di Romano Maria Levante
Dal 23 febbraio al 24 giugno2018 la mostra “Renato Guttuso. L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ‘68” ha presentato, alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, 35 dipinti e 32 disegni e acquerelli realizzati dal 1936 al 1975, nei quali si manifesta la sua doppia visione, di artista impegnato nelle opere di ispirazione politica, e di artista attento anche al privato. La mostra, organizzata con gli “Archivi Guttuso” presieduti da Fabio Carapezza Guttuso, è a cura di Pier Giovanni Castagnoli, come il catalogo della “Silvana Editoriale”, curato con Carolyn Chrisiov-Bakargiev che dirige la Gam e con Elena Volpato, conservatore nella galleria.
Dopo aver delineato l’itinerario artistico e di vita di Guttuso, cercando di penetrare nel suo personale realismo, iniziamo il racconto della mostra torinese che consente di ripercorrerlo attraverso le opere esposte che dividiamo in due periodi: dagli inizi al 1959, e dal 1960 al termine della pittura “rivoluzionaria”, datato al 1975, perchè dal 1976 l’impegno politico e sociale lo manifesta nelle sedi istituzionali da rappresentante del popolo, non più come artista nella pittura.
Il primo “Autoritratto”, a matita, è del 1931, si ritrae ventenne, l’espressione è tesa più che attenta. Poi, ‘“Autoritratto con sciarpa e ombrello”, 1936, soltanto cinque anni dopo il ragazzo è diventato uomo, la sigaretta tra le labbra, il volto deciso, in una composizione cromatica elaborata. L’inquadratura presenta una rilevante particolarità stilistica, più che la sciarpa e l’ombrello evidenziati nel titolo, esprime la ricerca di una prorompente espressività con la giacca dalle grandi pieghe chiaroscurali e soprattutto con le mani in primo piano che sembrano uscire dal quadro.
Analogo effetto-rilievo nella sedia sulla sinistra in “Gente nello studio”, 1938, con i colleghi pittori Antonietta Raphael Mafai, Mario Mafai, Aldo Natili, Armando Pizzinato, sdraiati su un letto, mentre Mimise, conosciuta dall’artista l’anno precedente, è seduta nell’angolo sinistro, in un atteggiamento compunto, più che conversare sembrano riposarsi.
Nello stesso 1938 irrompe la pittura “rivoluzionaria” con “Fucilazione in campagna”, forse destinato a tradursi in un’opera di grandi dimensioni, preparato da disegni molto espressivi: ne sono esposti due, “Prima idea della fucilazione in campagna”,dell’anno precedente, in primissimo piano i visi dei due ceffi con i fucili spianati verso la figura eretta e dignitosa del condannato, mentre il secondo, “Studio per fucilazione in campagna” dal punto di vista compositivo anticipa abbastanza fedelmente l’opera compiuta, sulla sinistra tre fucilatori, a destra tre vittime, in mezzo dei corpi a terra; nel quadro finale le figure contrapposte sono due e non tre, inoltre ce n’è una per parte in camicia bianca, che dà uno straordinario rilievo alla vittima orgogliosamente eretta, mentre l’atmosfera si fa livida e fredda.
Saltiamo alcuni anni, è del 1942 il piccolo disegno “Fucilazione a Roma”, anche qui la cupola di San Pietro sullo sfondo che identifica la città, senza altri significati, 7 fucilati e 3 tedeschi questa volta con elmi e cappotti, e i fucili spianati, tra i due gruppi di figure i corpi a terra delle vittime giustiziate; del 1944 il dipinto “Fucilazione di patrioti”, non esposto, come al solito corpi a terra, in primo piano e non tra i fucilatori e i fucilati, solo i secondi si vedono, 3 figure in piedi, erette orgogliosamente, la figura a destra è bianca, sullo sfondo un altro ucciso accasciato a terra.
