di Romano Maria Levante
Siamo alla 6^ e penultima puntata di quello che, per la spettacolarità unita al rigore, abbiamo chiamato il “Film” di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”. Le precedenti 5 puntate hanno ripercorso la sua vita tra Grecia e Monaco, Milano e Parigi, Roma, Torino e Firenze, poi ancora Parigi; e l’arte, dalla Metafisica originaria a quella “ferrarese”, dal classicismo e “romanticismo” al surrealismo, la rottura con Breton e il classicismo mediterraneo con gli archeologi e i gladiatori. La nostra “fiction” ideale prosegue con le nuove forme di classicismo moderno fino alla Metafisica del mondo nuovo e il periodo della guerra.
Una nuova sorpresa, delle tante che risvegliano di continuo l’interesse, facendo superare la complessità e il senso di appagamento che suscita una vicenda artistica e umana interminabile: spunta una nuova idea di classicismo moderno, dopo l’esaltazione classicista del 1919, con l’abdicazione dalla Metafisica di cui con la “trilogia dechirichiana” si celebra il centenario.
Questa idea viene dall’interesse per Renoir, che nasce sin dal “ritorno all’ordine” del 1920, all’insegna del classicismo per i volumi rotondi espressi nelle “Bagnanti”. Poi si acuisce quando Waldemar George – sostenitore di de Chirico con gli “Italiens de Paris” di cui era critico e difensore – nel 1929, in una mostra della collezione di Guillaume, altro personaggio vicino a de Chirico, presenta una lettura del pittore francese distaccatosi dall’impressionismo, che lo considera d’avanguardia con una “pittura di tradizione”. Renoir era considerato colui che rinnovava i valori antichi nella direzione di Derain, Braque e Picasso nelle loro espressioni neoclassiche, in alternativa alla linea che attribuiva il rinnovamento a Cézanne, artefice degli sviluppi dell’arte moderna.
Non è soltanto un interesse critico, sebbene de Chirico si esprimesse anche su questo piano, ma un diretto interesse pittorico, che si vede già nei “Gladiatori” del 1927-28, con “i primi accenni di una pittura ‘renoiriana’ sfiaccata, leggera e trasparente, dai tocchi intrecciati”, nelle parole di Benzi; primi accenni che diventano ben più espliciti nei nudi del 1930, ”Nudo di donna (con rupe e tempio)”, e del 1932, “Nudo di donna coricata (Il riposo di Alcmena)”, entrambi di forme e toni morbidi e immersi nella natura come quelli di Renoir, ma senza alberi, con il mare sul fondo, il Mediterraneo della sua Ellade, nel primo nudo con un tempio a picco sulla scogliera.
Magritte si riconobbe nella posizione di de Chirico, e non volle firmare il proclama contro di lui dei surrealisti belgi pur continuando a far parte del loro gruppo, e il suo “Le principe d’incertude”, del 1944, nella morbidezza e nella linea leggera, richiama i nudi dechirichiani del 1930. E anche Derain, in quanto, nelle parole di George, “come Giano, il dio a doppia faccia, ha presente allo spirito il passato e l’avvenire”, allo stesso modo di de Chirico che in “San Juan les Pins” del 1930 si ispira sia pure lontanamente, al suo ”Le gros arbre” di poco anteriore.
Lo stesso tocco morbido e leggero nelle opere su altri temi dal 1930 al 1933, in sequenza, dall’“Autoritratto nello studio” ai manichini della “Canzone meridionale”, dalla “Natura morta con coltello” ai “Cavalli in riva al mare”.
Non si ferma qui l’ attenzione al tocco e agli altri aspetti tecnici di quella pittura, dopo che nel primo passaggio al classicismo aveva provato la tempera degli antichi Maestri. Nel 1928 aveva scritto il “Piccolo trattato di tecnica pittorica” nel quale, pur non facendo prevalere la tecnica sulla genialità nel risultato finale, sosteneva che un vero pittore, antico o moderno, non può ignorarla.
