di Romano Maria Levante
Alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, la GAM di Torino, dal 19 aprile al 25 agosto 2019, la terza parte della trilogia dechirichiana nel quarantennale della morte e nel centenario del “Ritorno all’ordine” della classicità. Dopo Roma e Genova delle prime due parti, nel ricordo degli spostamenti dell’artista da una città all’altra, la mostra “Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro, Neometafisica e Arte contemporanea”, presenta a Torino “de Chirico neometafisico”, con le sezioni “Citazioni” e “Derive”, ”Verso Michelangelo” e “Ombre” che espongono opere sue e di contemporanei a lui ispirati, e chiude con “L’artista, l’identità, lo studio”. Organizzata dalla GAM, direttore Riccardo Passoni, con “Metamorfosi”, presidente Pietro Folena, e la “Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, presidente Pietro Picozza. A cura di Lorenzo Canova, membro del Consiglio scientifico della Fondazione, e di Riccardo Passoni, della GAM, che hanno curato anche il Catalogo della Gangemi Editore International Arte.
“Questa mostra vuole ricostruire così le dinamiche di un dialogo innovativo e fecondo, la storia della sintonia tra un grande artista e gli artisti che lo hanno seguito, un confronto tra la pittura neometafisica di Giorgio de Chirico e le opere di autori italiani e internazionali che hanno visto la sua opera con occhi nuovi, in un momento in cui l’arte contemporanea ha cercato una nuova ispirazione nelle immagini di massa, negli oggetti della vita quotidiana, nei colori e nelle luci del mondo contemporaneo”. Con queste parole ne riassume contenuti e intenti Lorenzo Canova, curatore della mostra con Riccardo Passoni, e autore nel 2010 dell’intensa immedesimazione nei viaggi dechirichiani “Nelle ombre lucenti di de Chirico”.
L’impatto sul mondo dell’arte e sulle avanguardie
Il curatore precisa che prima dell’impatto sugli artisti contemporanei di cui alla mostra, ha spiazzato il mondo dell’arte avendo superato non solo i canoni rinascimentali, ma anche “l’attenzione percettiva e ‘retinica’ che ha legato l’impressionismo e la scomposizione cubista, l’attenzione al movimento e alle compenetrazioni del dinamismo futurista…”, Come? “Utilizzando un sistema multiplo di aperture prospettiche, di piani sfalsati, di ombre e di luci in cui l’enigma di Nietzsche prende forma concreta nelle piazze e nelle architetture, negli interni e nei loro accumuli di oggetti”.
Anche i New Dada e le altre avanguardie sono state influenzate dalla sua traduzione pittorica del pensiero filosofico di Schopenauer e Nietzsche, che evoca l’insensatezza della vita. Con il dadaismo, secondo Maurizio Calvesi, c’è in comune “il recupero dell’oggetto così com’è, integro al di là dei processi compositivi della visione cubista e futurista, o anche delle deformazioni espressionistiche”. L’oggetto non porta, però, al realismo: “Una condizione di questo recupero è lo ‘spaesamento’ dell’oggetto, cioè la sua collocazione al di fuori della rete usuale dei rapporti causa-effetto, dipendenza, vicinanza, in cui l’esperienza e la memoria ci hanno abituati ad inserirlo”.
Nel loro “spaesamento” trovano una spiegazione i biscotti, le righe-squadre da disegno e le altre “piccole cose di pessimo gusto” ferraresi più o meno gozzaniane, al di fuori del normale contesto, i “mobili nella valle” all’esterno delle abitazioni e, per converso, le case e gli alberi nelle stanze, fino alla barchetta di Ulisse e di Ebdòmeros che remano nell’acqua della camera; e l’osservatore non si sente più “spaesato” dinanzi alla visione insolita, che invece diventa intrigante.
L’anticipazione di avanguardie come la Pop Art si percepisce anche dalle sue parole, quando collega alle immagini oniriche di templi e santuari greci la pubblicità di un dentifricio, e nei suoi dipinti, in particolare “Canto d’amore”, in cui a lato del calco della testa dell’“Apollo del Belvedere” pone una palla verde e un guanto arancione, “un vero e proprio archetipo per l’immaginario di un’intera generazione degli anni Sessanta tra Italia, Europa e Stati Uniti”.
