Mattia e Gregorio Preti, i due fratelli insieme a Palazzo Barberini

di Romano Maria Levante

Una mostra speciale “Il trionfo dei sensi. Nuova  luce su Mattia e Gregorio Preti”, a Palazzo Barberini dal 21 febbraio al 16 giugno 2019, con 4 grandi dipinti realizzati insieme, “a due mani”, e altri 8 dipinti, uno di Gregorio e 7 di Mattia, il più talentuoso e celebrato dei due fratelli. La mostra è a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa, il secondo ha curato anche il catalogo di De Luca Editori d’Arte.  Nel corso della mostra, oltre alle visite guidate gratuite dei  curatori ogni mercoledì alle ore 17 (tranne il 1° maggio), un ciclo di conferenze sui due fratelli artisti il 16 aprile, 7 e 21 maggio, 11 giugno, con interventi dei due curatori Cosma e Primarosa,, di Luca Calenne e Francesca Curti, Riccardo Lattuada e Gianni Papi, nonché del restauratoreGiuseppe Mantella.   

Panoramica di una delle due sale espositive, nelle pareti laterali l‘”Allegoria dei cinque sensi” di Gregorio e  Mattia Preti nelle versioni di Torino, a sin,., e di Palazzo Barberini, a dx; nella parete in fondo, di Mattia Preti, “Cristo e la Cananea”  

La direzione di Palazzo Barberini prosegue nella formula di mostre  tematiche e insieme autoriali, imperniate su  un numero ristretto  di opere particolarmente qualificate che ruotano su un tema  che viene esplorato a fondo. E’ stato così per “Venezia scarlatat” e i “Ritratti dei signori”, per la “Stanza di Mantegna” e i “Maestri delle madonne Straus”,  per citarne solo alcune, ora per i fratelli Preti.   

Alla spettacolarità delle grandi esposizioni si sostituisce l’approfondimento consentito dalla concentrazione su poche opere che possono essere studiate con cura. A questo si unisce la politica degli scambi con altri musei che rende dinamica la gestione delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, con il Palazzo Cosini e la sua straordinaria quadreria in aggiunta alle numerose sale di Palazzo Barberini.

E’ una  formula che permette di valorizzare maggiormente il vastissimo giacimento artistico della sterminata galleria d’arte antica che, proprio per la sua ampiezza,  nelle visite dà una straordinaria visione d’insieme cui le mostre temporanee così impostate aggiungono momenti  importanti di  approfondimento tematico.  

Gregorio e Mattia Preti, “Allegoria dei cinque sensi” , 1642-46, Roma, Palazzo Barberini 

I fratelli Preti, Mattia e Gregorio

Questa volta sono i fratelli Preti ad essere visti al microscopio dell’analisi culturale-artistica, con 12 opere, per lo più di grandi dimensioni, un terzo delle quali appartenenti alle Gallerie Nazionali d’Arte Antica,  due terzi provenienti da appositi prestiti per completare il mosaico dell’analisi tematica.  Di queste, 4 sono state realizzate dai  entrambi  i fratelli a due mani per così dire, 7 sono dell’artista più prestigioso, Mattia, e una  del  fratello,  con meno talento ma con  un ruolo importante nella sua vita artistica.

Gregorio aveva dieci anni in più e  fu il primo  a trasferirsi a Roma, si dice che Mattia cominciasse a disegnare copiando disegni e stampe lasciate a casa dal fratello dopo la sua partenza. Nel 1632 anche Mattia andò a Roma dove per quattro anni abitò in casa di Gregorio e frequentò la sua bottega, secondo la ricostruzione più accreditata, ma diversi indizi fanno ipotizzare che andasse a Roma qualche anno prima.      

Il fratello  maggiore all’inizio, oltre ad aiutarlo nella vita quotidiana,  lo avviò alla pittura nella sua bottega e si impegnò per procacciargli  le commesse inserendolo sia negli  spazi di mercato e nel  giro dei collezionisti, sia nel mondo delle potenti famiglie, dai Barberini, ai Colonna,  ai Rospigliosi come si vede da un’opera esposta  commissionata dai questa famiglia. 

