di Romano Maria Levante
Riceviamo ora da Comin & Partners: “Caro collega, si è svolto ieri sera, 21 ottobre, al Teatro Quirino di Roma il reading dedicato alle poesie del Prof. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Presidente Onorario della Fondazione Roma. Geppy Gleijeses, Marisa Laurito e Andrea Giordana hanno letto alternativamente 15 tra le più belle e toccanti poesie tratte dalle raccolte ‘Pietre e vento’ e ‘La goccia e lo stelo’ del Prof. Emanuele, insignito di recente del ‘Premio Montale fuori di Casa 2019 – sezione Mediterraneo per la poesia’. In calce e in allegato la nota stampa e alcune immagini. Grazie per l’attenzione e un cordiale saluto, Comin & Partners.” Peccato non aver ricevuto l’invito alla serata, la nota stampa fornisce le notizie essenziali, ma non può rendere l’atmosfera e la magia delle poesie di Emanuele recitate da Geppy Gleijeses, Marisa Lurito e Andrea Giordana. Tre grandi attori, il primo dei quali protagonista del precedente recital nove anni prima, il 20 ottobre 2010. Con lui c’erano Marianella Bargilli e un’altra coppia di grandi attori, Paola Gassman e Ugo Pagliai. Di quella serata riportiamo la nostra cronaca pubblicata allora; della serata di ieri riportiamo il comunicato di Comin & Partners e le immagini che inseriamo in un mix del testo della serata di allora con le fotografie della serata di ieri e con in più fotografie del poeta Emanuele nella serata del Premio Montale e nelle maratone poetiche dei “Ritratti di poesia” nelle quali consegna i premi per la Poesia internazionale e la Poesia nazionale.
“22 ottobre 2019. Le poesie di Emmanuele Emanuele al Teatro Quirino di Roma – Reading di poesie del Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Presidente Onorario della Fondazione Roma, ieri sera al Teatro Quirino di Roma. Di fronte ad una sala gremita per l’occasione, i tre attori Geppy Gleijeses, Marisa Laurito e Andrea Giordana hanno letto alternativamente 15 tra le più belle e toccanti poesie tratte dalle raccolte ‘Pietre e vento’ e ‘La goccia e lo stelo’ del Prof. Emanuele, il quale oltre ad essere avvocato, docente universitario, economista, filantropo e mecenate, è anche scrittore e poeta di successo, essendo stato recentemente insignito, tra gli altri riconoscimenti letterari ricevuti nel corso della sua carriera, del ‘Premio Montale fuori di Casa 2019 – sezione Mediterraneo per la poesia’. Il reading è stato impreziosito dalle suggestive immagini di sfondo del video-artist Gianluca Rame, su musiche di Ludovico Einaudi. Momenti di sincera commozione in sala quando il Prof. Emanuele, dopo i ringraziamenti di rito, ha chiesto all’amico Gleijeses di leggere due inediti, tratti dall’ultima sua raccolta ‘Il sole dentro’ che ancora dev’essere data alle stampe. Cocktail a seguire nel foyer del teatro, fino a tarda sera”. Questo ieri, ed ora il precedente spettacolo, 20 ottobre 2010.
Come eravamo, le poesie di Emanuele al Quirino nove anni fa
Al Teatro Quirino di Roma la sera del 20 ottobre 2010 uno spettacolo fuori dal comune, la poesia divenuta teatro ed emozione con le letture poetiche dei versi di Emmanuele Francesco Maria Emanuele, che non ha bisogno di presentazione per chi si appassiona all’economia e alla finanza e per chi ama l’arte: è il “dominus” delle Scuderie del Quirinale e del Palazzo delle Esposizioni, della Fondazione Roma e di altre istituzioni culturali per non parlare di quelle economiche e finanziarie, ed anche delle iniziative in campo sociale con il Terzo settore.
Una serata speciale in un Quirino affollato e partecipe, un vero teatro realizzato attraverso la poesia. Non una delle consuete letture poetiche, ma qualcosa di diverso, anzi molto di più. Sarà stato il palcoscenico, al posto delle normali sale utilizzate per tali occasioni, sarà stato il buio della platea e l’occhio di bue sul lettore di turno, saranno stati gli attori di grido che si sono succeduti alla ribalta a dare la marcia in più alla serata. Ma questi ingredienti scenici erano il contorno, pur se prelibato, del piatto forte: la poesia di Emanuele resa ancora più viva da immagini che scorrevano sullo schermo.
