di Romano Maria Levante
Si conclude la visita alla mostra a Palazzo Barberini, dal 18 maggio al 28 ottobre 2018, “Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del Maxxi e nelle Gallerie Nazionali Barberini Corsini” con esposte 17 opere di arte antica e 18 di arte contemporanea, di 25 artisti, a cura della direttrice delle Gallerie Nazionali Flaminia Gennari Sartori e del direttore del Maxxi Arte Bartolomeo Pietromarchi. Le 35 opere sono distribuite tra le 13 sale con riferimento alle figure simboliche di Eco e Narciso, in relazione alla destinazione originaria delle sale nel palazzo delle famiglia Barberini, dopo il restauro seguito alla sospirata restituzione delle 11 sale occupate dal Circolo Ufficiali dal 1949 che viene celebrata con la mostra. Dopo le prime 8 sale, passiamo alle 5 sale restanti.
Kiki Smith, “Large Dessert”, 2004-05
Abbiamo premesso che la mostra celebra l’apertura al pubblico delle sale recuperate che prossimamente accresceranno di 750 metri quadri lo spazio espositivo delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica; ampliamento vitale considerando che si stima sia esposto soltanto il 20% della vastissima collezione, con migliaia di opere, anche importanti, nei depositi.
E’ stato un autentico scandalo che si è protratto per quasi 70 anni, dopo l’acquisto del Palazzo Barberini da parte dello Stato italiano avvenuto nel 1949, ma con il peccato originale che molte sale restarono occupate dal Ciurcolo Ufficiali che aveva affittato il palazzo dai Barberini nel 1934.
In aggiunta a quanto già indicato in precedenza, precisiamo che il contratto di affitto scadeva nel 1953, .allorché fu paradossalmente rinnovato per 12 anni, nonostante le sale occupate fossero necessarie alle Gallerie. Ma neppure nel 1965, e per altri 40 anni, pur senza nuovo contratto, il Circolo continuò ad occupare le sale, per di più affittandole per matrimoni e altro, quindi ricavandone i relativi compensi, e anche quando si spostò nella vicina sede attuale restarono sale per impegni istituzionali delle Forze armate. Soltanto nel 2015 si è avuta la restituzione, poi è seguito il restauro durato due anni, fino a oggi.
Kiki Smith, “Large Dessert”, 2004-05, particolare
Sembra una storia incredibile, perché nello stesso ambito statuale il Ministero della Difesa ha prevalso sul Ministero della Pubblica Istruzione prima e sul Ministero dei beni culturali poi, senza una giustificazione valida data la sproporzione abissale tra le due esigenze. L’interminabile “querelle”, in cui la burocrazia ha avuto modo di spadroneggiare, dando il peggio di se stessa, ha avuto anche momenti ridicoli, se è vero che Spadolini, da Ministro per i Beni culturali, scrisse alla Difesa chiedendo la restituzione delle sale e, divenuto Ministro della Difesa alla prima crisi di governo avvenuta poco dopo, rispose negativamente alla richiesta fatta nella veste precedente. Un situazione paradossale, che non trova spiegazioni, sembra quasi fossimo stati una dittatura militare.
Si sarebbero potute evocare divinità espressive di questa impari lotta tra ministeri, con i Beni culturali vaso di coccio, ma ci si è invece limitati a evocare Eco e Narciso sul tema del Ritratto come assertore di identità fino all’autoritratto, con l’accoppiata di opere antiche e contemporanee.
Proseguiamo la visita delle restanti 7 sale, con la guida virtuale dei curatori Gennari Sartori e Pietromarchi.
L’Appartamento d’inverno, le prime 3 sale
Come per l’Appartamento d‘estate” si inizia con una sala di rappresentanza dove il Cardinale riceveva per le udienze nei mesi invernali, seguita da sale di uso privato, più intime e raccolte.