Gregorio e Mattia Preti,  “Allegoria dei cinque sensi”, prec.,  particolare con in primo piano l’autoritratto di Gregorio Preti

A tal fine, come scrisse il coevo Sebastiano Resta,  “si mise anche a lavorare per  bottegari,  che allora erano ricchi”, e riuscì a far entrare Mattia per breve tempo, nella bottega del quotato Lanfranco.  Questo artista e Guercino, Ribera e soprattutto Caravaggio, i più affermati anche a quell’epoca, erano i prediletti, in particolare da Mattia, che si ispirava alla loro arte.  

Erano venuti a Roma dalla Calabria, non si è certi se distanziati nel tempo o insieme, precisamente da un borgo della Sila di nome Taverna, quando l’influenza di Caravaggio  stava declinando per l’emergere della nuova pittura barocca.  Ma loro continuarono a seguire  Caravaggio nello stile pittorico e nei temi  per almeno quindici anni, fino a quando cessò la loro convivenza e anche la comune realizzazione di grandi dipinti “a due mani”. 

Tornarono a dipingere insieme nel 1652 la controfacciata della chiesa di San Carlo ai Catinari, Mattia l'”Elemosina di San Carlo Borromeo”, Gregorio “San Carlo Borromeo che riceve i missionari barnabiti””: Mattia è già affermato, è chiamato il “Cavaliere Calabrese”, dal confronto delle loro opere si vede il diverso livello artistico: più statico e accademico Gregorio, ben più versatile negli scorci decorativi e attento all’espressione psicologica Mattia.  L’anno successivo, nel 1553, Mattia lasciò Roma, dopo 25 anni di permanenza nella città eterna  con molti viaggi nelle città italiane nei quali approfondiva la conoscenza delle  opere dei maggiori artisti emiliani, come il Guercino e Lanfranco e all’estero,  in  Spagna  e nelle Fiandre. 

Gregorio e Mattia Preti, “Concerto con scena di buona ventura (Allegoria dei cinque sensi)”, 1630-35; Torino, Accademia Albertina 

Mattia, e la sua arte, da Roma a Napoli a Malta

Molte incertezze  intorno all’itinerario artistico di Mattia, a partire dall’inizio della sua presenza a Roma, certamente dal 1632 ma con indizi che la fanno risalire al 1624, quando vi si trasferì il fratello maggiore Gregorio e lui, adolescente, potrebbe averlo seguito sin da allora. Il consueto riferimento a De Dominici che lo colloca al 1632  è considerato da Gianni Papi “un atto di fede assai avventato, perchè la fonte napoletana è quanto mai fantasiosa e potrebbe aver inventato molta parte del racconto relativo a Mattia  come del resto – per fare un esempio clamoroso – accade nel caso di Ribera…”;  Papi critica la stroncatura di Ribera fatta dal giovane Roberto Longhi nel 1913 nell’esaltazione di Mattia, giudizio indirettamente corretto in un saggio del 1943 allorchè in modo più maturo il critico non li contrappone più, ma ignora del tutto Ribera. 

Nel 1642 il papa Urbano VIII gli conferì il titolo di Cavaliere  dell’Ordine di Malta, ed è questo che fa ritenere anteriore al 1632 la sua attività romana, dieci anni sembrano pochi per raggiungere un così alto riconoscimento. Dopo due anni, allo stato delle conoscenze,  il primo incarico pubblico, una pala d’altare con il “Miracolo di san Pantaleo”, seguito dal “Suicidio di Sofonisba”, 1645-46,  della Galleria Pallavicini, e subito dopo da “Clorinda che fa liberare Orlando e Sofronia dal rogo di Palazzo Rosso”, opere con in comune architetture  che si stagliano nel cielo azzurro percorso da nuvole. 

