di Romano Maria Levante
Proseguiamo il racconto della mostra “Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro, Neometafisica e Arte contemporanea”, svoltasi a Torino dal 19 aprile al 25 agosto 2019 alla GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, organizzata dalla GAM, direttore Riccardo Passoni, con “Metamorfosi”, presidente Pietro Folena, e la “Fondazione Giorgio e Isa de Chirico”, presidente Pietro Picozza. a cura di Lorenzo Canova, membro del Consiglio scientifico della Fondazione, e di Riccardo Passoni, della GAM, che hanno curato anche il Catalogo della Gangemi Editore International Arte.
E’ la terza parte della trilogia dechirichiana nel quarantennale della morte, e nel centenario del “Ritorno all’ordine” della classicità, ne abbiamo già delineato i contenuti, ora passiamo in rassegna la galleria di opere esposte nelle 5 sezioni: le prime due sulle opere metafisiche di de Chirico ispiratrici di citazioni e riferimenti contenuti nelle opere di altri artisti raggruppate nelle altre sezioni, con ritorni su de Chirico scultore e impareggiabile creatore di spunti sempre nuovi e intriganti per altre interpretazioni.
Abbiamo ripercorso in precedenza l’itinerario che porta de Chirico alla Neometafisica nel corso degli anni ‘60, la riproposizione in forme diverse e con una differente resa cromatica e pittorica dei contenuti della prima Metafisica, che risale a mezzo secolo più indietro – cosa di per sé straordinaria – con le “Piazze d’Italia” e i “manichini”, gli “interni ferraresi” e gli “archeologi”.
Così definisce questo itinerario Riccardo Passoni, direttore della GAM e curatore della mostra con Lorenzo Canova: “Da questo lungo percorso di conferma e di verifica del sé, nasceranno nei suoi quadri in questa fase finale nuovi arricchimenti e travestimenti compositivi, sia in esterni sia in interni. Arricchimenti di informazioni visive, messi alla prova in iconografie proliferanti, compaiono in opere che non rinunciano agli antichi schemi compositivi”. Questo per i contenuti, ed ecco come nascono nell’artista in modo nuovo e come sono espressi in una tecnica pittorica adeguata al diverso “animus”: “De Chirico li intride di nuova ironia, e di quella giocosità su cui ha insistito la critica recente, rimarcando al contempo il cambio di timbro dei colori, il rischiaramento di una tavolozza scelto per una pittura non più gravida di ansie, ma che si voleva divertire – verrebbe da dire – alla prova della reazione del fruitore”.
Non si sente più l’inquietudine e la sospensione della prima Metafisica dinanzi all’enigma e al mistero, d’altra parte l’origine è ben diversa. De Chirico parla di “evoluzione di visioni, apparenze e sensi reconditi di quei soggetti che ho eseguito prima, per molti anni”. E ne precisa contenuti e forme espressive: “Queste visioni dei quadri da me dipinti da alcuni anni mi si presentano in vari modi. A volte in stato di perfetta coscienza, guardando, magari, un quadro della mia produzione precedente, e pensando: ecco, quel personaggio potrebbe essere molto più chiaro di colore, la camera dove si trovano uno o più personaggi potrebbe pure essere di una tonalità più chiara e sulla parete di destra potrebbe esserci una finestra, o un vano, dal quale si sorgerebbe un po’ di cielo, con delle nubi, e qualche edificio di una città immaginaria”. Poi aggiunge: “A volte anche queste visioni dei quadri di questi ultimi anni mi si presentano di notte, ma non proprio in sogno, ma in quello stato di semi incoscienza che precede il sogno”. La matrice onirica in lui è sempre presente.
D’altra parte, quando nasce la Neometafisica c’è il ritorno generale alla figurazione, sia pure nelle forme provocatrici del neo.dadaismo e della Pop Art, e in questo contesto – afferma sempre Passoni – “De Chirico è il modello, non l’epigono tardivo di tante situazioni, che pure a lui furono senz’altro debitrici… Perché la sua pittura rappresentativa, con il suo carico di messaggi, anche anti-naturalisti, indicava sin da subito un nuovo paradigma fortissimo di svolta anti Informale”.
