di Romano Maria Levante
A cinque anni dalla scomparsa di Luciano Radi abbiamo ricordato, dopo una breve introduzione sulla sua figura, una sua opera sulla vita dei Santi, “Francesco e il Sultano”, presentata a Foligno il 30 maggio 2019 a 800 anni dallo storico incontro; poi una sua opera di politica economica, “Potere democratico e forze economiche”, che a 50 anni dalla pubblicazione mantiene una viva attualità di analisi e di proposte, quindi abbiamo ripercorso l’itinerario spirituale dei suoi “libri dell’anima”, da “Nati due volte” e “Sotto la brace” a “Non sono solo”, fino alla “trilogia dell’anima”, “Anime e voci”, Luci del tramonto”, “I giorni del silenzio”, l’ultimo a quattro anni dalla morte. Completiamo questo ricordo con il profilo del politico e dello studioso, dell’’intellettuale e dell’uomo di fede, che ha saputo tradurre il frutto della sua attività nelle istituzioni e delle sue ricerche culturali in testimonianze preziose data l’attualità del suo pensiero rispetto ai problemi di oggi e di sempre. Tale profilo è contenuto nello scritto, distribuito all’incontro di Foligno citato nel primo servizio: Romano Maria Levante, “Luciano Radi. Protagonista e testimone del nostro tempo”, come estratto dalla pubblicazione nel “Bollettino Storico della Città di Foligno XXXVIII-XLII (2015-2019)”. Lo riproduciamo integralmente con l’aggiunta di fotografie che mostrano Luciano Radi in alcuni momenti della sua lunga vita politica, le poche che abbiamo trovato per la sua riservatezza; sono intervallate da immagini della sua Foligno, che ha rappresentato in Parlamento per trentacinque anni. In tal modo cerchiamo di far rivivere le due vite, nelle istituzioni e nella sua terra, di una “personalità limpida”, come lo ha definito Pierferdinando Casini alla sua scomparsa; tanto apprezzata per la sua azione instancabile e illuminata nelle istituzioni nazionali e locali da rappresentare un esempio, e anche una fonte di insegnamenti con i suoi molteplici scritti istruttivi e profondamente umani.
La figura di Luciano Radi è tale da superare alcuni luoghi comuni, da quello contro i “professionisti della politica” a quello speculare al contrario sulla “politica come servizio” per ciò stesso esclusivo. E’ stato un politico a tutto tondo, ma non un professionista della politica, avendo avuto un proprio rilevante profilo professionale; e il suo servizio politico per il bene pubblico non è stato esclusivo, tanto ampia e variegata risulta la gamma degli interessi coltivati assiduamente fino all’ultimo.
Ripercorrendo idealmente un’esistenza vissuta in modo intenso su questi versanti diversi ma collegati, si possono trarre preziosi insegnamenti sui valori che la classe politica dovrebbe perseguire sotto la spinta delle sollecitazioni provenienti dal proprio retroterra culturale e umano.
Ed è questa la lezione imperitura soprattutto per le giovani generazioni che viene da un politico di razza che ha saputo coniugare diverse vite all’insegna di un’alta qualità intellettuale e culturale.
L’unicità della sua figura di politico e uomo di cultura
Come osservatore attento della realtà del suo paese e della sua terra ne traeva alimento non soltanto per la sua azione politica ma anche per le sue narrazioni ricolme di umanità e di saggezza. La competenza tecnica di economista e di statistico gli consentiva di far seguire all’osservazione l’analisi, cosicché dopo l’interpretazione veniva la proposta, poi l’azione, ciò che si attende da un politico vero. E quanto più la riflessione era approfondita, spaziando sul versante storico e culturale, tanto più diventava convincente la traduzione in comportamenti politici conseguenti.
In questa contaminazione di visioni diverse e convergenti sta la straordinaria specificità, si dovrebbe dire anzi l’unicità della sua figura di politico e di uomo di cultura: chi può vantare nove legislature, per oltre 35 anni di vita parlamentare, e al contempo più di 35 pubblicazioni, dalla politica economica alla narrativa, dalla storia alla sociologia, ai bozzetti di costume? E se si aggiungono le originali grafiche artistiche e le conversazioni mattutine alla radio il quadro è ancora più ricco.
Ala base di questa visione e azione poliedrica c’è stata una curiosità insaziabile, l’attenzione ai particolari apparentemente secondari della realtà osservata, che diventavano paradigmi; e soprattutto un animo aperto alla comprensione di ciò che si muove nella società, l’identificazione nei bisogni dei più deboli, uno spirito con forti radici nella religiosità della sua terra, l’Umbria di san Francesco, che è stato per lui un alimento inesauribile nell’intero corso della sua vita.