Intorno al 1650 l’escalation artistica di Mattia con gli spettacolari affreschi dell’abside di sant’Andrea della Valle –  la chiesa, sia detto per inciso come mera associazione di idee, dove Puccini ambienterà la scena iniziale di “Tosca” –  vicino agli affreschi dei più celebrati Domenichino e Lanfranco;  poco prima aveva dipinto lo stendardo per la processione di San Martino al Cimino su incarico di Olimpia Panphili, altra potente famiglia.   

Gregorio e Mattia Preti, “Pilato che si  lava le mani (Cristo mostrato  al popolo)”, 1645-55

Si trasferì a Napoli dal 1653, dove conobbe l’opera di Luca Giordano e ne fu influenzato al punto che a loro due  si fa riferimento per la scuola pittorica napoletana. La sua rilevanza a Napoli era tale che fu lui ad affrescare le porte cittadine nella peste tra il 1657 e il 1659, degli affreschi andati perduti è  stato conservato un bozzetto al Museo di Capodimonte. Altre sue opere nella città sono l’affresco  della  volta di San Pietro a Maiella con la vita di “San Pietro Celestino e snta Caterina d’Alessandria”, e importanti dipinti come “Il Ritorno del figliol prodigo” al Palazzo Reale e altri realizzati per le chiese di Napoli. 

Da Napoli a Malta nel 1661, era Cavaliere dell’Ordine di Malta da quasi vent’anni quando il Gran Maestro dell’Ordine Raphael Cotoner lo chiama per dipingere nelle chiese dell’isola. La sua attività a Malta è molto intensa, realizza pale d’altare, dipinti e  decorazioni per la Cattedrale di San Giovanni nella capitale La Valletta  e la “Conversione di Paolo” per la vecchia cattedrale di san Paolo a Medina su incarico dei Cavalieri Ospitalieri, oltre che per molte altre chiese.

Non dimentica le sue origini,  poco più di 10 anni dopo il trasferimento a Malta e 40 anni dopo il trasferimento a Roma, dal 1972 realizza molti dipinti per le chiese del  paese natio, Taverna. Ma la sua vita si svolge a Malta, dove il numero deille opere, tra tele e affreschi, realizzate in quarant’anni di prmanenza,  si valuta in ben 400.   Muore a La Valletta nel 1699. sulla sua tomba l’epitaffio voluto dal priore Albertini: “Hic iacet magnum picturae decus”, un meritato riconoscimento coevo alla sua elevata caratura artistica. 

Pur nella derivazione caravaggesca, il suo stile è molto personale. Si ispira a Caravaggio nei forti contrasti tra luci e ombre, ma imprime maggiore dinamismo alle scene, che nel primo sono fissate, quasi scolpite dalla luce; e vi innesta motivi classici e barocchi, oltre che naturalistici, per rendere la composizione quanto più posibile espressiva.    La sua produzione in 60 anni di attività artistica è vastissima,  su temi in prevalenza religiosi, con Cristo e i santi, ma anche biblici e mitologici.

Gregorio, il  fratello di Mattia

Non è certo poco rilevante la figura di Gregorio, anche se è stata oscurata dal fratello, al quale viene attribuito un “impetuoso talento”, mentre  a lui un “diligente mestiere”, con reminiscenze tardive e tendenza a  riprodurre modelli precedenti. La sua figura è stata rivalutata e ne è stata ricostruita la formazione, prima a Napoli, poi a Roma, dove fu a fianco a Mattia, di dieci anni più giovane. Allievo del Domenichino a Roma, prima che si trasferisse a Napoli, e dello Spagnoletto; maestro di Giacinto Brandi oltre che, nell’avvio alla pittura, di Mattia, di cui era “procacciatore di commesse”.