Fino alla”Fucilazione di partigiani. Piccola fucilazione”, 1952, ripresa nel momento cruciale, non si vedono i fucilatori, ma i fucilati che sembrano abbattersi ad uno ad uno al suolo coperto da altri corpi, è il culmine della drammaticità per il momento in cui viene colta la loro morte.
Abbiamo citato ora queste opere precorrendo i tempi per collegarle alle altre fucilazioni dipinte da Guttuso, sono trascorsi circa 15 anni dalla “Fucilazione in campagna”.
Torniamo indietro negli anni, al 1938-39, non possiamo ignorare un’opera non esposta in un certo senso “rivoluzionaria” anch’essa, “Fuga dall’Etna”, presentato alla II edizione del Premio Bergamo: è una straordinaria composizione di grandi dimensioni, un groviglio drammatico di figure in fuga, uomini frenetici, donne seminude, un cavallo imbizzarrito, altri animali, una sedia rovesciata bene in vista, un cromatismo cupo come lo spavento diffuso nei volti e nell’atmosfera. Non sembra una catastrofe ambientale provocata dal risveglio del vulcano, quanto la metafora dell’ingiustizia e della sopraffazione dei deboli da parte di un potere cui non si può resistere.
Le opere immediatamente successive confermano l’alternanza tipica tra l’impegno politico-sociale anche nell’arte e il “privato” che non ha mai trascurato, anche per questo è ben lungi dal “Realismo socialista”, e del suo massimo esponente, Deineka, le cui opere erano dedicate all’uomo nuovo nato dalla Rivoluzione d’ottobre, con la mistica del regime celebrata attraverso il lavoro e lo sport. Guttuso non celebra, denuncia, e mantiene sempre la propria sfera personale, come momento necessario di ripiegamento su se stesso per dare nuovo slancio alle sue denunce pittoriche in dipinti di grandi dimensioni.
Due disegni del 1939 sono del tutto disimpegnati, uno è per la “Copertina de ‘La Pietra lunare’ di Tommasa Landolfi”, l’altro è il “Ritratto di Umberto Morra” mentre legge, con il viso tratteggiato anche sulla sinistra in un primo piano di meditazione.
Per il1940 vediamo esposte 2 nature morte e 2 con figure femminili, “Candela e pacchetto di Tre stelle” e “Natura morta con lampada” sono per qualche verso assimilabili: due tavoli con tovaglia o sfondo rosso, in entrambi lo stesso cestino di vimini e la medesima caraffa per il caffè, in più nel primo una candela e un fiasco, nel secondo una gabbietta rovesciata e un bucranio, il teschio smozzicato, con la lampada blu in posizione asimmetrica in alto, sembra di vederla oscillare. Non c’è l’ordine e la staticità delle nature morte, ma un movimento – le sigarette sparse, la gabbietta rovesciata oltre alla lampada – che esprime agitazione, non una visione asettica e serena.
Sono interni chiusi, mentre dietro alle due figure femminili ritratte si intravedono delle aperture, così in “Ritratto di Mimise col cappello rosso”, che l’artista definì “Ritratto del cappello rosso” per la prevalenza che ha con la larga falda e il colore che si ripete nella camicia, interrotto soltanto dal bianco della collana e del fiore appuntato sul petto di Mimise dall’espressione assente a capo chino; mentre in “Nudo sdraiato” la figura femminile è addormentata in posizione invitante, il braccio destro dietro la testa che poggia sul cuscino, la mano sinistra sul viso quasi a ricongiungersi con l’altra mano, la coperta rossa su cui il suo corpo è disteso richiama il rosso del “Ritratto di Mimise”, la sedia che si intravede dopo il letto sembra simile a quella dietro alla natura morta.
Giuliano Briganti osserva che “chi conosce bene Guttuso, chi ha famigliarità con il suo carattere, sa cosa vuol dire per lui dipingere un ritratto perché sa cosa vuol dire per lui essere realista. Sa cioè che equivale a vivere il rapporto con le cose e il rapporto con se stesso. Ed è chiaro che dipingere un ritratto è dare testimonianza del proprio incontro con un altro”, un’altra in questi casi.