Benedetto Luti, “Teste di donna”, 1704-08
Nella Sala 9, Sala delle Udienze, vediamo un grande tavolo popolato da una moltitudine di figure, quasi evocando incontri conviviali che si dovevano svolgere in quell’ambiente, privilegiando l’aspetto domestico del simposio rispetto a quello pubblico dell’udienza. E’ l’installazione “Large Dessert”, di Kiki Smith, 2004-05, destinata a un palazzo settecentesco, presenta un tavolo in legno molto ampio con numerose statue di porcellana di Sévres, piccole ed eleganti immagini femminili, definito da Pietromarchi “uno spazio sociale dove ci si trova e dove ci si mette in relazione con gli altri”. Il curatore aggiunge: “L’opera è una sorta di immagine ideale di famiglia, ma è anche, più precisamente, un richiamo autoritrattistico ai temi personali dell’infanzia, della maternità”.
Collegate idealmente a queste immagini i pastelli di Rosalba Carriera con il “Ritratto femminile”, 1725-30, viene ricordato che era un’artista veneziana molto apprezzata anche all’estero, per cui al minuetto femminile delle statuette di porcellana segue l’opera di una donna realizzata, è esposta anche Allegoria dei quattro elementi (Acqua Fuoco Terra Aria”, 1730-43.. Nell’arte esprime, con toni morbidi ed evanescenti, quelle che la Gennari Sartori definisce “immagini delicate, ma prive di sentimentalismi: ritratti e ‘teste di carattere’, o pseudo ritratti , come le personificazioni qui esposte, che divennero presto richiestissime, perfetta espressione di un’intera classe sociale, l’aristocrazia veneziana e non solo”.
Vi sono anche i pastelli di Benedetto Luti, due “Teste di donna” e “Giovane donna allo specchio”, 1704-08, in cui l’artista anch’egli settecentesco, esprime il nuovo ideale, etereo e sofisticato, considerato non solo nell’apparenza estetica, ma anche nell’introspezione psicologica.
Pierre Subleyras, “Nudo femminile di schena”, 1740
Il soggetto femminile è al centro anche nelle opere della Sala 10, che non ha una precisa destinazione nell’Appartamento d’inverno, dove colpisce subito il “Nudo femminile di schena”, 1740, di Pierre Subleyras, un corpo offerto alla vista, o meglio all’ammirazione.. La caratteristica eccezionale sta nel fatto che il nudo femminile riguardava sempre figure mitiche – da Venere alle eroine della mitologia – mentre questo è uno dei primi dipinti in cui la donna viene rappresentata nella massima intimità” come se stessa… è un omaggio al corpo di una donna precisa”, nelle parole della Gennari Sartori. “Provocatorio più di quanto non sembri, commenta la curatrice, … è un dipinto piuttosto rivoluzionario e moderno, che libera la rappresentazione della donna dal simbolico, dal culturale, dal metaforico e ce la rivela così com’è. E proprio per questo è un’immagine estremamente eroica e conturbante” e se, come sembra, è della sua compagna, anch’essa artista, ciò significa che l’autore “ci coinvolge in un gioco voyeuristico di liceità e illiceità, in cui siamo invitati a ‘spiare’ la sua donna, con il suo consenso, anzi è proprio lui che la dipinge per farcela guardare”.
A questo, che Pietromarchi definisce “gioco voyeuristico”, ne corrisponde uno in termini ancora più espliciti, sempre sul rapporto tra presentazione pubblica e percezione privata, tra la condivisione nell’ambito sociale e la propria intimità cui si riferisce anche l’opera di Subleyras appena descritta. E’ quello proposto da Stefano Arienti con “SBQR”, “Netnude”, “Gauscope”, “Arsiitaliani”, ecc, 2000: nudi maschili, frontali e non “di schiena”, in pose intime, per lo più di coppie gay, derivati da immagini da lui trasformate graficamente, non più tratte da opere di autori classici e moderni come in sue opere degli anni ’90, ma prese nel 2000 da Internet, quindi di dominio pubblico, definito da Pietromarchi “il luogo dove oggi massimamente si realizza l’autorappresentazione di sé, il luogo primario di un’attitudine voyeuristica al guardare e all’essere guardati, all’esposizione e all’ostentazione”.