Neppure questo basterebbe per spiegare il fervore instancabile delle sue iniziative culturali e umane se non fosse accompagnato da una vitalità straordinaria che lo portava a cogliere gli spunti anche occasionali per costruirvi sopra una riflessione sempre più profonda; non solo, .ma si aggiungeva il desiderio, altrettanto irrefrenabile, di renderne partecipi gli altri, di qui la sua produzione editoriale quanto mai feconda sui più diversi campi nei quali si spostava la sua attenzione: dai grandi temi politico-sociali e storici alle osservazioni più minute e ai quadretti bozzettistici, dai ritratti di personaggi alle vite dei santi, fino alle riflessioni personali più intime e raccolte, in qualche caso sofferte, una continua apertura di sé a chi voleva condividerne le scoperte e le emozioni, anzi a chi vuole farlo anche ora perché mantengono una validità e una freschezza sorprendenti.
Il tutto con un’amabilità personale perfino disarmante in un portamento di per sé autorevole che ispirava rispetto ma non soggezione. Giulio Andreotti, nell’introduzione al libro “Gli scarabocchi dell’onorevole”, ha parlato dell’”amicizia per un collega del quale ammiro particolarmente la dedizione al lavoro, la serenità di spirito, la comunicativa umana”, aggiungendo che “la calma, tutta umbra, di Luciano Radi, contribuisce a distendere il nostro complesso mondo di lavoro”.
Non si tratta soltanto di temperamento, bensì dell’istintiva apertura al dialogo, con una capacità di ascolto e di comprensione delle ragioni degli altri che, pur nella saldezza dei suoi convincimenti, lo portava alla riflessione, consapevole che con il confronto si possono cogliere spunti meritevoli di essere approfonditi per allargare la propria visione e quindi arricchirla e perfezionarla. E soprattutto, lo ripetiamo, l’attitudine a ricevere nuove sollecitazioni per ulteriori analisi e riflessioni da condividere per farne partecipi quanti potessero trarne elementi positivi anche per sé stessi.
Ed è in questa apertura, anche del proprio più intimo e riposto sentire, l’unicità di una figura che ha dato tanto agli altri fino all’ultimo, pur nello strettissimo legame con la propria famiglia: la moglie Lucia per la quale vale quanto mai la constatazione che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, la figlia Chiara, i nipoti Tommaso e Sebastiano, il genero Alfredo de Poi, politico e dirigente con inclinazioni poetiche e artistiche prematuramente scomparso, per non parlare dei fratelli Lamberto e Leonello direttore di banca a lui particolarmente vicino. E non si può dimenticare Luciano Nieri, l’assistente di una vita, fedele e premuroso quanto bravo ed efficiente.
Una vita nella politica, un impegno continuo e una testimonianza preziosa
In Parlamento ininterrottamente dalla III all’XI legislatura, vale a dire dal 1958 al 1994, con 405 progetti di legge presentati, 104 atti di indirizzo e controllo, 256 interventi, 2 incarichi parlamentari e 8 incarichi di governo, come autorevole esponente della Democrazia cristiana, ha segnato con la sua iniziativa politica tanti momenti cruciali nella storia del Paese, e li ha raccontati fornendo una testimonianza preziosa che li documenta direttamente e fedelmente.
A partire dalla corrente “Nuove Cronache” , che portava nella vita del partito, intorno ad Amintore Fanfani, le spinte innovative della omonima rivista, in contrasto con la linea conservatrice.Per questo la corrente fanfaniana “Iniziativa democratica” si scisse nei due gruppi, “Nuove Cronache” e “Dorotei”, il promo si proponeva di superare la pur feconda stagione del centrismo per una maggiore sensibilità e apertura ai temi sociali che premevano nella società e Luciano Radi ne fu tra i più attivi esponenti. Ed ebbe un ruolo fondamentale nella svolta del partito, altro che “radi, storti e malfatti” come venivano scherzosamente sottolineati i nomi dei componenti più noti!
E’ stata questa l’ispirazione costante del suo pensiero politico, nata dal contatto diretto nella sua terra con realtà scottanti come quella dei contadini, che ha conosciuto da vicino e a cui ha dedicato il suo secondo libro nel 1962, I mezzadri: le lotte contadine nell’Italia centrale dall’Umbria al 1960. Che fosse molto di più di un saggio di politica economica ma esprimesse la propria partecipazione personale a un cambiamento epocale lo dimostra il fatto che otto anni dopo, nel 1970, è tornato sul tema da un angolo di visuale diverso, nella sua poliedrica visione della realtà, con Nati due volte, non più analisi socio-economiche ma un insieme di bozzetti sulla “vita tormentata e dura delle popolazioni contadine dell’Umbria”, che Carlo Carretto ha definito “un impressionante documento capace di far nascere romanzi e destare inchieste su una realtà che anche se non esiste più nel suo complesso, travolta dalle trasformazioni veloci del nostro tempo, è ancora attaccata a brandelli alle nostre carni e ci fa soffrire quasi come se fossimo attori e responsabili”. Lui stesso parla di “sofferta esperienza personale”, che lo ha egnato per sempre.