Gregorio Preti, “Cristo mostrato al popolo”, 1645-55  

Ma la sua non fu un’attività soltanto mercantile, nè si limitò  a curare i contatti con i collezionisti e le grandi famiglie; frequentò assiduamente, dal 1632, l’Accademia di san Luca  e nel 1648 fu ammesso nella Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, fino a diventarne reggente dal dicembre 1652 al gennaio 1654, e responsabile, nel 1658, del massimo evento religioso e anche politico della congregazione, l’organizzazione delle feste per san Giuseppe. 

Della sua caratura di pittore parla così lo studioso Tommaso Bogoncelli: “Il rapporto di Gregorio con il mercato artistico può spiegare il suo metodo di lavoro: quella del calabrese è una pittura stilisticamente ondivaga, vissuta ai limiti di una vera  e propria pratica  artigianale e sempre ai margini della cultura artistica dominante, spesso altalenante nella qualità dei risultati, evidentemente modulati in base al prestigio e alla retribuzione  della commissione, dove fisionomie, atteggiamenti, gesti e composizioni vengono rielaborati e riutilizzati, dando vita in qualche caso a veri  e propri ‘collage’“. Con questi limiti, il suo stile ha tratti caravaggeschi, con prevalenza della formazione accademica e dell’influsso idealizzante di Domenichino; per cui,  secondo Bogoncelli, “etichettare Gregorio come pittore seriale e prossimo a una sorta di pratica artigianale non significa comunque negarne il valore e la capacità di produrre autentici capolavori”. 

Fu impegnato, parallelamente al fratello ma con opere autonome, in chiese romane come San Pantaleo, con un dipinto su “San Flaviano”, ora perduto, e a San Carlo ai Catinari nella controfacciata, con un dipinto su “San Carlo”. Per Marcantonio Coilonna realizzò una serie di dipinti autonomi, tra cui i mitologici di ispirazione ovidiana, “Ratto di Europa”, “Ratto di Ganimede” e “Ratto di Proserpina”, ora nella Galleria Pallavicini, e dipinti con il fratello, come documentano i compensi.  

Mattia Preti, “Cristo guarisce l’idropico”, 1630

Rimasto a Roma dopo il trasferimento di Mattia a Napoli, continua a dipingere, viene citata un’opera per la chiesa di San Rocco a Ripetta nel 1663, in precedenza anche per la cattedrale e la chiesa di San Nicola a Fabriano, e per due chiese del paese natale Taverna. Cinque anni dopo, nel 1663, sposa una donna dell’Aquila, ha mantenuto uno stretto rapporto con l’antico allievo Giacinto Brandi, ora suo testimone di nozze, è l’autore di dipinti restauratinel 2009  per il museo aquilano.

Gregorio morì a Roma nel 1972, tre anni dopo la morte del fratello Mattia a la Valletta. Fu definito da De Dominici “pittore di buon nome”, del resto non avrebbe potuto dipingere “a due mani” con il fratello se non fosse stato all’altezza, pur se con una caratura visibilmente inferiore.  

I  due dipinti sull'”Allegoria dei cinque sensi” 

Merito della mostra è portare alla ribalta le “vite parallele” dei due fratelli Preti, ponendo in rilievo soprattutto il loro  sodalizio artistico con i 4 grandi dipinti realizzati “a due mani” nei quali viene evidenziata la parte attribuita  a Mattia e quella a Gregorio; non c’è un vero confronto tra le loro opere autonome dato che viene esposto un solo dipinto di Gregorio rispetto ai 7 dipinti di Mattia. “Noblesse oblige”, oltre che sulla loro collaborazione i riflettori sono sull’artista più prestigioso.

Non è solo questo l’aspetto centrale, altrimenti il titolo non sarebbe “Il trionfo dei sensi”, ma quello che è il sottotitolo, “Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti”. I due dipinti  sull“Allegoria dei cinque sensi” riportano a un tema di ispirazione caravaggesca, tanto che il titolo del dipinto proveniente dall’Accademia Albertina di Torino è “Concerto con scena di buona ventura”, è stato aggiunto il riferimento ai cinque sensi, cui è intitolato quello delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, restaurato per l’occasione da Giuseppe Mantella, autore di altri restauri alle opere di Mattia in Calabria e a Malta.   

