di Romano Maria Levante
La mostra “Pixar. 30 anni di animazione”, al Palazzo Esposizioni dal 9 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019 celebra un percorso fortemente innovativo nel campo dell’animazione coronato da un travolgente successo nel quale,, al di là della qualità tecnica viene valorizzata la qualità narrativa e la creatività che raggiunge livelli artistici. Promossa da Roma Capitale, assessorato alla Crescita Culturale, è prodotta dall’Azienda Speciale Pslexpo, ideata e organizzata da Pixar, a cura di Elyse Klaidman e, per l’edizione italiana, di Maria Grazia Mattei, che hanno curato anche il catalogo edito con Chronicle Books, San Francisco. Nel periodo della mostr, alla Sala Cinema, 5 incontri sull’animazione Pixar, “A regola d’arte”, dal 18 ottobre al 22 novembre 2018, e il programma “Passione Pixar” con 50 proiezioni dal 19 ottobre 3028 al 13 gennaio 2019.
Un’altra mostra insolita al Palazzo Esposizioni, anch’essa rientra nella linea espositiva di presentare la scienza e la modernità nella forma spettacolare delle immagini che ne danno testimonianza. E’ stato così per astri e particelle e per i meteoriti, per il cibo, il dna e il potenziamento umano, oltre che per le mostre fotografiche che hanno documentato la quotidianità e gli eventi del nostro tempo . Ora viene celebrata la profonda innovazione introdotta nell’animazione e anche nel cinema tout court dalla Pixar che festeggia trent’anni di un percorso scandito da salti di qualità sempre più pervasivi.
Storia della Pixar, da divisione grafica a leader dell’animazione
La Pixar è nata nel 1979 come Divisione Grafica computerizzata all’interno della Divisione computerizzata della Lucasfilm, con l’intento di utilizzare le grandi possibilità offerte dal computer negli effetti speciali cinematografici. Ma non si è trattato del semplice aggiornamento operativo dell’organigramma aziendale,dovuto al sempre maggiore uso del Computer, il titolare Luca ha voluto promuovere un’intensa attività di ricerca finalizzata agli effetti speciali avvalendosi di due noti ricercatori, Edwin Catmull e Alvy Ray Smith i quali crearono un vero laboratorio per sviluppare software avanzati di grafica computerizzata.
Lou Romano, “Carl”, Up,2009
Sempre negli anni ‘80 si aggiunsero altri specialisti divenuti famosi, come William Reaves e soprattutto John Lasseter, con i quali si andò oltre le componenti tecniche di narrazioni che si svolgevano a un altro livello per sviluppare interamente la narrazione attraverso cortometraggi con le regole classiche dell’animazione ma in più il valore aggiunto del maggiore realismo della tridimensionalità portata dal computer. Già nel 1984 fu realizzato il primo film per sperimentare il software in preparazione, “The Adventures of André and Wally B.”, un breve film il cui protagonista era un piccolo alieno.
La Pixar non era l’unica impegnata sul fronte dell’animazione mediante computer, svolgevano attività di ricerca università come la Ohio State University e case di produzione private in campo audiovisivo, che però avevano vita breve; ma l’espansione del mercato era inarrestabile, perché si allargavano sempre più i campi di applicazione, dallo spettacolo al cinema, dalla comunicazione alla pubblicità, fino all’architettura e perfino all’arte.
Alla base di questo sviluppo innanzitutto c’è il livello qualitativo raggiunto dalle immagini come definizione e luminosità, con la rappresentazione molto accurata dei dettagli e un rilievo prima sconosciuto. La Pixar è su posizioni di eccellenza sul piano tecnico, che la porta, già nel 1986, due anni dopo il primo breve film, a costituirsi come società indipendente staccandosi dalla casa madre Lucas Film e diventando software house indipendente con soci nuovi tra cui Steve Jobs che aveva lasciato al Apple e portava una forte spinta innovativa.
Qualità narrativa qualità tecnica combinazione vincente
Ma non è l’aspetto tecnico, pur vincente, l’unico fattore propulsivo della sua escalation, come sottolinea la curatrice italiana della mostra Maria Grazia Mattei: “Rispetto a tanti altri demo prodotti da tante società in quegli anni, quelli della Pixar si distinguono subito non solo per la resa delle immagini, ma per la loro qualità narrativa, sempre avvincente, giocosa e sorprendente”. Una qualità narrativa consentita anche dalla qualità tecnica: “L’immagine digitale finisce per irrompere nella stessa struttura narrativa offendo prospettive inedite, esplorabili per la prima volta grazie all’evoluzione delle tecnologie”. I due fattori dell’efficacia rappresentativa si rafforzano l’uno con l’altro perché anche le soluzioni tecniche vengono esaltate dalla loro applicazione in contesti narrativi coinvolgenti.
