di Romano Maria Levante
Prosegue il racconto della mostra “Giorgio de Chirico, Il volto della Metafisica” svoltasi a Genova dal 30 marzo al 7 luglio 2019 al Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, organizzata dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, presidente Paolo Picozza e da Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, presidente Luca Bizzarri, con ViDi, presidente Luigi Emanuel Rossi, a cura di Victoria Noel-Johnson che ha curato anche il Catalogo Skira.
E’ la seconda parte della trilogia dechirichiana nel quarantennale della morte e nel centenario del “Ritorno all’ordine” della classicità. In precedenza ne abbiamo delineato i contenuti, ora passiamo in rassegna la galleria di opere esposte nelle varie sezioni, raggruppate per temi e non per cronologia con le relative motivazioni, in una persistenza che ha fatto parlare di “Metafisica continua”; definizione cui noi abbiamo aggiunto quella di “Classicità continua” per i motivi classici sempre compresenti come quelli metafisici. Cominciamo con le prime 3 sezioni, nelle quali viene inquadrato il suggestivo contesto metafisico.
Inizia il “viaggio”, gli “esterni” metafisici
La 1^ sezione evoca “Il viaggio senza fine”, espressione che riassume “la vita e l’opera” di Giorgio de Chirico, come si intitola il prezioso lavoro di Fabio Benzi, un volume di oltre 500 pagine che abbiamo definito “Il Film della mia vita”, in parallelo con “Le memorie della mia vita” del Maestro. Si tratta di una ricerca molto approfondita e documentata , che affronta in modo franco e diretto le tante questioni aperte e fornisce una preziosa chiave interpretativa delle “invenzioni” dechirichiane, spesso spiazzanti, pubblicata significativamente in questo quarantennale della sua morte in aggiunta alle mostre di Genova e di Torino, le altre due parti della trilogia celebrativa; ne abbiamo trattato ampiamente in precedenza.
La poesia di de Chirico “Viaggio”, dell’aprile 1917, fa capire come siano persistenti alcuni motivi legati alla terra natale. Cita “la casa/ paterna… che non rivedrò più mai”, poi “il marciapiede bianco di polvere e di freddo/… della mia già lontana/ infanzia”, l’imbarcazione che “salpa/ verso i porti della vecchia Europa”, quindi esclama “e tu ingegnere piemontese, costruttore di nuove/ strade ferrate perché sei così mesto oggi?”, fino alla visione “che il mondo/ scoperto era veramente/ Un mondo nuovo”.
C’è tutto il suo “viaggio” dalla terra natìa al “mondo nuovo” americano che tanto lo colpì quando lo raggiunse, la nostalgia dell’infanzia, il trasferimento in diversi paesi europei. Un viaggio come quello di Ulisse, in un “eterno ritorno”, identificazione obbligata dato che il dipinto “Ulisse”, del 1929, è un proprio “Autoritratto”, e “Il ritorno di Ulisse”, del 1968, a 40 anni di distanza, sottolinea questa equiparazione con l’eterno viaggio racchiuso in una stanza, in cui rema nella barchetta su un tappeto divenuto mare non più senza fine, forse metafora della vita con la porta socchiusa in fondo che rappresenta l’unica uscita ma verso il buio, mentre alle due pareti il quadro con la torre metafisica e la finestra con il tempietto classico rappresentano i poli della sua arte e della sua vita; visione ln qualche modo rasserenata 5 anni dopo nel “Ritorno di Ebdomeros” .
Anche la 2^ sezione si apre con un’immagine di viaggiatore inquieto e tormentato, dello stesso anno della poesia, elemento indubbiamente significativo, per cui non comprendiamo perché non abbia aperto la 1^ sezione abbinando all’identificazione con Ulisse questa con “L’ebreo errante”, un acquerello evocativo, con l’ombra della solitudine che si allunga nell’ambiente deserto e inospitale.
E’ la sezione degli “Esterni metafisici”, irrompono le “Piazze d’Italia”, in una sequenza che come nelle sezioni successive è senza tempo; nel senso che, come si è accennato, gli accostamenti sono tematici e non cronologici, e spesso si affiancano opere sullo stesso tema di epoche molto diverse.