Mattia Preti, “Negazione di Pietro”

Va sottolineato che ha finanziato il restauro lo studio legale “Dentons”, il più grande al mondo presente in 75 paesi con 170 sedi e  più di 9.000 avvocati, per celebrare il triennio trascorso dall’inizio della presenza in Italia con un omaggio a Roma dopo un restauro del 2016 a Milano; un bell’esempio di impegno per l’arte che andrebbe esteso quanto più possibile ai fini della conservazione del nostro patrimonio.

Sono di grandi dimensioni, alti 2 m, il secondo lungo circa 4 m, un metro più del primo, che è monumentale, esposti insieme per la prima volta con un effetto veramente spettacolare. In entrambi sono raffigurati gruppi di persone intente a diverse attività di vita quotidiana che danno una visione allegorica dei cinque sensi.  Al tema, Gregorio aveva dedicato i due ovali “Allegoria della vista e dell’udito” e “Allegoria dell’olfatto e del tatto”, che si trovano nel palazzo dei Chigi di Ariccia, insieme ai due ovali sui temi caravaggeschi “Giocatori di carte” e “Concerto”. Nell’“Allegoria dei cinque sensi” delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, 1642-46, le indagini diagnostiche del restauro hanno permesso di ricostruire la genesi di un’opera realizzata insieme, ripetiamo,  “a due mani”, dai due fratelli dividendosi gli spazi e avendo dei ripensamenti.    

Compie un’analisi particolarmente accurata il curatore Yuri Primarosa il quale, anche sulla base delle indagini radiografiche, rileva: “I due Preti non solo corressero in corso d’opera la posizione di alcune teste  e di alcune parti anatomiche,,ma camcellarono alcune figure già ultimate e ridipinsero in toto  interi brani della composizione”. E precisa: “Probabilmente i due artisti sperimentarono diverse soluzioni compositive direttamente sulla tela partendo da studi grafici di massima tracciati in precedenza o da appunti di Mattia conservati nella bottega”.  

Matia Preti, “Fuga da Troia”, 1635-40  

Per individuare chi dei due ha dipinto l’una o l’altra figura si affida alle loro differenze stilistiche, citiamo un esempio: “Il fratello maggiore dovette collaborare alla stesura dell’arpista, la cui pennellata rigida e a tratti semplificata sembra distaccarsi dal ductus più morbido di Mattia.  Nella parte destra, invece, possimo riconoscere la maniera di quest’ultimo nella figura in penombra posta in secondo piano (fortemente abrasa), nella zingara e nell’incauto gentiluomo che da questa si sta facendo leggere la mano e, forse, nella grottesca figura maschile che completa la ‘buona ventura’ non distante dai modi di Gregorio. Preti senior, infine, aiuta Mattia nell’esecuzione dei filosofi all’estrema destra,  della composizione, acutamente identificati da Luca Calemme in Eraclito e Democrito”.  E così  via. 

La composizione dell’opera reca un messaggio evidente sull’importanza di usare la razionalità anche riguardo alle esperienze sensoriali; per questo, oltre alle figure gaudenti vi sono le teste di questi due filosofi,  che mostrano un atteggiamento opposto. Democrito ride, forse per la vanità delle cose del mondo, mentre con le dita della mano aperta indica i cinque sensi, pensando che danno una conoscenza fallace dovuta alla casualità dell’urto degli atomi costiuenti la materia, mentre la vera conoscenza è data dall’intelletto; al contrario Eraclito è cupo, quasi piange, perchè il divenire alla base del suo pensiero porta a travolgere le fragili cose del mondo in una visione pessimistica, senza neppure il riscatto della conoscenza. “Il riso di Democrito e il pianto di Eraclito – ancora nelle parole di Primarosa – emblematicamente contrapposti, ammoniscono lo spettatore sui limiti della conoscenza sensibile, dal momento che i due filosofi, assieme allo stesso Gregorio Preti, sono gli unici personaggi che cercano lo sguardo dello spettatore”. Ma non basta: “I loro volti, deformati da isterica euforia e dalla più buia mestizia, costiuiscono dunque una sorta di monito per il riguardante, un commento disperato e al tempo stesso sardonico  sulle miserie della natura umana”. Precisiamo che l’autoritratto di Gregorio, al centro in primo piano, guarda verso l’osservatore in modo ostentato forse per celebrare la vista e insieme il valore della pittura.  