Alla risposta del mercato seguono i riconoscimenti del livello raggiunto, e non tanto sul piano tecnico quanto su quello narrativo: così nello stesso anno in cui la Pixar è divenuta società autonoma, il 1986, arriva una “nomination” per l’Oscar con “Luxo Junior”, è solo l’inizio, dopo due anni arriva l’Oscar del 1988 per “Tin Toy” premiato come migliore cortometraggio animato.
Poi un successo dopo l’altro, le creazioni diventano quello che oggi si direbbe “virali”, acquistano una riconoscibilità e una popolarità immediata su scala mondiale. “Toy Story” lancia i giocattoli Buzz Lightyear, “Monsters & Co” i mostri Sulley e Mike, “Ratatouille” il topino Rémy, “Inside Out” Riley, la pre-adolescente.
James Robertson, effetti del fuoco di Andrew Yimenez, “Storyboard: Discarica”, Toy Story, 2010
Abbiamo già accennato che la qualità tecnica unita alla qualità narrativa rappresenta la combinazione vincente, ma come si è operato praticamente nel metodo e nei contenuti?
Per il metodo la curatrice spiega: “Proprio come in una bottega rinascimentale, Pixar dà corpo ai personaggi disegnandoli a mano per poi dar loro consistenza fino a – letteralmente – scolpirli, come ben raccontato in mostra – in un continuo rimpallo di riferimenti coltine iconografie interdisciplinari”. Quest’ultimo aggettivo rivela la stretta collaborazione tra creativi delle più diverse discipline, tecniche e umanistiche: “Si realizza la sintesi fra saperi diversissimi e apparentemente distanti come informatica, grafica, pittura, scultura, ingegneria e storytelling”,.
Il lavoro preparatorio mette insieme disegni e dipinti in acrilico e “gouche”, grafiche e calchi, creati artigianalmente con lavori realizzati con i media digitali. Si può dire che il digitale pur evocando Silicon Valley, diviene un medium narrativo con evidenti basi culturali in grado di puntare fino alla dignità del cinema hollywoodiano su grande schermo, si può dire anzi come “abbia cambiato il (modo di fare) cinema, dalla produzione alla distribuzione, per non parlare dello storytelling”.
I tre fattori del successo, storia, personaggio e mondo
Di quest’ultimo aspetto parla Elyse Klaidman, la curatrice americana della mostra, che dirige le mostre e gli archivi di Pixar Animation Studios, evidenziando tre aspetti comuni ai film della Pixar: la storia, il personaggio, il mondo.
La creazione della storia è ben più lunga di quanto si possa immaginare, “è un processo iterativo che può perdurare per gran parte dei quattro o cinque anni che occorrono alla produzione di un film”, crediamo che si riferisca agli affinamenti correlati alle soluzioni tecniche piuttosto che alla vicenda nei suoi elementi portanti. Una caratteristica delle storie narrate è che, pur essendo staccate dalla realtà per far volare la fantasia, sono pervase da sentimenti, sensazioni e quant’altro possa essere riconosciuto e sentito come proprio, nell’immedesimazione dell’osservatore.
Il personaggio è altrettanto importante per rendere la storia avvincente e credibile, deve essere tale da far affezionare e in qualche modo identificare. Possiamo ritenerlo l’elemento centrale sul quale poggia la storia ed a sua volta è inserito organicamente in un contesto
E’ il mondo in cui si svolge la storia, che deve essere a sua volta coinvolgente, e perché ciò avvenga deve essere al contempo unico nel suo genere e credibile, un ossimoro intrigante.
Chris Sasaki, “Bing Bong”, Inside Out, 2015, a dx
Nel risultato cinematografico, frutto del lavoro di squadra di cui si è detto, è difficile isolare i contributi dei singoli, anche se i momenti di massima creatività sono riconducibili agli ideatori, come avviene per i personaggi. Ed è proprio questo il valore della mostra che nel presentare i capolavori, come ha osservato Innocenzo Cipolletta – Commissario uscente del Palazzo Esposizioni – “in un certo senso li ‘destruttura’ presentandone le immagini come germinano e come gradualmente si configurano attraverso i disegni e le prime fasi della loro lavorazione”. E consente di apprezzare ancora meglio il lavoro di squadra, “la sintonia che regna nei Pixar Animation Studios, frutto della fusione, non del tutto scontata, tra un’anima creativa e necessariamente svincolata dalle leggi del mercato e l’esigenza di diffondere il prodotto su scala mondiale”.