Così il primo incarico parlamentare, affidatogli dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, fu di responsabile dell’ufficio “Aree depresse” e il suo primo impegno di governo fu di Sottosegretario all’agricoltura. Ma la sua presenza nelle istituzioni viene molto prima del suo ingresso in Parlamento nel 1958 a 36 anni. Inizia come dirigente di partito nella sua città, Foligno, con l’elezione a 24 anni, nel 1946, nel Consiglio comunale. E poi, sempre in sede locale, negli anni ’60 è stato presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto professionale di Foligno che divenne tra i più importanti d’Italia e presidente dell’ospedale san Giovanni Battista.
Non solo politica, dunque, ma impegno nei campi in cui poteva svolgere un servizio utile alla sua terra a cui è rimasto sempre legato quando la politica lo ha portato ad operare nella capitale. La sua docenza di economia e statistica all’Università di Camerino gli ha assicurato una vita professionale oltre la politica ma in costante sinergia con il suo impegno nelle istituzioni, perché sull’economia si basa la gran parte delle decisioni che incidono sulla vita delle persone mentre la statistica fornisce ulteriori strumenti tecnici per l’analisi dei fenomeni e dei movimenti nella società.
La sua ampia produzione pubblicistica nel campo della politica economica e sociale dimostra come sia riuscito a mettere a frutto tale positiva convergenza per cogliere i movimenti sottesi nella società con i sensori dati dalla scienza economica e statistica oltre che dalla sensibilità politica per definire interventi appropriati: Il motto einaudiano “conoscere per deliberare” ispirava la sua azione, né approfondimenti fini a sè stessi né improvvisazioni del momento, attento com’era a distinguere i semplici atteggiamenti, che potevano essere transitori, dalle modifiche dei modelli di comportamento che invece erano persistenti e andavano affrontate in modo adeguato.
Nella sua formazione troviamo il ruolo pedagogico di sacerdoti come Don Consalvo Battenti, suo parroco dal 1932 al 1941, poi di don Guglielmo Spuntarelli, dal 1941 al 1953. Don Dante Cesarini ricorda questo suo giudizio verso di loro: “Mentre Don Consalvo aveva rappresentato il parroco di alta dignità intellettuale e di estrema severità, il nuovo arrivato portava nel lavoro sacerdotale uno stile diverso: cordiale, bonario, fratello tra i fratelli, non capo ma umile servitore della comunità”. Ne troviamo evidenti riflessi nel suo libro “Un grappolo di tonache”, del 1981, gustosi, eloquenti bozzetti, in qualche caso impertinenti, da don Obeso a don Marzio a don Giulio.
A questo riguardo Manlio Marini – sindaco di Foligno nel 2006 nel 60° anniversario dell’ingresso nelle istituzioni locali di Radi – ricorda, come prova della sua versatilità, la sua bravura di attore dilettante nella filodrammatica del San Carlo, in ruoli leggeri, e la sua risposta alla signora che gli chiedeva “Ma perché lei che è così bravo nel fare l’attore comico si è invece dato alla politica?”, fu “Ma perché, forse i politici non fanno ridere?”: espressione eloquente del suo spirito alieno da enfatizzazioni di un ruolo che poteva anche essere dissacrato per restare con i piedi per terra. Lui stesso ricorderà, in un suo scritto, con una certa soddisfazione, questa giovanile “vis comica”.
Riguardo ai Vescovi della sua diocesi, giudizi rispettosi quanto acuti: di Stefano Corbini, vescovo fino al 1946, apprezzava “la paternità bonaria, sempre pronta alla battuta ironica”, di Siro Silvestri, dal 1955 al 1975, “rimanemmo imbarazzati, incuteva soggezione, sembrava stabilire , senza volerlo, una invalicabile distanza da noi fedeli”. Ma se questa fu l’impressione iniziale alla vista di “un personaggio tanto diverso, alto, diritto, distinto”, ogni timore di ingerenza di chi nello stesso 1955 era diventato segretario provinciale della Democrazia Cristiana, svanì decisamente: “Mai il Vescovo osò interferire e mettere in discussione la mia autonoma responsabilità di cristiano impegnato in politica”. L’ultimo vescovo, Giovanni Benedetti, dal 1976 al 1992, ricorda sempre don Cesarini, “dava molta importanza ai laici cattolici impegnati in politica e, in generale, nella vita sociale”, per cui gli incontri e la collaborazione furono intensi e fecondi. La religione poteva entrare in campo nelle questioni di “alto valore etico”, mentre la dottrina sociale della Chiesa poteva dare un indirizzo in campo economico; ma al pari di altre sollecitazioni culturali, l’azione politica era del tutto separata dalla credenza religiosa pur se ispirata ai suoi valori nell’indipendenza più assoluta .
Dopo l’esperienza di governo nel Ministero dell’agricoltura, da sottosegretario alle Partecipazioni statali dal 1968 al 1970 l’ottica si allarga, nella prospettiva della grande concentrazione industriale dei grandi gruppi come l’Iri, l’Eni e l’Efim, in settori chiave per lo sviluppo industriale e la crescita economica del Paese. Ma la sua visione pone sempre al centro la persona umana, investita dei profondi cambiamenti in atto, ora nell’industria come prima nell’agricoltura con la crisi della mezzadria.