Chiara  metafora degli altri 4 sensi  è nei suonatori per l’udito e nel fumatore di pipa per l’olfatto,  nell’oste e nei bevitori per il gusto e nella chiromante per il tatto. Il restauro non ha acceso le tonalità delle tinte, come spesso avviene, sono opache, fa pensare che il trionfo dei sensi, che sarebbe pirotecnico, viene moderato, quindi offuscato,  con l’uso della ragione.  

Mattia Preti, “Cristo e la Cananea”, 1646-47

Al contrario, è brillante la resa cromatica del “Concerto con scena di buona ventura (Allegoria dei cinque sensi)” , dell’Accademia Albertina di Torino, 1630-35,che precede di dieci anni l’allegoria appena commentata di Palazzo Barberini:  è stato realizzato anch’esso “a due mani”, agli inizi dell’attività a Roma di Mattia,  è  interessante sottolinearlo per metterne a fuoco la maestria già evidente. Tra le figure è inserito il volto incorniciato di lauro del poeta Giovan Battista Marino, morto nel 1625, cinque anni prima l’inizio dell’opera,  presumibilmente con  riferimento al “giardino dei sensi” con gli amori di Venere dell'”Adone”; in un certo qual modo è un  preludio di significato opposto  alla figura dei due filosofi nel dipinto di dieci anni dopo conservato a Torino. La metafora dei sensi questa volta è impersonata nel bevitore e nel cuoco per l’olfatto e il gusto, nel gatto e nel gentiluomo con il cappello rosso per la vista,  nei suonatori per l’udito e nella zingara per il tatto.

Ebbene,  come alle tonalità offuscate dell’Allegoria prima commentata corrispondeva una visione pessimistica,  alla cromia brillante di questa seconda Allegoria corrisponde una visione ottimistica, e il curatore non manca di sottolinearlo: “Quest’ultimo dipinto, databile tra il 1630 e il 1635, costituisce  a mio giudizio una sorta di contraltare dialettico dell’Allegoria Barberini  perchè in esso – attraverso  sofisticati rimandi all’epicureismo di certi versi mariniani dell’Adone  – l’esperienza sensibile veniva celebrata quale tappa fondamentale del lungo  e tormentato cammino verso la conoscenza”. E  la scena è gaudente e festosa, senza gli sguardi ammonitori dei filosofi  che, secondo Luca Calenne che li ha identificati, esprimono “una critica all’incondizionata fisucia che viene riposta  nelle percezioni sensoriali, se questa non è sorretta dalla razionalità”, come abbiamo prima riportato. 

Mattia Preti, “Archimede”,  1630

Le altre opere esposte, 2 “a due mani”,  una di Gregorio, 7 di Mattia

Di poco più piccolo dell’allegoria di Torino, “Pilato che si lava le mani (Cristo davanti a Pilato)”, 1640,  è definito “il Pilato Rospigliosi”, dal committente, realizzato “a due mani”, a questo dipinto sembra essere ispirato l’unico di Gregorio esposto, “Cristo mostrato al popolo”, 1945-65, anch’esso in prestito da Torino. A Gregorio sembra vada attribuito il gruppo centrale e le due figure che mimano con le dita la crocifissione, a Mattia il gruppo di destra e l’armigero con l’alabarda.

