di Romano Maria Levante
Dal 17 luglio al 14 ottobre 2018 alla Galleria Nazionale la mostra “Bric-à-brac, Jumble of Growth, L’alternativa”, offre un panorama di espressioni artistiche sulla creatività nei paesi emergenti, ispirate allo sconvolgimento prodotto dalla globalizzazione nel suo impatto con il localismo nei paesi di nuovo impetuoso sviluppo, come i Brics, diverso da quello capitalistico di marca occidentale, fenomeno epocale che ha impatto anche nell’arte come manifestazione spontanea dei conseguenti fermenti. La mostra, realizzata dalla Galleria Nazionale in collaborazione con il Today Art Museum di Pechino, è a cura del cinese Huang Du e del cubano Gerardo Mosquera, che hanno curato anche il Catalogo.
Le opere esposte sono state selezionate nell’ottica del superamento del tradizionale rapporto tra Oriente e Occidente per i nuovi assetti continuamente mutevoli come espressione delle potenti energie in un mondo in continuo divenire che vede alla ribalta sempre nuovi protagonisti, tra gravi crisi e forti riprese.
I Paesi del Sud del mondo, la nuova geografia dello sviluppo
Con la mostra sono stati approfonditi questi fenomeni resi ancora più complessi dalal variabilità del contesto economico internazionale nel quale sono radicalmente mutati i tradizionali equilibri tra l’Occidente del G7 e i paesi sottosviluppati, passati allo stadio di “in fase di sviluppo”, fino all’emergere dei BRIC, gruppo costituito da Brasile, Russia, India, Cina, con oltre il 30%del PIL mondiale, come i paesi del G7, una popolazione del 40% e una dinamica di sviluppo molto più rapida di quella dei paesi avanzati. ma i BRIC non esauriscono i cambiamenti epocali nel contesto economico mondiale, ci sono anche i MINK e i MINT, che vedono con il Messico l’Indonesia e la Nigeria, la Corea del Sud e la Turchia.
L’ascesa di queste economie ha portato al parziale superamento della globalizzazione capitalistica perché ha dovuto fare i conti con il localismo legato alle tradizioni e alle situazioni di paesi di antichissima civiltà. ma questo ha creato nuovi problemi, tra cui l’accrescersi delle disparità economiche tra i ceti favoriti dalla forte crescita economica e quelli emarginati che, anche visivamente, nell’irrefrenabile urbanesimo sono stati confinati nelle favelas e nelle bidonville ai margini delle megalopoli asiatiche. ù
Si sono incrociate le diverse culture creando anche delle contaminazioni che hanno superato in parte la tradizionale dominanza della cultura occidentale che veniva imposta dall’alto del maggiore livello delle economie dei paesi avanzati. Nel nuovo ciclo economico i BRIC, divenuti BRICS con l’aggiunta del Sudafrica, hanno tassi di crescita del PIL perfino tripli di quelli dei paesi del G7 e un livello tecnologico all’altezza dell’impetuoso sviluppo.
Il curatore Huand Du riassume così la complessità della situazione: “Alternando dinamiche di reciproca collisione e fusione, la globalizzazione e la localizzazione si stanno rigenerando attraverso scissioni e riavvicinamenti continui del settore politico ed economico, intensificando, in questo modo, la formazione e l’emergere di nuove zone culturali”.
E’ un processo in cui gli equilibri momentaneamente raggiunti lasciano il posto a nuove situazioni di instabilità soprattutto quando si manifestano crisi economiche in una o nell’altra area economica: “C’è un nuovo braccio di forza – prosegue Huand Du – tra i paesi occidentali rappresentati dal capitalismo diffuso (Europa e America) e quelli impoveriti ed emarginati, le cui prospettive politico-economiche presentano un nuovo tipo di modernità”. Per non parlare del braccio di ferro con i BRICS, su basi diverse e in parte opposte, non essendo né impoveriti né emarginati, anzi con la prospettiva di superare i paesi del G7.
Le antiche definizioni sui paesi non avanzati, incentrate sullo sviluppo, da sottosviluppati a in via di sviluppo, come anche quella di “Terzo mondo”, vengono sostituite dal “Sud del mondo”, senza qualifiche, anche se non sembra applicabile ai paesi del BRICS perché esprime sempre una condizione di subalternità rispetto all’egemonia occidentale.
Il vero Sud del mondo è costituito dai paesi che oltre a non avere alcune condizioni primarie per lo sviluppo, come imprese dinamiche e competitive, sono anche fuori dalle reti di cooperazione e non sembrano in grado di crearle restando isolate nel loro sottosviluppo.