Canova lo afferma con chiarezza, ed è meritorio dinanzi a visioni incomprensibili perché indecifrabili: “Le due direttrici sono tracciate: la memoria classica e dell’arte del passato e i segnali della comunicazione urbana. Apollo e il dentifricio, diventano così i due poli ideali tra i quali si sono mossi moltissimi artisti legati a questa linea neometafisica”.
Il nuovo sistema pittorico della Neometafisica
Entra in campo la Neometafisica, troppo spesso considerata una mera ripetizione della prima Metafisica, trionfale esordio sulla scena dell’arte del poco più che ventenne pittore, ripresa nell’età avanzata quasi avesse esaurito l’ispirazione e volesse rifugiarsi in una tale isola felice. Le aspre polemiche iniziate con Breton dopo la svolta classicista del 1919, poi rivolte all’imitazione e alle copie ed acuitesi soprattutto nel secondo dopoguerra, hanno sviato l’attenzione dal vero significato della Neometafisica e dalla sua importanza, al di là delle questioni di mercato e del suo valore intrinseco, come nuova scossa innovativa e rigeneratrice del mondo dell’arte.
“A partire dal 1968 – è sempre Canova – de Chirico ha costruito così il nuovo sistema pittorico della Neometafisica, dove la rielaborazione delle sue creazioni non si contraddistingue come una semplice (anche se splendida) replica del passato, ma come un nuovo e luminoso periodo di creazione in cui il maestro ha riletto e interpretato la sua stagione metafisica giovanile contaminandola con l’immenso apparato iconografico delle sue opere degli anni Venti e Trenta per ottenere nuovi risultati”. Eccoli: “Ne è scaturito un discorso del tutto differente che apre alla visione dell’arte che sta segnando il panorama attuale nell’idea di ‘remixaggio’ e ripensamento fecondo del passato (in questo caso soprattutto del passato creativo dello stesso artista) in chiave diversa, anticipando infatti uno dei tratti salienti dell’arte odierna”. Si tratta della “ripetizione differenziata”, ma anche sulla copia de Chirico non si tira indietro, se ben fatta è un’opera d’arte essa stessa.
Sulle “citazioni” va ricordato che anche prima della Neometafisica inseriva elementi del passato nelle nuove opere, per cui quelle del periodo classico, anzi dei periodi classicisti, recano tracce metafisiche; e non si può negare, per converso, che la prima Metafisica, pur nella sua concezione rivoluzionaria, fosse permeata delle presenze classiciste della sua adolescenza e delle prime prove pittoriche.
Con la Neometafisica, questa costante della sua vita artistica ha assunto una forma sistematica e ben più rilevante, configurandosi “allo stesso tempo come un ritorno e come una nuova partenza, una fase di nuova creatività”. Ed è straordinario che Canova usi questa parola per sfatare tutte le sottovalutazioni, per usare un eufemismo, del nuovo corso di de Chirico, e sottolineiamo nuovo.
Si tratta di una “grande macchina scenica dove tutto sembra illuminato dalla luce di una nuova rivelazione, dallo scioglimento lieto di molti enigmi, dal compimento gioioso di una vita consapevole della propria immortale grandezza, da affrontare e rivisitare anche con un leggero senso di ironia, dal diradarsi delle antiche tenebre della melanconia e della solitudine metafisica”. Non a caso la mostra a Campobasso del 2017 è stata intitolata alla “gioiosa Neometafisica”.
Questo avviene nella fase finale, e “rappresenta il lungo e splendido tramonto del pittore” che invece di essere forzatamente dimesso, è “un momento di straordinaria intensità in cui le cose, i colori e il suo sguardo sul mondo toccano un nuovo diapason di chiarore”, al posto della luce calante crepuscolare la rutilante luce solare che brilla come nel suo simbolico “Sole sul cavalletto”.
In virtuale sintonia con la Pop Art e il clima degli anni ’60 ripropone le sue creazioni più tipiche – dai “Manichini” alle “Piazze” agli “Archeologi” fino ai “Gladiatori” – “in un nuovo vortice di idee in cui la pittura, nella sua dimensione intellettuale anticipa la linea concettuale delle giovani generazioni”. La capacità di anticipare le giovani generazioni nella fase finale di un produzione sessantennale, anche prescindendo dal suo altissimo valore, dà una misura della sua grandezza.