Sono esterni che esprimono “la strana sensazione di vedere tutte le cose per la prima volta” provata in piazza Santa Croce a Firenze nel 1910 quando ebbe l’”illuminazione” metafisica che gli ispirerà le piazze con le arcate e le ombre lunghe, la statua al centro e in fondo il treno a vapore. La prima suggestiva esternazione di quanto sentiva dentro di sé fu “L’enigma di un pomeriggio d’autunno”, che evoca la visione iniziale con la chiesa e la statua raffigurate schematicamente senza voler riprodurre la realtà. Seguirono altre piazze, con la sua particolare visione prospettica che crea un’atmosfera indicibile di sospensione.
E’ il caso di “Piazza d’Italia” (Souvenir d’Italie)” 1924 e “Piazza d’Italia (con statua di Cavour)” 1974, tra loro 50 anni, dalla metafisica alla gioiosa Neometafisica: nel primo si sente l’inquietudine dell’isolamento con le due minuscole figure nella piazza assolata e la grande statua vista di spalle che accresce questa sensazione; nel secondo c’è maggiore apertura e luminosità, pur se le arcate e la statua sono sempre lì, ma le arcate non sono oscure e misteriose, bensì accoglienti con una figura nell’arcata centrale che attira l’attenzione, mentre le due figurette sono ancora più lontane e più piccole, la statua di Cavour vista frontalmente e non dal retro, è più comunicativa.
C’è anche una “Piazza d’Italia con piedistallo vuoto”, del 1965, con molta ombra tra scorci di arcate e la base di una statua mancante, peraltro appena visibile sulla sinistra, in fondo una casa con l’orologio sulla parete di fronte, segnali di vita che attenuano il senso di privazione dell’insieme.
Si passa dalle Piazze alle Torri nel dipinto del 1968 “Piazza d’Italia con fontana”, il suo zampillo rischiara la zona d’ombra delle arcate a destra, quelle a sinistra sono in piena luce, al centro sullo sfondo un nuovo elemento architettonico, la torre a 4 piani, che vediamo alla ribalta in “La torre” , del 1974, immagine che svetta con tutti i suoi significati metafisici.
Entrano in scena i celebri “Manichini”, che con la loro testa a uovo impenetrabile sono la metafisica personificazione degli enigmi e misteri altrimenti affidati alle piazze con le loro arcate o alle statue poste al centro, come quella di Arianna, con i riferimenti che rimandano all’inconscio.
Con “Le muse inquietanti” della fine degli anni ’50 abbiamo la rivisitazione del celebre quadro della prima Metafisica che fu all’origine della brusca rottura con il capofila dei surrealisti.3 Abbiamo ricordato in precedenza che Breton voleva avere quest’opera senza riuscirci per le difficoltà poste dal proprietario con tanta insistenza che Chirico si offrì di preparagliene una copia; accettò, il proprietario autorizzò e l’operazione si fece, poi lui negò tutto attaccando de Chirico come se avesse artatamente diffuso una copia spacciandola per l’originale. Fu solo l’inizio di una campagna diffamatoria contro de Chirico diffusa a macchia d’olio che ne segnò la vita e anche l’espressione artistica perché, non essendo tipo da porgere l’altra guancia, in certi periodi orientò la sua produzione in senso provocatorio scegliendo volutamente percorsi antitetici ai surrealisti.
E’ esposta anche una rielaborazione ancora più tarda del dipinto, dal titolo “Il mattino delle muse” del 1972, in cui è quasi immutata la parte centrale della composizione, con la statua-manichino in piedi a sinistra e la musa seduta a destra, ispirata a un reperto visto dal giovanissimo de Chirico nel Museo di Atene vicino alla scuola che frequentava; mentre è totalmente mutato lo sfondo, non più il misterioso castello rosso ma abitazioni sparse aperte e ariose, e anche la statua in secondo piano esce dall’ombra per mostrarsi in piena luce: la Neometafisica è gioiosa anche in questo modo.
Ma ecco “Il figliuol prodigo”, del 1975, l’antico e il moderno nella statua del padre che scende dal piedistallo per abbracciare il figlio manichino, per di più con le squadre da disegno e i listelli “ferraresi”, fa pensare che la statua mancante nel quadro del 1955 – che forse per questo gli viene accostato – possa essere questa scesa momentaneamente a terra dalla sua base per un gesto affettuoso. Sullo sfondo una statua equestre dopo le consuete arcate metafisiche.