Non un semplice sfondo, ma un vero controcanto con le emozioni visive a corredo delle parole e relativa musica. Un abbinamento che non era mai capitato di vedere con toni e stimoli così suggestivi, in grado non solo di rendere i luoghi e gli ambienti, ma anche di interpretare l’animo del poeta. Di volta in volta sferzato dal vento o abbagliato dalle luci, nel rincorrersi tra montagne che il vento aveva scavato creando immagini antropomorfe o tra le acque impetuose, le sabbie e i vulcani, i declivi e gli abissi. Che erano poi le discese e le risalite, le cadute e i voli del canto poetico.
E’ stata una fortuna assistere a questo spettacolo, con l’ulteriore fortuna di poterlo vivere a fianco di Giuliana Lojodice, e nell’attesa rievocare con lei il mitico sceneggiato “Una tragedia americana”, il suo personaggio di Roberta, antagonista di Sondra, la sfavillante Virna Lisi verso la quale l’attrice ha parole di ammirazione; e poi gli “Oscar del teatro” di cui è stata protagonista – chissà se ci saranno ancora dopo la triste sorte dell’ETI! – e tanti momenti della grande carriera di una interprete e di una coppia straordinaria, Giuliana e Aroldo, compresi i suoi recenti lavori con un regista bravo ed esigente come Sepe; fino allo spettacolo del 22 novembre prossimo all’Eliseo, unico non solo perché si esaurisce in una sola serata ma per la sua forte valenza scenica e artistica.
Scende, dunque, il buio in platea, davanti a due leggii posti agli estremi del palcoscenico, si avvicendano gli attori, e che attori! Paola Gassman e Ugo Pagliai, Geppy Gleijeses e Marianella Bargilli, due coppie molto affiatate, una staffetta di generazioni. Diversi stili interpretativi, che hanno segnato cambi di tonalità e di espressione, quasi a voler marcare i diversi momenti attraversati dal poeta e l’onda di sentimenti che ne scaturiva: il tono pacato e sommesso, tutto interiore di Ugo Pagliai e gli acuti appassionati di Paola Gassman, il vigore e l’intensità interpretativa di Geppy Gleijeses e la leggiadra freschezza vocale e scenica di Marianella Bargilli.
Ogni poesia segnava la fine di un quadro, l’attore tornava dietro le quinte ed entrava in scena il successivo dal lato opposto del palcoscenico; nessun contatto, non era come la staffetta di tipo calcistico dei “Tre tenori”. Una “ronde” incessante di cui si può intuire il ritmo tenendo conto della brevità delle poesie di Emanuele, essenziali nello scolpire le immagini con poche icastiche parole.
Se quelle di Calder, esposte lo scorso anno nel “suo” Palazzo delle Esposizioni”, erano “sculture d’aria”, le immagini create dalla poesia di Emanuele erano di volta in volta sculture di vento e di sabbia, di mare e di cielo, in definitiva sentimenti scolpiti nella natura e dalla natura che li plasmava. Come ciò potesse avvenire lo si vedeva dalle immagini proiettate, una filmografia dei moti dell’animo. Quando Gleijeses alla fine presenterà, per l’applauso del pubblico, Paolo Calafiore autore del filmato – oltre a Ludovico Einaudi per le musiche e altri operatori – Emanuele dirà: “E’ l’Africa come la ricordo io, l’altopiano è riportato com’era e com’è nelle mie poesie”.
E’ in scena la poetessa Maria Luisa Spaziani
Ma lo spettacolo non era terminato, entrava in scena la poetessa Maria Luisa Spaziani, allorché dinanzi alla platea ora illuminata si sono seduti sul palco intorno a lei i quattro interpreti e il poeta Emanuele, che ha dovuto superare la ritrosia a presentarsi in una veste che per pudore non si sente di aggiungere alle altre che indossa con autorevolezza in posizioni di vertice – l’imprenditore e il finanziere, l’intellettuale e lo scrittore, l’operatore culturale e il creatore di grandi eventi artistici – al punto di non aver voluto rilasciare un’intervista sulla poesia: “Io sono tante cose insieme – dice lui stesso – considerarmi anche poeta sarebbe troppo”. Ma non può negarlo, lo considera tale la poetessa per antonomasia, che con fervore giovanile fa una vera e propria orazione celebrativa.