La “destrutturazione” nella mostra, la rassegna cinematografica e gli incontri
C’è un altro aspetto che la mostra riesce ad evidenziare, ed è congeniale alla sede espositiva. Si tratta del valore artistico di quanto viene presentato ai visitatori come in una mostra d’arte, del resto già nel 2004 c’è stata un’esposizione al Museum of Modern Art di New York,divenuta itinerante in America Latina ed Europa, Sud Est Asiatico fino all’Australia. .
La possibilità di aver creato opere d’arte non nasce spontanea nella percezione degli stessi autori, anche perché nel lavoro di squadra sembrano perdersi gli apporti dei singoli; ma isolando le fasi realizzative e quindi presentando i prodotti specifici,si può convenire con la Klaidman che dopo aver parlato della collaborazione degli “artisti Pixar” con il regista e il production designer afferma: “Tuttavia, considerando questi oggetti,così sapientemente costruiti, separati dal film e osservandoli uno per uno, la prospettiva può cambiare radicalmente. D’altronde, il dibattito su ‘cosa è arte’ è antico quanto l’arte stessa”.
Con la “destrutturazione” operata dalla mostra – per tornare sul termine usato da Cipolletta – si è agito in modo creativo offrendo un punto di osservazione privilegiato in grado di rivelare ciò che invece potrebbe non risultare dalla sola visione del prodotto industriale altamente tecnologico: “Sono gli artisti a fare i nostri film – rivendica la direttrice degli archivi Pixar – e, come tutti gli altri, anche i nostri artisti scelgono gli strumenti che consentono loro di suscitare un’emozione, o una reazione nel modo più efficace”. E aggiunge una notazione che ci sembra molto significativa : “Un artista di formazione tradizionale può anche aver aggiunto la pittura digitale alla propria scatola degli attrezzi per riuscire a esprimere qualcosa che non avrebbe potuto esprimere altrimenti”.
Il presidente di Walt Disney e Pixar Animation Studios, Ed Catmull, e il presidente di Pixar Animation Studios, Jim Morris, hanno sottolineato il carattere estremamente impegnativo di questa attività: “L’animazione digitale è al tempo stesso un mezzo straordinariamente liberatorio e una grande sfida”.
E’ liberatoria perché non vi sono limiti dato che nella fase di costruzione dell’impianto narrativo “incoraggiamo i nostri artisti a esplorare il più possibile, dando libero sfogo alla propria immaginazione”
Ma è una grande sfida perché “gli artisti, a loro volta, divengono fonte d’ispirazione per i nostri autori e registi, guidandoli verso nuove vette”. Possiamo commentare “per aspera ad astra” perché a questo punto occorre “plasmare ogni cosa, anche ogni piccolo dettaglio, dal nulla. L’animazione non fa sconti”.
Di qui il carattere particolarmente impegnativo: “Quando si lavora al computer non capitano casi fortuiti, ogni vittoria si ottiene con il sudore”. Ma non è il computer a fare il film, altrimenti non potrebbe essere una forma d’arte, e i due Presidenti lo ribadiscono con forza: “Non tutti si rendono conto di quanti siano gli artisti che, adoperando le tecniche più diverse quali il disegno, la pittura, i pastelli e la scultura, contribuiscono alla veste e al design dei nostri film”. E precisano “la maggior parte del loro lavoro avviene nella fase di sviluppo del progetto, ovvero quando si imbastisce la trama e l’aspetto del film”. Fino all’orgogliosa rivendicazione: “E’ raro riuscire a vedere l’immenso patrimonio di opere d’arte create per i film al di fuori degli studios. Eppure,senza di esse, il film finito, quello che viene distribuito in tutto il mondo, non sarebbe possibile”.
Le componenti isolate dal contesto per evidenziarne l’aspetto artistico formano una grande galleria con circa 400 opere esposte, alla quale l”Azienda Speciale Expo ha affiancato, dal 19 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019 la Rassegna cinematografica “Passione Pixar” di 20 film Pixar con 30 repliche per un totale di 50 pomeriggi alle ore 17 e serate alle ore 21, in modo da poter verificare visivamente il passaggio tra la fase creativa e la produzione oltre che godere della rappresentazione di storie fantastiche, così vicine alla sensibilità di grandi e piccoli da suscitare allegria e commozione, sorriso e meraviglia, lasciando un senso di appagamento. Autori i più grandi, John Lasseter e Brad Bird, Pete Docter e Lee Unkrich.