Si è arrestato, dunque, l’impegno “rivoluzionario” nel ritorno al “privato” dei 4 dipinti del 1940? A prima vista sembrerebbe di sì, inoltre nello stesso anno ha avuto l’incarico di dipingere una “Crocifissione” destinata ad essere appesa nella parete dietro al letto del committente. ma non andò così. Guttuso voleva farne una metafora delle sopraffazioni presenti e non sarebbe stato possibile con la destinazione iniziale, invece la situazione cambiò radicalmente quando la commessa fu rilevata da un collezionista fiorentino che aveva apprezzato le sue opere di denuncia, e lo lasciò libero di esprimersi. Nacque l’opera – non presente in mostra – che fece scalpore anche se nella realizzazione finale non attuò il suo proposito, evidente invece in alcuni studi preliminari.
In uno di essi il sacrificio avviene in una stanza come metafora delle tante sopraffazioni oscure e silenziose, nello “Studio per la Crocifissione”, che troviamo esposto, un aguzzino a cavallo ha il volto inconfondibile di Hitler e c’è sullo sfondo la cupola di San Pietro, un’allusione che abbiamo ritrovato nella “Crocifissione” di Botero con i grattacieli di New York sullo sfondo, chiara denuncia in entrambi di chi ha crocifisso Cristo. .
Sebbene non attuasse questi propositi, la figura femminile nuda che si stringe alle gambe di Cristo coperte da un lenzuolo sulla croce suscitò scandalo, la mostra fu chiusa in anticipo, e il premio Bergamo voluto da Bottai alla sua terza edizione, non si tenne più, l’opera si classificò seconda, risultato ritenuto da alcuni critici insufficiente, un’opera così straordinaria meritava il primo premio.
Enrico Crispolti sottolinea l’importanza dell’opera anche dal punto di vista stilistico, perché “segna cioè il progressivo passaggio da un espressionismo corsivo, di fondamento naturalistico… ad un sincopato formale cromatico che più chiaramente significava utilizzare una cifra di stile, che nasceva da una certa frequentazione di tradizione cubista”.
Nel 1941 un altro piccolo disegno di denuncia, il “Guttuso rivoluzionario” è sempre presente: “Esecuzione” mostra una figura maschile a capo chino, un pugnale acuminato incombe sulla sua testa, anticipa di oltre settant’anni le tragiche immagini delle vittime inermi dell’Isis sotto la minaccia mortale dei tagliagole, è un disegno di denuncia politica ben precisa, con la svastica sullo sfondo e il fascio con la scure bipenne sulla destra conficcato su un corpo senza vita a terra.
Contemporaneamente torna il privato, dopo le nature morte in ambienti chiusi e i ritratti con vaghe aperture, diventano protagonisti finestre e balconi anche nei titoli: “La finestra blu”, sempre del 1941, è di sfondo, tanto scura da non mostrare l’esterno, mentre il primo piano è formato da due grandi fiaschi, uno rovesciato e una brocca, sul solito panno rosso, mentre “Balcone”, 1942, è in effetti lo sfondo, con la persiana semiaperta, di una scena animata, l’uomo con occhiali legge il giornale vicino alla ringhiera, la donna in sottoveste, richiama il “Nudo sdraiato” del 1940, addormentata con la testa sul tavolino coperto di panni su cui si abbandona seduta in modo scomposto su una sedia.
Ancora più in evidenza l’esterno in “Donna alla finestra”, 1942, la figura, con la consueta camicia rossa, è affacciata su uno sfondo di case che sembrano entrare nella stanza, mentre in primo piano un tavolino sul quale sono affastellati un libro e un taccuino, tre bottiglie morandiane, un teschio bucranico e delle carte, a lato la seggiola impagliata già vista in “Gente nello studio” e in “Natura morta con lampada”.