La crisi economica del 1929 lo costrinse a lasciare Parigi, salvo brevi ritorni, poi fece una serie di viaggi tra Italia, Stati Uniti e Francia, in un periodo che lo vide impegnato in opere su temi già trattati nel decennio precedente in forme rinnovate o su nuovi temi: tornano gli archeologi e i gladiatori, i cavalli sulle spiagge e i paesaggi nel chiuso delle stanze, oltre a interpretazioni in un inedito realismo alla Velasquez, entrano in scena i “Bagni misteriosi” e nuovi impegni teatrali.
In questo periodo abbiamo sue composizioni in cui, vicino ad oggetti presi dalla vita reale, se ne trovano di mitologici già presenti negli anni ’20, e fantasiosi inventati di tipo metafisico, come i suddetti “Bagni misteriosi”, nei quali la realtà è trasfigurata dall’immaginazione, cosa che suscitò polemiche alla Quadriennale di Roma del 1935. E’ il suo il tentativo di rendere, come i pittori antichi, non la realtà ma l’apparenza della realtà, interpretando però, in chiave realistica, anche le sue invenzioni passate, “cosa che comporta uno ‘scollamento’ tra l’apparenza reale e l’invenzione surreale”, secondo il giudizio di Benzi.
Così anche le creazioni più fantastiche sono calate nella realtà come fossero vere. Lo vediamo in “Cavalieri e cavalli in riva al mare”, del 1933, e in “Puritani e centauro in riva al mare”, “I Dioscuri con i compagni in riva al mare”, del 1934-35, mentre i due nudi del 1934 “Sera d’estate” e “Bagnanti sulla spiaggia” sono veri ma sembrano fantastici per il contesto di tipo mitologico in cui sono inseriti. Anche le invenzioni metafisiche dei manichini assumono un aspetto vicino alla realtà, si vede nelle opere del 1933, “Nobili e Borghesi”, addirittura con vestito, camicia e cravatta, e nei “Manichini coloniali”, dalle movenze umane nelle mani e nei piedi, mentre gli orpelli che sembrerebbero “incorporati” come negli “Archeologi”, invece sono sovrapposti alle giubbe, quali aggiunte ornamentali. Anche “Ruines étranges (I contemplatori di rovine)”, 1934, pur nella loro rigidità metafisica sono umanizzati nei volti, negli arti, nella figura.
Sempre nel 1934, mentre scriveva al suo amico Nino Bertoletti che continuava a perfezionare la tecnica pittorica pur “in mezzo ai guai”, come un monaco medievale, disegnava le illustrazioni del libro “Mythologie” di Cocteau, del quale abbiamo ricordato la vicinanza. Così nacquero i “Bagni misteriosi”, un’invenzione che scaturisce dai ricordi d’infanzia dei bagni del paese natale Volos, cui si aggiunge la visione surrealista di un parquet così lucido da sembrare fatto di acqua dove poteva sprofondare chi vi camminava sopra. Sempre dalle memorie infantili affiorava l’impressione data dalle figure vestite, come statue maestose, e i nuotatori spogliati, come inermi e indifesi. A questi motivi se ne aggiungono altri propriamente artistici: un’incisione di Klinger – alla cui “Storia di un guanto” si era già ispirato venti anni prima per il celebre “Le chant d’amour” – con la stessa ambiguità irreale-reale tra la superficie dell’acqua e ciò che sta sopra, nell’incisione un pianista; mosaici romani tunisini e libici con l’acqua su cui si muovono figure marine a zig zag. A questo ciclo appartengono “I bagni misteriosi”, “Le cabine misteriose”, “Il cigno misterioso” , del 1934-35.
Negli anni successivi la sua fama cresce, non solo in Italia ma in Europa e negli Stati Uniti, dove vengono organizzate numerose mostre. Intanto nella pittura alterna la proposizione di immagini reali in chiave metafisica e viceversa, come abbiamo visto, e nel contempo approfondisce la rivisitazione della tecnica utilizzata tornando sempre più all’antico. Attua il proclamato “ritorno al mestiere” identificandosi con gli antichi Maestri, ma anche per la polemica verso le avanguardie attribuisce loro la grandezza che viene riconosciuta alla perfezione tecnica piuttosto che ai contenuti. Si distacca dalla rappresentazione della realtà ma anche delle visioni metafisiche e verranno privilegiati da lui paesaggi idilliaci. barocchi e favolosi. In tal modo”mescola realismo e fantasia pittorica con citazioni eterogenee da secoli differenti – precisa Benzi – gli archeologi si trasformano in cavalieri in vesti araldiche e nobili in borghese, personaggi da melodramma scesi da un palcoscenico e incapaci di accorgersi dello straniamento della realtà”.