Marco Benefial, “Ritratto della famiglia Quatrantotti (La famiglia del missionario)”, 1756
Una ostentazione ben diversa nella Sala 11, sempre dell’Appartamento d’inverno,senza voyeurismo ma con l’esibizione da parte di una comunità familiare di un gusto, che la Gennari Sartori chiama “curiosità per l’esotico”. Si tratta del “Ritratto della famiglia Quatrantotti (La famiglia del missionario)”, 1756, di Marco Benefial, questa volta un ritratto collettivo composto di molte ritratti singoli, intorno al giovane ecclesiastico missionario, quindi l’esotico è connaturato alla sua figura e si manifesta nel paesaggio con palme e foreste, e negli abiti. Per la Gennari Sartori, “il lontano e il diverso diventano abito, oggetto, arredo, elementi di una quotidianità ch riflette a propria misura orizzonti ormai assai più ampi”. Non solo orizzonti missionari, quindi religiosi, ma anche economici e commerciali.
Il lontano e il diverso diventano vicini e tangibili in “The Invisible man”, 2018, di Yinka Shonibare, un manichino in vetroresina e altri materiali di grandezza naturale realizzato appositamente per la mostra attuale ispirandosi all’opera di Benfial appena citata, L’artista di origine africana che vive in Inghilterra ha evocato l’esotico in modo provocatorio nella figura di un domestico vestito in modo pittoresco che porta in spalla un sacco con vettovaglie, la testa trasformata in un globo con impressi i nomi di palazzi romani. E’ il convitato di pietra della famiglia Quarantotti, secondo Pietromarchi ” è di fatto fuori del quadro, ma rientra idealmente nella scena ritratta da Benefial, e nella sua ostentata visibilità sottolinea piuttosto un vuoto, una mancata rappresentazione dell’altro, del diverso”. Quasi una denuncia che si è rimossa la colonizzazione.
Le altre sale, con il “clou” dell’Appartamento d’inverno
Nelle 2 ultime sale private, che corrispondono a quelle dell’Appartamento estivo, con gli antichi ritratti del potere sovrano e militare, e quelli contemporanei di letterati vicini all’artista autore, troviamo ritratti molto suggestivi, tra cui uno celeberrimo, immagine iconica del Palazzo., e una conclusione luminosa, quasi il fuoco pirotecnico finale delle feste paesane.
Yinka Shonibare,”The Invisible man”, 2018
La Sala 12, Camera da letto invernale, accoglie il visitatore con due ritratti che sembrano due facce della stessa medaglia, o meglio due modi di essere e di sentire della stessa persona, una donna che si offre all’osservatore con due messaggi diversi e complementari: “Come due facce d’una stessa medaglia, secondo la Gennari Sartori, entrambe ritratti e non ritratti, ritratti di persone ma anche di idee, e forse persino, in modi diversi, autoritratti dell’artista”.
In questa ottica consideriamo innanzitutto “Maria Maddalena”, 1490, di Pietro Cosimo : “E’ un’immagine peculiare a metà strada tra il quadro di devozione privata e il ritratto ideale, afferma la curatrice. E’ una figura quasi intima, preziosa, … e rappresenta la Maddalena, non già come la penitente nel deserto della tradizione iconografica, ma come una donna benestante del XV secolo”. La vediamo, infatti, raffigurata mentre legge, la sua è una “bellezza ideale, per aspetto e per condotta morale, ma molto caratterizzata…”.
Ed ora il “clou” della mostra, l’icona di Palazzo Barberini – la chiamiamo così, anche se la direttrice ha voluto dare alla Galleria un’impostazione a-iconica, non focalizzata sulle sue “star”, come ebbe a dirci all’inizio del suo mandato. Ovviamente è “La Fornarina”, 1520, una delle ultime opere di Raffaello realizzata nell’anno della morte. Viene ritratta una giovane donna raffigurata in un gesto di pudore, rafforzata dai simboli edificanti sullo sfondo, l’alloro e il irto, con nel braccio un segno che la associa strettamente all’artista che l’ha raffigurata, e che si specchia nella sua figura. “Spetta a Raffaello essere riuscito a creare un’opera che è insieme ritratto e autoritratto, Narciso ed Eco”, si legge nel pannello di sala, e ci sembra una bella conclusione.
Pietro Cosimo, Maria Maddalena”, 1490
L’opera contemporanea che dovrebbe fare da specchio o da eco, è “Bent and Fused”, 2018, di Monica Bonvicini, che Pietromarchi introduce dicendo che le due figure femminili, la Maddalena e la Fornarina, realizzate da uomini, possono “dialogare proficuamente, sia pure a distanza” , con questa artista la cui opera “invece getta luce sul problema di un vero processo di empowerment della figura femminile”.