E come dedicò ai mezzadri l’analisi approfondita che abbiamo ricordato, così fece a livello più generale con il libro Potere democratico e forze economiche in cui forniva “Idee per una moderna politica economica nazionale” partendo dall’analisi delle ”attuali strutture del potere economico e politico” per delineare le “possibili modifiche all’assetto istituzionale, considerando la partecipazione dei gruppi sociali e l’organizzazione della classe politica nei partiti”, il tutto in considerazione della “posizione dell’uomo nella società contemporanea”, visto “come individuo, come cittadino e come lavoratore”, rispetto alle “esigenze autentiche dell’uomo”. Il libro è del 1969, ma sono temi che restano attuali come lo sono le proposte avanzate a largo raggio.
Seguirono incarichi di governo sempre più prestigiosi, sottosegretario ai ministeri della Difesa e degli Esteri, poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Arnaldo Forlani, di cui era definito “il braccio destro”. Forlani aveva preso la guida della corrente “Nuove Cronache”, con lui c’era una stretta comunanza non solo nell’impostazione ma anche nell’azione politica. Ha scritto che “Forlani ha la virtù della prudenza, della pazienza, della moderazione, e l’autocontrollo e l’arte di scegliere i tempi giusti”; e come persona “ha una solida formazione cristiana, ha il culto della famiglia, considera la libertà un valore irrinunciabile, la condizione per realizzare una sicura e progressiva elevazione umana”. Fu tuttavia il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, del Partito Repubblicano Italiano, a farlo Ministro per i rapporti con il Parlamento, dove poté far valere la propria collaudata esperienza parlamentare oltre alla sensibilità politica e alla considerazione di cui godeva. Per queste sue doti ha ricoperto il ruolo delicato di Questore della Camera.
E’ stato anche presidente della Commissione bicamerale di vigilanza sulla Rai, tra il 1992 e il 1994, promuovendo importanti innovazioni; tale nomina è legata alla sua competenza nel settore, l’anno prima aveva pubblicato il libro La grande maestra, la tv tra politica e società, era responsabile dei problemi radiotelevisivi per il partito. Tra gli altri incarichi che ha avuto nella DC ricordiamo che nel 1980 è stato Direttore dell’organo ufficiale, il quotidiano “Il Popolo”.
Piuttosto che rievocare le iniziative politiche, tante in una vita parlamentare così lunga e intensa, ci piace tornare sulla visione di osservatore dall’interno della vita dei partiti oltre che delle istituzioni, di cui, come sempre, rende partecipi i suoi lettori. Ricordiamo La talpa rossa, del 1979, sulla penetrazione sotterranea del Partito comunista nel corpo del paese, al di là del suo ruolo di maggiore partito di opposizione, ritenuto per ciò stesso al di fuori delle stanze del potere. Ma non era così per il potere reale, nel quale l’egemonia gramsciana veniva messa in atto con spregiudicatezza e abilità. Nella sua gustosa presentazione Leone Piccioni citava le varie accezioni della “talpa”, dal piccolo animale al grande escavatore di gallerie fino alla spia; la copertina del libro, un riquadro giallo e rosso e il formato tascabile facevano pensare a un libro giallo, ci si divertiva a immaginare la sorpresa dell’acquirente alla scoperta che invece era un libro di politica, riemergeva lo spirito comico del giovane attore dilettante nella filodrammatica di Foligno.
Ma nell’analisi politica era estremamente serio e documentato, anche sulla base delle proprie esperienze dirette. Lo sottolinea Gaetano Quagliariello nell’introduzione a La DC da De Gasperi a Fanfani, il libro con cui nel 2005 lui ha ricostruito in dettaglio una vicenda politica di profondi cambiamenti, fondamentali per gli sviluppi futuri: “La tecnica utilizzata dall’autore è quella del graffito. Egli, infatti, su una ricostruzione storica fatta per lo più utilizzando fonti bibliografiche edite, apre di tanto in tanto squarci di ricordi personali che servono a puntellare la tesi sostenuta. Sono queste le parti più interessanti del volume, al punto da spingere il lettore a rammaricarsi che le proporzioni tra storia e memoria non risultino invertite. Sono anche le parti che fanno di questo libro un contributo originale”. Fonti precise e testimonianza diretta, dunque, sono i requisiti di un approccio rigoroso anche alla politica, in genere oggetto di valutazioni approssimative ed estemporanee, ma non per un docente e studioso come lui, osservatore attento della politica e della società.