Ci sono anche esterni appena accennati, quindi senza le piazze spettacolari con le loro arcate e le loro ombre nette. Sono quelli che si intravedono appena in “Composizione metafisica” , 1950-60, e in “Triangolo metafisico (con guanto)”, 1968, il guanto di colore arancione in entrambi, il primo rielabora “Chant d’amour”, con la testa greca e la palla verde, il secondo a forma triangolare con una scacchiera tra forme oscure; l’esterno è rappresentato nel primo dal cielo con piccole sagome di edifici scuri, nel secondo dai comignoli di una fabbrica che si stagliano nel cielo azzurro, i fumi si confondono con le consuete nuvolette orizzontali.
Una testa greca anche in “La meditazione di Mercurio”, 1973, con una variante dei biscotti “ferraresi” sulla destra, oggetti indeterminati forse ornamentali. Dello stesso anno “Il sole sul cavalletto”, dardeggiante e luminoso come simbolo di un’ispirazione costante, come del resto la falce di luna anche se è a terra, con a lato una poltrona, quella dell’artista. Il dipinto è posto tra gli “interni metafisici” ma lo spostiamo idealmente qui perché nella grande apertura sul fondo vengono inquadrati all’esterno, sopra dei piccoli templi bianchi, il sole spento che scende all’orizzonte e la luna nera, sempre collegati con i fili elettrici nell’inesauribile inventiva dell’artista e nei suoi enigmi così intriganti. “Offerta al sole” , del 1968, esprime la luminosità del periodo americano, il sole dardeggia sullo sfondo come se sorgesse all’orizzonte mentre sembra accendere un fuoco di raggi su una sorta di piedistallo, quasi una forma celebrativa. Non c’è il sole spento, ma due falci di luna, una nera l’altra rossa, sempre collegate come il sole a dei fili elettrici. L’ambivalenza tra luce e ombra attraverso i raggi del sole luminoso o spento e le falci di luna, con i fili che innescano linee di forza e di energia, si unisce all’ambivalenza esterno-interno di cui diremo.
Gli “interni” metafisici
Nella 3^ sezione, dagli esterni si passa agli “Interni metafisici”, cui ci ha introdotto “Il sole sul cavalletto”. Rappresenta quello che chiama “l’enigma di cose considerate in genere insignificanti”, assemblate in modo apparentemente senza senso, accostate a immagini evocative dell’antichità come templi, statue ed altro e spesso con riferimenti agli esterni metafisici prediletti come scorci delle “Piazze d’Italia”.
La compresenza di oggetti e forme diverse esprime ciò che avviene nella memoria quando torna indifferentemente ad eventi vicini e lontani di natura molto diversa, nella compresenza di ricordi personali ed evocazioni storiche accomunati senza una logica. Ma proprio per questo motivo l’osservatore è spinto a cercare i collegamenti incomprensibili e comunque inespressi, tanto più che anche il contesto in cui sono inseriti sembra altrettanto illogico, quindi misterioso.
Non solo, anche i possibili significati dei singoli oggetti diventano motivo di attenzione, per cui da insignificanti diventano evocativi dei più disparati riferimenti. “L’ordinario è misteriosamente trasformato in qualcosa di straordinario – osserva la curatrice – strano ed enigmatico: una sensazione di scoperta, sorpresa e rivelazione pervade la scena”.
L’aspetto più straordinario è che questo non avviene per caso: “L’artista voleva che la sua pittura agisse come una sorta di catalizzatore rivelatorio per l’osservatore, che in questo modo poteva ‘vivere nel mondo come in un immenso museo di stranezze, pieno di giocattoli bizzarri, variopinti, che cambiano aspetto, che a volte come bambini rompiamo per vedere come sono fatti dentro. – E, delusi, ci accorgiamo che sono vuoti’”, sono parole di de Chirico quelle citate, del 1912, in piena fioritura della prima Metafisica.
E’ quello che viene chiamato “l’aspetto metafisico delle cose ordinarie”, l’aspetto centrale degli “interni” metafisici, mentre per gli “esterni” abbiamo visto invece le arcate, non certo presenti negli edifici moderni, e la statua classica al centro della piazza, anch’essa da ritenersi alquanto eccezionale, almeno nelle sembianze di Arianna abbandonata.
Ritroviamo altre vecchie conoscenze, come le teste classiche, In”Interno metafisico con testa di Mercurio” e “… con testa di Esculapio”, 1969, non in forma scultorea, bensì come quadri inseriti in composizioni nelle quali le righe e squadre da disegno “ferraresi” sorreggono l’immagine incorniciata, mentre dall’apertura sulla destra che dà spazio alla composizione si vede una”Piazza d’Italia” con statua e il mare con tempio antico.