La galleria espositiva presenta gli artisti con le opere “debitrici” verso de Chirico, in collegamento con la Neometafisica e con altri aspetti della sua attività poliedrica, scultura compresa, in una sequenza così precisata dal curatore: “Il nostro percorso si snoderà dalla citazione esplicita, diretta, al pretesto intelligente; da una riflessione sul senso dello spazio, anche secondo una resa tridimensionale, alla sosta degli aspetti più misteriosi e sfuggenti dell’opera del grande maestro-interlocutore: fino all’interrogazione sul sé, da parte dell’artefice contemporaneo: sé fisico, sé mentale, e di riflesso su forza e limiti dell’operare artisticamente, sulla possibilità o meno di incidere nel mondo”. Delle 6 sezioni, la 1^ é riservata a de Chirico, nelle altre ci sono sue opere ed opere di artisti contemporanei a lui “debitori”.
La Neometafisica nelle 9 opere della 1^ sezione
La 1^ sezione presenta “Giorgio de Chirico Neometafisico”, con la sfilata di 9 dipinti nei quali, come in una anteprima teatrale, vengono riproposti alcuni dei suoi principali motivi.
“Orfeo Trovatore stanco” , 1970, li riassume idealmente raffigurando, tra un sipario teatrale aperto e le squadre-righelli della metafisica “ferrarese”, il “manichino” dalla testa ad uovo seduto con il torace ricettivo di oggetti come negli “Archeologi”, le arcate delle “Piazze d’Italia” e lo sfondo lontano con torre ed edifici. Dello stesso anno “La tristezza della primavera”, in cui possiamo trovare la “nuova ironia” di cui ha parlato Passoni, essendovi tutt’altro che la tristezza del titolo nel grande albero della vasta apertura nel fondo; inoltre, dietro al “manichino” seduto spunta una testa a uovo e un braccio, per sorprendere o scherzare, con un secondo albero dietro una piccola finestra.
Altro “manichino” seduto “Il pensatore”, 1973, nel corpo un assemblaggio di oggetti, una colonna e una testa scolpita, libri e altro, a sinistra le arcate, a destra l’ingresso di un tempio, elementi evocativi dell’enigma e del mistero ma senza sospensione e inquietudine. Anche per “Il meditatore”, 1971, figura seduta e umanizzata nella testa, non più ad uovo da “manichino”, pur nell’inconsueto viluppo che ricopre il corpo e nella chiusura in uno spazio ristretto, il potenziale effetto inquietante e claustrofobico è alleggerito dalla finestrella con l’azzurro del cielo e le nuvolette bianche.
Dalla finestrella sul cielo alla totale apertura paesaggistica sul mare blu sotto un cielo azzurro che scolora all’orizzonte in “Frutta con busto di Apollo”, 1973, in primo piano mele e banane, un uovo e un melograno, un piccolo grappolo d’uva con acini sparsi e un grande ananas, una vera “vita silente” piuttosto che “natura morta” sotto gli occhi di Apollo, il dio vaticinatore la cui testa pensante è sulla destra.
“Bagni misteriosi” è dello stesso 1973, anche qui ampia apertura sul cielo con le consuete nuvolette orizzontali e l’immersione dei due bagnati nudi e “in carne” nell’acqua-parquet caratteristica di questa creazione, tra colonne smozzicate e altre evocazioni. Nell’anno successivo abbiamo “Il nuotatore nel bagno misterioso”, un torso michelangiolesco che nuota nell’acqua-parquet, l’ambiente ristretto e senza aperture, dopo l’”en plein air” dei “Bagni” del 1973, sarebbe claustrofobico se non fosse alleggerito dal cigno in primo piano, tra l’altro non bianco ma a strisce colorate, come conferma anche in questo caso dell’approccio ironico e gioioso della Neometafisica.