“Il poeta è tutto – dice nel delinearne la figura – mentre le altre attività sono parziali e settoriali, il poeta ha la visione d’insieme”. “Emanuele o Emmanuele – prosegue giocando sulla emme raddoppiata nel nome, come ha fatto Lino Angiuli nell’introduzione scritta alla sua silloge – è imprenditore, banchiere, operatore e tanto altro, lui vorrebbe essere soltanto poeta”. Perché ne conosce il valore e il significato, anche se ne ha il pudore: “Quando la gente sente che qualcuno in aggiunta alle proprie attività è anche poeta – continua la Spaziani – fa un sorrisetto come se fosse marginale, un giochetto tipo le parole incrociate se non una stranezza”. La poesia, invece, è un fatto serio: “E’ un apprendimento della realtà, è un modo di vedere le cose come grandi simboli”.
Ma è anche molto di più: “Se faccio un sogno e poi ne nascono dei versi, quei versi sono il sogno che ha sognato con me. Attraverso la poesia vogliamo che gli altri sognino con noi.”. E, riferendosi alle poesie di Emanuele, aggiunge: “Io ho sognato con lui l’Africa, i suoi deserti e i suoi cactus, la Maremma purtroppo dimenticata e i suoi segreti, i misteri e le favole, Cortina e una storia d’amore”.
Emanuele non è qui il freddo imprenditore, è commosso, ben altro dell’uomo di pietra, non lo è con la sua poesia; ne ha assorbito la sobrietà e il pudore, pur se apre il suo animo ma sempre trattenendosi. Aggiunge solo i ringraziamenti alla poetessa e ai tanti amici che hanno voluto essergli vicini, con un tocco di classe quando evoca la città natale da cui è stato lontano per cinquant’anni, una lontananza voluta per non vederla diversa da come l’aveva vissuta nella fanciullezza; e qui il nostro pensiero corre a “Nuovo Cinema Paradiso” anche se forse non c’è stato un vecchio saggio a dirgli di restarne lontano. C’è voluta l’occasione di un convegno sull’identità mediterranea per riportarlo a Palermo dove ha rivisto quel mondo e si è immedesimato nella poesia che ricorda la “Città”, la ritiene il culmine dei suoi sentimenti: li rappresenta e lo rappresenta fedelmente.
Gleijeses la leggerà da par suo in conclusione, dopo aver fatto un’acuta considerazione: “Come una donna bellissima paga lo scotto di non essere ritenuta intelligente, così un grande imprenditore e uomo di finanza può subire il pregiudizio di non essere ritenuto poeta”. Non è il caso di Emanuele, il riconoscimento gli viene da tante parti, qui riconfermato palesemente dalla Spaziani e dai grandi attori che hanno scelto di fare lo spettacolo solo perché le poesie di Emanuele sono grandi poesie.
Le prime tappe del lungo cammino
La serata termina con il saluto degli amici a Emanuele sempre più commosso; ma non può finire la nostra cronaca senza trasmettere ai lettori qualche favilla degli sprazzi di luce poetica che hanno illuminato la platea del Teatro Quirino. Lo facciamo scegliendo, fra le sue tre agili raccolte di poesie esposte, quella dal titolo eloquente “Un lungo cammino”, non è una silloge episodica ma una vera sequenza di cinquant’anni di ricordi e di emozioni; in una serata nella quale il tono teatrale faceva dimenticare la presentazione libraria abbiamo voluto ricordarla chiedendo la dedica di prammatica.
Ed eccoci ora a sfogliare l’aureo libretto cercando di estrarne e legare parole che riescano a renderne il filo conduttore, il ritmo e l’armonia, la modulazione dei toni e la profondità dei contenuti. La prima poesia che troviamo è quella citata in cui l’autore si riconosce maggiormente, “Città”, è nella sezione dedicata alla terra, anni 1956-58: c’è già un primo percorso di vita nel quale si rispecchia anche quello successivo. Appaiono i segni arcani delle strade più buie dell’infanzia, che si ripetono più tardi nel tempo dell’ansia, tra le occhiaie vuote di vuoti destini e slarghi di rara bellezza. Negli anni del dopo interviene il rimpianto, restano gli squarci di luce improvvisi su vecchi portali, il colore rabbioso dei muri, la polvere opaca, e gente incupita dall’antico dolore di chi vive nel bello e ne muore. E sempre in questo periodo, indietro di mezzo secolo, a San Martino c’è il caldo meriggio che annulla i sogni, negli angoli oscuri in fondo all’anima ansima il petto di grandi speranze che il tempo corrode. L’età dell’infanzia suscita i ricordi più dell’attesa degli anni a venire, quando un viso d’opale diffonde una luce e canti trasmettono parole d’incenso. Dalla terra prorompe la rabbia del Sud, l’antico rancore per quel che non fu, per quel che non è, le vane speranze di vite diverse e diverso futuro; in un mare che è ostile seppure ricco di antiche leggende.