Lo sottolinea l’altro curatore, Gerardo Mosquera, che in modo speculare aggiunge, : “Le nuove potenti economie di mercato emergono da situazioni critiche di sottosviluppo”, Come? “Sperimentano crescita economica velocissima, industrializzazione ed espansione del mercato interno, accompagnate da modernizzazione ne costituisce inevitabilmente una parte. Tuttavia, il mondo dell’arte comprende anche fattori, funzioni, agenti, obiettivi e prodotti ad esso propri e che risultano relativamente autonomi”. Al riguardo cita , azioni rapide e diseguali, in moli casi nel pieno di una società ancora fortemente tradizionale”.
Al riguardo non valgono le categorie del pensiero economico p occidentale, da Marx ai liberisti: “Questo processo di sviluppo è stato piuttosto irregolare e sbilanciato, pieno di contrasti di ogni tipo. Molte di queste sono società post-coloniali che hanno già sperimentato disuguaglianze, segregazioni, ambiguità e ibridazioni dovute proprio a questa condizione”.ù
Ed è proprio il coesistere di queste e altre contraddizioni, la compresenza di opposti, che spiega il titolo dato alla mostra: “Un bric-à-brac di situazioni e processi disparati caratterizza le società di questi Paesi che attraversano cambiamenti rapidi e talvolta disordinati. In particolare, velocità e scala dei fenomeni rappresentano i due fattori maggiori caratterizzanti l’economia dei BRIC e il relativo capitalismo selvaggio dei mercatio in espansione che implica processi di sviluppo spesso deregolamentati e disordinati, basati sulla quantità più che sulla qualità e sulla coerenza sociale”. L’urbanesimo altrettanto selvaggio, che soprattutto in Cina cresce in modo esponenziale, è uno degli effetti più vistosi di tale processo.
Jonathan Harris descrive le conseguenze a livello globale dell’indebolimento economico degli Stati Uniti e dell’Europa e afferma: “Se il nostro ordine/disordine mondiale costituisce un sistema – vale a dire una totalità funzionale, che sa essere organizzativa e produttiva tanto quanto caotica e distruttiva come ampiamente dimostrato dalla crisi finanziaria del 2008 e dalle sue conseguenze – allora il mondo dell’arte contemporanea ne rappresenta inevitabilmente una parte”. Ecco come vede questo sistema: “Modernità e contemporaneità socioculturale (intendendo con ‘contemporaneità’ la condizione e l’esperienza di ‘essere contemporanei’) sono implicate nello sviluppo del mondo dell’arte globale”. Più in particolare: “Queto processo èp stato trainato nnegli anni 2000 da un mercato mondiale redditizio e in rapida espansione, dominato da case d’asta occidentali e gallerie commerciali, dove si realizzano concretamente le vendite, con sedi a New York, Londra, Hong Kong, Pechino e, ora., in molti altri centri asiatici”.
Un altro studioso, Shao Yiyang, parte dal concetto che la globalizzazione dopo la fine della guerra fredda “può essere percepita come una forma di ‘occidentalizzazione’, di capitalismo o ‘americanizzazione'” diffondendo i modelli culturali degli Stati Uniti, dallo stile di vita all’istruzione, dal cinema alla musica, dalla moda ai centri commerciali. Per lui, “rispetto al mondo dell’arte la globalizzazione costituisce un guazzabuglio. Alle Biennali internazionali d’arte contemporanea e alle rassegne sono stati ammessi un numero crescente di Paesi e molteplici mezzi di espressione artistica . Nuove prospettive sono state introdotte nei processi creativi dell’arte contemporanea”.
Riferendosi direttamente alla mostra attuale, afferma: “L’esposizione prende ad esempio l’arte visiva dei paesi BRIC per indagare il tema della simbiosi pluralistica all’interno della globalizzazione e della localizzazione”.
Siamo entrati così nel terreno proprio della mostra, dopo aver inquadrato il contesto ben più vasto e complesso, nei suoi risvolti economico-sociali, politico-culturali, sul quale i due curatori, e i due studiosi citati, si diffondono con una analisi molto approfondita contenuta nel Catalogo denso di contenuti.
Il contenuto della mostra e i 4 nuclei tematici
Il titolo della mostra evoca nel contempo l’acronimo dei BRIC, che l’economista Jim O’Neil creò nel 2001, e la dizione francese che con “Bric-à-brac” definisce un’accozzaglia confusa di oggetti eterogenei, mentre la dizione inglese si riferisce al “Guazzabuglio dello sviluppo” e quella cinese a “L’alternativa”, evidentemente all’egemonia occidentale della prima globalizzazione.