L’arte teatrale e gli Autoritratti
Il palcoscenico virtuale evocato dall’autore era stato reale già dieci anni prima con l’ingresso di de Chirico nel teatro, quello vero, nel 1924, con le scene e i costumi del balletto La Jarre di Luigi Pirandello al Théatre des Champs-Elisées di Parigi, seguito dal lavoro per una “piece” del fratello Savinio nel 1925 e dalle scene per i Balletti Russi di Diagilev, gli stessi per i quali lavorò Picasso venendo appositamente in Italia a Roma e a Napoli, altro motivo di accostamento tra i due maestri.
Seguiranno Pulcinella a Londra e Bacco e Arianna a Parigi nel 1931, e I Puritani al Maggio musicale fiorentino nella prima edizione del 1933, gli spettatori furono sconcertati dai costumi araldici a forti colori che ingessavano i personaggi, come avvenne a Picasso per i rigidi e monumentali costumi cubisti che disegnò per i Balletti russi. Per la manifestazione fiorentina curerà anche scene e costumi di Don Giovanni nel 1944, Medea e Orfeo nel 1949, Ifigenia nel 1951 e Don Chisciotte nel 1952. Nel teatro anche a Roma, per La figlia di Jorio di Gabriele d’Annunzio con la regia di Luigi Pirandello nel 1934 e per Otello nel 1964; a Milano per Anfione nel 1942 e La leggenda di Giuseppe nel 1951, Mefistofele nel 1952 e Apollo musagète nel 1956; e ad Atene, per il Festival, Oreste e Le Baccanti, Il Minotauro ed Edipo nel 1939, spettacoli non realizzati: sono i principali spettacoli di cui ha curato scene e costumi. La scenografia per i “Puritani” è classica e austera, mentre quelle per “Don Chisciotte” e “Otello”, in particolare il Siparietto, sono visioni arcadiche aperte e ariose.
“Un’arte teatrale” viene definita ben a ragione da Benzi quella che riflette tali esperienze ma esprime anche la sua attitudine, tanto che anche nella sua prima Metafisica venivano visti aspetti teatrali, considerati apparenti dall’artista che li rifiutava richiamandosi al sogno e all’assurdo. “L’attività per il teatro, che nel quarto decennio si fa in effetti più intensa e serrata, uniforma con la sua visione il palcoscenico della vita, che si immedesima con la messa in scena della pittura stessa”. Non solo l’abbinamento arte-vita, dunque, ma anche la presenza in entrambe attraverso il teatro.
Come per le altre svolte artistiche, non manca di teorizzare anche questa nel Discorso sullo spettacolo teatrale poco dopo il 1940, il teatro entra nella sua pittura con sipari e quinte scenografiche virtuali che inquadrano le composizioni, spesso cavalleresche. Poi gli “Autoritratti” in costumi teatrali spesso presi dagli spettacoli, che non si comprenderebbero senza collegarli al suo impegno teatrale di cui sono espressione. Vediamo, tra il 1940 e il 1942, “Autoritratto in costume orientale” e “Autoritratto in costume cinquecentesco”, “Autoritratto in costume da torero” e“Autoritratto in costume (con pennello)”, nel 1943 “Autoritratto nudo” che è stato preso da Giulio Paolini come punto di arrivo di un avvicinamento progressivo nella mostra del 2010 “L’enigma dell’ora” al Palazzo Esposizioni, parallela alla mostra “De Chirico e la natura”; nel 1948 “Autoritratto in costume nero”, nel 1959 “Autoritratto nel parco”, gli ultimi due a figura intera, con intorno elementi arcadici.