Il ritorno al passato
L’insegnamento va anche oltre, e riguarda i rapporti con il passato, il modo di farne tesoro per meglio interpretare il presente. Un presente nel quale, in questa fase della sua vita, irrompevano le nuove forme di comunicazione in grado di travolgere ogni argine. Quindi occorreva che nel mondo dell’arte fosse trasfusa nuova energia proveniente da un passato rivisitato, e poteva provenire per mano di un artista mai domo che aveva superato tante frontiere, dalla Metafisica al classicismo, senza mai ritirarsi, ma ripresentandosi sempre sui diversi versanti della sua arte incarnando forse come nessun altro, per averla tradotta nell’arte, la condizione umana sospesa tra le memorie di una civiltà classica nel segno della bellezza e il portato di tutt’altro segno della civiltà di massa.
Nei rapporti con il passato, in effetti, ha seguito l’esempio dei grandi Maestri che anch’essi replicavano le loro opere, in particolare Tiziano, che segnò la sua prima svolta classicista, e Rubens cui si è ispirato in una serie di nudi, e per questo è stato esaltato dall’artista della Pop Art Andy Warhol. Con il suo rifarsi al passato, ma innovando in molti particolari anche tecnici come le luci e i colori, mette in pratica nella sua pittura quella ricerca del “progresso qualitativo dovuto al fatto – sono sue parole – che io cerco sempre di perfezionarla nel senso della qualità” per ottenere “quadri che possono stare alla pari con qualsiasi capolavoro dei maestri antichi”. Anche questo è un insegnamento da non lasciar cadere per un’arte sempre più frettolosa e meno attenta alla qualità.
E mentre la cura della qualità è uno degli aspetti collaterali del “ritorno al passato”, con riferimento all’arte contemporanea nelle sue correnti più avanzate, nella sua pittura esalta “la componente mentale, l’aspetto intellettuale e spirituale”, anticipando il senso dell’ “arte concettuale”, anche se questa per lo più ha scelto scorciatoie ben lontane dalla “qualità” da lui ricercata nel dare corpo ai contenuti ispirati dalle sue conoscenze filosofiche e dalle sue reminiscenze classiche presenti anche nelle fasi lontane dal classicismo.
Sui rapporti con la modernità viene osservato inoltre che la pittura Neometafisica, pur tornando al passato, si collega alle opere nate nella Parigi che allora era il simbolo della “modernità, questo gran mistero, tu lo ritrovi a ogni angolo di strade accoppiato a ciò che fu, gravido di ciò che sarà”; e in queste sue parole del 1925 si trova la chiave del legame che ha avuto con la capitale francese e del valore permanente della pittura che gli ha ispirato, nella sua concezione circolare del tempo, in cui presente, passato e futuro fanno parte di un flusso continuo, evocato da Calvesi nel centenario della sua nascita in relazione ad “Ebdòmero e l’immortalità, gli ‘archeologi’ e nuovi manichini”: “La memoria contempla il passato come un fiume che ha corso a valle, nella speranza del futuro”.
Sono figure la cui “malinconia è confortata”, per cui profeticamente “preludono al ritorno luminoso e ‘consolatorio’ della Neometafisica, che con il suo paradossale flusso del fiume che va indietro per comporre il futuro nella curva del tempo, dà compimento e dona migliore comprensione alle opere dei decenni precedenti”. E’ il tempo circolare, “l’eterno ritorno” delle sue letture filosofiche, personificato nel “Ritorno di Ulisse” su una piccola barca a remi come quella con cui Ebdòmero rema in cerchio nella sua stanza, “barchetta metafisica e allo stesso tempo umile e ironica di un uomo abituato ad affrontare le grande imprese dell’arte con i semplici e leggeri strumenti della pittura”: de Chirico, che Canova vede nei panni di Ebdòmero, il novello Ulisse metafisico.