Del resto, del 1974 abbiamo altre due opere esposte a chiusura della sezione, entrambe in uno scenario aperto e in un clima euforico. “Cavalli antichi di Apollo” , si intitola il dipinto con una coppia di destrieri che scalpitano rampanti da stemma araldico, tra ruderi di colonne e la facciata di un piccolo tempio. “Trofeo con testa e tempio” l’apoteosi finale con una sorta di “totem” eretto sulla trabeazione di un tempio antico con una testa di statua greca, squadre da disegno e altri oggetti in un fitto assemblaggio che culmina in tre mani protese, due dal pugno chiuso a braccio nudo, una con le cinque dita aperte, in carattere con il titolo; la piattaforma lignea del “trofeo” domina una pianura con dei templi, verso un orizzonte sempre più luminoso sotto un cielo azzurro intenso.
Le “Citazioni”, 20 opere nella 2^ sezione
Presentato così il de Chirico neometafisico, nella 2^ sezione con le “Citazioni” si entra nel vivo dell’influenza che ha avuto sulle avanguardie dell’epoca, facendo precedere le opere “debitrici” da quelle cui si riferiscono o che hanno inciso maggiormente sull’ispirazione degli autori.
“Ettore e Andromaca davanti a Troia”, 1968, è una prova ulteriore del carattere nuovo della Neometafisica, la composizione è ben diversa dalle figure ingessate di “Ettore e Andromaca” della metafisica precedente, i due “manichini” in primo piano hanno le bocche spalancate come se cantassero, dietro una selva di lance, un tempio e le mura sotto un cielo azzurro con le nuvolette che si scolora nell’orizzonte, un’immagine gioiosa, sulla sinistra in basso il figlioletto Astianatte; e pensare che Ettore sarebbe andato al duello mortale con Achille senza scampo – “periremo, ma gloriosi, e alle future genti qualche bel fatto porterà il mio nome”, le sue parole – ed è struggente l'”Addio di Ettore ad Andromaca” con il confronto tra i valori della famiglia che premono in lei e quelli della patria e dell’onore che premono in lui. Di quest’opera troviamo una “citazione” fedele in “Omaggio a de Chirico” di Ezio Gribaudo – editore e collezionista d’arte, oltre che artista presente in mostre personali e collettive dall’inizio degli anni 50 – con un primo piano del gioioso “Ettore e Andromaca” della Neometafisica tra altre figure evocative.
Ma anche la “Piazza d’Italia” diventa “Poesia d’estate” , 1970, arcate e torre, ombre lunghe e treno sbuffante, con la statua di Arianna distesa al centro, ma c’è una figura rassicurante sotto la grande arcata di destra che non fa avvertire la solitudine e la sospensione, l’enigma è risolto. Ne vediamo “citazioni” molto particolari nella visione di Mario Schifano – poliedrico tra cinema, musica e pittura, tra i fondatori della Scuola di Piazza del Popolo, inquieto tra monocromie e colori brillanti fino alla multimedialità – in “Senza titolo”, 1972, una delle 4 immagini fotografiche riprese dalla televisione mostra la statua di Arianna in primo piano e il treno sbuffante sullo sfondo, cui si aggiunge una grande bottiglia a sinistra. La più sorprendente è un’opera recente, del 2012, dominata dall’immagine della diva, novella Arianna al centro della “Piazza d’Italia”, ma tutt’altro che distesa e sconsolata, eretta, le mani dietro la testa in bikini, nella sua prorompente e provocatrice bellezza, si tratta di “Portrait of Sophia Loren starring in ‘Presente e Passato’ (After de Chirico)”. 2012, collage di carta, stampa e getto d’inchiostro su tela e ricamo metallico.
Del 1971 ”Interno metafisico con palla e biscotti”, ben più arioso degli interni “ferraresi” nei quali si sentiva l’incubo della guerra alle porte, qui la fuga delle forme triangolari di tonalità chiara del soffitto dà respiro alla scena; mentre ”Interno metafisico con sole spento” , e anche “luna spenta”, tra le squadre “ferraresi”, è ravvivato dal sole dardeggiante e dalla luna luminosa delle due grandi finestre laterali, con il cielo azzurro e gli edifici; è il sole che troviamo in un’altra fotografia dell’opera di Schifano appena citata.