La quarta opera comune dei due fratelli è “Cristo guarisce l’idropico”,  1630, in prestito da Milano, a Mattia vengono attribuiti l’insieme della composizione e alcune figure, soprattutto a destra, mentre a Gregorio le mani di tutti i personaggi e i volti di quelli sulla sinistra.    

Una piccola ma efficace galleria, quella delle 7 opere di Mattia, di cui 2 composizioni su temi religiosi, 1una su un tema mitico, e 4 ritratti, di un santo, un apostolo, uno scienziato e una bambina, un bel campionario di soggetti  e forme espressive.  

Due composizioni sono del 1635-40, una su tema religioso, “Negazione di Pietro”, l’altra su tema mitico, “Fuga da Troia”: la prima, caravaggesca, ha un’immediatezza quasi fotografica con la diagonale segnata della schiena femminile e dalle mani di Pietro mentre  nega di conoscere Gesù; la seconda, con Enea che porta il padre Anchise sulle spalle e a fianco il figlio, diretto a fondare Roma, ha, come è stato detto,  “una monumentalità teatrale e barocca”. 

Mattia Preti, San Bonaventura”, 1637-45 

La teatralità è evidente anche nella terza composizione, ““Cristo e la Cananea”, 1646-47, di forma quadrata di 2 m e 35 cm. Viene  esposta al pubblico per la prima volta, faceva parte della collezione Colonna, con molte altre opere dei fratelli Preti, e ha  un elevato valore artistico in quanto  evidenzia l’influsso su Mattia anche della pittura veneziana, in particolare di Tintoretto e Veronese e del barocco; e un valore storico,  risultando dai documenti  il pagamento diretto dell’opera al pittore da parte dei Colonna nel 1647. 

Anche di questo dipinto il curatore Primarosa fa un’analisi molto accurata, ponendo a confronto il viso della donna con i volti muliebri di altre opere e affermando che “la vasta tela qui pubblicata – concepita come opera a sè – potè all’occorrenza rielaborare in quadri  di minore impegno compositivo ma di altrettanta efficacia pittorica, come il bel dipinto oggi a Palermo – verso l’inizio del settimo decennio del  Seicento – e un’altra versione dello stesso soggetto  conservata a Cosenza”.  Ma se  di questeidue dipinti, “qualificati da un ductus più fluido e da una serrata  retorica dei gesti”, con pochi personaggi ravvicinati,  dice che “si tratta di opere eseguite con felice immediatezza”, per il dipinto di uguale soggetto oggi a Stoccarda il curatore riporta i termini ancora più elogiativi usati da De Dominici: “La bellezza di questo quadro non è facile ad esplicare con parole, dapoiccchè se tutti gli altri quadri di fra’ Mattia son dipinti, questo è vero, e par che spirino  vita le figure rappresentate, oltre alla grazia  e all’espressione superiore a tutte le altre opere del suo pennello”.  Rispetto al giudizio sull’opera di Stoccarda, per quella di Palazzo Barberini andremmo anche oltre in positivo, per la sua atmosfera soffusa e l’armonia delle architetture di sfondo rispettto alla violenza chiaroscurale e al fondale chiuso dell’altra, la grazia qui è senz’altro maggiore.   

Mattia Preti, “Apostolo”, 1635 

Passando ai 4 ritratti, anche “Archimede”, 1630, è esposto per la prima volta, è tra le  iniziali opere giovanili di Mattia, viene identificato dal libro e dalla sfera in mano con il bacile d’acqua per ricordare il suo celebre principio secondo cui un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del liquido spostato; lo scienziato guarda in alto come “San Bonaventura, 1637-45, naturalmente con un atteggiamento diverso, la sua immagine è pensosa, quella del santo è ispirata.  “Apostolo”, 1635,  mostra la forte influenza di Ribera evidente anche nella già citata “Negazione di Pietro”.   