Così per gli altri libri di analisi socio-politica, dal primo che risale al 1957, anteriore all’ingresso in Parlamento, La crisi della pianificazione rigida e centralizzata, al libro che ha seguito “I mezzadri” e “Potere democratico e forze economiche” approfondendo ulteriormente quest’ultimo tema, Partiti e classi in Italia del 1975, seguito dal citato “La talpa rossa” e da altri come Il voto dei giovani del 1977, e due analisi dei risultati elettorali del suo partito, Riflessioni su una sconfitta e Riflessioni su una vittoria. Non è soltanto socio-politica ma socio-culturale e di costume, la visione di “La grande maestra: la tv tra politica e società” del 1991, anche questo già citato, un’analisi dall’interno del “grande fratello”. Vi abbiamo trovato, tra l’altro, che protettrice della Televisione è Santa Chiara perché, impossibilitata ad assistere alla messa di Natale celebrata da Francesco, ne ebbe la visione miracolosa sulle pareti della stanza dove giaceva a letto ammalata, un piccolo scampolo di un libro di notevole interesse.
Sempre in campo politico abbiamo anche ritratti di personaggi molto diversi: Tambroni, trent’anni dopo, del 1990, il trentennio è dall’agitata breve stagione della sua presidenza del Consiglio, Gli anni giovanili di Giorgio La Pira, del 2001, il “sindaco santo” negli anni della sua formazione, fino a Gerardo Bruni e la questione cattolica, del 2005, dalla persona al grande tema. Non manca la rievocazione a livello locale: Foligno 1946. Ricordo di Italo Fittaioli e Benedetto Pasquini in occasione del sessantesimo della prima elezione democratica al Consiglio comunale, 2006.
Il suo sguardo è anche andato oltre l’ambito nazionale con La macchina planetaria, del 2000, “Quali regole per la corsa alla globalizzazione” è il sottotitolo: fu tra i primi ad analizzare gli effetti positivi ma anche i rischi conseguenti a un processo inevitabile ma da controllare. parlava della “difficile conciliazione tra azione del mercato e valori individuali e collettivi”, spiegava “come superare i fattori di debolezza e le distorsioni a livello internazionale”, avendo attenzione all’“instabilità finanziaria” e alla “grande questione dello sviluppo sostenibile” avvalendosi delle “opportunità offerte dalle nuove tecnologie” dinanzi ai “complessi problemi di inflazione, disoccupazione, crisi valutarie”. Con realismo indicava “le soluzioni più probabili e quelle auspicabili”, non nascondendosi le difficoltà di introdurre “un sistema globale di regole e decisioni politiche”.
Le sue conclusioni suonano profetiche: “ Nell’attesa che ciò avvenga non è da escludere che si aggravi lo squilibrio tra sfera politica e sfera economica, e che il capitale internazionale continui a sfuggire a un incisivo controllo”. Con l’avvertimento finale: “Se il sistema capitalistico non si orienterà in questa nuova direzione, mettendo alla prova, ancora una volta, la sua capacità di adattamento e non favorirà il processo di coordinamento a livello globale, rischierà di generare pericolosi e sempre nuovi rischi di disintegrazione a livello planetario”. I rigurgiti protezionistici in corso nelle maggiori economie, USA in testa, da un lato, l’insostenibile degrado economico che genera correnti migratorie inarrestabili dall’altro, mostrano come fosse lungimirante tale avvertimento.
Questo studio approfondito è stato preceduto nel 1998 da Il futuro è tra noi. Anche qui il sottotitolo “Dalla sfida globale al dialogo interreligioso” è eloquente, si tratta di valutazioni iniziali degli aspetti economici e sociali della globalizzazione con le conseguenze in campo religioso.
La narrativa, con l’introspezione più intima e accorata
Dalla vita politica siamo passati logicamente alla testimonianza dello studioso che dall’analisi dei fenomeni trae proposte per l’azione concreta. Un osservatore attento che già a 26 anni, nel 1948, pubblicava Il pendolo composto e le sue leggi, ristampato in anastatica nel 2010.
Ma la sua poliedricità va ben oltre, incontriamo la ricostruzione storica 20 giugno 1859: l’insurrezione e il sacrificio di Perugia, 1998, e Il mantello di Garibaldi, 1911; la serie di vite di Santi aperta da Chiara di Assisi, del 1994, a lui particolarmente cara, seguita da Angela da Foligno nel 1996 e da Santa Veronica Giuliani nel 1997, San Nicola da Tolentino e Margherita da Cortona nel 2004, fino a Francesco e il Sultano nel 2006; nel 1999 aveva curato San Francesco e gli animali nel quale sono riportati episodi tratti dalla vita del santo secondo il Celano e san Bonaventura che “fanno comprendere come sarà l’armonia rigenerata dall’Amore” in tutto il creato. Diario di un cane del 1993 – commentato da Carlo Bo e Sergio Quinzio – e Memorie di una lumaca del 2002, esprimono l’umanizzazione degli animali, creature di Dio che comunicano con noi: “Gli uomini e gli animali si scambiano messaggi, si trasmettono sentimenti ed emozioni”.