L’artista sembra cercare spazio per la sua inquietudine, che appare evidente in“Autoritratto” del 1943, nel rosso mattone particolarmente intenso del volto, del petto e delle braccia in contrasto con il viola della camicia, gli occhi quasi spiritati dinanzi a qualcosa che lo allarma; c’è come una rivoluzione cromatica, il colore sarà sempre più determinante nella sua pittura.
Del resto siamo nel pieno della guerra, è impegnato nella milizia clandestina, il “Guttuso rivoluzionario” lo ritroviamo nello stesso anno in “Massacro”, un ammasso di corpi a terra , con molte mani quasi nella richiesta di aiuto, il colore è livido, l’atmosfera di indicibile orrore.
E non possiamo non citare “Battaglia” e “Piccola battaglia“, degli stessi anni, con il cavaliere disarcionato e il cavallo bianco disteso a terra. Questi due opere non sono esposte, mentre è presente un disegno del 1944 della serie “Gott Mit Uns”, che cominciò a realizzare in Liguria, dove si era rifugiato presso il collezionista Della Ragione per sfuggire alla cattura da parte della polizia politica che era sulle sue tracce. Completò la serie al rientro a Roma, tra il 1943 e 1944, per esporla a guerra finita nel 1945 pubblicando un album di 20 disegni sui rastrellamenti, le torture e le uccisioni dei nove mesi di occupazione nazista di Roma culminata nel massacro delle Fosse Ardeatine; l’artista li considera azioni e non dipinti rivoluzionari, per averli eseguiti in modo clandestino.
Al Vittoriano, cinque anni fa, la mostra sull’ “infamia tedesca” ha usato l’aggettivo più appropriato essendo le forze di occupazione di un paese e non di un partito politico, altre mostre al “Museo della Shoah” hanno esplorato i tanti aspetti di una aberrazione senza fine. Basta il disegno esposto, insieme alla copertina “Gott Mit Uns di Renato Guttuso” , del 1945, dell’esemplare n. 269 sui 715 esemplari numerati, impressionante per la sua forza espressiva, a evocarne l’efferatezza.
Del 1945 anche il “Disegno per la copertina di ‘Gli indifferenti’ di Alberto Moravia”, lo scrittore che gli fu molto vicino: rappresenta una giovane donna nuda in piedi nella sua stanza che si guarda riflessa su un grande specchio rotondo, potrebbe essere l’immagine dell’Italia smarrita come nel celebre quadro risorgimentale di Hayez: il romanzo, uscito nel 1929, aveva allarmato il fascismo e non solo prchè Moravia era di origini ebraiche e cugino dei fratelli Rosselli. Poi rappresenta l’Italia nell’iconografia della giovane donna con la testa turrita avvolta da un lungo abito scollato nella china su carta “Il voto del 18 aprile”, è insidiata da serpi saettanti con lo scudo crociato democristiano, mentre lavoratori sullo sfondo operano e vigilano: è il 1948, le elezioni segnarono la grande vittoria della DC e la sconfitta del Fronte popolare, qui però non rappresentato.
Torniamo al 1947, sono i primi anni della ricostruzione, con “Massacro degli agnelli”la denuncia si sposta al mondo animale, è una composizione di grande forza espressiva, al centro la figura umana che affonda il coltello nel corpo inerme tenuto da altro uomo ha un’espressione sadica, evidente la metafora. C’è una scansione cubista, che troviamo in forma ben più pronunciata nello stesso anno in “Marsigliese contadina”, un olio su carta intelata in una inconsueta bicromia, nero a marcare gli spazi, grigio a dare forma alle figure che incedono con bastoni e altri arnesi, non mancano donne e bambini.