Sono del 1973 due coppie di “manichini”, quelli solo accennati da sagome lignee senza volume di “Le muse della lirica” dove la muse sono evocate dalla lira con il profilo del dio; e i “manichini” veri e propri, dalle teste a uovo e l’occhio divinatorio, con “incorporati” templi ed altro, di “Il dialogo misterioso”. In entrambi ampi squarci di esterno aperto tra tende teatrali. Il “manichino” è immortalato da Mario Schifano in “Maestro italiano del 900”, 1976, uno smalto su tela e plexiglas con la testa a uovo tra squadre “ferraresi” in un tripudio di violenti colori.
Dopo questa reiterata “introduzione” metafisica, con “Le muse inquietanti”, versione del 1947 – quindi un quarto di secolo prima delle opere ora ricordate – inizia la serie dei lavori dei contemporanei ispirati direttamente alla metafisica. L’ispirazione più diretta e autorevole a questa fondamentale opera metafisica è quella di Andy Warhol – personalità eccentrica ed eclettica, tra i massimi esponenti della Pop Art – il quale ne fa una quadruplice replica cromatica sull’onda delle repliche dechirichiane, riconoscendogli esplicitamente il valore della sua scelta seriale tanto contrastata dai surrealisti.
Mimmo Rotella – innovatore con il “decollage”, manifesti strappati poi incollati sulla tela in forme varie – presenta la sagoma dai contorni marcati di un manichino su una colonna tra brandelli di carta intitolato significativamente “De Chirico”, 1988; intitola “Giorgio de Chirico” l’omaggio di una sorta di statua con il suo nome delineata dai soli contorni su un piedistallo. La musa moderna impersonata in una diva nel recente “Portrait of Sophia Loren as the Muse od Antiquity (After Giorgio de Chirico)”, 2011, di Francesco Vezzoli – che esprime la cultura popolare in varie forme utilizzando personaggi dello spettacolo quali star dell’effimero mediatico – figura statuaria con le “incorporazioni” degli “Archeologi” e l’innesto su una colonna come “musa inquietante”, con arcate e sfondo da “Piazza d’Italia”, due dei più celebri archetipi metafisici celebrati contemporaneamente.
Con “Mobili nella valle” , 1968, di de Chirico, troviamo la”ripetizione”, avente lo stesso titolo, ispirata a precedenti sue opere sul tema, di Mario Ceroli – fautore dell’“arte povera” con l’uso di materiali naturali per esprimere la realtà e l’ambiente in cui si svolge la vita quotidiana – che presenta dei veri mobili lignei, in una sorta di “ready made” ispirata dal Maestro.
“Il ventilatore”, 1972, di Emilio Tadini – scrittore e saggista oltre che pittore con una solida base teorica alle sue figurazioni improntate all’oggettività – evoca, nell’”Archeologia” della modernità le origini del “sole spento” dal ventilatore della Marelli, mentre “Dal ciclo restaurazione, Trovatore da e per de Chirico”, 1973, di Concetto Pozzati – dalla pubblicità alla pittura, dalla Pop art a figurazioni ironiche con riflessi metafisici, surrealisti e tradizionali – emerge un vero “manichino” dechirichiano in bianco-nero.
Per ultime, due “citazioni” di concezione opposta. La prima è la successione di capolavori immaginari tra cui la citazione dechirichiana di Ugo Nespolo – tra Pop Art e dadaismo ha esplorato il rapporto tra arte e immagine con approccio ludico e trasgressivo – dal titolo “Al Museo in volo & a zompi”, 1991; la seconda il monolitico totem di Luigi Ontani – sperimentatore in vari generi d’arte, autore e modello, “tableau vivant” con il proprio corpo – “Canopo Dioscuri DeChirico S’AVinio” con delineate immagini delle opere dei due fratelli, spicca la celebre immagine metafisica della bimba che corre con il cerchio.
Le “Derive”, la 3^ sezione con 25 opere
La galleria di de Chirico con i suoi epigoni prosegue con la 3^ sezione sulle “Derive”, 25 opere tra cui 9 di de Chirico e 16 degli artisti che hanno fatto riferimento a lui. La gioiosa Neometafisica torna all’aperto con “I giocattoli del principe”, 1960, oggetti stravaganti in una “Piazza d’Italia” con arcate ma senza statua, e “La torre”, 1968, in primo piano imponente a quattro piani; al chiuso con due “Interni metafisici”, uno “.. con profilo di statua”, 1962, l’altro “… con nudo anatomico”, 1968, entrambe le figure del titolo sono inserite in una visione verso l’esterno, cui si aggiunge, nel secondo, una finestra con vista sull’officina, che tolgono ogni senso claustrofobico.