Dalla terra sono ispirati i canti dell’Aspra, degli stessi anni, il poeta apre il cuore in una natura dove all’ostilità della terra si contrappone la lusinga del mare. Il mare tra le case in rovina, s’inseguono i venti di terra. Per ore – confida – guardavo le onde, pensavo al futuro di là da quel mare; poi la partenza, andai e persi il ricordo, rivedo di là altro mare, soffermo lo sguardo sull’onde e sento la stessa ansia di sempre: conosce lo stesso pensiero la mente, andare, partire. Lo spirito di Ulisse, forse, il mezzo secolo successivo di Emanuele mostra il suo lungo viaggio con Itaca nel cuore.
Il porto è un luogo metafisico con la luna che emerge da dietro le vele e sembra fermarsi immota nel vecchio scenario sbiadito dove la notte che avanza rianima i moli, mentre il mare immobile attende. E sui volti di grande tristezza si legge con l’ansia il gelo di esistere. Un sentimento personale e collettivo, se un canto si leva con le nenie di popoli dispersi da sempre sul mare che unisce le coste. In un mare simile il poeta non resta in superficie a meditare, vi penetra nel fondo. Scendevo nel buio dell’acqua profonda – esclama – nel cono di luce che spegne i raggi e le stelle. Fluttuavo, portato dall’onde leggere nel sacro respiro del mare: padrone di me nel silenzio capivo che come sul mare la vita, incurante, mi avrebbe portato.
L’estate di Pioppo ci dà immagini crepuscolari. E’ sera, mia madre suonava nel portico di vecchi fogliami – ricorda – il buio ritagliava la figura di lei, udivo il richiamo, volevo fermare la voce, l’odore di terra, le strisce del cielo, il vapore alla base dei monti, volevo che tutto restasse così, la madre e la natura. Ma il sogno d’estate carducciano sembra svanire, passa la sera e scende la notte.
Torna la natura con il bosco e le ginestre. Una scultura antica nella radura, immobile, la quercia possente e solitaria, protesa al cielo, resiste al gelo e alla calura, ai venti e ai fulmini; i fusti leggeri invece si accalcano tremanti aggrappati l’un l’altro per cercare protezione. L’insegnamento: così nella vita l’uomo grande è solo e gli altri lo guardano timorosi, bisognosi del gruppo per esistere; e non solo per resistere, aggiungiamo. Prima abbiamo evocato Carducci, la ginestra non può non richiamare Leopardi, per il fiore del deserto il poeta trova una definizione di intensità straordinaria: risposta terrena al raggio del sole si aggrappa alla pietra più arsa. E questa sua capacità di resistere dà forza: lontano si sente l’odore portato dal vento, nel fiore ritrovo l’ardore che porto nel cuore.
Il cammino prosegue
Scorrono lenti gli anni, siamo al 1963-67, ancora ricordi dell’isola, per la quale si prova un amore struggente, il poeta la vede e la sente, bella e crudele, forte, di bello di sole e di luce intrisa. E si apre a una confessione che è orgogliosa riaffermazione di identità: negli anni ti ho portato nel cuore, ragione di vita; nei segni lavati dal tempo aspetto di te ciò che è mio. E per questo sente che deve ancora cercare, nel rimpianto di vite diverse vissute nel sogno ed esclama: vorrei ripartire dal nulla di prima e tornare e cercare partendo da niente. Le ore di chiare speranze sembravano grandi e ora sono solo rimpianti. Non vi sono fiori sulle strade ferrate su cui corre la vita, si rimane soli e torna il gelo dell’esistenza: non vedo e non sento – dice – il freddo del cuore mi porta la neve negli occhi.