In parallelo con questo dipinto abbiamo “Occupazione delle terre”, dal cromatismo caldo e acceso, con un’evidente assonanza al precedente, anche qui in marcia con donne e bambini, un “Quarto stato” che non si accontenta di mostrare la sua forza tranquilla, ricordiamo come Guttuso nel dibattito a Bologna del febbraio 1974 sull’opera “Funerali di Togliatti” ebbe a stigmatizzare il fatto che il “Quarto stato” di Pellizza da Volpedo “vada a finire in cantina” per mancanza di spazio. Mario De Micheli osserva: “Quando si osserva la Marsigliese contadina, eseguita verso la fine del ’47, e la si confronta col quadro finale dell’Occupazione delle terre la diversità delle soluzioni stilistiche salta subito agli occhi”, nel secondo, successivo, il “velo” cubistico alla realtà è del tutto lacerato.
Nel piccolo disegno a inchiostro “Mani studio per occupazione delle terre”, le grosse dita in primo piano, strette su un bastone, indicano la cura dei particolari cui attribuiva un valore simbolico, qui il lavoro manuale. Mentre l’acquerello “Studio per l’uccisione del capolega” evidenzia la vicinanza alle lotte del mondo del lavoro, con i sindacalisti in prima linea.
Guttuso non è tranquillo neppure nel ripiegamento sul privato: in “Natura morta con la scure” – è sempre il 1947 – la stessa presenza di quest’arnese così violento esprime il sentimento interiore dell’artista, mentre con “Cucitrice” l’impronta cubista è ancora più accentuata, come la svolta cromatica verso contrasti sempre più violenti, il blu e il rosso, il rosa e il viola, il bianco e il giallo. Il disegno a inchiostro blu “Tre figure”, invece , è un viluppo grafico con allusioni a De Chirico.
Oltre al già citato “Il voto del 18 aprile”, nel 1948 troviamo altri disegni di impegno politico, dalla tempera “Lotta dei minatori francesi”, con echi cubisti, all’irridente acquerello “Omaggio al generalissimo Franco”, ritratto con le corna; il disegno a matita “Ritratto di Quasimodo, Mrs. Cotton e Vittorini” ne esalta la fermezza, come un invito alla mobilitazione.
Figure “neutrali” nel 1950 con il “Ritratto di Diego Rivera” e il “Ritratto di Picasso”, due grandi volti, calligrafico il primo, fortemente marcato il secondo, del resto era per lui un maestro; ma è quanto mai aggressivo “Avvoltoio del Pacifico”, il volto dell’uccello che si ciba di cadaveri ricorda Mc Arthur, simbolo dell’imperialismo americano. Anche nel 1958-59 abbiamo due disegni opposti, “Ritratto di Erenburg”, sereno, dal tratto sottile,e “Massud”, che saluta beffardo di schiena, col mitra e in tuta mimetica, si tratta del generale francese incaricato della repressione in Algeria.
“Pesca del pesce spada”, 1949, è un soggetto naturalistico che dovrebbe risultare in qualche misura neutro, manifesta invece uno slancio aggressivo nei pescatori protesi in avanti con l’avvistatore in alto, non sembrano inseguire quella preda ma puntare a qualcosa di più importante e decisivo.. Si sente che c’è dell’altro, e in effetti, sappiamo che sta lavorando al grande dipinto, dello stesso anno, non esposto in mostra, sull’“Occupazione delle terre incolte, un’immagine quasi biblica con un esodo nel quale tante figure si muovono in marcia verso una terra promessa che è in effetti una terra dovuta a chi può valorizzarla con il proprio lavoro e trarne il sostentamento invece di lasciarla improduttiva per compiacere l’accaparramento atavico dei latifondisti. E’ come un anticipo rivoluzionario della Riforma agraria che, vista in questa luce, non fu una concessione della politica, ma una conquista delle lotte precedenti.
Nello stesso 1949 alcuni piccoli disegni a china molto espressivi: “Composizione Lenin a Capri, Omaggio a Velasquez, partenza delle spadare”, riunisce temi diversi con una grafica penetrante, Lenin è ritratto a letto, in primo piano la tavola apparecchiata, sulle barche in movimento l’annotazione “ore 5 di un giorno di fine agosto, sole in declino, cielo giallo, paesaggio contro luce”, forse destinata a una successiva trasposizione pittorica.