E non a caso de Chirico spende parole si ammirazione per “quel film meraviglioso di metafisica che si chiama ‘I dieci Comandamenti’”; e che a Parigi “ogni muro tappezzato di réclames è una sorpresa metafisica”. Non solo, ma “il putto gigante del sapone Cadum, e il rosso puledro del cioccolato Poulain sorgono con la solennità inquietante di divinità dei miti antichi”. Preludio alla Pop Art, che nella Neometafisica trova il suo sbocco naturale, con i nuovi enigmi al passo dei tempi, e “non dimentica le esperienze passate… ma che ora ha trovato una nuova ricchezza e una nuova corposità… e celebra una lucentezza che mostra uno stato d’animo del tutto nuovo dopo la malinconia e i malesseri fisici della sua giovinezza”, sono sempre parole di Lorenzo Canova.
Fagiolo dell’Arco a sua volta trova nella “ripresa festosa dei temi metafisici… il vero momento della rivelazione”, che immagina “ (come in una valle di Giosafat) quando tornano in scena tutti i personaggi, tutti i simboli sembrano chiarirsi, tutti i misteri appaiono meno oscuri in quei teatrini della memoria nei quali il Veggente, ormai pacificato, sembra parlare con linguaggio non troppo sibillino”.
Le repliche Neometafisiche, dunque, non sono ripetizioni pedisseque nei contenuti, come afferma lo stesso de Chirico riferendosi ai “soggetti che sono, direi, come una evoluzione di visioni, apparenze e sensi reconditi di quei soggetti che ho eseguito prima, per molti anni”. Non lo sono neppure nella forma e nella tecnica pittorica: “Queste nuove ispirazioni, e visioni, che dir si voglia, si basano su vari elementi, fisici e metafisici. Gli elementi fisici sono una maggior chiarezza nella tonalità generale del dipinto, e l’uso del nero, più abbondante di quanto lo usassi prima”.
Non è un nero che opprime, come scrive Dell’Arco che vede i simboli schiarirsi e i misteri meno oscuri, anzi “è il sole a rappresentare l’immagine per eccellenza della Neometafisica… uscito dal bianco e nero delle litografie per incendiarsi di rossi e di gialli, Come in un percorso di purificazione esoterica, è l’oro del sole l’oro della conquista e il sole del cavalletto rischiara della sua luce interiore tutta la pittura degli ultimi anni di de Chirico, segno ermetico di una condizione sublimata di beatitudine ascetica che riecheggia quella teorizzata proprio da Schopenauer, un filosofo che de Chirico ha amato per tutta la vita…”.
A queste parole di Canova aggiungiamo quelle di Giulio Paolini che nella mostra del 2010 svolta al Palazzo Esposizioni di Roma, “L’enigma dell’ora” in parallelo con “De Chirico e la Natura”, ha fatto del suo “Autoritratto nudo” l’approdo di un avvicinamento progressivo: “Nessuno meglio di de Chirico ha saputo destreggiarsi, in epoca moderna, nell’insostenibile ruolo di artista contemporaneo”; in quanto tale, “la posizione di de Chirico nel corso degli anni è stata recepita e resa attiva anche grazie agli artisti che ne hanno compreso la grande forza simbolica”: Paolini e altri, le cui opere sono ispirate dai dipinti della Neometafisica con i quali sono esposte nella mostra.
Gli artisti contemporanei affiancati alla Neometafisica
Un breve accenno a questi artisti contemporanei per introdurre la galleria delle opere affiancate alla Neometafisica, partendo dall’affermazione di Canova: “Dunque, il paradosso finale di de Chirico è stato quello di non influenzare solo gli artisti del Ritorno all’ordine, alla tradizione e al mestiere, ma di dare linfa vitale alle ricerche di artisti legati alla Pop Art, all’arte concettuale (come lo stesso Paolini) o alla Body Art e alla Performance, nel momento in cui hanno sentito il bisogno di uscire dai codici di quello sviluppo progressivo dell’arte del Novecento fondato sulla successione dei movimenti di avanguardia, che già un artista come Duchamp aveva messo in discussione”; e aveva osservato tra l’altro, in contrasto con le critiche dei contemporanei a de Chirico dopo la svolta post-metafisica: “Ma la posterità potrebbe avere qualcosa da dire”. Una profezia che si è realizzata.