Huang Du spiega: “Questa mostra attinge ai BRICS come a un punto di partenza per esplorare il cambiamento di ruolo dei Paesi in via di sviluppo e il loro impatto sull’economia locale e internazionale. In questo processo l’arte riflette, alla sua maniera, questa forza economica” . E, in modo ancora più preciso: “Quindi, il tema fondamentale su cui questa mostra si focalizza riguarda le modalità in cui l’arte contrasta e incarna i mutamenti sociali e come questi ultimi si manifestino e prendano sempre maggiore spazio nelle narrazioni della vita culturale e dei singoli”.
Sono 4 i nuclei tematici della mostra, alla base della selezione delle opere, dal guazzabuglio e dal caos alla narrazione discorsiva e singola.
Nel 1° nucleo. sul “guazzabuglio della crescita”, da un lato l’influenza del localismo, con le culture locali che esprimono tradizioni e credenze religiose cui non può sottrarsi l’ispirazione dell’artista; in senso opposto i cambiamenti culturali indotti dalla globalizzazione che alimentando fortemente gli scambi tra le nazioni mette in contatto con altre civiltà “favorendo così l’influenza delle diverse sfere espressive l’una sull’altra”, come afferma Huang Du, in una prospettiva globale.
Con il 2° nucleo, “spazio caotico” si entra nei problemi creati negli spazi urbani, pubblici, privati e virtuali, dalle trasformazioni sociali.
il lato artistico viene affrontato direttamente nel 3° nucleo, “Pratica del discorso”, nel quale gli artisti rappresentano le loro posizioni sui temi più sentiti e dibattuti al loro modo, con forme critiche personali e soggettive.
Mentre il 4° e ultimo nucleo, “Narrativa individuale e corpi microscopici”, esprime la condizione individuale nella società globalizzata vista come un corpo di minime dimensioni che lotta per la sopravvivenza non nell’isolamento ma inserito in una rete di relazioni sociali, un corpo con diversi connotati – corpo naturale, sociale, scientifico e artistico – che trascendono la sua stessa entità.
Le opere esposte nella mostra sono molto recenti, la maggior parte realizzate dopo il 2010, gli autori appartengono non solo ai paesi del BRIC, Brasile, Russia, India, Cina, con in più il Sudafrica che configura il BRICS – ma anche a paesi emergenti del “Sud del mondo”, –Corea del Sud e Messico, ed altri come Marocco e Panama, Kurdistan iracheno e Cuba, fino ai paesi europei Belgio e Repubblica Ceca, Spagna e Italia i cui artisti interpretano le stesse problematiche.
La rassegna delle opere esposte, dipint, video e fotografie
Un segno di eclatante contemporaneità è dato dal fatto che sono pochissime le opere pittoriche esposte rispetto ad altre forme espressive, come le installazioni, i video e le fotografie.
Sono dipinti ad acquerello su carta fatta a mano quelli, realizzati dal 2005 al 2011, dell’italiano Francesco Clemente, definito “un vero nomade, soprattutto ritratti come “Winter Women IV e “Androgyne Selfportrait III”, “Eye and I Selfportrait V -“Selfportrait VII” e “Ritratto di Alba”Nei suoi acquerelli l’artista inserisce di solito frammenti di immagini correlate ma contraddittorie ,prese dalla quotidianità locale in un assemblaggio casuale lontano dalla razionalità e da una vera identità.
E’ realizzata con “ruggine su carta” la serie di “Wretched of the Earth”, 2016, del sudafricano Kendell Geers, l'”infelicità della terra” espressa da un’immagine fantasmatica centrale con la ruggine tutt’intorno. in un’altra opera, “Prayer Wheeel (Left over people”” utilizza un barile di petrolio, .
Tra i video spicca “The Feast of Trimalcio”, 2010, del collettivo russo AES+ F, esposto alla 53^ Biennale di Venezia, ispirato al banchetto del Satyricon del poeta latino Petronio, al pari della dissolutezza e della decadenza del tempo di Nerone c’è quella del consumismo sfrenato, cui partecipano tutti i ceti senza più distinzioni, finché questo paradiso illusorio della globalizzazione crolla miseramente.
Del curdo iracheno Jamal Penjweny il documentario “Another Life”, 2010, in cui “un’altra vita” sostituisce quella precedente che viene rappresentata in immagini di miseria ed emarginazione.
Recentissima, del 2018, “Samsung significa venire” la coreana Young-hae Chang Heavy Industries gioca sul nome, sfilano delle scritte in un video di quasi 10’dando ironicamente alla grande multinazionale un ruolo umano, anche nell’amore.
Un video più breve, meno di 4′, dell’autore indiano Shilpa Gupta, con “Hand drawn Maps of India”, 2007-08, la riaffermazione identitaria con contorni di mappe del continente indiano.