Un posto a sé per la “Testa di bambina con la collana di corallo”, 1645-50, che in questa mostra viene attribuita per la prima volta a Mattia, è un’opera incompiuta destinata a una composizione più ampia, la collana di corallo era un talismano contro le insidie all’infanzia, l’espressione estasiata  ricorda i volti di Lanfranco mentre si avverte una forte somiglianza con la violinista dell’ “Allegoria dei cinque sensi”.  

Termina così  la visita alla mostra, nella quale abbiamo potuto approfondire la personalità e la caratura artistica dei due fratelli e soprattutto vedere i risultati della loro partecipazione agli stessi dipinti,  realizzati per così dire “a due mani”; inoltre abbiamo potuto ammirare ancora una volta l’arte superiore di Mattia nelle espressioni più diverse. Con le due “Allegorie dei cinque sensi”,  immagini  differenti,  ma entrambe imperniate sulle gaudenti libagioni nelle osterie romane cui non solo vengono riferite trasparenti metafore sensoriali, ma anche ammonimenti a seguire sempre la ragione.

Tutto questo con 12 dipinti soltanto!  Un risultato straordinario, un record di efficacia. Chapeau! 

Mattia Preti, Testa di bambina con collana di corallo”, 1645-50

Info

Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie: scolaresche, studenti di determinate scuole letterarie e artistiche, membri ICOM, guide e interpreti turistici,  persone con handicap,   giornalisti. www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org. Catalogo ““Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti”, a cura di Yuri Primarosa, De Luca Editori d’Arte, febbraio 2019, pp.184, formato 21 x 24; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.  Sulle  citazioni nel testo cfr. i nostri articoli in questo sito: per i temi delle opere di Gregorio Preti, “Ratto di Europa”, “Ratto di Ganimede”, “Ratto di Proserpina”, gli articoli nella mostra per il Bimillenario di Ovidio del 1°, 6 e 11 gennaio 2019; per i 2 dipinti di Giacinto Brandi restaurati, presentati a Palazzo Barberini,  l’articolo del  28 ottobre 2012.  

Foto 

Le immagini sono state  fornite  dall’Ufficio Stampa della mostra, precisamente da Maria Bonmassar, che si ringrazia, con i titolari dei diritti.  In apertura, panoramica di una delle due sale, alle due pareti laterali, di Gregorio e Mattia Preti,  “Allegoria dei cinque sensi”, a sin. quella  di  Torino, a dx quella di  Roma, nella parete di fondo,  di Mattia Preti, “Cristo e la Cananea”, 1643-45; seguono, Gregorio e Mattia Preti, “Allegoria dei cinque sensi” , 1642-46, Roma, Palazzo Barberini e, dello stesso dipinto, particolare con in primo piano l’autoritratto di Gregorio Preti; poi, Gregorio e Mattia Preti, “Concerto con scena di buona ventura (Allegoria dei cinque sensi)”, 1630-35; Torino, Accademia Albertina, e “Pilato che si  lava le mani (Cristo mostrato  al popolo)”, 1645-55; quindi, Gregorio Preti, “Cristo mostrato al popolo”, 1645-55, e Mattia Preti, “Cristo guarisce l’idropico”, 1630; inoltre, Mattia Preti, “Negazione di Pietro”, e “Fuga da Troia”, 1635-40; ancora, “Cristo e la Cananea”, 1646-47, e “Archimede”,  1630; infine, “San Bonaventura”, 1637-45,“Apostolo”, 1635; e “Testa di bambina con collana di corallo”, 1645-50;  in chiusura, panoramica di una parete, a sin., Gregorio Preti, “Cristo mostrato al popolo“1645-55, al centro Mattia Preti,  “Archinede”,1630, a dx, Gregorio e Mattia Preti, “Cristo guarisce l’idropico”, 1630.  

Panoramica di una parete, a sin., Gregorio Preti, “Cristo mostrato al popolo“1645-55, al centro Mattia Preti,  “Archinede”,.1630, a dx, Gregorio e Mattia Preti, “Cristo guarisce l’idropico”, 1630