Il primo artista da citare, “noblesse oblige”, è Andy Warhol, per lui de Chirico ha rivolto lo sguardo al passato per profetizzare il futuro, creando “immagini che cambiano mentre si ripetono”, e ha dichiarato: “Ho sempre ammirato de Chirico . Ha ispirato molti pittori… Mi piace la sua arte e poi quell’idea di ripetere sempre e sempre gli stessi dipinti. Mi piace quest’idea e ho pensato che sarebbe stato magnifico farlo… Probabilmente è questo che abbiamo in comune… Mi piace il mito che de Chirico usava… le immagini di de Chirico sono un mito ed è per questo che l’ho usato per esprimere i miei sentimenti. Ha usato anche la mitologia greca… mi piace anche questo… Ogni volta che vedevo i quadri di de Chirico mi sentivo vicino a lui. Ogni volta che lo vedevo mi sembrava di averlo conosciuto da sempre”. In una celebre foto del 1972 sono insieme a New York, e il viso di Warhol sembra al contempo assorto e stravolto.
Dopo Warhol, Giulio Paolini, la cui opera si richiama a de Chirico nei due estremi che si uniscono, il ricordo e la memoria nel tornare al passato della grande arte, la profezia e la chiaroveggenza nel vaticinare il futuro. Mentre attribuisce la ricerca del nuovo delle avanguardie all’età giovanile per cui, avendola superata, conclude: “Oggi non vedo più quell’interesse ad andare avanti. Cerco di andare in profondità”.
Gli artisti vicini alla Scuola romana di Piazza del Popolo, Franco Angeli e Mario Schifano, Tano Festa e Mimmo Rotella, sono altrettanto legati a de Chirico. Franco Angeli è preso dalla sua segreta anima metafisica dove la melanconia irride alla morte tra i segni ermetici delle piazze dechirichiane, Mario Schifano definisce de Chirico “grande Maestro italiano del ‘900” citando le sue opere metafisiche e neometafisiche, Tano Festa, interessato al recupero dei capolavori del passato, entra in gioco in merito alla citazione e alla copia, e Mimmo Rotella vi riferisce la nuova pittura “in senso moderno, non tradizionale”, con una forza “quasi magica” da visionario.
Mario Ceroli, interessato al recupero dell’arte antica e della tradizione rinascimentale in senso contemporaneo, è colpito dal carattere innovativo delle opere di de Chirico, e vi si ispira; mentre Pino Pascali e Fabio Sargentini faranno entrare il mare nella galleria d’arte, Gino Marotta il bosco artificiale dentro il Museo. E lo scultore Fausto Melotti si ispira alla composizioni metafisiche con i suoi Teatrini gioiosi come la Neometafisica, mentre per Giosetta Fioroni “in un clima bloccato nel tempo e nella dimensione della memoria pervade la casa-teatrino”. Del resto de Chirico, da grande scenografo, nella Neometafisica valorizza la scena, con quinte teatrali e l’assemblaggio di oggetti.
Come quelli di Claudio Parmeggiani, “fondati sulla dialettica metafisica tra splendore e oscurità”. Mentre Gino De Dominicis condivide con de Chirico “la concezione del tempo che rovescia la contemporaneità per la dimensione atemporale dell’immortalità”; e “la scultura di Mimmo Paladino è sostenuta da “una segreta misura metafisica, dall’incrocio tra enigma e geometria, dal sentimento di una melanconia intellettuale che aleggia sui suoi personaggi, sulle architetture”.
Michelangelo Pistoletto “costruisce un sistema enigmatico di rimandi e riflessioni che, tuttavia, lascia aperto l’enigma di uno specchio che può riflettere ogni cosa ma non sé stesso”, e dice: “Se l’arte è lo specchio della vita io sono lo specchiaio. Sono diventato prestigiatore: dentro ad uno specchio tagliato in due sono apparsi tanti specchi quanti sono i numeri possibili, fino all’infinito”. Alessandro Mendini “ha riconosciuto una radice metafisica nel suo lavoro”, e Luigi Ontani “ha precorso anche ironicamente l’uso della citazione nell’arte contemporanea” di marca dechirichiana, così come Salvo con modalità diverse.
