio 2001, pp. 60, formato 29,5 x 30, con Presentazione del sindaco di Pietracamela Giorgio Forti, “Ricordo di un amico” di Luigi Muzii, e contributi critici di Enrico Crispolti, “Per una diversa collocazione della diversità di Guido Montauti” e Nerio Rosa “Attualità del percorso artistico di Guido Montauti”. Catalogo “Guido Montauti”, della Mostra nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze, e nella Pinacoteca Civica di Teramo, Comuni di Teramo e di Firenze, aprile 2002, pp. 100, formato 28 x 29,5, contributi critici di Paola Di Felice “Per una doverosa riscoperta”, Nerio Rosa “La divina indifferenza delle immagini di Guido Montauti” e Bruno Corà “Guido Montauti: Paesaggi e figure dell’interiorità”. Dai Cataloghi citati, e soprattutto da quello della mostra attuale, sono tratte le citazioni del testo. In corsivo è inserita una aggiunta molto “personale”al testo pubblicato nel Catalogo.
Il nostro servizio sul centenario in questo sito è in 6 articoli, con 13 immagini in ognuno dei 4 articoli centrali di commento alla mostra, più 22 immagini nel 1° e 17 immagini nel 6° articolo. Dopo questo primo articolo usciranno: il 2° articolo il 22 luglio “Montauti, nel centenario: 2. L’uomo e l’artista”, il 3° il 29 luglio “Montauti, nel centenario: 3. Dagli esordi alla svolta plastica”, il 4° il 3 agosto “Montauti,, nel centenario: 4. Dal periodo parigino alle Pitture rupestri”; il 5° l’11 agosto “Montauti, nel centenario: 5. “Dal Pastore bianco all’Empireo”, il 6° e ultimo il 19 agosto “Montauti, nel centenario: 6. Il recupero delle Pitture rupestri”.
Per il “Premio Internazionale Pittura Rupestre ‘Guido Montauti’” cfr. i nostri articoli in questo sito il 14 luglio, 2 e 9 settembre 2014 e in “abruzzo.world.it” ” l’8 luglio 2014 ; per la mostra fotografica di Aligi Bonaduce su Guido Montauti e per il crollo del “Grottone” nostri articoli sono stati pubblicati in “abruzzo world.it” il 3 e 14 settembre 2012 e in “guidaconsumatore.fotografia” il 10 settembre 2012 (questi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, verranno forniti a richiesta).
Foto
L’immagine di apertura riproduce il bozzetto di Marco Rodomonti presentato al “Premio Internazionale Pittura Rupestre ‘Guido Montauti'” svoltosi a Pietracamela nell’agosto 2014; seguono 21 immagini alternate fra 11 fotografie all’artista di Aligi Bonaduce tra le rocce del suo paese natale, e 9 riproduzioni di suoi disegni e dipinti inediti.
Il “reportage” di Bonaduce riprende l’artista, 8 fotografie nel “Grottone” , il contrafforte roccioso che domina il paese crollato 35 anni dopo nella vallata distruggendo alcune sue Pitture rupestri, in altre 3 fotografie è ripreso, con la prima avanti a “Vena Grande”, il masso identitario sopra la piazza del paese, lcon e altre due nei dintorni. Le immagini fanno parte del servizio fotografico sull’artista presentato nella mostra dell’agosto 2012 a Pietracamela.
I 3 disegni furono donati dall’artista a Romano Maria Levante nelle cene durante le quali li tracciava, i 3 dipinti che aprono la serie – del tutto inediti, non figurano in nessun catalogo o inventario – furono scelti da Romano Maria Levante e Salvatore Levante in occasione delle loro visite allo studio dell’artista rievocate nel testo per la sequenza di tipo cinematografico di progressivo avvicinamento al gruppo di figure sulle rocce, fino all’intenso primo piano pittorico di una figura; dei 3 dipinti che chiudono la serie, anch’essi inediti, i primi 2 di tema analogo furono donati dall’artista ai fratelli Levante nel 1969 ai loro matrimoni, il 3° dipinto, vero sigillo del suo motivo prediletto,lo aggiunse lui stesso come omaggio personale ai tre scelti nello studio.
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante: quella di apertura, del bozzetto di Marco Rodomonti, ripresa nella mostra svoltasi a Teramo nel 2014 dei partecipanti al “Premio Internazionale Pittura Rupestre ‘Guido Montauti’; quelle della sequenza fotografica sull’artista, di Aligi Bonaduce, riprese nella mostra svoltasi a Pietracamela nell’agosto 2012; le immagini dei dipinti e dei disegni sono state riprese fotografando le opere originali. Si ringraziano Marco Rodomonti, Aligi Bonaduce e Salvatore Levante, titolari dei rispettivi diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Marco Rodomonti, “Guido Montauti” , bozzetto per la 1^ Mostra Internazionale di Pittura Rupestre ‘Guido Montauti’ svoltasi a Pietracamela nel luglio-agosto 2014; seguono, Guido Montauti ritratto davanti a “Vena Grande” sopra Pietracamela, foto di Aligi Bonaduce, e Guido Montauti al “Grottone, 1^ immagine del ‘reportage'”di Aligi Bonaduce, poi, Guido Montauti, 1° Disegno a matita su carta con dedica, e Guido Montauti al “Grottone”, 2^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce; quindi, Guido Montauti, 1^ opera inedita, e Guido Montauti al “Grottone”, 3^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce; inoltre, Guido Montauti, 2° Disegno a matita su carta, e Guido Montauti, 2^ opera inedita; ancora, Guido Montauti al “Grottone”, 4^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce, e 3° Disegno su carta; continua, 3^ opera inedita, e Guido Montauti al “Grottone”,
5^ immagine del ‘reportage di Aligi Bonaduce; prosegue, 4^ opera inedita, e Guido Montauti al “Grottone”,
6^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce; poi, Guido Montauti, 5^ opera inedita, e Guido Montauti al “Grottone”,
7^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce; quindi, Guido Montauti, 6^ opera inedita, e Guido Montauti al “Grottone”, 8^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce; inoltre, Guido Montauti nei dintorni di Pietracamela, 9^ immagine del ‘reportage’ di Aligi Bonaduce. e Un primo piano di Guido Montauti, 10^ e ultima immagine del “reportage” di Aligi Bonaduce e; infine, La maggiore delle 3 “pitture rupestri” superstiti dopo il crollo del Grottone, prima del restauro del 2018 per il centenario e, in chiusura, La parete “Guido Montauti” nell’abitazione di Salvatore Levante a Roma, e La parete “Guido Montauti” nell’abitazione di Romano Maria Levante a Roma.