Il fascino dell’America, “l’altro mondo”
Intanto la sua fama si diffonde, in Europa oltre che in Francia e Germania in Cecoslovacchia e nel mondo anglosassone. In Inghilterra va cinque volte, negli anni ’20, ’30 e ’40, farà 4 mostre personali e parteciperà a circa 30 mostre collettive, esercitando una certa influenza sull’arte inglese, tra gli altri gli è debitore Henry Moore, il cui amico Penrose aveva molte sue opere. Arriva negli Stati Uniti al porto di New York sul transatlantico Roma il 27 agosto 1936, si fermerà un anno e 4 mesi.
Era già conosciuto, nel 1926 erano stati presentati al Brooklyn Museum di New York 3 suoi quadri metafisici in una mostra con Duchamp, già nel 1923 il noto collezionista Barnes aveva acquistato un suo quadro, arriverà a 20. Fu accolto alla grande negli ambienti mondani, con sua immediata condiscendenza, e nello stesso anno dell’arrivo gli furono commissionati due grandi pannelli pubblicitari dalla casa di moda Helena Rubinstein e dal sarto Benno Scheiner, copertine e altro dalla rivista “Vogue”. Ne è tanto preso che gli balena l’idea di un trasferimento definitivo, ma verrà a scadere il permesso di soggiorno.
Straordinaria l’impressione che riceve da quello che chiama “un altro mondo”, e Benzi vira in “mondo nuovo”, dato che lui ritiene superato chiamarlo “nuovo mondo” essendo già così sviluppato. Perché, a differenza dell’Europa, “in modo impercettibile tutto è cambiato”, e nel dire questo cita non solo gli elementi più vistosi, parlando del “caleidoscopio inverosimile delle sue vetrine, delle sue torri trasparenti, dei suoi splendidi bazar, delle sue bacheche” nelle quali già immagina “gli ineffabili dioscuri appoggiati ai petti dei loro cavalli affaticati”; ma cita anche l’atmosfera perché “luce e temperatura sono differenti… In America uomini e oggetti perdono la loro ombra”, e sappiamo l’importanza che aveva per lui nella pittura metafisica. Ma non lo turba, anzi esalta New York come “città splendida di sogno nel sogno, città di Bacheche , Città-Bacheca, Città-Vetrina, nelle cui vetrine sfilano giorno e notte… tutte le cose dell’oscura umanità”. Vi trova anche “le maschere gigantesche degli dei antichi”, e perfino “l’immensa solitudine del Partenone nelle notti d’estate, sotto il grande cielo tutto sfavillante di stelle”. Questa sua descrizione è datata 29 gennaio 1938, il suo viaggio di ritorno era iniziato il 5 gennaio con il pittore Corrado Cagli e la gallerista Pezzi Blunt sul transatlantico Rex, la sua sembra una visione felliniana ante litteram.
“Questa stagione, queste nuove suggestioni visive e ambientali – commenta Benzi – … introducono una nuova aria nella sua arte. I bagni misteriosi si popolano di grattacieli… dei e dee si travestono con pepli e chitoni di un glamour sofisticato, i cavalli hanno pose aggraziate di danza, elementi di ruderi antichi si mescolano a reminiscenze di oggetti metafisici trasformati in quinte teatrali”. C’è “un nuovo mondo di colori virati e di scene dove il Mediterraneo si mescola a un’atmosfera eterea e rarefatta, dai toni ghiacciati. Anche nei dipinti più ‘realisti’ prevale un’eleganza solida ma ben composta, soggetti di un tono pittoresco alto e ben definito”.
Lo riscontriamo nelle opere del 1936-37, “Visione di New York” con un cavallo vicino a un triclinio, mentre “Cavalli e sibille con velari in riva al mare” è una specie di monumento vivente con le criniere svettanti dei nobili animali, che in “Horses of Tragedy” sono in due arcate, con tenda e una piccola piscina, e in “Divinità in riva al mare” scalpitano in una commistione con le antichità, dal segno leggero e colore sfumato nel pannello per il salone di Helena Rubinstein, con un accenno di tempio a destra. Il tempio diviene solido e completo in “Eroi di Omero”, con elmi e lance in riva al mare. Molto diverse le illustrazioni per “Vogue”, “Le Femme antique”, con le ben note nuvolette orizzontali in un cielo che tende all’arancio e una figura femminile ieratica al centro, tra separè dietro i quali si intravedono teste di donne, sulla destra lo scorcio di tempio antico.