Un altro disegno, “Finché è figurativo”, esprime visivamente la sua concezione con la scritta in alto amaramente ironica “finché fu figurativo – d’ingegno apparve privo, or, diventato astratto, – ha dato scacco matto”, ritrae due artisti che di spalle dipingono, a sinistra il figurativo curvo con la tavolozza a terra mostra lo sforzo creativo, a destra l’astrattista eretto con il braccio teso evidenzia invece la presunzione unita alla superficialità.
Anche in “Venturi saggio su Afro” e “Nobile arte è il dipingere”, sono delineate due opere sul cavalletto con le scritte speculari: “Il ritratto dell’uomo che vien fuori dalla sua pittura dimostra, mi sembra, che l’espressione è valida”, e “nobile arte è il dipingere a condizione che suo soggetto sia il nulla”: ritroviamo l’amara ironia di “finché fu figurativo”, la lingua batte dove il dente duole.
La cronaca gli suggerisce i temi della denuncia, lo abbiamo visto nelle opere prima citate, con un’eccezione significativa, il primo grande “dipinto di storia” – come sarà poi i “Funerali di Togliatti” – ma questo è storico anche nella visione distanziata nel tempo: Si tratta di “La battaglia del Ponte dell’Ammiraglio” tra i garibaldini e i Borboni, siamo nel 1848, é una composizione magistrale realizzata nel 1951-52 come risultato di studi e prove con bozzetti, fece posare anche suoi amici vestiti da garibaldini e borbonici, la cura si nota nelle posizioni dei militari improntate a un estremo dinamismo. Ne fa altre versioni negli anni successivi, una ha arredato il centro di formazioner del Partito comunista alle Frattocchie. E, chiaramente evocativa e paradigmatica della lotta vittoriosa contro ogni oppressione, spicca la figura di Garibaldi a cavallo, con la sciabola sguainata, il capo dà il buon esempio, con la tensione dei singoli combattenti al diapason: in mostra è esposta l’edizione del 1955 di 3 metri per 5 metri..
Siamo ora nel 1953, sono esposte due opere affini stilisticamente ma dal contenuto opposto, pur se entrambe espressive del realismo di Guttuso, che coglie l’immediatezza della realtà nei suoi aspetti anche contraddittori. In “Boogie-Woogie” il ballo di importazione americana con i giovani stretti in una stanza angusta, più ragazze che ragazzi, una sulla destra in solitudine seduta a un tavolo con lo sguardo nel vuoto, la sigaretta nel portacenere, intorno la danza scatenata.
Mentre “La zolfara” offre un’immagine di una drammaticità sconvolgente della sua Sicilia, la terra giallastra imbevuta di zolfo fa tutt’uno con i corpi nudi scheletrici dei minatori in un girone infernale che suscita raccapriccio; nel quadro non esposto “Piccolo zolfataro” lo sfruttamento dell’infanzia si aggiunge drammaticamente allo sfruttamento del lavoro.
Dello stesso anno “Portella della Ginestra”, non esposto, la strage mafiosa dei lavoratori accorsi per la festa del 1° maggio è evocata con poche figure riverse a terra e altre terrorizzate in una composizione di indicibile drammaticità, la figura femminile riversa sulla destra tra le braccia del suo uomo che cerca aiuto resta impressa, al centro due cavalli travolti nella strage come un sigillo immancabile.Sono del 1956 i “fatti d’Ungheria”, abbiamo ricordato nella nota introduttiva la sua adesione alla linea del partito che giustificò la repressione, 3 disegni in inchiostro e china esposti nella mostra esprimono il suo sgomento e le sue incertezze: “10 novembre 1956” presenta una scena orripilante con una testa mozzata in cima a una lancia e uno sventurato appeso per i piedi con altre figure agitate, forse di rivoltosi; ma “Erano davvero colpevoli?” insinua il dubbio sulla sua adesione, e “Restano solo i morti” suona come una condanna delle uccisioni, in entrambi corpi senza vita.