Sulla religiosità della sua regione abbiamo Umbria santa, del 2001, inoltre nel già citato “Angela da Foligno” descrive, oltre alla vita della santa, “l’Umbria mistica del XIII secolo”.
Fin qui sono evidenti i collegamenti con il suo retroterra culturale e ideologico, anzi ideale, se pensiamo a queste ultime espressioni della sua fervente religiosità in uno spirito libero e aperto. Come sono evidenti nella più fortunata delle sue pubblicazioni, Buongiorno onorevole, del 1973, 4 edizioni, seguita, nel 1996, da Buonanotte, onorevole, tra loro, nel 1978, Gli scarabocchi dell’onorevole,” Cento appunti grafici di Luciano Radi”:una scherzosa “trilogia”, cui si aggiunge Il taccuino dell’onorevole del 1985, notazioni penetranti da osservatore, anzi testimone attento..
La “trilogia dell’onorevole” inizia con i bozzetti di vita del parlamentare, nei quali descrive in modo gustoso i colleghi deputati, anche i più autorevoli, nonché altri soggetti protagonisti di episodi insoliti, termina con situazioni ben diverse 23 anni dopo, in mezzo una sorta di trasposizione grafica di queste sensazioni, come afferma Antonello Trombadori, dicendo che “appartengono all’area tipica dei disegni degli ‘scrittori’” e cita quelli di Goethe e Belli, Pascarella, Cecchi e Pasolini, con la particolarità che nei ritratti scarabocchiati, “sia nell’ossequio che nella confidenza formicola sempre la medesima ironia folignate, pacata, ma, se è necessario, senza far male, pungente”. Le punture colpiscono “i monsignori” e “gli onorevoli colleghi”, “monache e frati” e “gli animali”, “i mezzadri” e “i barboni”, fino a “i carabinieri”. Un vero “en plein”!
Ed ora cambia tutto, passiamo agli scritti più intimi e personali, in cui l’osservatore attento della realtà esterna guarda invece se stesso, si scruta dentro e si analizza, torna sulla propria vita senza temere le inevitabili reazioni emotive. Del resto, Sotto la brace del novembre 1999, reca l’epigrafe tratta dagli “Epigrammi” di Marziale, ”Saper rivivere con piacere il passato è vivere due volte”- Forse perché è la vigilia del nuovo millennio ci riesce benissimo, rievoca l’infanzia con “il mistero della stanza proibita” e “il primo giorno di scuola”, e poi le immagini di vita contadina come la “vendemmia con parto”, “la raccolta delle olive” e la “maialatura”, “la villeggiatura” e “le mie cotte”; poi, andando avanti nel tempo, il clima muta, la cartolina-precetto del richiamo alle armi nella “Caserma Castro Pretorio” e quindi “la clandestinità”, con ampi squarci di religiosità e di vita familiare, fino alla conclusione: “La nostra vita appare capricciosa, con le sue contraddizioni, i suoi tradimenti, le sue incertezze. Ci sembra di precipitare, ma poi un soffio ci solleva fino alle vette più alte”. Come le “foglie esposte al vento che Altro governa. All’innalzamento può seguire il precipitare improvviso sul prato delle erbe morte per ridare vigore alla vita”.
Abbiamo parlato di “trilogia dell’onorevole”, concludiamo con la “trilogia dell’anima” in cui questa visione viene approfondita in un processo interiore sempre più intenso, passando da “Anime e voci” a “Luci del tramonto”, e infine a “I giorni del silenzio”.
Ma prima c’è Non sono solo, del 1984, presentato come il taccuino di un vecchio sacerdote che gli ha dato “un vero godimento spirituale” per cui ha voluto trasmetterlo con la pubblicazione, c’è comunque una totale coincidenza con i suoi sentimenti che abbiamo già trovato espressi, come quello sull’amore: “ Il nostro fine è amare, amare l’Amore. Il tumulto delle nostre esplosioni interne, che è la ragione della nostra avventura umana, ha una risultante positiva solo se irradia amore. Ognuno di noi è un piccolo sole”. E ancora: “Se ti trovi dunque chiuso in te stesso, costretto ad attraversare la notte dell’incomunicabilità, non disperare, ma attendi che il sole risorga”. Fino alla conclusione: “Il figlio dell’Amore, credente o non credente, non muore, vive in eterno”.
Ed ora la trilogia, con i racconti di Anime e voci del 1900, in cui c’è il pensiero dominante della morte partendo dalla solitudine della vecchiaia, che fa dire a Leone Piccioni: “Forse c’è in Radi una minore serenità forse dovuta ai fatti della vita, ma per noi lettori quanto successo a Radi è un bene, perché, appunto, la sua pagina ha preso un altro spessore, una diversa profondità, uno struggente attaccamento al paesaggio, una dimensione poetica più intensa”.