Due i video dei panamesi Donan Conlon & Jonathan Harker, “Game # 1”, 2008, e “Domino Effect”, 2013, mattoncini forati come tessere di un mosaico il primo, blocchetti che cadono l’uno sull’altro in una sequenza da domino il secondo.
La fotografia dopo i video, non si tratta di fotogrammi di sequenze filmate, è un’arte del tutto autonoma che è sempre più diffusa.
Vediamo per prime una serie di scritte stampata su un tabellone, sono del 2018. le “Grand Phrases # 2” di Cristina Lucas. , in parallelo con il video sulla “Samsung” hanno un esplicito riferimento a messaggi di grandi compagnie, da “The happiest place on earth” a “It’s everywhere you want to be”.
Squallore nella serie fotografica “The link 01-05”, 1995 – una delle opere in mostra più indietro nel tempo – del marocchino MounirFatmi, squallidi particolari di fili elettrici e antenne. Anche squallore in “O Cosmopolita”, 2011, della brasiliana Cinthia Marcelle, un lavoratore che raduna delle sottili aste di ferro davanti a una misera casupola.
Al contrario, di “Babel-world”, Carnevale” e “The Nap”, 2010, del cinese Du Zhenjun, mostrano due immagini scioccanti dell’accozzaglia umana intorno al grande edificio ultramoderno. Altrettanta folla, ma ordinata e ripresa mentre assiste a uno spettacolo musicale all’aperto, nella foto di Wang Guofeng , altro cinese, dal titolo ammonitore ed enigmatico: “It is neither the past, nor the present, nor the future”.
Si torna nella dimensione raccolta, quasi personale, con le 20 fotografie di modeste abitazioni in “Materia en Reposo II”, 2004,del messicano “Damièn Ortega”che nel 2003 aveva creato l’opera, anch’essa esposta, “Materia en Repiso I” costituita da 1700 mattoni accumulati. Non né un’opera fotografica con la quale passiamo alle installazioni che, come questa, presentano oggetti e altro.
E’ un’installazione, non più fotografica ma materiale, con la quale passiamo all’ultima categoria di opere esposte, dopo i dipinti, i video e le fotografie.
Installazioni molto diverse, fino alle scritte al neon
Le più appariscenti installazioni sono di due cinesi, la grande gabbia avvolgente che occupa la prima sala, “Consume”, 2014,con cui Geo Weigang sembra evocare la costrizione consumistica, e “A…O!, 2014-15, di Tian Longyu, una grande belva a due facce, da un lato la testa di tigre come il pellame, dall’altro testa e corpo di elefante con zanne e proboscide, pur se dal pellame tigrato.
Altrettanto spettacolari “Two.Subjecters”, 2009, dello svizzero Thomas Hirschorn, manichini a grandezza naturale di due mannequin vestite con lunghi abiti coperti di piccole fotografie da famiglia; mentre “Terracota Army”, 2016, dello spagnolo Fernando Sànchez Castillo, un gran numero di figure di guerrieri, a peidi, alcuni a cavallo, richiama la celebre Armata cinese. Minuscolo, ma chiaramente allusivo, “Globe of the World”, del cubano Wilfredo Prieto, che dipinge simbolicamente il planisfero sulla superficie sferica di un cece di mezzo centimetro.
La piccola valigia “Cloaca Travel Kit” 2009-10.evoca la celebre installazione con cui il belga Wim Delvoye,ha ricostruito il processo di digestione, fino alla produzione di rifiuti simil-feci, raccolti nel kit esposto,, il pensiero torna alla “Merda d’artista” con cui Piero Manzoni diede scandalo.
Mentre quattro artisti cinesi presentano opere in diversi materiali e forme espressive: Wan Liyun,“con “Put the cabinet in its drawer:2″, 2005, un mobile composto di strisce lignee sconnesse, e Yang Xinguang, 2018, con “Shiny metallic skin” un grande disco metallico dalla superficie variegata su un telaio leggero; gli altri due, delle scritte al neon, Wang Guangyi con “Study for Putanzhixia Mofeiwangtu“, 2016, oltre alla scritta, video e fotografie, Lu Zhengyuan con “Nirvana”, la scritta sopra un tubo che evoca il fumo.
Sempre un cinese conclude la nostra rassegna, lo citiamo al termine perché evoca l’azione dei media e della pubblicità,di Lu Lei, “Pretending Egomania“, 2015, con il megafono che si illumina sulla bocca dell’animale, visione che, insieme al titolo, è quanto mai eloquente.
Del resto, il megafono portato dalla globalizzazione è quanto mai pervasivo, ed è meritorio ch questa mostra ce lo ricordi all’interno del campionario di opere di artisti di diversi paesi impegnati a far sentire la voce della loro arte per interpretare il guazzabuglio e il caos,ed esprimere la consapevolezza a livello individuale e collettivo.