Anche i Gladiatori sono rappresentati in modo più aperto di quelli originari, addirittura abbiamo “Quattro gladiatori nella stanza con vista del Colosseo”, 1965, e “Combattimento di gladiatori”, 1969, in una rotonda molto teatrale. Ma poi “Gladiatore nell’arena”, 1975, ce lo presenta nel Colosseo non nella consueta veste umana, ma con la reincarnazione del “manichino” nella testa a uovo divinatorio sia pure con la carne e i muscoli in vista. Fino ai due enigmi, “Il segreto del castello”, fine anni ’60, e “Mistero di una stanza d’albergo a Venezia”, 1974, nel primo alle due tetre costruzioni sulla destra si contrappongono gli oggetti in primo piano e il ghirigoro sulla sinistra, che fanno svanire ogni incubo, mentre nel secondo una sorta di Ebdomeros si muove tra pannelli arabescati dietro una sorta di sipario teatrale spalancato.
I riferimenti più espliciti sono quelli di Henry Moore – il grande scultore dai costanti riferimenti a maternità, mito e storia, in una integrazione della forma tra interno ed esterno – con “Nuclear Energy”, che richiama la testa di “manichino”, è del 1964 ma Moore ha dialogato con de Chirico addirittura dagli anni ’30; e di Salvo (Salvatore Mangione) – dall’“arte povera” all’“arte concettuale” fino a una “pittura dei luoghi”, dalle valli alle pianure – con i suoi “Gladiatori” del 1968 e il classicheggiante “Ippolito e Fedra” del 1977, che richiama Ovidio oltre de Chirico.
Altri riferimenti diretti si riscontrano in Franco Angeli – che con altri artisti, in un legame anche esistenziale, creò la Scuola di Piazza del Popolo, impegnato nel superamento dell’informale per meglio interpretare il suo tempo – il quale in “Sabaudia”, 1986-88, mostra la torre e la falce di luna nera indubbiamente dechirichiane; e nei due “Presence Absence, Roma Eur”, 1979, di Franco Fontana – fotografo tra i primi a usare il colore non come mezzo ma come messaggio, impegnato nella ricerca sul paesaggio e lo spazio urbano nei suoi aspetti reali e onirici – che presenta, con i loro elementi metafisici, le arcate e le statue del “Colosseo quadrato”, le ombre lunghe e l’atmosfera sospesa. Tano Festa – altro fondatore della Scuola romana di Piazza del Popolo che riportò alla figurazione dopo le avanguardie iconoclaste – addirittura intitola “Piazza d’Italia 1977” la sua versione quasi evanescente del tema del Maestro, con arcate e torri, che troviamo anche nella stampa fotografica di Gabriele Basilico – il più noto fotografo di paesaggi urbani documentati nel loro valore identitario e nei loro mutamenti, fino alle grandi metropoli – intitolata “Milano”, 2003, due grandi palazzi con al centro un monumento, “mutatis mutandis” una piazza metafisica .
Più indirette altre “derive”, come “Pour Vous Madame, Pour Vous Monsieur”, 1964, di Valerio Adami – narratore figurativo ispirato ai fumetti con un disegno preciso e un cromatismo uniforme per interni moderni e spersonalizzati – è un occhio metafisico in una sovrapposizione bianca su una misteriosa figura rosa, e “Rosso Veneziano”, 1965, di Lucio del Pezzo – originale nell’astrazione formale delle sue opere, animate da ironia e senso ludico dell’arte – una fila di oggetti allineati che richiamano quelli “ferraresi”; “Unititled (Wall)”, 1971, di Philip Guston – pittura ideologica e di critica sociale la sua, che si muove tra la rappresentatività della figurazione e l’essenzialità dell’astrazione – è un muro evocativo nel suo rosa sfumato, con sopra dei reperti, è un artista molto legato a de Chirico; “Senza titolo”, 1986, un’immagine da interno di Alessandro Mendini – tra architettura, design e arte, progettista teorico e realizzatore di oggetti e mobili, pitture e istallazioni – con segni che richiamano le forme di Capogrossi e le lingue dei “Rolling Stones”.