Ebbene, il 1956 è l’anno anche del grande dipinto “La spiaggia”, non esposto, presentato alla Biennale di Venezia, che rappresenta uno spaccato dei nuovi costumi della società e il suo realismo “privato” doveva documentarli, come faceva il suo realismo “rivoluzionario” per gli eventi drammatici, in entrambi i casi si trattava della realtà nella sua personalissima visione di artista.
Prima del 1960 tre opere molto diverse e inconsuete: “Tetti a Velate d’inverno”, 1957, una vista dall’alto di tanti tetti rossi attraverso un albero estremamente ramificato, veramente geniale; del 1959 “Nudo sdraiato (Grande nudo)“, che sorprende perché quasi scarnificato e per di più disteso su un qualcosa che non suggerisce certo morbidezza, nella fase terminale della sua vita troviamo opere analoghe, qui sembra una drammaticità prematura. Del 1959 anche “Lenin”, la sua caratteristica testa dall’espressione corrucciata, con un fondo a metà rosso e nero, lo ritroveremo presente più volte nei “Funerali di Togliatti” per il significato della sua presenza pervasiva nella storia e nell’immaginario collettivo comunista.
Lo vedremo prossimamente nel commentare le opere successive esposte in mostra, dal preciso riferimento politico, fino al termine dell’impegno pittorico di tipo “rivoluzionario”.
Info
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Via Magenta 31 – Torino. Da martedì a domenica ore 10,00-18,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 12, ridotto euro 9 . Info tel. 011.0881178 e 011.4429518.. Catalogo “Renato Guttuso. L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ‘68”, a cura di Giovanni Castagnoli, Carolyn Christov Bakargiev, Elena Volpato, marzo 2018, pp.270, formato 24 x 28,5, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 14 luglio u. s., il terzo e ultimo uscirà il 30 luglio p.v. Per le mostre e gli artisti citati cfr. i nostri articoli: in questo sito per le mostre romane sull’artista, “Guttuso innamorato” 16 ottobre 2017, “Guttuso religioso” 27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, “Guttuso antologico” 25 e 30 gennaio 2013; su “Picasso” 5 e12 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “’68, è solo un inizio…” 21 ottobre 2017, l’ “infamia tedesca” e altre mostre sul tema 24 novembre 2013, 19 aprile 2017, 5 giugno e 27 gennaio 2014, “cubisti” 16 maggio 2013, “astrattisti italiani” 5 e 6 novembre 2012, “Deineka” 26 novembre, 1 .e 16 dicembre 2012; in cultura.inabruzzo.it su ““Realismi socialisti” 3 articoli il 31 dicembre 2011, sui “lager nazisti” 27 gennaio 2010, su “Picasso” 4 gennaio 2009 (questo sito non è più raggiungibile, gli articoli verranno trasferiti su altro sito)..
Foto
Le immagini sono state tratte dal catalogo della “Silvana Editoriale”, che si ringrazia insieme ai titolari dei diritti. Sono alternate immagini di opere di ispirazione “rivoluzionaria” con opere di ispirazione “privata”. In apertura, “Massacro” 1943; seguono, “Donna alla finestra” 1942, e “Massacro d’agnelli” 1947; poi, “Balcone (figure tavolo e balcone)” 1942, e “Occupazione delle terre” 1947; quindi, del 1947, “Natura morta con la scure”, e “Marsigliese contadina”; inoltre, “Cucitrice” 1947, e “Fucilazione di partigiani (piccola fucilazione)” 1952; infine, “La pesca del pesce spada” 1949, “Battaglia del Ponte dell’Ammiraglio” 1955, e “Boogie-woogie” 1953; in chiusura, “La zolfara” 1953.