Nel 2005, con“Luci del tramonto”, 15 anni dopo secondo lo stesso Piccioni, “Radi guarda alla vita e alla morte con più distacco ma certi dubbi risorgono e Radi non li nasconde anche se li risolve in una rinnovata fede”. Si tratta di 52 riflessioni in cui sono racchiusi i suoi pensieri dinanzi alle sollecitazioni di una quotidianità con “l’impressione di vivere una vita aggiunta” nella quale, mentre “il corpo perde elasticità ed efficienza e si trasforma in un cumulo di acciacchi, l’anima che ne è prigioniera, scalpita per conquistare l’arcano. Le energie spirituali assumono una nuova vitalità, la Fede penetra come non mai tutte le apparenze, attraversa il muro del dubbio, appare una vittoria della volontà”. E in primo piano torna l’amore: “L’amore è un mistero che nessuno riuscirà mai a svelare; lo cerco, lo possiedo, ma non so proprio cosa sia… Ma noi uomini sentiamo che tutti i suoi gradi non sono sufficienti per saziarci; che siamo chiamati ad un amore più alto, a partecipare all’amore increato. Un amore che inizia quaggiù e si compie al di là del tempo”. Per concludere: “La vita non è il dipanarsi di un rimpianto. ‘Il tempo che passa è Dio che viene’”.
La “trilogia dell’anima”, vent’anni dopo “Anime e voci”, si conclude nel 2010 con I giorni del silenzio, il più accorato e insieme il più sereno, basato sulla premessa che “l’anima ha bisogno del silenzio, del raccoglimento, per ritrovare se stessa dopo la dispersione provocata dal dinamismo, spesso convulso ma inevitabile, che caratterizza i giorni nostri. Ma ha anche bisogno di essere sottoposta a un esame severo, al fine di verificare la concordanza del suo operato con i principi delle fede e dell’amore, con quel patto sancito con l’Assoluto al quale non una sola volta ci si accorge di aver derogato”. Per questa meditazione si è deciso a bussare alle porte del convento di Ravo chiedendo di trascorrervi alcuni giorni per “rinfrescarsi spiritualmente”. Ebbene, il racconto di questi inusuali esercizi spirituali, è avvincente quanto istruttivo per ciò che ha appreso dalle meditazioni al suo interno e a contatto con la natura e dai colloqui con padre Jacopo, che sull’essere superiore gli dice: “Più l’anima è sgombra da superbia intellettuale e meglio può avvertire la Sua presenza. Le parole e la cultura vengono dopo, prima c’è l’amore. Ogni espressione di amore rivela la presenza del Signore, è la Sua epifania”. Nei “giorni del silenzio” riesce a superare le angosce, a rinnovare le speranze che sembravano svanite, a sentire di nuovo l’amore vero, non quello fallace che ci rende “vittime di una fata morgana nello sconfinato deserto dell’anima nostra”. Così può esclamare: “Mi sembrò che una ignota mano avesse aperto una breccia nel muro della mia inquietudine”. Tante sono le espressioni quanto mai intense che punteggiano le sue meditazioni. Ma ci piace citare la conclusione, una sorta di “addio monti…”: “Lasciavo alle mie spalle le belle colline: i grappoli pendevano turgidi dai tralci, gli ulivi facevano danzare le loro chiome d’argento. Le messi esprimevano nella loro ricchezza la promessa di una nuova primavera. Il pensiero volava ancora ai fugaci giorni del mio ritiro. Sia pur teso, avvertivo di aver ritrovato me stesso.
Così lo giudica Attilio Turrioni: “Un libro di rara composizione che, mentre puntualizza momenti significativi del cammino umano e spirituale dell’autore, sollecita nel lettore una risposta personale altrettanto perentoria di fronte ai problemi dell’esistenza, alle ragioni ultime della fede, all’esperienza storica che ciascuno è chiamato a percorrere hic et nunc nel rapporto con gli altri, nel contributo, offerto o omesso, alla costruzione di una società più umana”.
Il suo messaggio politico e umano
A questa finalità superiore, del resto, è stata rivolta anche l’attività politica di una vita nelle istituzioni, alimentata dal profondo senso religioso che pervade le sue intense pagine di introspezione. La costruzione di una società più umana può avvenire, come scrive in “La talpa rossa”, in opposizione all’ideologia marxista basata su una “egemonia totalizzante”: “L’unico moto autenticamente rivoluzionario è suscitato dalla libertà. La libertà è la forza sempre nuova che, con la scienza e la tecnica e la coscienza della crescente complessità delle relazioni sociali, trasforma la società fondata sul potere come dominio in una società consapevole fondata sul potere come servizio, come funzione dirigente”. Non si tratta di un processo automatico e semplice, va costruito: “Ciò implica, come si è osservato, coordinamento e finalizzazione dei comportamenti, dei programmi, delle iniziative. Ma lo stesso coordinamento e la stessa finalizzazione hanno un limite nell’autonomia e nella libertà stessa. Come la libertà ha un limite nel coordinamento per perseguire un fine di interesse generale, è un delicato, difficile equilibrio che è facile compromettere”.