Inoltre gli Incontri sull’animazione Pixar “A regola d’arte”, “in 5 pomeriggi nell’ottobre e novembre 2018, alle ore 18,30, da “come si guarda un cartone animato” al “sistema Pixar”, dalla creazione iniziale al doppiaggio fino alle “scienza delle emozioni dietro all’universo Pixar”.
Le opere esposte nelle 4 sezioni
Le opere in mostra sono per lo più grafiche, schizzi e vignette, disegni e, dipinti, vi sono anche calchi e piccole sculture, in un festoso addensamento nella vasta superficie espositiva. Vanno osservate con attenzione per scoprire l’intensità evocativa dietro la foggia spesso caricaturale, esprimendo un “humor”.e una caratterizzazione che prenderà corpo nella storia e nell’ambientazione. Ed è nelle tre ripartizioni prima evocate, personaggio, storia e mondo che sono articolate le 400 opere esposte con l’aggiunta di una quarta, “colorscript”, funzionale alla storia. .
I Personaggi vengono delineati dagli artisti in diverse versioni per rivelarne sin dall’inizio le varie possibilità al regista che deve effettuare la scelta dopo la quale gli artisti creano il modello, chiamato “model packet”, da passare ai modellatori digitali per la trasposizione nel computer; un aiuto i modellatori digitali viene dato anche dagli scultori che fanno riproduzioni solide, in argilla, dei disegni per rivelarne i dettagli che saranno poi esaltati dalla rappresentazione digitale.
Vediamo una cinquantina di “personaggi”, riprodotti anche in serie di disegni o dipinti, umani e animali, sempre di forte impatto visivo ed emotivo perché esprimono sentimenti visibili. La molteplicità i schizzi per lo stesso personaggio è volta ad esprimere i diversi stati d’animo. Lo si vede in particolare nei calchi e nelle sculture con diverse espressioni facciali. Nei disegni si va dalla severità della “Rabbia” di Albert Lozano, di “Carl” di Lou Romano e di “Abuelita” di Zaruhi Galstyan alla tenerezza di “Riley” di Chris Sasaki, “La Luna” di Enrico Casarosa e di “Boo” di Dan Lee, per non parlare degli innumerevoli animali, da “L’agnello rimbalzello” di Bud Luckey ad “Alec” di Teddy Newton. Tra i calchi, le “Espressioni facciali di Bob”, di Greg Dycstra.
La Storia, come abbiamo accennato, prende gran parte del tempo di realizzazione del film, perché partendo dall’idea iniziale viene definita in due percorsi paralleli, la scrittura della sceneggiatura e la visualizzazione attraverso “storyboard” grafiche. Ne vediamo esposte una diecina in matita e inchiostro su carta o dipinto digitale, soprattutto in bianco e nero. Sono sequenze divertenti ma parziali che però danno un’idea della complessità della realizzazione in quanto si tratta di passare dai frammenti alla continuità visiva e rappresentativa, e si può capire come sia continuo il dialogo tra artista, regista e modellatori per portare sul computer le “storyboard” parziali. Oltre alle “storyboard” ci sono le “story reel”, che cercano di comporre un’anteprima virtuale del film unendo le “storyboard” parziali e corredandole di dialoghi e musiche. Vi ritroviamo, in sequenze multiple, l'”Agnello rimbalzello” di Bud Luckey, che è coautore con Joe Ranft della “storyboard” “Soldatini”, ancora in sequenze esilaranti, Teddy Newton con “Karl e Jack Jack”, fino ai “pennuti spennati” di Ralph Eggleston e al “Viaggio di Arlo” di Kelsey Mann
Ha una funzione analoga il Colorscript, che vediamo nell’apposita sezione, si tratta dell’intera storia sviluppata in modo cronologico ed espressa in termini cromatici, definita come “una sorta di visione in bassa risoluzione del film che ne racconta concisamente l’intero sviluppo emozionale” al team di artisti e tecnici in una fase ancora iniziale della produzione, Vediamo una ventina di queste raffigurazioni, ovviamente tutte a colori, con sequenze ricche di oggetti e figure che definiscono cromaticamente il percorso narrativo. Ralph Eggleston lo ritroviamo in “Alla ricerca di Nemo” e “Wall”, Lou Romano in “Up” e “Gli incredibili”, vediamo anche l’esilarante “”Flick contro Hopper” e “Cars”di Bill Cone, tutti molto movimentati e dinamici.