L’assemblaggio negli interni, l’accumulo di squadre da disegno e altri oggetti ha interessato Lucio del Pezzo ispirandogli opere in cui, tra pittura, scultura e installazione, materializza l’enigma dechirichiano. E Ugo Nespolo ospita de Chirico nei suoi Musei immaginari nel cui labirinto la Neometafisica si unisce al fumetto e insieme alla tradizione del Rinascimento, al puzzle e alle tarsie “in un percorso felice e luminoso dove la pittura diviene una festa dello sguardo”.
Mentre Ezio Gribaudo, sodale di de Chirico e ideatore-editore di libri su di lui, gli ha reso omaggio come artista in un linguaggio Pop citando opere metafisiche e neometafisiche in composizioni cromatiche vibranti. Si ispira alla metafisica anche Valerio Adami, che si confronta con il Pop e il fumetto “in un sistema iconografico che trova in de Chirico una delle sue radici”.
Concetto Pozzati, all’insegna di una “restaurazione dei valori” fondata sui grandi Maestri italici in un palcoscenico metafisico, “modulando bianco e nero e colore, scrittura e pittura”, realizza “la visione quasi allucinata di un omaggio a de Chirico come caposcuola della grande arte moderna italiana”. E Fabrizio Clerici viene indicato come il “prosecutore della metafisica” dagli anni ’40, con Alberto Savinio, fratello di de Chirico, mediante “una pittura di grande forza visionaria e di severo rigore costruttivo”; anche il figlio di Alberto, Ruggero Savinio, suo nipote, si rifà alla metafisica con ambienti “dall’atmosfera sospesa” dove domina “il senso di un’attesa inesplicabile”.
Clerici è amico di de Chirico e di Renato Guttuso, che ne ha sostenuto la grandezza e la paternità della Metafisica – “la ‘metafisica’ è de Chirico e da lui parte, dal profondo de Chirico” – inoltre gli ha dedicato un ritratto e lo ha raffigurato nel grande dipinto “Caffè Greco”, mentre in “La visita della sera” crea “un’atmosfera di misteriosa e inesplicabile sospensione” di chiara marca metafisica.
Infine dei fotografi, che riproducono la “sospensione temporale delle piazze di de Chirico e la loro visione architettonica”. Alcuni nomi: Gabriele Basilico e Luigi Ghirri, Franco Fontana e Claudio Abate, che ne ha ricavato il “profilo segreto” nel contorno bianco mentre emerge dal buio.
Concludiamo questa rapida carrellata sugli artisti contemporanei che hanno sentito l’influsso di de Chirico e della sua Metafisica e Neometafisica, nella quale le citazioni sono da Canova, con le sue conclusioni, da curatore della mostra, a proposito della “felice stagione metafisica” di “de Chirico, Metafisico, Neometafisico, Contemporaneo”: “Alla fine del suo percorso de Chirico celebra così il trofeo stesso della sua opera, erigendo il monumento trionfale alla sua lotta di gladiatore monomonaco al centro dell’arena dell’arte, pronto per essere riscoperto come precursore delle generazioni a venire, aprendo al futuro tutti i suoi ritorni nella curva del tempo”.
Un tempo breve per il nostro ritorno sulla mostra, prossimamente la descrizione delle opere esposte, sue e dei contemporanei che a lui si sono ispirati nei modi più diversi.