Il lungo cammino procede, nel 1968-70 si va nell’America di Bob Dylan che cantava: “Quante strade deve percorrere un uomo per diventare uomo, quante orecchie deve avere per sentire qualcuno che piange”. La risposta è nel soffio del vento che va, ora il vento e l’uomo sono lo stesso ma non fermano le lacrime e l’odio. “The road” è il titolo, la strada su cui ora si snoda il lungo cammino, ma arriva la negazione portata dal dolore: non c’è riposta nel soffio del vento, non può rispondere l’uomo al dolore del mondo. L’anima rimane da sola, non sente i dolori del mondo e il grido cammina di notte e non sente.
L’anno successivo apre un percorso di più di vent’anni, dal 1971 al 1994: esplode l’amore, la vita del cuore. C’è il presagio: svanisce il sogno, corrono negli anni le nuvole, mi volto indietro e non vedo che te, tu sola trapassi il gelo del cuore. L’amore cancella i pensieri tristi: guardarti avanzare leggera richiudere il libro del mondo, tenerti la mano. Perché sei tu, lo so – si confida il poeta – gioisce e batte il cuore al tuo sorriso e si ritrae seguendo il dolore e l’amaro di sempre. Un’amarezza che supera: la luce fa sera negli occhi miei stanchi, e tu sei nel ricordo del giorno. Lei ha riportato la vita nel cuore dove non c’erano più per un tempo infinito sorriso ed emozione, nell’anima non c’erano ansie e veri rimpianti. Sparite al ricordo le voci, le facce, i sorrisi. Ma con l’amore il vento di antichi ricordi riempie i miei sogni – può esclamare – si irradia una luce e in essa ti vedo. L’abbraccio scaccia il tedio e dà voglia ancora d’amore, i giorni svaporano di tutto riempiti di te.
La tappa più recente
Dopo questa abbandono liberatorio al sentimento il lungo cammino giunge alla tappa più recente, dal 1994 al 2005; non arriva all’attualità, per questa c’è un’altra silloge vincitrice di un premio. Ma è un momento che rappresenta comunque l’occasione di fare un bilancio di sentimenti e di emozioni. Prima di evocarli con le sue stesse parole ci sono due motivi quanto mai attuali: l’Africa e il vulcano. La prima è la terra dalla quale, dopo la sua Sicilia, ha tratto le maggiori ispirazioni, con il suo vento e i suoi altopiani, e lo hanno ricordato le immagini straordinarie che hanno accompagnato la lettura poetica: il vento odoroso che porta sul mare i magici suoni di Fez e parla di uomini antichi, della loro civiltà. La terra li accolse felice, finché esseri di ferro crociati li spinsero sul mare. Sparirono, rimasero lì, si perse il ricordo e vissero nel canto. E oggi ritornano sospinti dal vento di Fez ma in essi si è spenta la forza creatrice, diversi dal fu, attratti da ciò che di loro distrugge il ricordo. Veramente profonda, mentre impetuosa è l’immagine del vulcano: rossi crateri e bagliori di fuoco, il grido possente e i metalli neri e fumanti che sono disciolti e corrono a valle, dove si fermano frementi e di pietra divengono a prova che esiste, per sempre: il dio Vulcano.
Su pietre è scritta la vita che a noi umani tocca leggere senza capire, e non sono le pietre del vulcano. S’immerge nella natura sapendo di aver già vissuto nei boschi in vite lontane: da lupo. Ma non si tratta dell’”homo homini lupus”, bensì di una ricerca: è questo che ora mi manca e cerco da solo nel cupo del bosco; sapevo che c’era già stata una vita feroce e felice in cui avevo vissuto la terra mia madre, e il cielo stellato e il sole mio padre e stelle sorelle e fiumi e mari, pietre miliari del ricordo. Cercare se stesso nella natura, ma non solo: ci sono i figli e le vite, il sogno e il rimpianto.
Nel sonno dei figli si scopre un intenso sentimento, è questa la gioia più grande. Le vite nel corso degli anni spariscono, rimane il ricordo, si perdono nel nulla esperienze ed emozioni. Restano rari momenti: un sorriso di donna, un grido d’amore di figli, la polvere tutto sopisce e ricopre, e nulla più torna nella vita. Il sogno che sempre ritorna non porta più a me il tuo dolce bacio – sospira – ogni ora sapendo che nulla sarà mai come allora. Nella canzone d’amore c’è il ricordo di una figura lontana che si cerca di far rivivere: le forme tornite, la veste gioiosa, le labbra dischiuse, e anche il passo armonioso, l’andare altero, lo strano sorriso: rimpiango il tempo perduto e come i rami spezzati mi butto alle spalle i ricordi sfinito e perduto. Ci sono i sogni portati dal delirio di gloria che atterrano l’uomo ma lo spingono anche a volare alto nel cielo come nuvole d’oro. E sono proprio le nuvole l’immagine terminale del lungo cammino che abbiamo percorso con il poeta.