E a questo riguardo il curatore parla di “piena consapevolezza e autodeterminazione di sé”, della donna, ma subito sottolinea che “in arte, come nella realtà, si scontra con forme di controllo, sorveglianza, manipolazione, potere”. Tutto ciò sarebbe espresso dal fascio di tubi al non uniti da fili che esprimerebbero il lavorio femminile nella grazia del ricamo, contemperando la loro luce così accecante da impedire la visione, gli opposti si incontrano: “Il medium stesso della visione, la luce, si trasforma paradossalmente nella sua negazione, la cecità, obnubilamento, abbaglio”, così viene presentata.
E’ forse la più ardita delle opere contemporanee selezionate al MAXXi, che irrompe nel tempio dell’Arte Antica, del resto autrice è un’artista affermata a livello internazionale, quindi “nulla quaestio”; però non possiamo negare che siamo presi anche noi dalla cecità, perché non vediamo come l’opera della Bonvicini possa “dialogare” con la “Fornarina” e con la “Maddalena”; la distanza sembra siderale, come le galassie lontane dalla terra miliardi di anni luce, quindi…
Raffaello Sanzio,”La Fornarina”, 1520
Ma siamo giunti al termine, alla Sala 13, la “Sala dei Marmi” – nel ‘600 detta “Camerone delle Commedie ” o “Anticamera del Camino” – che conclude il percorso, vi si accede direttamente dall’atrio dello scalone del Borromini c dal Salone di Pietro da Cortona posto all’inizio. Questa volta, al contrario della sala precedente, il dialogo tra opere antiche e contemporanee è immediato, e così la loro interpretazione. Basta dire che come presenza di arte antica c’è il “Ritratto di Urbano VIII“, 1632-33, il busto marmoreo di Gian Lorenzo Bernini, mentre dal 1679 c’erano i grandi cartoni per gli arazzi della vita di papa Maffeo Barberini, e il grande cartone con la “Battaglia dell’Ellesponto” dell’imperatore Costantino; come presenza di arte contemporanea vediamo “Pape” e “Mao”, 2005, di Yan Pei-Ming. In entrambi i casi, interpretazioni parallele del potere religioso e temporale, attraverso il ritratto ufficiale dei detentori, papi e dittatori carismatici.
Il papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, dominus del palazzo e della sua epoca, esprime il potere nella forza statuaria eppure vibrante della scultura. “E in effetti – commenta la Gennari Sartori – questo busto è come lo specchio di quell’implicito rapporto fiduciario che si instaura tra il ritratto, l’artista che ritrae e l’osservatore dell’opera”, un rapporto che supera la distanza dovuta all’altezza della posizione ufficiale di chi è ritratto, per “un più immediato contatto psicologico e umano”. Mentre i ritratti di papa Woytila e Mao Tse Tung manifestano la loro preminenza nel rispettivo ambito e tempo, con immagini la cui potenza è visualizzata attraverso le dimensioni giganti, 3 per 3 metri.
Monica Bonvicini, “Bent and Fused”, 2018
Pietromarchi ne parla così: “Anche qui conta il gesto, simbolico, iconico, sennonché nelle tele di Pei-Ming il gesto stesso non può più essere un moto personale e spontaneo,ma diventa esso stesso un’immagine mediata e mediatica, che abbiamo visto e rivisto un’infinità di volte, effetto di una diffusione di massa che investe ogni tipo di immagine”. Non possiamo non ripensare ad Eco e Narciso, nelle cui figure mitiche si esprime la moltiplicazione dei suoni e il riflesso delle immagini.
La conclusione, con l’eco della mostra di Palazzo Barberini al Maxxi
E a proposito di Eco, non possiamo ignorare l’eco della mostra nelle Gallerie Nazionali di Arte Antica a Palazzo Barberini, la cui visita è ora terminata, fino al Museo Arti XXI secolo, il Maxxi, regno della contemporaneità dal quale provengono le opere moderne fin qui commentate, in cui è stata esposta, nella Galleria 1, l’ultima “accoppiata” celebrativa della restituzione delle 11 sale.