Non mancano i manichini, “The Lovers”, la coppia richiama “Les consolateurs” del 1929 nelle mani che si stringono, ma sono più umanizzati anche nelle vesti, salvo le teste a uovo sono figure normali, dietro cui c’è una grande finestra con le nuvolette orizzontali nel cielo azzurro. E i grattacieli? Eccoli che si stagliano sulla sinistra in “Petronio e l’Adone moderno in frac”, ma l’elemento dominante è il giovane sulla destra nell’abito da cerimonia mentre al centro c’è un cavaliere e in lontananza un tempietto. Fanno da sfondo allineati in gran numero in “Bagni misteriosi a Manhattan”, la grande figura vestita e la piccola nuda sono sbarcati in America. “ll sognatore poetico”, un viso giovane con la testa turrita di casotti balneari con bandierine, chiude questa piccola galleria americana.
Anni difficili, la scultura, lo stile teatrale e neobarocco
Nel gennaio 1938 in una sosta a Roma passa dall’impressione americana a quella romana, lo colpiscono positivamente via dell’Impero e le novità architettoniche di una Roma città moderna. Torna a Milano dove tiene una mostra di successo cui seguono mostre a Genova e Venezia; va anche a Parigi e Londra per altre mostre con successo crescente. Su questo momento felice si abbattono le leggi razziali ed essendo la moglie ebrea cominciano le peripezie. Va a Parigi dove al Louvre ha un ritorno di fiamma per la pittura dei Maestri dell’antichità, poi deve lasciarla per la minaccia della guerra, va a Cannes e Vichy, varca la frontiera con l’aiuto di un collezionista e approda a Milano dopo essere stato bloccato a Nizza. È l’entrata in guerra, l’Europa è in fiamme.
Di quest’anno così tormentato abbiamo immagini che lo sono altrettanto, con un cromatismo inedito senza contrasti, in tutte quelle che citiamo vi sono cavalli. Così i classicheggianti “Dioscuri” e “Chevaux effrayés”, la visione paesistica monumentale di “Guerriero in riposo con cavallo che beve in un pozzo”, i primi piani equini, a dispetto dei titoli, di “Cavaliere con berretto rosso e manto azzurro” e “L’uomo dal berretto”.
Dalle leggi razziali alla guerra, la vita a Milano è minacciata dai bombardamenti, nel 1942 si trasferisce a Firenze con Isabella, sua compagna, e alla Biennale di Venezia in una sala a lui dedicata presenta le sue novità in una tecnica che, mentre fa brillare la superficie pittorica, consente velature e chiaroscuri misteriosi; la sua arte è sempre più orientata sullo stile teatrale e barocco.
Raffaele Carrieri commenta “questo ormai evidente mutamento di rotta che coincide in realtà con una drammatica introiezione psicologica indotta dalla guerra ormai deflagrata, quasi un colloquio intimo, solipsistico e visionario, una forma di ascesi mistica”, ricorda Benzi. Ecco alcune espressioni del noto critico: ”Egli dipinge tutto con la medesima intensità… va in cerca di pesche e di costumi d’opera per i prossimi quadri… Dipinge ritratti. Dipinge autoritratti… Dipinge di tutto”.
Gli “Autoritratti” nei costumi più diversi li abbiamo citati in precedenza riguardo all’“arte teatrale”, ora aggiungiamo “Natura morta con cestino di mele” e “Natura morta di frutta con castello”, “L’oca spiumata” e “Battaglia presso un castello”: la prima con cromatismo brillante, le altre con tinte velate, e in tutte, salvo “l’oca piumata”, un castello o un rudere, un richiamo classico. Di ispirazione classica anche “Perseo libera Andromeda”, con l’uccisione del Minotauro sullo sfondo e il nodo di Andromeda in primo piano, intimista “Le amiche”, due volti pensosi.