Per questa poesia non ci limitiamo a completare con le parole prese fior da fiore il filo d’Arianna nel labirinto dei sentimenti immersi nella natura, la riportiamo integralmente nella sua scansione in versi: “Nuvole immobili/ il sole le passa/ riscalda le pietre sconnesse del tempo/ l’umano rincorre l’umano/ costretto da un vivere incerto/ inquieto si aggira/ chiedendo conferma…”.
Qualunque parola di commento guasterebbe, è un percorso di vita e di sentimenti che sentiamo anche nostro, grati al poeta di averci offerto questa sua introspezione che illumina tutti noi, ci fa aprire gli occhi dinanzi a stimoli emotivi che ora ci appaiono più chiari e coinvolgenti, dopo aver fatto un viaggio emozionante che solo la poesia può rendere con le parole che vengono scolpite. Al termine di questo percorso ci torna in mente il commento della poetessa Spaziani alla platea: la poesia é un apprendimento della realtà, è un modo di vedere le cose come grandi simboli, “i versi sono il sogno che ha sognato con me, attraverso la poesia vogliamo che gli altri sognino con noi”.
Ebbene, con le poesie di Emanuele non abbiamo sognato solo l‘Africa e la sua Sicilia, abbiamo sognato ni stessi, le nostre illusioni e le nostre inquietudini. Abbiamo sognato la nostra vita.
Info
Pubblicato il 26 ottobre 2010 in cultura.inabruzzo.it, non più raggiungibile. Cfr. i nostri articoli su manifestazioni legate al prof. Emanuele: in www.arteculturaoggi.com, sul conferimento a lui del Premio Montale 14, 20 aprile 2019, sulla maratona poetica annuale da lui ideata e promossa, organizzata e animata, “Ritratti di poesia”, 17 febbraio 2019, 1°, 5 marzo 2018, 13 marzo 2017, 19 febbraio 2016, 15 febbraio 2013; in cultura.inabruzzo.it, sui “Ritratti di Poesia” 9 maggio 2011, sul recital delle sue poesie al Quirino nel 2010 (testo qui ripubblicato integralmente) 24 ottobre 2010; su un convegno Unioncamere in materia economica 17 aprile 2009; in fotografia.guidaconsumatore, sui “Ritratti di poesia” 30 gennaio 2012 (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini della serata del 21 ottobre 2019 sono state fornite da Comin & Partners che si ringrazia, con i titolari dei diritti, illustrano il testo che riporta anche la nostra cronaca e i contenuti della serata di nove anni fa, il 20 ottobre 2010; le immagini della serata del Premio Montale e delle tre manifestazioni dei “Ritratti di Poesia” del 2019, 2018 e 2013 sono state riprese da Romano Maria Levante rispettivamente a Palazzo Althemps e al Tempio di Adriano. In apertura, Emanuele in mezzo alla platea del Quirino il 21 ottobre 2019 ; seguono, uno scorcio della platea del Quirino nella serata del 21 ottobre 2019, e il recital delle poesie di Emanuele: Geppy Gleijeses, Marisa Laurito, Andrea Giordana; poi, Geppy Gleijeses legge le poesie di Emanuele, e Marisa Laurito legge le poesie di Emanuele; quindi, Emanuele dopo aver ricevuto il Premio Montale nel palazzo Althemps l”11 aprile 2019, Emanuele consegna il Premio per la poesia internazionale della 13^ Edizione dei “Ritratti di Poesia” alla poetessa sudafricana Ingrid de Kock, nel Tempio di Adriano il 15 febbraio 2019, ed Emanuele consegna il Premio per la poesia italiana della 12^ Edizione dei “Ritratti di Poesia’ alla poetessa Donatella Bisulli, nel Tempio di Adriano, il 9 febbraio 2018; infine, Emanuele apre la 7^ Edizione dei “Ritratti di Poesia”, nel Tempio di Adriano, il 1° febbraio 2013, ed Emmanuele F. M. Emanuele; in chiusura, Il Teatro Quirino.
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