Infine le opere degli anni ’80 di Luca Patella – anticipatore di “Land Art” e “Arte concettuale”, tra i primi nella multimedialità e nella gestualità delle “performance”, impegnato nell’interazione tra i vari linguaggi e i loro simboli – che invece citano direttamente de Chirico nei titoli, “Vaso fisiognomico di Giorgio de Chirico” che come l’analogo dedicato a Marcel Duchamp ne riproduce il profilo, e “Bauli ballanti Dech (de Chirico) e Duch (Duchamp”, ancora associati nell’omaggio dell’artista, per i bauli il riferimento è al cromatismo, esteso anche alle pareti.
Terminano così le prime 3 sezioni, prossimamente racconteremo le ultime 3 con altre interessanti scoperte.
Info
Torino, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Catalogo “Giorgio de Chirico. Ritorno al futuro” , a cura di Lorenzo Canova e Riccardo Passoni, Gangemi Editore International, aprile 2019, pp. 192; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Si tratta della terza parte della trilogia su de Chirico nel quarantennale della scomparsa, dopo questo 2° articolo, che segue il 1° uscito il 25 settembre, ci sarà la conclusione dell”intera trilogia con il 3° articolo del 29 settembre 2019. Per la seconda parte della trilogia, sulla mostra di Genova, i nostri 3 articoli sono usciti il 18, 20, 22 settembre; per la prima parte della trilogia, basata sulla ricerca di Fabio Benzi, “Giorgio de Chirico. La vita e l’opera”, La nave di Teseo, maggio 2019, pp. 560, i nostri 7 articoli, sempre in questo sito, sono usciti il 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15 settembre 2019. Per i nostri articoli precedenti su de Chirico degli anni 2016 e 2015, 2013 e 2010 cfr. le citazioni riportate in Info del primo articolo sulla mostra, del 25 settembre. Sugli artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, Patella 18 aprile 2015, Warhol 15, 22 settembre 2014, Duchamp 16 gennaio 2014, Angeli 31 luglio 2013; in cultura.inabruzzo.it su Schifano 15 maggio 2011, per l’aspetto onirico,Teatro del sogno 7 novembre, 1° dicembre 2010, Dada e surrealisti 6, 7 febbraio 2010.
Foto
Le immagini delle opere sono tratte dal Catalogo della mostra sopra citato, si ringraziano l’Editore e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta; riguardano le prime 3 sezioni della mostra commentate nel testo e sono inserite facendo precedere, ove possibile, l’opera di de Chirico a quella o quelle di artisti riferiti a lui. In apertura, Giorgio de Chirico, “Ettore e Andromaca davanti a Troia” 1968; seguono, Enzo Gribaudo, “Omaggio a de Chirico” 1968, e Giorgio de Chirico, “Le muse inquietanti” 1947; poi, Mimmo Rotella, “De Chirico” 1988, e Francesco Vezzoli, “Portrait of Sophia Loren as the Muse of Antiquity (After Giorgio de Chirico)” 2011; quindi, Andy Warhol, “The Disquieting Muses (After de Chirico)” 1982, e Giorgio de Chirico, “Gladiatore nell’arena” 1975; inoltre, Franco Fontana, “Presence Absence, Roma EUR” 1979, e Giorgio de Chirico, “Le maschere” 1970; ancora, Mario Schifano, “Maestro italiano del 900” 1976, e Henry Moore, “”Nuclear Energy” 1964; continua, Giorgio de Chirico, “Quattro gladiatori nella stanza con vista del Colosseo” 1965, e Salvo (Salvatore Mangione), “Gladiatori” 1978; infine Giorgio de Chirico, “Mobili nella valle” 1968 e, in chiusura, Mario Ceroli, “I mobili nella valle” 1965.
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