Quindi va preservato da ogni possibile forzatura e manomissione, ieri dall’egemonia totalizzante marxista, oggi – aggiungiamo noi – dalle altre possibili minacce sempre incombenti: “Per questo la collettività e i singoli cittadini non possono fare a meno di un preciso sistema di garanzie, ed una delle conquiste fondamentali dell’esperienza liberaldemocratica è lo Stato di diritto al quale non possiamo rinunciare e che la nostra Costituzione ha definito in un complesso sistema di autonomie, di articolazione e divisione di poteri, anche per salvaguardare la società civile da possibili arbitri della società politica”.
E’ anche questo il messaggio che lascia, con quello di natura spirituale, entrambi convergenti sulla “costruzione di una società più umana”: si tratta dell’obiettivo primario sorretto da una forte tensione morale cui ha mirato l’impegno instancabile di tutta la sua vita.
Info
Romano Maria Levante, “Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo”, Estratto dal ”Bollettino Storico della Città di Foligno XXXVIII-XLII (2015-2019)”, pp. 12, in corso di pubblicazione. L’estratto è stato distribuito a tutti i partecipanti all’incontro svoltosi il 30 aprile 2019 a Foligno, nel Palazzo Giusti Orfini, per celebrare “Luciano Radi studioso. A cinque anni dalla scomparsa”. Su tale incontro, nel quale è stato anche presentato un suo libro, e sugli altri aspetti della pubblicistica di Radi, v. i nostri articoli in questo sito: “Luciano Radi ricordato con una sua opera, l’incontro tra ‘Francesco e il Sultano 800 anni fa” 6 giugno 2009; “Luciano Radi, ‘potere democratico e forze economiche’” 9 giugno; “Luciano Radi, ‘’i libri dell’anima’, l’umanità e la fede di una ‘personalità limpida’” 11 giugno. Chiuderà la nostra personale celebrazione dei cinque anni dalla scomparsa, “Luciano Radi, il mio ricordo” 15 giugno.
Foto
Sono alternate immagini della vita politica di Luciano Radi e immagini di Foligno, la sua città. Le prime sono tratte dai siti web di pubblico dominio che verranno di seguito indicati, le seconde sono state riprese a Foligno da Romano Maria Levante il 30 maggio 2019, prima dell’incontro celebrativo. Si ringraziano i titolari dei siti web per l’opportunità offerta, precisando che non vi è alcun intento pubblicitario né tanto meno economico nell’inserimento di immagini a solo scopo illustrativo, ci si dichiara pronti a eliminare immediatamente, su semplice richiesta, quelle per i quali i titolari non gradiscano la pubblicazione. Ecco i siti delle immagini d’epoca con Luciano Radi: Foto n. 1, apertura , umbriadomani.it; foto n. 2 e 8 digitalsturzo.it; foto n. 4 futur.ism.it; foto n. 6 centrostudivanoni.org; foto n. 10, 12, 14, 18, 22 tuttoggi.it; foto n. 16 corriereumbria.corriere.it; foto n. 20 spellooggi.it; foto n. 21 umbriadomani.it. La foto n. 22, in chiusura, è stata presa dall’ultima pagina dell’Estratto citato; tutte le altre sono di Romano Maria Levante. In apertura, “Luciano Radi; seguono, “Con Scelba, Fanfani e Rumor” e “Foligno, un lato di Piazza della Repubblica”; poi, “Con Fanfani, in visita a Dottori”, e “Un altro lato di Piazza della Repubblica”; quindi, “Con Forlani e Malfatti, Spitella e De Poi”, e “Il lato di Piazza della Repubblica con il palazzo del Comune”; inoltre, “Con Gava e Scalfaro”, e “Il palazzo del Comune con l’alta torre al centro”; ancora, “Con Fanfani e Pertini”, e “La facciata di Palazzo Trinci con il Museo, in fondo a Piazza della Repubblica“; seguono, “Con Pertini all’inaugurazione della mostra per il centenario di Garibaldi”, e “Palazzo Trinci, il cortile interno con a dx la scala d’ingresso al Museo”; poi, “Con la presidente della Camera Nilde Iotti nella cerimonia del “ventaglio”, e “Museo, un lato affrescato della Sala degli Imperatori”; quindi, “Con una delegazione tedesca da Questore della Camera”, e “Un altro lato affrescato della Sala degli Imperatori”; inoltre, “Alla visita del presidente australiano” e “Una sala del Museo, rilievo scultoreo e pittura”; ancora, “Un momento di vita parlamentare” e “Due opere simbolo di fede del Museo, Crocifissione e Madonna della Misericordia”; infine, “La cordialità dei suoi incontri ufficiali in Parlamento” e “Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Forlani, la presentazione” ; in chiusura, l’immagine posta al termine dell’estratto del “Bollettino” di cui si è riportato il testo, “Luciano Radi (Foligno 19-9-1922 – Foligno 1-6-2014), Lucia Radi Antiseri (Spello 29-11-1921- Foligno 27-2-2006).
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