Si tratta della “Velata”. 1743, una scultura in marmo di Antonio Corradini, ovviamente “prestata” dalle Gallerie Nazionali come il Maxxi ha “prestato” a Palazzo Barberini le 16 opere di artisti contemporanei affiancate nelle nuove sale alle 17 opere di arte antica. Rappresenta la vestale Tuccia che, accusata ingiustamente di aver violato il voto di castità, fu riscattata dalla dea dopo che per dimostrare la sua innocenza fece il prodigio di portare l’acqua del Tevere con il setaccio, considerato immagine di purezza, come il velo aderente. La Gennari Sartori conclude che “la scultura virtuosistica di Corradini è anche una compiaciuta celebrazione dell’arte, che attraverso l’apaprenza del proprio mezzo, velando il soggetto lo rende – per quanto possa sembrare paradossale – veramente visibile. Ed è proprio ciò che accade pienamente nel ritratto”.
Yan Pei-Ming, “Pape” e “Mao”, 2005, al centro Gian Lorenzo Bernini, “UrbanoVIII”, 1632-33
Anche nell’opera di artista contemporaneo, “VB74”, di Vanessa Beecroft, il ritratto fotografico di una “performance” del 2014, le figure sono coperte da veli, si trattava di “tableaux vivant” realizzati con donne in vesti succinte. In questo caso, commenta Pietromarchi, “la nudità è percepita non come purezza ma come qualcosa di negativo, come un privazione e un’assenza, addirittura come un qualcosa di irrealizzabile e impensabile nella nostra cultura cristiana”. A seguito del peccato originale e della cacciata dal Paradiso, la nudità “è dunque indissolubilmente legata all’idea teologica di grazia e peccato, tra incoscienza originaria e coscienza successiva”. Pertanto, “l’attributo della bellezza non è la nudità”, anzi la “legge essenziale della bellezza” secondo l'”Angelus novus” di benjamin, è “che appare come tale solo in ciò che è velato”.
E’ un bella conclusione del viaggio all’insegna di Eco e Narciso, tra le 13 sale di Palazzo Barberini e la 1^ galleria del Maxxi, nel quale siamo stati accompagnati virtualmente dai curatori Gennari Sartori e Pietromarchi dei quali abbiamo citato i colti commenti ad ogni opera esposta.
Al termine della mostra, le sale recuperate saranno inserite nel normale percorso di visita delle Gallerie Nazionali di Arte Antica dopo l’allestimento museale con opere del ‘600-‘700, tra cui i dipinti della collezione Lemme, Non resta che attendere, ormai poco tempo, l’interminabile telenovela del Circolo ufficiali fortunatamente è finita per sempre.
Gian Lorenzo Bernini, “Urbano VIII”, 1632-33. primo piano
Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie. www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org. MAXXI, via Guido Reni, 4A. Da martedì a domenica ore 11-19, il sabato fino alle 22, la biglietteria chiude un’ora prima, Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 9 anni 14-25, gruppi e particolari categorie. www.maxxxi.art.it, tel. 06.83549019. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 25 settembre 2018.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione , con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Kiki Smith, “Large Dessert”, 2004-05; seguono, Kiki Smith, “Large Dessert”, 2004-05, particolare, e Benedetto Luti, “Teste di donna”, 1704-08; poi, Pierre Subleyras, “Nudo femminile di schena”, 1740, e Marco Benafial, Ritratto della famiglia Quatrantotti (La famiglia del missionario)”, 1756; quindi, Yinka Shonibare,”The Invisible man”, 2018, e Pietro Cosimo, “Maria Maddalena”, 1490; inoltre, Raffaello Sanzio,”La Fornarina”, 1520, e Monica Bonvicini, “Bent and Fused”, 2018; infine, Yan Pei-Ming, “Pape” e “Mao”, 2005, al centro Gian Lorenzo Bernini, “Urbano VIII”, 1632-33, e primo piano di Gian Lorenzo Bernini, “Urbano VIII”, 1632-33; in chiusura, Vanessa Beecrof, “VB74”, da performance 2014.
Vanessa Beecrof, “VB74”, da performance 2014