Sono una quarantina le immagini nella sezione Mondi, che definiscono il contesto ambientale ed emozionante in cui si svolge la storia e si muovono i personaggi. Si tratta di mondi immaginari creati dalla fantasia in stretta aderenza con i personaggi che dovranno abitarli e le storie che vi si dovranno svolgere, quindi dovranno essere credibili, evocare sentimenti e creare emozioni. Si va da ambienti tradizionali come la “Casa Rivera” di Nat McLaughlin, il “Rientro a casa”di Noah Klocek, e “Mike in classe” di Daniela Strijleva, ma rivissuti fantasticamente, ad ambienti elaborati e tormentati, come in un Luna Park dove oltre ai divertimenti gioiosi ci sono i percorsi oscuri con le visioni dell’orrore: si va da “Cascate della fogna” e “Reparto spaventi”di Dominique R. Louis a “Città dei morti” di Daisuke ‘Dice’ Tsutsumi, da “Monster City” di Geefwee Boedoe ad “Abisso marino” di Sinòn Vladimir Valeda.
Le due installazioni “Artscape” e “Zootrope”
Le poche opere citate sono una minima parte di quelle esposte e non abbiamo potuto renderne kla straordinaria espressività, Come non potremo rendere quella delle due installazioni che fanno entrare ancora di più nel mondo fantasioso e insieme avveniristico dell’animazione.
“Artscape” è un’installazione multimediale ad alta risoluzione che proietta su un’intera parete “widescreen” sequenze parziali assemblate a titolo dimostrativo per dare la stressa sensazione dei realizzatori nelle fasi preliminari in cui dalle prime trasposizioni cercavano di avere una idea del tutto, con la tecnica digitale si va dal bidimensionale al tridimensionale in un’immersione nell’opera che consente di percepirne i dettagli mentre una musica avvolgente crea il panorama sonoro.
L’altra installazione, il “Toy Store Zoetrope” dà ancora di più la visione tridimensionale, unita al movimento reso dall’animazione, un’illusione data da 18 inquadrature ripetute montate su un disco che ruota alla velocità di un giro al secondo, mentre una luce stroboscopica crea l’effetto del “movimento apaprente” sembra di vedere girare una giostra con accelerazioni e varianti spettacolari, si ispira a uno “zootropio” creato in Giappone, ma l’origine è del 1867 negli Usa.
Nel vedere le due installazioni, al termine della visita alla mostra, ci si sente immersi nella magia digitale dal contenuto tecnologico particolarmente avanzato, quasi fosse una creazione di macchine intelligenti, del resto non sta facendo passa da gigante l’i”intelligenza artificiale”? Ebbene, le parole della curatrice americana Klaidman ci riportano a una realtà ben diversa: “Non sono i computer a fare i film; sono le persone, i disegnatori, tecnici de montaggio, animatori, direttori tecnici. Sono queste persone a dare vita a tutto ciò che viene fatto alla Pixar”. Una realtà riassunta da queste parole conclusive: Sebbene la produzione dei nostri film sia tecnologicamente complessa, ognuno di essi ha inizio con il più semplice dei gesti: un tratto di matita su un foglio di carta”. Anche l’opera d’arte spesso comincia così, ed è per questo che i due presidenti dei Pixar Animation Studios possono concludere a loro volta dicendo: “Siamo molto fieri dei nostri tanti artisti di talento ed è con grande entusiasmo che vi presentiamo il loro lavoro”.
Non si può che apprezzare questa orgogliosa valorizzazione degli artisti e del talento tanto più nel campo dell’animazione totalmente rivoluzionato dall’avvento della tecnologia digitale.
Un momento del flusso di immagini di “Artscape”
Info
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari: da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00. Catalogo “Pixar. 30 anni di animazione”, Palazzo delle Esposizioni e Chronicle Books, San Francisco, ottobre 2018, pp. 184, formato 17,5 x 25; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. .
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione nel Palazzo Esposizioni, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Sono un piccolo campionario dell’esposizione relativa alle 4 sezioni, Personaggi e Storia, Colorscript e Mondi, vengono precisati tre autori con i titoli delle opere: Lou Romano, “Carl“,Up, 2009, James Robertson, effetti del fuoco di Andrew Yimenez, “Storyboard: Discarica”, 2010, Chris Sasaki, “Bing Bong”;Inside Out, 2015; le ultime due immagini riguardano le spettacolari installazioni “Artscape” e “Zoetrope”.
Lo spettacolare “Zootrope” fermo, in movimento è come una giostra