Info
Torino, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Catalogo “Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro” , a cura di Lorenzo Canova e Riccardo Passoni, Gangemi Editore International, aprile 2019, pp. 192; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Si tratta della terza parte della trilogia su de Chirico nel quarantennale della scomparsa, a questo primo articolo ne seguiranno 2 che usciranno il 27 e 29 settembre e concluderanno l’intera trilogia. Per la seconda parte della trilogia, sulla mostra di Genova, i nostri 3 articoli sono usciti il 18, 20, 22 settembre; per la prima parte della trilogia, basata sulla ricerca di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560, i nostri 7 articoli, sempre in questo sito, sono usciti il 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15 settembre 2019. Cfr. i nostri articoli precedenti su de Chirico: in www.arteculturaoggi.com, nel 2016, “De Chirico, tra arte e filosofia nel trentennale della Fondazione” 17 dicembre; “De Chirico, e la Fondazione, la realtà profanata tra filosofia e pittura” 21 dicembre; sulle mostre: nel 2015, “De Chirico, a Campobasso la gioiosa Metafisica” 1° marzo, nel 2013 a Montepulciano, “L’enigma del ritratto” 20 giugno, “I Ritratti classici” 26 giugno, i “Ritratti fantastici” 1° luglio; in “cultura.inabruzzo.it: nel 2009 sulle mostre a Roma “I disegni di de Chirico e la magia della linea” 27 agosto, a Teramo “De Chirico e altri grandi artisti del ‘900 italiano” 23 settembre, a Roma “De Chirico e il Museo” 22 dicembre; nel 2010 a Roma “De Chirico e la natura”, tre articoli l’8, il 10 e l’11 luglio, e la mostra parallela, “L”Enigma dell’ora’ di Paolini, con de Chirico al Palazzo Esposizioni” 10 luglio (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, comunque forniti a richiesta); in “Metafisica”, “Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, n. 11/13 del 2013, a stampa “De Chirico e la natura. O l’esistenza? Palazzo Esposizioni di Roma 2010”, pp. 403-418, anche nell’edizione inglese dei “Quaderni”, “Metaphysical Art”, n. 11-13 del 2013, “De Chirico and Nature.Or Existence? The Exhibition at Palazzo Esposizioni Rome 2010”, pp. 371-386. Sugli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com Ovidio 1, 6, 11 gennaio 2019, Guttuso 14, 16, 30 luglio 2018, 16 ottobre 2017, 27 settembre, 2, 4 ottobre 2016, 25, 30 gennaio 2013, Futuristi 7 marzo 2018, Adami 16 gennaio e 12 marzo 2017, Impressionisti 5 febbraio, 12, 18, 27 gennaio 2016, Espressionisti 27 gennaio 2016, Patella 18 aprile 2015, Warhol 15, 22 settembre 2014, Duchamp 16 gennaio 2014, Fioroni 1° gennaio 2014, Angeli 31 luglio 2013, Cubisti 16 maggio 2013; Tiziano 10, 15 maggio 2013, Pistoletto 11 aprile 2013, Abate 2 gennaio 2013, Pop Art 29 novembre 2012, Marotta 13 ottobre 2012: in cultura.inabruzzo.it , Irripetibili anni ’60, 3 articoli 28 luglio 2010, Schifano, 15 maggio 2011, Paolini 10 luglio 2010, Impressionisti 27, 29 giugno 2010, Dada e surrealisti 6, 7 febbraio 2010, Futuristi 30 aprile, 1° settembre 2009, 2 febbraio 2010; in www.archeorivista.it, Paladino 26 gennaio 2011 (i due ultimi siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini delle opere sono tratte dal Catalogo della mostra sopra citato, si ringraziano l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta; riguardano le diverse sezioni della mostra commentate in modo specifico nei due articoli successivi e sono inserite facendo precedere, ove possibile, l’opera di de Chirico a quella o quelle di artisti riferiti a lui. In apertura, Giorgio de Chirico, “Il pensatore” 1973; seguono, “Giorgio de Chirico, “La tristezza della primavera” 1970, e Luigi Ontani, “Campo DioscuriDe ChiricoS’AVInio” 2017; poi, Concetto Pozzati, “Dal ciclo restauratore, Trovatore da e per de Chirico” 1972, e Giorgio de Chirico, “Poesia d’estate” “1970; quindi, Tano Festa, “Piazza d’Italia” 1977, e Franco Angeli, “”Sabaudia” 1986-88; inoltre, Philip Guston, “Untitled (Wall)” 1971, e Giorgio de Chirico, “Frutta con busto di Apollo” 1973; ancora, Valerio Adami, “Pour Vous Madame, Pour Vous Monsieur” 1964, e Claudio Parmiggiani, “Senza titolo” 1988; continua, Giosetta Fioroni, “”Casa: interno familiare” 1969, e Fausto Melotti, “La Ballata del Cervo” 1979; infine, Juan Munoz, “‘Pelotaris (Yellow Eyes” 1999 e, in chiusura, Claudio Abate, “Giorgio de Chrico 20.12.72 ore 22.23. Contatto con la superficie sensibile” 1972 (anno di stampa 2001).
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