La vita di de Chirico si svolge tra Milano, Firenze e Roma, e in un momento così movimentato – siamo all’inizio degli anni ’40 – si interessa alla scultura, come sempre anche sul piano teorico con il testo Brevis pro plastica oratio. Vi si legge che “lo scultore è il creatore per eccellenza… Egli scava per tirar fuori, nel blocco di creta o di marmo, con fiuto di rabdomante, comincia frugare, e già quello che c’è dentro… comincia a sobbollire alla superficie, comincia ad agitarsi…”. E ancora: “La scultura dev’essere morbida e calda, e della pittura avrà non solo tutte le morbidezze, ma anche tutti i colori: una bella scultura è sempre pittorica”. E sono morbide e calde le sculture dei suoi temi, “Arianna” e “Archeologi” del filone metafisico, “Ippolito e il suo cavallo” del filone classico.
Le difficoltà create dalla guerra ostacoleranno questa nuova attività artistica, che riprenderà soltanto nel 1966 per non lasciarla più: “Ettore e Andromaca” sarà la sua opera maggiore, ma va ricordata anche la scultura-fontana “Bagni misteriosi” del 1973 per la XV Triennale di Milano.
Naturalmente la pittura prosegue, a Firenze sperimenta una nuova tecnica affine all’emulsione e la applica all’“Autoritratto nudo”, che definisce “la pittura più completa che io abbia eseguito finora”, poi si trasferisce definitivamente a Roma, è il 1943. Un nuovo cambiamento si manifesterà nel dopoguerra, con la pittura neobarocca, antinaturalistica, ispirata a una pagina di Schopenauer “sul senso metafisico di certe calme nature e paesaggi olandesi”, una metafisica che Mucci definisce “più sottile e più qualitativamente pittorica di quella più famosa”. Gli “Autoritratti” di questo periodo sono una prima manifestazione della sua nuova pittura barocca, come travestimento teatrale in ambientazione antica, una finzione spiazzante.
“L’esordio del periodo barocco – conclude Benzi – è calibrato equamente sullo spiazzamento metafisico, sulla finzione teatrale pervasiva e ‘non vera’ , sulla polemica con i critici modernisti e con i surrealisti che non sono capaci di vedere oltre il ‘non vero’, nel senso profondo della Metafisica del mondo”. Ne vedremo prossimamente gli sviluppi e la successiva evoluzione dell’arte di de Chirico in un cambiamento continuo con espressioni artistiche sempre nuove e sorprendenti.
Info
Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560; dal libro sono tratte le citazioni del testo. I successivi articoli sulle tre parti della trilogia usciranno in questo sito tutti nel mese di settembre 2019: l’articolo restante sul libro di Benzi dopo l’attuale e quelli dei giorni 3, 5, 7, 9, 11 – la I parte della trilogia – nel giorno 15; i 3 articoli sulla mostra di Genova – la II parte della trilogia – il 18, 20, 22 ; i 3 articoli sulla mostra di Torino – la III parte della trilogia – il 25, 27, 29 settembre. Per i nostri articoli precedenti su de Chirico degli anni 2016 e 2015, 2013 e 2010 cfr. le citazioni riportate in Info del primo articolo del 3 settembre. Sugli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, per Picasso 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, Duchamp, 16 gennaio 2014, Cézanne 24, 31 dicembre 2013, Dalì 2, 18 dicembre 2012; in cultura.inabruzzo.it, Paolini, 10 luglio 2010, Dada e Surrealisti 6, 7 febbraio 2010, Picasso 4 febbraio 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini delle opere di de Chirico riguardano il periodo considerato nel testo e sono riportate in ordine cronologico, a parte l’apertura; sono state riprese dal libro di Fabio Benzi, si ringraziano l’Autore con l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura, “Canzone meridionale” 1931 ca.; seguono, “San Juan les Pins” e “Autoritratto nello studio” 1930; poi, “”Cavalli in riva al mare” e “Manichini coloniali” 1933 ca.; quindi, “Ruines étranges (I contemplatori di rovine)” e “Puritani e centauro in riva al mare” 1934 ca; inoltre, “Bagnanti sopra una spieggia” 1934, e “I Dioscuri con i compagni in riva al mare” 1934-35; ancora, “I bagni misteriosi” e “Le cabine misteriose” 1934-35; continua, “Cavalli antichi spaventati dalla voce dell’oracolo” 1935, e “Cavaliere con berretto rosso e manto azzurro” 1938; infine, “Natura morta con cestino di mele” 1940 e, in chiusura, “Autoritratto in costume di torero” 1941.
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