Ma c’è anche l’”Interno metafisico con paesaggio romantico” e “…con officina”, sempre il “quadro nel quadro” al centro con l’immagine da cui prende il titolo e le aperture, questa volta sulla sinistra, su edifici di varia forma immersi nel paesaggio. “Interno metafisico con pere” e “…con ovale nero” non hanno simili aperture sull’esterno, ci sono solo delle nuvolette in alto nel primo, nel secondo tornano i biscotti “ferraresi”. Sono tutti del 1968-69.
Aperture sul fondo che sembrano quadri in “Visione metafisica di New York” e “Armonia della solitudine”, del 1975-76, con la visione rispettivamente dei grattacieli e di uno scorcio di arcate di una Piazza d’Italia, in primo piano l’assemblaggio di oggetti, per lo più squadre “ferraresi” con anfore panciute dalla superficie liscia e luminosa.
Di poco anteriore “Il grande trofeo misterioso”, 1973, l’assemblaggio quanto mai denso di forme, più che oggetti, templi e ruderi, non manca il “quadro nel quadro”, e la testa di un cavallo dagli occhi spalancati ravviva la scena, ai due lati le finestre si aprono su un paesaggio con case e templi.
Gli interni metafisici esposti sono del periodo 1968-73, ma per meglio comprenderli si deve risalire alla fase in cui sono stati concepiti quelli che, dopo una ripresa nella seconda metà degli anni ’20, sono esplosi nella “Neometafisica” di fine anni ’60- anni ’70, in forme più aperte e solari.
Resta però l’impronta dell’ispirazione iniziale, a Ferrara dove era coscritto, sia pure come scritturale e non combattente, nel periodo della prima guerra mondiale 1916-18, tra i timori della guerra e l’isolamento, che suscitavano un senso claustrofobico in cui interno ed esterno si sovrappongono; il “quadro nel quadro” accentua questa ambivalenza portando l’esterno, anche edifici e templi, negli “interni metafisici”, e si confonde con la finestra, come nei citati “Interno metafisico con officina” e “… con paesaggio romantico”. Anche di qui passa lo “straniamento”, con l’annullamento del confine tra realtà e finzione in una messa in scena di tipo teatrale.
Prossimamente il racconto delle altre 4 sezioni della mostra concluderà la seconda parte della trilogia, prima di passare alla terza parte della mostra di Torino.
Info
Genova, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge. Catalogo “Giorgio de Chirico. Il volto della Metafisica” , a cura di VictoriaNoel-Johnson. Skira, marzo 2019, pp. 248; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Si tratta della seconda parte della trilogia di de Chirico nel quarantennale della scomparsa, pubblicata nel mese di settembre, sulla mostra di Genova, che dopo l’articolo attuale e quello del 18, terminerà con il terzo articolo del 22 settembre; sarà seguita dalla terza parte sulla mostra di Torino, con gli articoli del 25, 27, 29 settembre che concluderanno l’intera trilogia. Per la prima parte della trilogia, basata sulla ricerca di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560, cfr. i nostri articoli, sempre in questo sito, usciti il 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15 settembre 2019. Per i nostri articoli precedenti su de Chirico degli anni 2016 e 2015, 2013 e 2010 cfr. le citazioni riportate in Info del primo articolo sulla mostra, del 18 settembre.
Foto
Le immagini delle opere di de Chirico sono tratte dal Catalogo della mostra sopra citato, si ringraziano l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta; riguardano le prime 3 sezioni della mostra commentate nel presente articolo. In apertura, “Piazza d’Italia con statua di Cavour” 1974; seguono, “L’ebreo errante” 1917, e “”Piazza d’Italia con fontana” 1968 firmato 1934; poi, ““Il ritorno di Ulisse”” 1968, e “Il mattino delle muse” 1972; quindi, “Il figliuol prodigo” 1975, e “Contemplazione metafisica” 1950-60; inoltre, “La meditazione di Mercurio” 1973, e “Offerta al sole” 1968; ancora, “Interno metafisico con pere” 1968, e “Interno metafisico con officina” 1969; continua, ‘Interno metafisico con testa di Esculapio” 1969, e“Armonia della solitudine” 1976; infine, “Il grande trofeo misterioso” 1973 e, in chiusura, “Il sole sul cavalletto” 1973.
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